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Aristocrazia 2.0, Roger Abravanel, ed. Solferino
L’affascinante tesi al centro del saggio di Abravanel è che sia possibile una ripartenza dopo la pandemia di Covid-19 soltanto grazie a quella che definisce l’economia della conoscenza, basata sul capitale intellettuale che applica innovazione, scienza e tecnologia all’economia e alle imprese.
L’autore di "Meritocrazia" torna quindi su un tema a lui caro, affrontandolo a partire da ciò che proprio della meritocrazia dovrebbe essere l’espressione: una aristocrazia 2.0, appunto. Purtroppo uno dei punti a mio avviso più problematici di questo saggio è il presupposto da cui l’autore parte, quando afferma che viviamo in una società e un’economia dove lo sviluppo intellettuale è sempre più premiante. Evidentemente Abravanel non frequenta Tik Tok. A parte questo, e al netto di qualche refuso e di una lingua forse a tratti trascurata, con alcune (per fortuna sporadiche) concessioni al parlato che stonano visibilmente con il resto, Aristocrazia 2.0 è un saggio molto documentato e abbastanza scorrevole.
Camilla Galli
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Uno sguardo lucido sull’economia italiana pre e post pandemia, sulle caratteristiche della crescita e della crisi del nostro paese. Ciò che risulta particolarmente interessante è il confronto con altri paesi non soltanto europei e soprattutto l’attenzione posta su quegli aspetti socio-economici che derivano dalla componente culturale più profonda. Infatti, lo spazio dedicato all’elemento della meritocrazia è ampio, così come l’analisi del mondo universitario e dell’importanza del capitale umano e dell’economia della conoscenza, in particolare in un paese come il nostro.
Serena Corsale
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Saggio molto interessante, principalmente perché mi ha portato a considerare tanti aspetti del mondo dell’economia, della finanza, dell’imprenditoria, della scuola, dell’università, da un punto di vista per me nuovo e soprattutto rovesciato rispetto ad alcuni luoghi comuni. Alcune analisi relative ai mali che affliggono la società produttiva italiana possono essere senz’altro condivisibili, su altre invece mi piacerebbe avere un confronto con studiosi di parere diverso. Nell’insieme sicuramente la lettura stimola moltissime riflessioni e incoraggia la ricerca di strade nuove, suggerendo cambiamenti radicali delle prassi, delle regole e degli atteggiamenti mentali e culturali tipicamente italiani, che, secondo l’autore, hanno sinora fortemente penalizzato la possibilità per l’Italia di stare al passo con la sfida di una società sempre più globale.
Rosa Tripaldi
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Il testo offre una visione "popolare" della magistratura italiana, visione che risulta scardinata dai criteri tecnici che regolano la materia in ordine al potere giuridiziario.
Non ho apprezzato le idee dell’autore sul punto: più che una riforma per la giustizia si vorrebbe una riforma contro la magistratura. Intendere che i magistrati debbano essere "responsabili" rispetto al Parlamento significa - nemmeno troppo velatamente - volere che siano in qualche misura "responsabilizzati" e questo si pone all’evidenza in netta contraddizione con i principi costituzionali di indipendenza e imparzialità
CM