< Il clown e la coscienza di  Gerardo Mele (Lindau)

Qui di seguito le recensioni di IlClownELaCoscienza raccolte col torneo 'sag' (sino alla fase T12. / finale)

* * *

 

Nell’introduzione al volume l’autore dichiara il proprio interesse per le discipline corporee e spirituali che costituiscono l’ossatura portante della trattazione e delle riflessioni oggetto del saggio.
Non mancano nel corso del volume i richiami storici alla figura del clown e si fa spesso riferimento ai diversi laboratori e corsi che l’autore ha frequentato o diretto; molti esercizi descritti sono praticati anche nei corsi di teatro; la differenza è lo spirito con il quale il clown affronta le varie situazioni.
La figura del clown teatrale, su cui si basa l’intera trattazione, si forma anche attraverso una profonda ricerca interiore basata su riflessioni personali di ampio respiro che a tratti sfociano in pedagogici "insegnamenti di vita". Il clown, come lo intende Mele, è a tratti mitizzato e posto su un piedistallo come essere spiritualmente superiore e questo rappresenta un aspetto che limita la godibilita’ della lettura e a tratti infastidisce.

Liviana Di Stilo

* * *

 

Gerardo Mele, un collaboratore di Pierre Byland, grande maestro e formatore di nuovi clown, ci accompagna nella scoperta del lungo e faticoso percorso che deve fare una persona per diventare un clown. Il clown deve riappropriarsi dello sguardo del bambino, che esamina continuamente il mondo e si stupisce sempre di ogni nuova scoperta. Questo percorso viene definito come un ritorno all’"Homo stupidens", e viene compiuto per liberare la mente e poter quindi creare e vivere costantemente nel presente senza preoccuparsi di come si appare. Viene descritto come un percorso pedagogico alla ricerca dell’essenziale, che consente di vivere nel presente assaporando la feliciità di ogni minuto. E questa condizione è indispensabile per trovare l’umorismo semplice e diretto che porti gli spettatori anche a riflettere. In fondo un contributo di Grazia Roncaglia ci fa riflettere sugli aspetti pedagogicamente interessanti di questo cammino di ricerca.

Anna Allerhand

* * *

 

La storia novecentesca del clown, la scuola francese con l’evoluzione circense, cinematografica, il mimo sino al tipo del titolo, ossia l’attore che vive di ingenua stupefazione, di fiaschi che lo riportano alle origini della risata e dei significati primi. Peccato non faccia ridere, avrebbe dovuto farlo un po’ di più. Alla fine non mi ha convinto, ne esco disilluso, non mi ha convinto. Tuttavia sento che la trattazione mi ha lasciato più che qualcosa. E allora lo premio.

Paolo Antoniazzi

* * *

 

Questo libro è tutto impiantato attorno all’assunto che solo un’attitudine verso la vita improntata sui concetti di “Il Buon Selvaggio”, più “l’Innocente Angioletto” e “Candore” può portare alla… a che cosa? Qui, quando cerca di dire quale sia il Premio finale, il Paradiso/Nirvana promesso, quale sia completezza o Totalità, o il vero “io” che si raggiungerà applicando gli insegnamenti contenuti, il libro comincia ad arrancare e si aggrappa al solito vuoto/zen che, come il prezzemolo (o era la panna?) salva tutto.
Tutto il libro (verrebbe da dire la weltanschauung che propone, ma sarebbe già dare troppa dignità a un pensiero che infine è molto poco elaborato) ruota attorno al concetto di Homo Stupidens, tesi lanciata e tautologicamente rilanciata senza mai approfondire, lasciando intendere che questa sia una peculiarità fondativa dell’umano, di tutti gli umani, e che il clown avrebbe la capacità di riattivare e far lievitare negli spettatori. Da rimanere perplessi… sarà che, a parte alcuni numerosi episodi, non sono uno stupido e soprattutto non ritengo che risieda lì, nella parte stupidens, la parte migliore di me e dell’umano in generale o la salvezza, (anzi!); da cosa poi, non si sa.
Utilizzando un condimento che ha tra gli ingredienti un misto tra filosofia zen in una atmosfera da Siddhartha, del buon senso della nonna e una buona dose di mitologia “hippy”, l’autore propina pagine e pagine di sagge banalità sulla bontà dello sguardo innocente che permetterebbe di far uscire: la parte migliore di sé? La parte nascosta di sé? La parte vera? Comunque la si voglia chiamare, la questione principale è che si sta trattando di spettacolo teatrale o circense: questo clown, dopo il training accennato dall’autore, mostrerà certamente la parte più autentica di se, ma da spettatore mi chiedo: ma a chi potrebbe interessare? Certamente questa parte a me non interessa; niente di personale, né la sua né quella degli altri attori.
Due passaggi sono esplicativi di questo astruso elaborato sull’Homo Stupidens:
“… corpo e l’erotismo non sono argomenti tabù, egli si innamora, scopre l’altro, quindi sé stesso, e non c’è mai retro-pensiero. Interpreta la realtà e gli altri in modo pulito, come fanno i bambini che possono giocare con tutto: cacca, culo, e non sono mai volgari perché naif, senza retro-pensiero.” [pos. 890] dove l’autore dimentica che quel che fa l’adulto è il cominciare a giocare con i genitali in maniera differente dai bambini, accedendo così ad un interessa

Renzo Sanavia

* * *

 

IL clown e la coscienza
L’autore, attraverso la figura del clown, ci fa scoprire la coscienza di sé, lo stare al mondo con gli altri e l’esistenza del diverso.
La scoperta avviene attraverso il clown che sta al mondo con il suo essere stupidens, cioè, essere stupefatto, senza nessuna preoccupazione per il domani, senza appartenenza, senza il prepotere dell’ego, con l’accettazione del “fiasco”, senza retropensiero. E non restare intrappolati nelle idee, nozioni.. prestrutturate permette di venire a contatto con la creatività, soprattutto attraverso il corpo. Questo è l’aspetto decisamente interessante del testo, ma il dilungarsi e ripetere gli stessi concetti ha spento un po’ il mio interesse.

emira cupido

* * *

 

Un interessante viaggio all’interno del mondo del clown teatrale che Gerardo Mele compie attraverso una scrittura lineare e a tratti brillante, come nel passo in cui dice che “il nuovo clown si diverte a imitare la vita degli uomini e in quanto Homo stupidens non vive il fallimento in modo vittimistico, non si compiange, è semplicemente atto- nito, non capisce, e resta senza fare niente, perché non può fare niente di più qualcuno che impiega tutta la sua energia per cercare di capire”.

Paola Giordano