* * *
"Si sa che molte persone non accettano che il male possa far parte della loro indole e quindi relegano la cattiveria al di fuori del genere umano, etichettando come "mostro" chi ha compiuto un atto contrario alla loro natura. Lo immaginano come un essere immondo, dall’aspetto truce, animalescco, maleodorante, straziato, ignorante...Ma non è così..."
O almeno non sembra così Emiliano, il protagonista di questo romanzo breve o racconto lungo.
Emiliano Bardanzellu uccide sua moglie perchè infastidito dal crack che fanno le bottiglie di plastica quando Margherita le schiaccia, è solita farlo e lui non lo tollera...fino all’ultimo crack.
Il crack della bottiglia coincide con il crack della sua mente.
Lui non ricorda cosa è accaduto, in quel famoso black out che il titolo richiama.
Non si dichiara innocente perchè come è possibile farlo se nulla si ricorda?
Emiliano dice" anche io faccio parte dei mostri, e ogni tanto me lo dimentico".
Lo dimentichiamo anche noi mentre leggiamo il libro, mentre ci "appassioniamo "alla sua vita in galera, ai suoi compagni di cella. Nella semplicità dei suoi pensieri,nei suoi racconti, paradossalmente capita anche di empatizzare con lui. Quando ci fermiamo un attimo e prendiamo le distanze, ci ricordiamo che lui è il mostro.
Il mostro non è un essere mitologico.
Il male può essere annidato anche dentro chi è simile a noi e, questo, è ancora più mostruoso.
Increduli vorremmo quasi giustificarlo ma, in quel momento, ci sembra di essere persino peggiori di lui, perchè ha ucciso sua moglie , lasciando orfano di madre il loro figlio in fasce.
Lui questo non lo nega.
Viene da chiedersi però, chi è veramente Emiliano?
Questo uomo che non soffre, che non si pente, che non si strugge.
La confusione emozionale, il perdersi tra colpa, inganno, innocenza e cattiveria è la parte che ho apprezzato....per il resto non mi appassionano i colpi di scena, i riferimenti letterari forzati che non si amalgamano con il contesto, come nella citazione di Delitto e Castigo.Si parla delle carceri in Sardegna, si respira pure l’aria arsa di sole e si respirano gli odori della vegetazione ma nel complesso il libro non è riuscito a catturarmi.
Anna Di felice
* * *
E’ un racconto sobrio e pulito ed è la sua bellezza, mi è piaciuto, ma mi ha dato la sensazione di una fotografia... un pò statico.
Forse è da apprezzare che la modalità narrativa quasi assomigli al protagonista nella sua passività.
Elena Biraghi
* * *
Prosa elegante, ben ritmata, lessico curatissimo
MARTA RONDI
* * *
Ho provato per questo libro un’attrazione ipnotica di tipo acustico.
Mi risuonava quel "crack" della plastica accartocciata, in copertina, nelle orecchie, ma mai avrei immaginato quanto fosse importante e tristemente definitivo quel suono ai fini della storia in esso raccontata.
Emiliano , il protagonista, non sopporta il rumore delle bottiglie di plastica compattate.
Non lo sopporta al punto da andare in "cortocircuito", da perdere completamente la testa e compiere un’azione terribile, la peggiore che si possa immaginare, di cui però non ricorderà nulla, di cui (almeno apparentemente) non sembrerà portare alcuno strascico a livello morale, né sensi di colpa, né pentimento... solo una pacata accettazione della pena.
Ma si può provare disperazione e pentimento per qualcosa di cui non si ha memoria?
È difficile autoriconoscersi come "mostro" se non si riconosce come proprio il gesto compiuto.
Oppure ci troviamo di fronte al più subdolo calcolatore che si nasconde dietro l’alibi del black out mentale?
Cattiveria? follia?
Delogu nell’esplorare questo abisso mentale, ci porta in Sardegna, ci apre i cancelli delle carceri, in particolare quella di Buoncammino e la colonia penale di Is Arenas, ci fa fare amicizia con i compagni di cella di Emiliano, con il direttore, con il secondino...
Impareremo a guardare i criminali con occhi più "umani", scoprendo i loro piccoli gesti quotidiani, le loro piccole fragilità.
Ci indispettirà la mitezza di un uomo che vorremmo vedere straziato dal dolore, non riusciremo mai a comprendere fino in fondo il suo distacco, la sua oltraggiosa compostezza.
Saremo spiazzati da un finale che ci costringerà a fare quello che per tutto il libro abbiamo cercato di evitare di fare: schierarci.
Un romanzo che non assolve il male, ma che vuole raccontarci una storia, da una prospettiva scomoda, difficile e vuole portare il lettore a riflettere sul nostro tempo, sulle nostre nevrosi e idiosincrasie.
Un libro che non fornisce risposte , ma che vuole obbligarci a pensare, a prendere una posizione nostra, a portare a termine quello che lo scrittore ha lasciato volutamente ambiguo.
Ottimo romanzo e di sicuro non compatterò mai più le bottiglie con lo stesso stato d’animo.
Massimiliano Falcone
* * *
Maria Grazia Bertora
* * *
Nel fastidioso rumore di una bottiglia di plastica che si compatta c’è la causa apparente di un femminicidio che nel corso della lettura vede invece sfumare l’atrocità intrinseca di delitti che affollano le cronache nere per cedere il posto ad un’umanità imprevedibile. E’ l’umanità del popolo che affolla le carceri e che nell’immaginario collettivo spesso è sinonimo di violenza e di sopraffazione. Un direttore carcerario, per fortuna non unico nel suo genere, offre la chiave per aprire il portone di quello che è il fine prevalente della condanna: il recupero del detenuto. Si recupera il reo attraverso il lavoro. Il protagonista della storia parla in prima persona: non ricorda nulla dell’accaduto, ha ucciso la moglie che amava per sottrarsi al fastidioso rumore di bottiglie di plastiche compattate. Non ricorda altro ma sconta la pena consapevole del male che ha fatto. Con linguaggio semplice e lineare e, soprattutto con le metafore sottratte al mondo della natura, l’autore accompagna il lettore fino alla conclusione a sorpresa.
Filomena Martoscia
* * *
Romanzo psicologico- carcerario, di buona fattura per lo stile e la struttura con una suddivisione in capitoli che ne alleggerisce la trama. Il protagonista, in prima persona conduce, di volta in volta il lettore a condividere situazioni ed esperienze nelle carceri con competenza e leggerezza allo stesso tempo. A mio giudizio però, la parte finale, è troppo precipitosa e poco verosimile, un’aggiunta impropria, a sorpresa, che toglie credibilità e lascia il lettore molto perplesso.
Maria Luisa Bertolotti
* * *
Sardegna, processo, prigione, botanica si fondono tutti in una storia originale, gialla, ma non solo, di un ritmo narrativo ed espressivo sapiente che sostiene una storia apparentemente semplice e lineare ma rivelatrice, nel finale, del disegno criminale di un animo.
Di esperto giallista l’incipit: “Ho ucciso mia moglie perché mi urtava i nervi il rumore che faceva quando schiacciava le bottiglie di plastica per compattarle”. Si pensa subito ad uno psicopatico, uno psicopatico comunque colto e gentile che si adatta al carcere, stringe buoni rapporti con tutti e al processo non si difende causa il “black out” del momento dell’uxoricidio.
Intanto lungo la storia l’autore trova i giusti tempi e il giusto modo di descrivere mare e monti della Sardegna, ma sono le piante mediterranee quali cappero, rosmarino, gelsomino... che, identificate nelle loro tipologie con i personaggi umani, stupiscono ,inserendo nel racconto un’originale botanica . Il colpo di scena del finale è magistrale con lo svelamento della vera personalità dell’assassino. E’ un bel libro che si legge tutto d’un fiato.
Gabriella Vezzosi