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Il libro è una narrazione in prima persona del rapporto che viene a crearsi tra la malattia sopravvenuta intorno ai quaranta anni e l’autrice.
È un diario letterario su cui vengono riversati tutti i pensieri razionali e irrazionali, paure e speranze di una giovane donna che scopre di essere malata di SLA.
Il libro descrive dettagliatamente l’iter psicologico affiancandolo al progredire inesorabile della malattia: comparsa dei primi sintomi, primi sospetti della malattia, inizio del percorso diagnostico, volubilità psicologica, diagnosi finale della malattia, nuova percezione di sé, vita da rimodulare.
La differenza tra un prima e un dopo, tra un giardino rigoglioso e un giardino infestato dai serpenti.
Lo status acquisito di malata cronica genera turbamento: da dove viene la malattia? Dove si è annidata finora? Perché proprio io?
Non c’è espressione più democratica della malattia e la sua comparsa genera oscillazioni armoniche psicologiche, sinusoidi esistenziali che non si smorzano nell’intorno di un sé ma che vanno via via ampliandosi e allontanandosi.
Paolo Vencia
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Per un’ipocondriaca come me leggere questo libro è stato impegnativo ma capire aiuta.
Paola Carello
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Un viaggio dalla scoperta della malattia alla convivenza con essa che Manocchi lega indissolubilmente al rapporto dolceamaro con la gravidanza e la maternità e le difficoltà dell’avere una carriera ed essere madre allo stesso tempo. Tematiche complesse e calde che Manocchi problematizza con uno stile semplice e diretto, attraverso il filtro intimo e personale dell’esperienza diretta e occasionalmente arricchito da citazioni letterarie e filosofiche sapientemente collocate.
Quello che emerge è un racconto privato, emozionante e sincero, di un periodo complesso ed estremamente intimo della vita dell’autrice.
Carola Netti
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Donatella D’Agostino
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Di Francesca Mannocchi conoscevo i reportage giornalistici capaci di cogliere come nessun altro i problemi delle persone coinvolte in situazioni drammatiche. Ora ho incontrato la scrittrice ed è stato sconvolgente. Non mi era mai capitato di dover interrompere una lettura perché troppo emozionata e coinvolta. Non avrei mai pensato che si potesse mettere così a nudo il proprio vissuto e quello dei propri cari. Senza alcuna remora , vergogna o pudore la scrittrice, profondamente mutata dalla malattia, analizza se stessa come donna, figlia, compagna, madre.
Carla Maria Gustalla
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Ho amato la sincerità -anche brutale, a tratti- di queste pagine. Vi è descritta la malattia scoperta, vissuta e subita, e parallelamente si legge il diario di una donna che è compagna, figlia e madre, ma reclama di potere e volere essere prima di tutto se stessa.
L’ho letto d’un fiato, pur concedendomi il tempo di tornare a volte sulle righe lette per tenerle strette un po’ più a lungo.
Greta Lanfranchi
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Francesca Teza
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Il libro non affronta solo il tema del rapporto con una malattia invasiva e progressiva, tema già di per sé molto delicato; accanto ad esso c’è il rapporto con la natalità, con la propria famiglia d’origine, vissuti con un miscuglio di sentimenti e domande. Così restano impresse frasi come: “La famiglia è quella cosa che ti impone di non allontanarti dalla riva mentre tu hai già raggiunto l’altra sponda”, oppure “Quando nasce un figlio non è detto che nasca una madre”. Il libro è, dunque di grande interesse, anche per il ritmo continuo che lo caratterizza.
E’ peraltro un libro scritto più per sé che per coinvolgere il lettore.
Margherita Tricarico