< E poi saremo salvi di  Alessandra Carati (Mondadori)

Qui di seguito le recensioni di EPoiSaremoSalvi raccolte col torneo 'nar' (tutte le fasi)

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MERAVIGLIOSO. E’ un romanzo famigliare e di formazione che ti obbliga a specchiarti con la realtà, che ti obbliga a misurarti con un evento successo nella storia moderna ma di cui non si ha più la percezione e credo anche che sia stato dimenticato o non conosciuto. E’ un romanzo che parla di morte nella sua totalità e nella sua accezione più eclatante; si parte dalla guerra e in questo periodo storico che siamo costretti a vivere, leggere queste pagine è davvero difficoltoso, fare i conti con gli orrori degli uomini, con le mancanze che ne possono derivare è straziante. Tutto quello che ha dovuto affrontare questa famiglia ha lasciato delle ferite aperte che non si sono mai rimarginate, delle emozioni e dei sentimenti solo negativi che si sono trasformati in malattie per tutti, non salvando nessuno. E’ tanto forte, il linguaggio è duro, le immagini che ci mostra l’autrice ci lasciano molto spesso senza parole facendoci affogare nell’impotenza. La struttura per quadri è divina, ha un ritmo incalzante che non ti permette di staccarti da questo libro... vivi tutto quello che i protagonisti hanno vissuto e mettendoti nei panni di tutti loro ne soffri, a volte ne sorridi.

LINDA MASCIONE

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Un libro duro, straziante ma necessario. Non avevo mai letto un romanzo sulla Guerra in Jugoslavia e mi sono buttato nella lettura voracemente tanto che in 2 giorni avevo già finito. Tramite Aida e la sua famiglia vediamo una generazione di persone sradicate dalla loro patria che cercano il loro posto nel mondo. Ho trovato forse eccessivo l’aggiunta della malattia mentale come dolore che si aggiunge a dolore, coraggiosa comunque la scelta.

S.C.

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Ho trovato il libro tristemente attuale, descrive molto bene la sensazione di chi si ritrova all’improvviso senza patria e senza certezze. Una vita da ricostruire. Ottima la parte in cui viene descritta la sofferenza mentale e le reazioni che questa causa nel contesto familiare. Non il mio genere ma leggibile in breve tempo.Rischia ogni tanto di scadere nel banale.

Mariaelena Corigliano Minniti

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Circolo dei lettori
di Milano 2 “Lettori temerari”
coordinato da Patrizia Ferragina
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Aida, bambina bosniaca di sei anni, è costretta a fuggire con tutta la famiglia in direzione dell’Italia, per salvarsi dalla guerra e dai massacri in atto. A Milano, la sua nuova residenza, è tutto nuovo, tutto tragicamente complesso. La nuova vita, i genitori che paiono ormai l’ombra di sè stessi, la nascita del fratellino Ibro, l’inserimento nella scuola e nel nuovo corso degli eventi, sconvolgono il delicato equilibrio di Aida. Che tuttavia riesce a ricostruire un proprio universo, un proprio percorso all’interno di una realtà che pare impazzita. La scrittura della Carati è preziosa e coinvolgente: non ci si separa facilmente da questa storia, ci si lega ad Aida, la si vorrebbe proteggere, si piange, si ride, ci si scandalizza increduli per gli orrori di una guerra passata (gravi e inquietanti sono i parallelismi non dichiarati ma immaginati dal lettore, con la situazione attuale), ci si affeziona a tutti i protagonisti, nessuno escluso. Una storia personale, una saga familiare, sullo sfondo di una tragedia storica di dimensioni epocali. Un autentico capolavoro. Leggo che il romanzo è nella rosa dei candidati al premio Strega: c’è davvero da augurarsi che lo stra-vinca.

Nicoletta Romanelli

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Una storia facile e scorrevole. Montata con una struttura a incastro che vede una serie di racconti sotto forma di reportages giornalistici (la parte migliore del libro a mio parere) all’interno della vicenda personale e professionale dell’io narrante. Uno stile leggero e scherzoso, volutamente accattivante, che può coinvolgere un pubblico in cerca di una lettura spensierata.

Patrizia Romano

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Circolo di lettori e lettrici del torneo letterario di Robinson
di Ponte Buggianese “rivista Vitamine vaganti”
coordinato da Laura Candiani
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Recensione 1-Un libro bello e doloroso. Sembra che sia la guerra la protagonista e invece lo sono le devastazioni della guerra. Non solo quelle di morte e distruzione ma quelle di tipo culturale: lo sradicamento di una famiglia con tutto quello che comporta, lo scontrarsi di una famiglia patriarcale con una società che apparentemente non lo è. Riuscire a fuggire da un paese in guerra attraversando confini può sembrare una impresa vittoriosa ma dopo la fuga cominciano ben altre difficoltà. E lo sa bene la protagonista, divisa tra due mondi, due culture, due famiglie.

Donatella Caione

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L’argento della nostra terra…sono le parole che dipingono un luogo amato e perduto, di cui i connotati non appartengono ad una storia inventata, il dolore pernea fatti reali, un racconto di dolore, di violenza e di guerra quella dei Balcani e del genocidio bosniaco taciuto negli anni alle soglie del 2000…Il ritmo del racconto del libro ben scritto da  Alessandra Carati, è incalzante seppure avaro di particolari nei fatti descritti. La trama si srotola sulle pagine piene di angoscia e di paura narrate dalla protagonista Aida, giovane profuga bosniaca che si riscatta attraverso gli studi per diventare una medica in Italia. Le vicende sono quelle essenziali, quasi volutamente parziali. Tutto è descritto attraverso lo sguardo pietoso di chi narra la fuga dal proprio villaggio, ripercorrendo il dolore vissuto dentro le sequenze della vita della sua famiglia, del suo tentativo di abbandonare e cancellare la vita familiare vissuta da profughi in Italia. Un prima e un dopo che lacera i rapporti di tutti fino alla tragedia dell’inquieto fratello. Un libro da leggere.  

Agnese Onnis

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Gruppo di Lettura  
“Biblioteca di Buccinasco”
coordinato da Silvia Mincuzzi
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Ho dato la mia preferenza a questo libro perché mi ha subito trascinata dentro la storia e mi ha tenuta in tensione fino all’ultima pagina. Mi ha dato un’emozione particolare la guerra raccontata attraverso lo sguardo di bambina dell’io narrante. Ho trovato efficace lo stile asciutto, essenziale, fatto di frasi brevi che nulla toglie all’approccio delicato con cui vengono trattate tematiche di grande impatto emotivo e non solo la guerra ma anche e soprattutto le conseguenze che si porta dietro, come lo sradicamento e la difficile condizione di profughi in cui c’è chi riesce a cavarsela e c’è chi soccombe.

Bellagamba Agnese

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Bello, intenso e disperante racconto di una famiglia bosniaca di profughi di guerra che, nei primi anni 90, è costretta ad abbandonare il proprio paese nella ex Jugoslavia e trasferirsi a Milano. Romanzo attuale e molto avvincente che coinvolge il lettore in ogni singolo evento familiare, in ogni aspro sentimento, nella profonda nostalgia e insieme speranza di tornare un giorno alla propria famiglia e terra di origine e che invece la guerra distruggerà per sempre! Scrittura molto gradevole la lettura scorre veloce.

Bruni Maria Rosa

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Grandi lettori
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Sono stata letteralmente travolta da questo racconto che inizia con una fuga nella ex Jugoslavia in guerra. La madre incinta e la figlioletta che seppellisce le bambole più belle nell’orto di casa per conservarle e le abbandona in una corsa disumana verso il confine in un addio non definitivo (ma per certi versi invece si) alla Bosnia Erzegovina.

Che dolore e che scrittura! Libro maestoso e dolente come Maria ai piedi della Croce; fino alla fine si ha la speranza che qualcosa si ricomponga, ma la sofferenza del vivere resta incisa come una lapide. Tristissimo, ma molto attuale, purtroppo.


Barbara Monteverdi

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Bellissimo romanzo di Alessandra Carati che racconta di una bambina bosniaca che fugge dal suo paese e dalla guerra con la mamma per raggiungere il padre in Italia. La fuga e l’angoscia sono raccontati molto bene e anche la guerra che cambia le vite dei protagonisti e di chi sta loro intorno: la mamma in forte depressione, non felice nemmeno quando nascerà il fratellino e il padre che lavora molto e non sa più comunicare con i famigliari. La guerra e la fuga cambiano i punti di vista delle persone che fuggono e che sono alla ricerca disperata di un qualcosa che si possa considerare casa.
Mi è piaciuto moltissimo e  lo voto come miglior libro tra i due letti perché racconta una storia a me più vicina.

Maddalena Dellacasa

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Vicenza “Sentieri di lettura”
coordinato da Marianna Repele
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1992; guerra Bosnia-Erzegovina, Aida, bimba di soli 6 anni costretta a scappare di notte per trovare rifugio a Milano. Lei attratta dal nuovo paese a fatica si integra nella società nonostante gli sforzi per studiare e diventare medico; anche suo fratello Ibro appassionato di musica rap sembra seguirla.
Si trovano sempre in conflitto con i genitori causa religione, abitudine e patriottismo.
La famiglia si salva ma dovrà fare i conti con le emozioni burrascose del figlio. Convinti di ricostruire una nuova vita nel loro paese d’origine abbandonano i figli ma una spiacevole e dolorosa avventura li accoglie.

Silvia Galiotto

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Questo romanzo è ambientato negli anni delle guerre jugoslave (1992-2001) e racconta la storia di Aida, una ragazza costretta dalla guerra a fuggire dalla Bosnia con la sua famiglia e a trasferirsi in Italia, a Milano. Da quel momento la sua vita e quella della sua famiglia saranno per sempre segnate da una separazione: quella tra la vita in Bosnia e la vita in Italia. Mentre i suoi genitori fanno fatica a staccarsi dalle proprie radici e rimangono in una sorta di limbo tra Italia e Bosnia, Aida cerca di costruirsi una nuova vita in Italia e di lasciarsi alle spalle la vita di prima (senza però rinnegarla del tutto). Questo creerà una forte tensione tra lei e la sua famiglia che si risolverà a caro prezzo e solo quando Aida raggiungerà l’età adulta. Ho trovato la storia di Aida molto commovente e coinvolgente. Penso che nella sua storia possiamo leggere la storia di molti altri profughi; per me questo libro è stata un’occasione di mettermi nei panni di chi si trova a faccia a faccia con la guerra ed è costretto a fuggirne. Insieme ad Aida ho “vissuto” la paura della fuga, la fatica di costruirsi una nuova vita in un nuovo Paese e in una nuova cultura e la tensione che comunque la separazione dalle proprie radici comporta. Il libro mi è piaciuto molto perché ho ammirato il coraggio e la tenacia della protagonista nel superare gli eventi traumatici e nel cercare di andare avanti nonostante le difficoltà.

Francesca Faedo Firma

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Questa è una storia di guerra, la Bosnia, di sopravvissuti. Aida è una bambina di sei anni e un giorno del 1992 fugge con la mamma incinta, la zia e il cugino. Arrivano in Italia e si ricongiungono con il padre dopo varie peripezie. A Milano cominciano una nuova vita ma dopo qualche anno Aida cercherà il suo riscatto con una nuova famiglia senza però dimenticare il fratello e i genitori. Curiosa è la minaccia delle donne del villaggio della Bosnia che per spaventare i bambini gli dicono che Allah li manderà in Italia se non si comportano bene! Alcune pagine sono molto crude, violente ... soprattutto quando la scrittrice parla delle fossi comuni, lo smembramento e il mescolamento delle ossa. La scrittrice ha usato una scrittura equilibrata, chiara e coinvolgente e mi è piaciuto.

Nives Giambellini

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Il libro è il drammatico racconto della fuga di una bambina bosniaca di sei anni e della sua famiglia dalla crudeltà di una guerra assurda : Aida prova rabbia, paura, orrore per la morte che la circonda. A lei la vita non risparmianessun dolore, soprattutto la perdita delle persone care. La disperazione sfinisce lentamente la madre, che ricomincia a parlare solo quando il piccolo Ibro alza per la prima volta la testa. Così la figlia si lega sempre più a Franco e a Emilia, due volontari che la adottano ufficialmente e le permettono di studiar fino alla laurea in Medicina. I legami con la famiglia di origine inizialmente si allentano, ma si rinsaldano nuovamente quando Ibro rivela i primi sintomi di schizofreniaa, malattia che lo porterà a gettarsi dall’ottavo piano di casa. La sua morte è una supernova. In Aida il dolore è come un’onda che si avvicina. Si sente di nuovo di fronte alla guerra: niente dipende dalle sue scelte, prova un tremendo senso di impotenza e di disperazione. Il dolore pietrifica il cuore della madre, che deciderà di tornare in Bosnia, vicino al giardino aperto a tutti dove è sepolto il figlio. Ma con Ibro Aida e la sua famiglia seppelliscono anche l’odio e la vergogna, la colpa della guerra e delle loro vite a metà. Finalmente lFatima confessa alla figlia che, pur essendo gelosa di Emilia, ha preferito che Aida vivesse con lei e Franco, per non scaricarle addosso il suo dolore. Ma nessuno salva nessuno. Aida deve imparare a trovare la pace dentro di sé, accanto al Paolo, marito medico che la ama. e la accetta. Una notte Fatima “vede “ Ibro ed esce a cercarlo tra gli alberi i durante un’eclisse . La figlia , all’alba, la trova sulla soglia del bosco , congelata con i capelli poggiati su un cuscino di
neve.

Antonella Burrini

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Non mi è piaciuta particolarmente questa lettura. Nonostante la storia raccontata, ovvero quella di una fuga da un paese in guerra e di un nuovo inizio, sia importante per le tematiche affrontate, ho trovato un po’ noioso e vuoto lo stile di scrittura. L’aspetto positivo di questo libro è che riesce a rendere quello che è il trauma di lasciare la propria terra, soprattutto affrontato dai bambini, argomento che nell’ultimo periodo dovrebbe farci riflettere più che mai.

Francesca Lo Giudice

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Grandi lettori
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E poi saremo salvi di Alessandra Carati, un romanzo che attraversa la guerra, l’altrove, l’essere stranieri e la follia.
Tutti argomenti forti e spigolosi, eppure l’autrice li tratta con fluidità, consapevolezza e gentilezza.
Con il crescere del personaggio principale cresce anche il racconto: un vissuto che appartiene a tanti attorno a noi ma, che spesso cerchiamo di evitare o sfiorare solamente.
Ecco, il libro serve per entrare in realtà che avremmo voluto solo accarezzare ma, questi capitoli ci fanno partecipare a vite, culture e avvenimenti che non possono e non devono lasciare indifferenti, il tutto con scrittura insospettabilmente scorrevole.

Valeria Pedrini

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Grandi lettori
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Sono due libri che parlano di tragedie drammi guerre morte solitudini. E poi saremo salvi mi ha preso sono entrato in empatia la scrittura è pulita chiara rapida regolare scevra da ridondanze. Mi è piaciuto.

Sebastiano Sanguigni

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In questo libro viene raccontata la storia di Aida fuggita dalla Bosnia quando aveva sei anni e appena in tempo per mettersi in salvo. Crescere è ovunque difficile ma per lei sembra piu’ complicato e Aida deve mettercela tutta per trovare il suo.posto bel mondo.
Uno straordinario romanzo di formazione, una saga familiare e l’epopea del popolo più martoriato dei Balcani.
Il tutto accompagnato da una scrittura pulita, misurata ed efficace.

Paola Carbellano

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Errore

Alessandro Candiloro

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Storia emozionante dove temi come guerra ,integrazione , adozione e malattie mentali si intrecciano portando il lettore con delicatezza a viverli come la protagonista.Aida fugge dalla Bosnia Erzegovina con la madre per raggiungere il padre in Italia. Qui adolescente si innamora di un non musulmano osteggiato dai genitori che sperano sempre di ritornare in patria .Lo studio per lei rappresenta la rivincita per affermare quello che è...sarà adottata da una famiglia italiana.Infine il fratello nato dopo la fuga diventato adolescente con problemi mentali facendoci vedere uno scorcio di come le famiglie nn riescono ad aiutare perché nn hanno le armi sufficienti .Ho adorato tutto il libro arrivando al finale con pathos.

Giovanna Marino

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Circolo dei lettori
di Treviso “5 del 42”
coordinato da Laura Pegorer
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È una storia di incomprensioni, di solitudini narrate con uno stile frammentario dimesso, non esente da scivoloni con tutta la buona volontà ma « gli occhi che vibrano » non si può accettare.
Nel complesso non riesce ad appassionare.
La madre è algida chiusa in un dolore antico, il padre è legato alla famiglia d’origine più che ai propri figli. La ragazza vive male la sua condizione di esule è straniera ad ogni realtà e questa distanza la chiude agli altri. Domina la sua fragilità con tenacia mentre il fratello non riesce a vivere la sua vita.
Poteva essere più breve.

Nat Mungari

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La narrazione è scontata (il dolore della fuga, la voglia di rifarsi una vita, il desiderio di maggior comprensione da parte della famiglia), le difficoltà della fuga durante la guerra sono risapute ma l’utilizzo di frasi brevi e dialoghi porta ad una lettura scorrevole anche se spesso troppo semplice e superficiale.
L’utilizzo della prima persona tende a far avvicinare di più il lettore alle vicende dei personaggi.
Ho scelto questo libro rispetto all’altro perché penso possa avere un ventaglio di lettori più grande rispetto a Rapino, dai giovani ai meno giovani: un libro senza pretese ma più commerciale.

Marta Marcazzan

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Interessante lo svolgimento del racconto di una famiglia bosniaca, padre madre e due figli, in fuga dal paese in guerra e che trova rifugio in Italia.
Nel romanzo c’è tutta la difficoltà dell’integrazione soprattutto della figlia e del figlio.
La ragazza vive drammaticamente il conflitto tra il volersi integrare nella società italiana e il sentirsi quasi prigioniera della sua cultura bosniaca di cui i suoi genitori rimangono portatori. Il padre e la madre sognano di ritornare al loro paese, di ricostruire la loro casa e di far sposare la figlia con l’amico d’infanzia. Quest’ultimo infatti sceglie di studiare e poi ritornare a lavorare in paese mentre la ragazza, dopo l’ultima sua vacanza in Bosnia, capisce che il suo futuro non potrà che essere in Italia.
Il fratello più piccolo, con un disturbo mentale che la famiglia non vuole accettare, si perde invece tragicamente nella sua giovinezza dopo un’adolescenza difficile e non risolta.
La parte finale invece risulta un po’ deludente.

Laura Mosele

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Una famiglia che aveva suscitato la mia ammirazione per il coraggio e la determinazione nel cercare di salvare i propri componenti.
Poi si è persa nella quotidianità dell’interesse e dell’opportunismo. Tutto sommato: "usuale e noioso"

Eugenia Mungari

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E’ la guerra troppo presto dimenticata dei Balcani del 1992 che fa da sfondo a questo romanzo che narra la vita di una famiglia di profughi attraverso le parole della figlia Aida.
Da questa guerra così vicina e così lontana fuggono verso l’Italia e si rifugiano nella città di Milano: è una famiglia ferita nel profondo da una situazione brutale che ha cancellato in un momento le loro esistenze, aspettative, promesse di futuro. Ha strappato i suoi componenti da una realtà familiare per consegnarli ad una vita fatta di insicurezze non solo materiali ma innanzitutto culturali , emotive e identitarie.
Il senso di straniamento si riscontra in tutto il testo e si manifesta in una condotta egoistica dei vari personaggi dettata non solo dalla mera sopravvivenza ma anche dal bisogno di colmare quel vuoto esistenziale che li accompagna e, a volte, li consuma.
Aida si trova una famiglia alternativa che la faccia sentire capita ed accettata fino all’adozione; babo si rifugia nel lavoro e nella religione che gli appare ora come un modo per tenersi addosso la vecchia vita che non tornerà; la madre che dal trauma si riprende a tratti ed ha un rapporto complicato e conflittuale con questa figlia bosniaca d’origine ma cresciuta in Italia che vede spesso come un’estranea, come "fuori" dalla famiglia e dalle tradizioni e che accetterà di farla adottare da altri quando sarà già grande; Emilia e Franco, gli assistenti sociali che li hanno seguiti dal primo momento, che vedono nell’affetto di Aida quel riscatto dalla mancata genitorialità.
E’ un continuo gioco di dare ed avere per colmare pezzi di vita che la vita stessa ha tolto o non ha dato.
Solo Ibro, il fratello di Aida, nato in Italia poco dopo l’arrivo della famiglia è un personaggio puro: allegro, coinvolgente, fuori dalle righe per la sua schizofrenia che gli consente, però, di colmare fratture e ricucire i rapporti tra i vari protagonisti, assorbendo quel male di vivere di tutti loro e che lo spingerà a volare via letteralmente.
Un libro che parla del dolore che la guerra porta con sé e che continua a portare anche dopo la sua fine e che cerca di analizzare i vissuti dei diversi protagonisti dal loro punto di vista di famiglia rotta, ricomposta e che riesce a tornare sui luoghi da cui erano fuggiti senza ritrovarli.

Mara Paladini

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Libro coinvolgente, porta agilmente al termine.

Enrico Franceschini

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Un racconto intenso scritto in modo talmente fluido e scorrevole da riuscire a ricreare il ritmo di un flusso di pensiero, tanto che al lettore è permesso di immedesimarsi al punto da empatizzare con la storia come fosse un proprio ricordo.

Roberta Zanatta

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Ho provato sensazioni opposte, nel leggere questo romanzo: in alcuni momenti mi pareva vero e naturale e profondo nel descrivere dolore, morti, sradicamenti; in altri momenti povero, esile, semplificato. La storia mi trascinava inizialmente bene, ma senza creare delle ferite, dei solchi. E procedendo, mi portava verso la fine senza emozioni.
La lingua quasi “inesistente”, anche per un affresco di storia recente.
E troppo veloce l’excursus di una vita, di una pazzia, di una guerra, di una penosa vita familiare, della vita estirpata e ripiantata altrove, per conficcarsi nel cuore e nella memoria di chi legge.

Laura Pegorer

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La vicenda raccontata in questo romanzo è sicuramente avvincente, .anche perché sulla Storia di quella guerra si è scritto ancora poco, è troppo vicina a noi e forse abbiamo ancora molte cose irrisolte.
Ma qui la guerra presente nelle prime pagine, quando la bambina fugge assieme alla mamma incinta, poi diventa un sottofondo, la bambina cerca di integrarsi nel mondo che la accoglie in contrasto con la sua famiglia che vive con il desiderio ossessivo di tornare a “casa”e lei ci riuscirà molto bene fino a quando la malattia e la morte del fratello le farà ricucire i rapporti con la famiglia.
La scrittura è veloce ed avvincente, ma l’uso del racconto in prima persona, mi sembra voler portare il lettore a credere che la vicenda sia vera.
I racconti e gli studi fatti dall’autore non possono comunque essere equivalenti ad una storia vissuta in prima persona.

Mara Boschi

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Ho apprezzato molto il racconto di una vicenda che ha segnato un pezzo della mia vita e che oggi trova eco nelle vicende della guerra in Ucraina, che fa molto pensare a come le vite vengano stravolte da un giorno all’altro, senza senso. Ho apprezzato lo stile, la voce narrante di bambina che ha impresso un ritmo semplice, diretto e asciutto alle vicissitudini, così come è, nella vita. Mi ha fatto pensare che l’autrice, pur non raccontando una vicenda autobiografica, abbia voluto trascrivere le memorie di qualcuna che gliele abbia raccontate. Ha dimostrato in ogni caso grande sensibilità.

Anna Maria Cappelli

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  Un romanzo molto ambizioso questa opera prima della Carati. Affronta tanti temi: m igrazione, guerra etnica, perdita delle proprie radici, della propria identità, della lingua, fam iglie sradicate e divise. Sopra a tutti c’è Aida che conosciamo bambina strappata alla sua quotidianità, poi inserita in luoghi diversi, lingua diversa, ritmi diversi, così difficili da affrontare. Facciamo il tifo per Aida? Non proprio e non sempre. Personaggio costruito abilmente dalla Carati, proiettato nel futuro della sua nuova vita ma ancorato alle sofferenze del suo passato, legata a un fratello tanto amato incapace di vivere. Un’opera prima ricca di spunti, di temi, di storia, di sofferenze e di capacità di sopravvivere a tutto. Forse troppo. La aspettiamo alla prossima prova.

 

Anna Mantovani

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  Un romanzo molto ambizioso questa opera prima della Carati. Affronta tanti temi: m igrazione, guerra etnica, perdita delle proprie radici, della propria identità, della lingua, fam iglie sradicate e divise. Sopra a tutti c’è Aida che conosciamo bambina strappata alla sua quotidianità, poi inserita in luoghi diversi, lingua diversa, ritmi diversi, così difficili da affrontare. Facciamo il tifo per Aida? Non proprio e non sempre. Personaggio costruito abilmente dalla Carati, proiettato nel futuro della sua nuova vita ma ancorato alle sofferenze del suo passato, legata a un fratello tanto amato incapace di vivere. Un’opera prima ricca di spunti, di temi, di storia, di sofferenze e di capacità di sopravvivere a tutto. Forse troppo. La aspettiamo alla prossima prova.

Anna Mantovani

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Grandi lettori
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Ho apprezzato l’idea di raccontare la fuga dal proprio paese d’origine, molto struggente e commovente. Poi la sensazione di abbandono si sente pagina dopo pagina. Alessandro Candiloro.

Alessandro Candiloro

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Ci ho messo un po’ ad affezionarmi ai numerosi personaggi che abitano questa vicenda, che inizia nel 1944 e arriva sino al 2003, incrociando vite e piani temporali. Ma, poi, improvvisamente, è stato impossibile resistere a tutti loro, anche a Teresa che con il suo voler tenere le distanze, il suo non voler prendere posizione, è la meno accattivante ma allo stesso tempo la più vera. Il fatto che questa storia abbia, nella sua incredibilità, un fondamento reale, ne aumenta il valore perché spinge a fare ricerche. Uno stile non banale che rende il  lettore partecipe non permettendo di abbassare l’attenzione.

Rosangela Usai

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Il libro racconta le vicende di una famiglia bosniaca in fuga dalla guerra nel 1992. Il nucleo familiare, rifugiatosi a Milano, tenta di inserirsi  nella nuova realtà aiutato da volontari locali. Ma l’integrazione  è difficile e non può prescindere dall’essere appartenuti e di appartenere ancora con il cuore e la memoria ad un altro paese, ad un’altra cultura e religione; questi sentimenti generano malessere, risentimento e nostalgia per un passato perduto . La narrazione scorre fluida ed essenziale, attenta a non  sottolineare troppo i dettagli scabrosi delle violenze subite da una popolazione inerme, ma piuttosto a concentrarsi su questa dicotomia di chi lascia e accetta e di chi accetta ma non riesce a lasciare.

Marussia Pastacaldi

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Cio’ che nel silenzio non tace , una storia che si dipana in maniera mirabile attraverso l’ intreccio dei silenzi di donne  che si sono trovate , sole, ad affrontare scelte obbligate  di vita .

Alessandra Allegritti

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 La recensione del secondo libro è" Bene, vi confesso che ho fatto fatica a leggere questo libro e che sono caparbiamente arrivata alla fine solo perchè avevo preso con voi l’impegno alla lettura. Non so le motivazioni alla pubblicazione della casa editrice Mondadori, ma io certamente non lo avrei annoverato tra i miei libri. L’argomento si sarebbe prestato a qualche forma di romanzo anche interessante ma lo stile letterario è arido come una sceneggiatura che, almeno, ha la finalità di aiutare un regista ".Non aggiungo altro se non che questa volta leggere non è stato un piacere per me.

Minelli Anna Rita

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A dir la verità non mi ha entusiasmato nessuno dei due, ma visto che devo esprimere una preferenza propenderei per il primo, storie di vita vissuta e sempre attuale visto che l’immigrazione è sempre sulle nostre bocche, prevalentemente per parlarne male dimenticando anche di quando gli immigrati eravamo noi.

Annamaria Ciarrocca

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Bellissimo! Basterebbe questa parola, un libro che davvero si fa leggere in un fiato,con una tecnica semplice ma di estrema efficacia (brevi capitoletti anche a volte di una pagina) la scrittrice ci conduce a voler sapere, a voler conoscere il prima possibile come si svolgono gli eventi.
Eventi che intrecciano Storia e storia. La guerra civile nella ex Jugoslavia e le vicende di Aida e della sua famiglia,la fuga dalla madreperla Bosnia, l’arrivo in Italia, l’ambientamento, il rapporto con i parenti ma soprattutto quello con i genitori,la forte e fragile mamma e il conflittuale "babo".
E nella seconda parte diventa toccante e ancor più coinvolgente il nuovo protagonista,il fratello di Aida, con i tanti problemi che lo affliggeranno.
Fino a un finale estremamente commovente .
Splendido veramente.

Vittorio Iansiti

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Bosnia, aprile 1992. La guerra irrompe nella vita della piccola Aida e la costringe a fuggire via, insieme alla madre incinta: è l’inizio di un viaggio terribile e spaventoso, nel tentativo di raggiungere il padre e mettersi in salvo. Fuori dal finestrino dell’autobus che dovrebbe condurle a destinazione c’è devastazione e sofferenza; dentro, le famiglie accalcate l’una sull’altra si stringono per farsi coraggio, intonando preghiere musulmane. Aida capisce poco di quello che accade: Aida, e i genitori, si ritrovano per una coincidenza fortuita e oltrepassano il confine. È l’inizio di una nuova vita, il momento della ricostruzione.
La narrazione procede, da questo punto in poi, per salti temporali: l’arrivo in Italia durante lo stesso 1992, insieme alla nascita di Ibro, il maschio a lungo desiderato; l’inizio degli studi e le prime esperienze adolescenziali, che colgono Aida impreparata; infine, la vita adulta. Mentre gli eventi si moltiplicano, la famiglia progressivamente si incrina, ma la separazione, per chi ha  passato una tragedia, ha inevitabilmente il significato di un tradimento, e così Aida diventa un’estranea, nel tentativo di reinventarsi e concedersi la possibilità di un’altra vita, lontana dalla casa d’origine; mantiene i contatti solo con il fratello Ibro, che, crescendo, diventa sempre più scomposto e inafferrabile. Aida sa che qualcosa non va, in questo fratello che scappa di notte e ritorna pieno di lividi, e proprio per questo gli sta vicino, cercando arrivare a una parola – schizofrenia – che, da sola, potrebbe sciogliere il mistero del dolore.  
 
La scrittura di questo romanzo è elegante, misurata: non indugia nel dolore per compiacere chi legge, ma lo attraversa rispettosamente. L’autrice è un talento notevole, ha la capacità di costruire una storia solida e coinvolgente, a partire da immagini sparse in cui si sintetizza tutto il senso del crollo, della ricostruzione, della cura e del legame affettivo. Riesce a far diventare tue le emozioni che descrive.
Al contrario di molte narrazioni che si confrontano con temi impietosi, E poi saremo salvi non cede mai alla semplificazione, ma si sofferma piuttosto su quelle contraddizioni insolvibili su cui si regge tutta la nostra precaria umanità, è un racconto sulle cose che perdiamo durante questo viaggio intricatissimo e doloroso che è la nostra esistenza: quelle da cui siamo strappati via e quelle che, invece, consapevolmente abbandoniamo per conquistarci uno spazio nel mondo.
 

Claudio Facco

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Coinvolgente saga familiare raccontata da una bambina in fuga dalla guerra che ha distrutto l’ex Jugoslavia e la sua famiglia.

Walda Tossani

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Il romanzo si apre nel 1992, all’inizio della guerra in Bosnia Erzegovina. Aida ha 6 anni, fugge dal suo villaggio con i genitori e si rifugia a Milano; qui la famiglia inizia una nuova vita segnata anche dalla nascita di un fratello. Aida cresce e frequenta le scuole fino alla laurea ma rimane sempre in sospeso, come se non appartenesse più alla sua terra di origine ma nemmeno all’Italia che l’ha accolta.
Il libro ci ricorda che tutte le guerre sono uguali: portano morte e violenza fratricida, atrocità, sradicamento, ferite talmente profonde che non si possono mai rimarginare. Possibile che non riusciamo a fare memoria e a cambiare?

Gloria Balboni

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La narrazione, in forma di storia, che partendo da una guerra ( mai argomento più attuale ) si snoda  nelle singole vicende ponendo lo spaccato di una entità familiare che oltre a confrontarsi con il gravoso peso dell’abbandono della terra natia si cimenta con tutte le problematiche dei rapporti familiari: uomo/donna, pragmatismo/sogno, integrazione/conservazione identità. La separazione tra chi ha accettato di rimanere : i NONNI e coloro i quali hanno abbracciato la necessità di dover cambiare per non perire. In ultimo la presenza di un fratello, fuori dalle regole del consueto vivere comune che procura ai partecipanti la necessità di dolorose scelte.
GIUDIZIO: Ottima lettura, di semplice comprensione ma pregante di contenuti e possibili spunti di riflessione.

Rosario Colaizzi

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Anche questo libro è molto coinvolgente, con una scrittura rapida e vivida, che ha il pregio di ricordarci un conflitto terribile a pochi passi da noi e oggi rimosso, dimenticato.
Un libro che non abbandoni fino alla fine e che, partendo dalla tragedia della guerra, passa poi ad una sfera più intima, a descrivere il malessere del sopravvissuti e dei profughi. Saranno le proprie esperienze, i ricordi e le diverse interiorità a portare i principali protagonisti verso la rinascita o il dolore.


Giacomo Zipoli

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Se questa sfida fosse un incontro di calcio, si affronterebbero una squadra ( E poi saremo salvi)  che gioca in modo molto classico, lineare, ma molto efficace, pronto a colpire ogni volta che si presenta davanti alla porta avversaria e una squadra ( Ciò che nel silenzio non tace ) che ha sicuramente preparato molto la partita, ha studiato molto le tattiche, ma che in campo esprime un gioco eccessivamente elaborato e non sempre efficace.
Ciò che nel silenzio non tace ha più piani narrativi in cui si intrecciano il passato e il presente, ma soprattutto in cui si creano un continuo gioco di ricadute sui destini dei personaggi. Un lavoro di struttura molto importante che a volte soffoca il racconto e lo rende di difficile comprensione. L’occasione di partenza e il mondo che viene raccontato sono particolarmente affascinanti: dalle carceri Nuove di Torino una suora, per carità cristiana, riesce a far fuggire il neonato di una coppia prigioniera destinata ai campi di sterminio e oltre cinquant’anni dopo una donna sulle tracce di un fratello di cui ha sempre ignorato l’esistenza, cerca di ricostruire il passato della sua famiglia
Il viaggio verso la conoscenza diventa l’occasione per raccontare anche un mondo, la provincia piemontese, attraverso una serie di personaggi che legano la loro volta la vita in altre vicende. Una scrittura eccessivamente attenta alle descrizioni e un racconto che non compie un percorso lineare rendono difficile, secondo me, la lettura di tantissimo materiale interessante

Gianandrea Pecorelli

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Grandi lettori
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"E poi saremo salvi" è accattivante, vero, vissuto: racconta il travaglio profondo delle giovani generazioni quando la famiglia deve lasciare la terra natia, in questo caso per una tremenda guerra tra "fratelli".
Mi è parsa una testimonianza che deve essere letta, conosciuta e capita, per divulgare quanto si vuole negare: "adesso siete qui, siete salvi, dimenticate, integratevi, qualè il problema?" E invece i problemi ci sono, pratici e profondi: dovremo tutti ricordarlo e portare rispetto invece che invitare all’oblio!
E’ una questione che mi sta a cuore da tempo: per questo forse mi è piaciuto tanto!

Monica Mazza

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Romanzo ben scritto, che non mi ha coinvolto, non mi ha suscitato emozioni, sentimenti o empatia. La storia di molti esseri umani sradicati dalla terra d’origine. Ognuno trova la sua strada. Aida la trova lontano dalle sue origini in una nuova identità che le dà senso e tranquillità. I suoi genitori e i suoi nonni la trovano nel conservare la cultura d’origine che dà ordine alla loro esistenza. Anche Ibro il fratello di Aida, che non riesce a percorrere nessuna delle due strade e si rifugia nella schizofrenia e nel suicidio poi, trova la sua strada per quanto dolorosa possa essere. Sì ciascuno in modo diverso alla fine è salvo.

Giovanna Zauli

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Di questa mandata, ho apprezzato molto di più "E poi saremo salvi", non solo perché ho ricordi, pure se vaghi, di quando è scoppiata la guerra in Bosnia, ma anche perché è scritto in uno stile diretto ed immediato, al contrario de "Gli sciacalli".
La guerra è un trauma, sempre e comunque. E quando scoppia la guerra in Bosnia, dove Aida (la giovane donna, all’epoca bambina, che narra la storia) vive, il trauma si presenta in un crescendo di piccole cose:la fuga di notte con la madre incinta, la zia ed il cuginetto, l’attesa per poter prendere un pullman ed andare via, gli uomini ed i bambini maschi sopra i 12 anni che vengono prelevati, la povertà estrema che diventa grettezza, con ciascuno che preferisce salvare la propria vita senza aiutare gli altri. Superare il confine è un’impresa, e nel frattempo per Aida si sono accumulate troppe fratture, troppi motivi di risentimento con i suoi genitori, troppa rabbia...ma quello che poteva essere un romanzo di guerra, diventa un romanzo di crescita personale e formazione familiare: la nuova vita in Italia, la nascita e la crescita del fratellino Ibro, vivace e folle, la nuova famiglia, le separazioni, le incomprensioni, ed alla fine un volo che ricongiunge tutti. È difficile perdonare dopo un trauma, ma chi riesce a farlo può finalmente ricongiungere ogni parte di se stesso, e ricongiungersi con i propri cari.


Annalisa Lundberg

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E poi saremo salvi della new entry, Alessandra Carati, un viaggio verso la salvezza attraverso le follie della guerra non mi é dispiaciuto, ma non mi ha coinvolto come il primo.Il linguaggio é scevro da fronzoli, diretto, rende l’idea della tragedia vissuta, degli stati d’animo, descrive i paesaggi in maniera intimistica, per ciò stesso merita di essere letto.

Gabriella Tiralongo

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Un romanzo, forse più un racconto lungo, anche di formazione, dico anche, perché la guerra nella ex Jugoslavia incombe su tutta la vita della protagonista,che narra in prima persona. Una bambina fugge inconsapevole dall’orrore che sta per travolgere il suo villaggio e quelli vicini e che cambierà il corso della sua esistenza, quello della sua famiglia ed un’intera nazione. La Storia qui è una storia minima, di parenti, di amici, di piccole comunità ricche di tradizioni ma aperte alle diversità. I massacri etnici, la grande vergogna di un mondo che sta a guardare e la distruzione di una civiltà multireligiosa e multiculturale riflessi nelle  storie legate alla famiglia della protagonista. A Milano, dopo una scelta di separazione,affermata nello studio ,la fine tragica del fratello la costringe a tornare indietro nel tempo e nella vita precedente ed a ricongiungersi ai genitori,fino al finale, dove la madre, quasi simbolicamente, chiude la sua esistenza sdraiandosi sulla sua terra. Una bella scrittura, dove spiccano le riflessioni in fine capitolo che sono forse l’aspetto più interessante; l’ultima parte è un po’ "tirata via" mentre alcune scelte della trama meriterebbero qualcosa in più ( come il ritorno della nonna da sola al villaggio o la scelta della protagonista di farsi adottare).

Laura Peracca

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Lo sfondo della narrazione è la guerra in Bosnia del 1992, i protagonisti lasciano uno sperduto villaggio sulla Drina  alla ricerca della salvezza dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni, per crearsi una nuova vita. Aida la sua mamma, il fratellino Ibro, il babbo, la nonna Anja  raccontano nel microcosmo della loro storia tutto il dramma di un popolo esule, deportato sradicato dalla propria nazione. Il pretesto della faccenda etnica è la ragione  delle lotte tra  mussulmani ,serbi e croati. Il senso di appartenenza  dei protagonisti sopravvive grazie ai legami familiari, che diventano anche legami di tradizioni e culture diverse.  Il ritrovarsi in una nuova nazione l’Italia,  porta con sé difficoltà e disagi. Vicino ed in aiuto della famiglia una coppia di genitori adottivi, Emilia e Franco che vivono in parallelo la vita dei protagonisti. Il romanzo racconta una vita tra un prima e un dopo, descrivendo il dolore dell’abbandono , della scelta di una nuova vita. Eternamente divisi tra l’Italia e la Bosnia i protagonisti si creano una nuova vita non dimenticando le loro radici. Una storia come tante di emigrazione , integrazione e riscatto alla ricerca di una identità perduta.

Milena Sanzaro

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“LA TRISTEZZA ERA UN VELENO CHE ACCUMULAVA NEL CORPO”. Dentro il romanzo tutti sono guidati dalla ricerca della heimat perduta in modo irreversibile, casa, patria, il luogo dove si esiste e dove si ha un ruolo come cittadini, come esseri pensanti. Anche Aida, la protagonista, capisce presto che, per sopravvivere, ha bisogno di reinventare la propria memoria, senza cancellarla. Per diventare adulta nella sua tragica situazione, ha bisogno di un rifugio e il suo bisogno si combina con quello di Emilia, una volontaria. Emilia è una seconda casa, come l’Italia. Aida vede sua madre distruggersi sotto il peso della nostalgia e se ne allontana per sopravvivere, ma nulla è più forte dell’infanzia. E proprio quando tutto sembra essersi sistemato, il destino interviene a riportare Aida nel posto da cui era fuggita. E’ anche la storia di due schizofrenie: quelle dei Balcani e quella di cui soffre il fratello di Aida, Ibro; lo scenario è crudo ed evidenzia la fragilità dell’essere. Il pregio della scrittura di Carati è che non ha fronzoli, non perde tempo; si intuisce un grande lavorio di limatura e riscrittura per arrivare alla versione finale. E’ difficile staccarsi da questo romanzo, si legge velocemente fino alla silenziosa nevicata finale che ci porta all’ennesima sorpresa. I temi fondamentali sono la nostalgia struggente e la capacità di resistere. Mi sono sentita vicina ai personaggi, calata nella loro vita, ho sofferto con loro e ho cercato di comprendere, nei limiti del possibile, la loro esperienza di vita.

Marina Fazzari

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E’ la storia di una famiglia che fugge dalla guerra in Bosnia e cerca rifugio in Italia.
In realtà è il racconto di un tentativo di integrazione, raccontato dall’unica persona della famiglia, alla quale riesce.
Un libro capace di descrivere con dolcezza anche le peggiori emozioni indotte dalle ferite di una guerra, nei cuori sia degli adulti che dei bambini.
Mentre gli eventi accadono, con gli occhi della protagonista, l’autore indaga nel cuore dei personaggi e svela le loro paure, ma anche i loro desideri.
Colpisce la delicatezza con la quale descrive la sofferenza, in tutte le sue forme, anche quando accomuna vite lontane.
La lettura del testo è facile, perché sia la scrittura che la successione temporale degli eventi sono lineari.
Potrebbe sembrare il racconto di un fatto di cronaca, arricchito da note di partecipazione emotiva, che coinvolgono da subito il lettore nella vicenda.
In alcuni momenti, le pause di riflessione della voce narrante, nonché personaggio principale, oltre che unico soggetto effettivamente integrato, conferiscono agli eventi un carattere universale.
L’impressione è che il romanzo sia il pretesto per fare una riflessione da diverse angolazioni sul tema dell’integrazione dei migranti.
È un racconto ricco di considerazioni di valore universale espresse riguardo a un fenomeno di impellente attualità.
Pregevole.

Lara Motta

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Alessandra Carati mi è piaciuta per la sua semplicità nell’affrontare un difficile argomento come quello della malattia mentale in un contesto attuale come quello delle seconde generazioni; lo spirito moderno e la lettura scorrevole danno il peso dell’attualità dell’argomento nella sua complessità.

Nadia Massaro

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Racconto intenso e duro.  Interessante ma forse poco declinato al femminile. Belle le descrizioni ed i dialoghi. Talora troppo lungo in alcuni passaggi. Le descrizioni rendono vive immagini emozionanti. Da leggere con calma e di giorno, i fantasmi della notte potrebbero essere richiamati dalle parole del libro.

Barbara Fionda

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La storia della piccola Aida che con la sua famiglia è costretta ad abbandonare la Bosnia allo scoppiare della guerra degli anni ’90 è raccontata con rara delicatezza ed è di forte impatto emotivo. Mi è sembrato quasi di ritrovare le splendide atmosfere di "Venuto al mondo" di Margaret Mazzantini. Poi però il racconto prende una piega diversa, gli anni milanesi di Aida, il contrasto con la famiglia, la difficile integrazione, fino ai capitoli finali, centrati sulla figura complessa del fratello, un fragile fuscello che porta su di sé lo stigma dell’esodo senza poterlo sorreggere.

Lucia Romizzi

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Romanzo scorrevole ed intenso. È la storia di una
Famiglia di profughi serbi che si rifugia in Italia. Il Viaggio terribile,  le decisioni da prendere da un minuto all’altro, le difficoltà della vita di tutti i giorni, i problemi di salute, la capacità di imparare a farsi aiutare. Gli elementi della vita vera di tutti, complicati dalla condizione di essere fuggiti da una guerra assurda, di vivere lontani dagli affetti della famiglia e dalle abitudini del proprio popolo. Attuale e storico allo stesso tempo. Importante ricordare una guerra troppo facilmente dimenticata, anche attraverso le persone e le traversie che hanno dovuto vivere. Le stesse terribili esperienze che purtroppo continuano  a vivere tanti altri popoli. Da leggere per non dimenticare e per conoscere.

Elisabetta Zampiceni

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“E poi saremo salvi”. Viviamo la sporca guerra di Bosnia del 1992, che brucia anche la casa natia della protagonista, Aida, 6 anni, profuga musulmana con la famiglia, a Milano. Quasi rifiutata dalla madre, è, invece, bene accolta da una coppia milanese senza figli. Impegnandosi nello studio, giunge alla laurea in medicina. L’amore per la sua famiglia rinasce a seguito dell’esplosione di una grave psicopatia con conseguente suicidio del fratello. Un romanzo, a tratti avvincente, a tratti noioso, che fa riflettere sulla tragedia dello sdradicamento conseguente alla guerra.

Roberto Rosario Pennisi

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Ho letto il libro tutto d’un fiato, non mi succedeva da tempo, forse non mi era mai successo. Catturano la scrittura e la trama. Una famiglia fugge tra mille dolorose peripezie dalla Bosnia durante la guerra nella ex Jugoslavia, negli anni novanta. Protagonista una bimba Aida, che poi diventa adolescente e infine donna nell’Italia dei novanta. Adolescente, viene adottata da una coppia di volontari che aveva aiutato i profughi al loro arrivo in Italia.   L’autrice cesella caratteri psicologicamente strutturati: la madre pietrificata in un dolore muto e spesso anche sordo, il padre che si tira su le maniche e il figlio Ibro che, verso i vent’anni, verrà risucchiato da una tragica schizofrenia paranoide in grado di riavvicinare i membri della famiglia, in passato progressivamente allontanatisi, trascinandoli in un vortice di sofferenza indicibile. Il disturbo di Ibro, scrive Carati, è “la faglia delle nostre vite divise tra un qui e un là”. Libro profondo, dolce e terribile al tempo stesso, che penetra nella viscerale intimità dei rapporti tra le persone di questo nucleo familiare e a loro prossime. La cifra dominante è l’inesorabile riaffiorare del non detto, che sempre presenta il conto, così come la dura legge del tutto ha un prezzo, anche l’azione apparentemente più nobile, perché l’essere umano è composto tanto di bene quanto di male. Nel romanzo chi sembrava salvo in realtà non lo è fino in fondo e nessuno può veramente sacrificarsi per un altro. Tutti soli nel percorso della vita, benché tangenti i propri cari, che pure vengono percepiti a siderale lontananza. Fragilità, forza, passato e presente si corrispondono simmetricamente l’uno all’altro, fondendosi ciascuno nel suo contrario come in un proprio speculare doppio. Sicuramente da leggere.

Ernestina Messineo

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Una storia commovente, intensa, coinvolgente. La tragedia del popolo bosniaco descritta attraverso gli occhi di Aida, una giovane donna determinata a integrarsi nel paese che la ospita tanto da farsi adottare da una famiglia di italiani, che nel tempo riscopre le proprie radici e la famiglia di origine duramente dilaniata e ferita dalla lontananza e dalla nostalgia per la propria terra. Il dolore che si materializza nella malattia del fratello, nato in Italia, ma cresciuto nel senso di precarietà di chi è costretto a scappare dalla propria terra e non riesce a fare pace con il passato. Vite spezzate tra un prima e un dopo, il senso di colpa di coloro che sopravvivono e quotidianamente lottano con i propri demoni. L’autrice apre uno sguardo nuovo su una guerra civile le cui ferite non si sono ancora cicatrizzate.

Rossana Landini

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Grandi Lettori
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Romanzo struggente, coinvolgente, doloroso. L’ho amato molto.
Racconta con una scrittura scarna e intensa la fuga dalla Bosnia devastata, l’approdo fortunoso in terra straniera, lo stravolgimento della vita, l’incertezza e la paura del presente e del futuro, l’attaccamento alle radici, il bisogno e il rifiuto di nuove appartenenze, la disintegrazione degli equilibri familiari, l’individualità di vissuti e prospettive, il sentimento di colpa dei sopravvissuti. L’ineluttabilità degli effetti devastanti della guerra trovano voce in Aida, bambina che con la famiglia fugge dalla Bosnia, cercando nella madre riparo dall’angoscia. I suoi sentimenti trovano espressione in parole che rinviano all’esperienza primitiva fisica ed emotiva, preverbale, l’unica possibile di fronte all’imprevedibile e incomprensibile irrompere della violenza.
Toccante il racconto dell’evolversi dei vissuti dei protagonisti e delle loro relazioni, seguito dall’autrice passo dopo passo, attraverso gesti, sguardi, parole non dette. 
Sopra ogni cosa si staglia la relazione tra Aida e il fratello Ibro, commovente per la sua ricchezza tragica. L’esordio psicotico del ragazzo delinea ancor di più l’umanità degli altri protagonisti.
La salvezza non può che essere parziale e il suo costo è alto e irreversibile. 



 

 

Anna Maria Cannata

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Ottimo libro. Scrittura semplice e scorrevole. Capace di trasportarti nei luoghi e nelle vicissitudini narrate. Il tipo di racconto che ti fa conoscere realtà a volte solo immaginate ma, ahimè, non conosciute nella loro cruda e triste realtà. Il coraggio di questa bambina diventata poi donna deve essere un qualcosa di esempio per tutti.

Sabrina Pettinari

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Un romanzo doloroso e struggente che racconta una storia, quella del popolo bosniaco attraverso gli occhi di Aida. Prima bambina e poi attraverso gli anni nel suo processo di integrazione in Italia. Tocca i temi della nostalgia, del conflitto con i genitori, del rapporto con la religione, la nostalgia della terra di origine. Una lettura avvincente e una scrittura chiara ma l’evoluzione della storia abbastanza scontata a tratti. 

Marina Falbo

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Marostica “Insieme per leggere” 
coordinato da Liliana Contin
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Da madre adottiva di una figlia nata in Bosnia nel 1991, come non dire che la lettura di questo libro mi ha profondamente emozionato?
Trovo che l’autrice abbia ben delineato il rischio di “estraneità “che corrono tutti coloro che hanno alle spalle un trauma così feroce come la fuga dalla guerra: chi ha avuto una vita vissuta altrove e che è stata traumaticamente strappata, è destinato a fare una fatica enorme per mettere radici e abbandonare il senso di estraneità nei confronti degli affetti, delle situazioni, dei luoghi, trascinandosi in una solitudine profonda e pericolosa. Soprattutto se si è piccoli.
Anche il tema della sorellanza verso un fratello fragile e bisognoso mi appartiene e trovo che, anche in questo, l’autrice sia stata capace di tratteggiare il sentimento dell’irraggiungibilità, anche quando si è presenti sempre e comunque, sacrificando se stessi e la propria stessa vita.
Insomma un libro denso…uno di quelli che pensi di regalare alle persone a cui tieni.



Laura De Marchi

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Un pugno e una carezza, questo libro è così. Duro, forte, impudico, a volte dolce e gentile, con punte di poesia. La speranza lo abita, ti tiene con il fiato sospeso. Se lo meritano un futuro migliore, ti dici. Ma la guerra lascia molti conti in sospeso e spesso si riprende vite che gli sono sfuggite. Nonostante tutto è un libro d’amore, di amori forti che si rinsaldano persino quando il filo è troppo teso e si sta per spezzare. 

Laura Primon

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Questo libro racconta il conflitto della ex Iugoslavia visto attraverso gli occhi di una bambina che vive tutte le vicissitudini della sua famiglia in fuga dalla guerra. Racconta l’epurazione etnica per motivi religiosi e la divisione della ex Iugoslavia nei diversi stati.  Sempre con lo sguardo di questa bambina, che cresce in Italia e riesce a realizzare i suoi sogni, si analizza la storia della famiglia con tutte le tradizioni che nel paese d’origine si vivono senza darci troppa importanza, ma che si caricano di significati con la lontananza. Vale la pena di essere letto.

Irma Dionese

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Anche questo è un libro necessario; il massacro dei Balcani è rimasto dentro di noi e immagino che l’autrice in questo esordio abbia avuto la necessità di raccontarlo.
Un libro doloroso, una saga familiare, l’epopea di un popolo, un romanzo di formazione. Una scrittura nuda racconta in maniera realistica, senza sconti, la guerra: sofferenza e dolore non vengono nascoste.
Aida si porta un villaggio nel cuore, un posto dove stava bene, la sua vita cambia  in maniera rapida e violenta, ma non è finita, continua a vivere un’altra guerra, una specie di scontro generazionale tra il suo bisogno di proiettarsi in un futuro di aspirazioni personali e la madre e il padre legati alle loro origini che sognano un ritorno alla loro terra, mentre i fantasmi della guerra continuano a tormentarla.

Teresa Santini

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La protagonista ripercorre la sua vita alla ricerca di un senso a quello che lei e la sua famiglia hanno vissuto dovendo scappare dalla Bosnia negli anni novanta. Inizia con il racconto di lei bambina che insieme alla madre incinta lascia il villaggio, gli affetti, tutto il suo mondo, alla vigilia del conflitto con i cetnici serbi. Sfiorano la tragedia immane che iniziava a delinearsi con l’angoscia di non riuscire a raggiungere il padre che le aspetta oltre confine per portarle in Italia. Arrivate in Italia il nucleo si ricompone parzialmente, ma c’è sempre qualcuno dall’altra parte che sta vivendo sotto le bombe. Arrivano notizie di morte, violenza, fame che alimentano il senso di colpa di essere sopravvissuti. L’adattamento alla vita nel nuovo paese è complicato, essere mussulmani diventa un’ancora nel mare in tempesta delle loro anime. Sono aiutati da due figure in particolare che saranno un punto di riferimento fondamentale per la protagonista soprattutto per avere uno spazio fuori dalla famiglia nei momenti più conflittuali e per conseguire la laurea in medicina. La famiglia vive al suo interno dinamiche di frattura e precarietà, il senso del tempo diviso fra un prima e un dopo, un dolore che non li lascia mai e che li fa reagire in modo diverso, dalla depressione della madre alla schizofrenia del fratello. Il romanzo ha il pregio di far emergere le possibili grandi problematiche che stanno dietro alle porte chiuse di famiglie che vivono eventi traumatici, di guerra, violenza, sradicamento e sofferenza nelle sue varie manifestazioni.

Maria Mabilia

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Si tratta di un racconto di guerra, di una storia familiare, ma anche di un romanzo di formazione. L’ambientazione storica è la guerra dei Balcani che tra il 1990 e il 1995 ha lacerato la ex Jugoslavia e che è arrivato al culmine della sua malvagità con il genocidio del popolo bosniaco il più martoriato.
La piccola Aida, di sei anni, scappa con la madre Fatima, incinta, proprio da un villaggio della Bosnia e inizia la loro odissea in pullman per raggiungere il padre in Italia. 
La madre le aveva detto che sarebbero arrivati “ e poi saremo salvi e invece, d a quel momento, il dolore non uscirà più dalle loro vite,  non le abbandonerà mai, neanche quando arriveranno miracolosamente sane e salve a destinazione perché la guerra ha distrutto per sempre le loro vite. Il suo tentativo di riscatto, gli studi, la laurea in medicina non riusciranno a rendere la sua vita meno dolorosa, nel tempo dovrà affrontare le incomprensioni con i genitori e la malattia del fratello, la schizofrenia, che lo porterà al suicidio. Tutto ciò sembra dire che non è possibile sottarsi al proprio destino. 

Mario Guderzo

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Si legge d’un fiato, con parole leggere si narra una storia importante, di guerra, radici, amore e malattia mentale. Tutta la prima parte di resistenza sembra precipitare nel finale (forse in maniera un po’ troppo brusca) dove tutto, ha tragicamente un epilogo durissimo e difficile da sopportare.

Carlo Bonato

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Da un villaggio della Bosnia, dove vive un’infanzia felice, una bimba di sei anni, Aida, in una notte tremenda, deve scappare dalla guerra, con la madre incinta. Si trovano così catapultate in un pullman affollato di persone, di cui resteranno poi solo donne e bambini, la fuga è descritta in modo molto realistico e non si può non pensare alle donne e ai bambini che in questo periodo sono fuggiti e fuggono dall’Ucraina assediata.
Riusciranno ad arrivare dal padre che li sta aspettando in Italia, dove troveranno brave e buone persone che si prenderanno cura di loro, ma la guerra ormai si è insinuata tra loro, nei rapporti familiari e la violenza scampata ritorna nella terribile malattia del fratello che lo porterà al suicidio. Ecco questa seconda parte, seppur significativa e per certi versi necessaria allo svolgimento del racconto, mi è sembrata troppo, troppo lungamente descritta.

Liliana Contin

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È la storia di Aida strappata a sei anni dalla sua Jugoslavia e portata in Italia.
La difficoltà di integrarsi, la saga familiare tra coloro che sono rimasti e quelli che sono riusciti ad andarsene e la sua voglia di trovare il suo posto nel mondo. Ben scritto riporta alla ribalta quell’assurda guerra che troppi cercano di dimenticare.

Maristella Drago

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Pensavo di leggere un libro che parlava di guerra e immigrazione, invece l’autrice con una scrittura asciutta ed essenziale ci descrive i drammi dovuti allo sradicamento delle proprie origini e la divisione interiore nel sentirsi estraneo sia nel proprio paese e nel paese che ti accoglie. Ci parla di malattia e dolore, descrivendo i personaggi e i loro sentimenti tanto da sembrare tutto molto reale.

Graziella Pivotto

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Una storia molto coinvolgente sullo sfondo della terribile guerra nella ex Jugoslavia, così recente da essere stata ancora poco esplorata dagli studiosi e che conserva risvolti sconosciuti ai più. Per questo forse mi ci sono appassionata ed ho capito che, quando parliamo di vittime e conseguenze di un conflitto, spesso consideriamo poco le ferite della mente, mentre concentriamo l’attenzione soprattutto sulle vittime che perdono la vita o portano per sempre cicatrici nel corpo. La fuga, la paura, l’esilio, la lontananza dal paese di nascita, la consapevolezza che comunque il paese del ricordo è scomparso o è diventato qualcosa di diverso, nella vicenda narrata si manifestano negli adulti come nei bambini, producendo conseguenze anche sulla vita futura di chi deve ancora nascere e lo farà in esilio. Tutto questo ho trovato in questo libro, scritto in modo mirabile con un linguaggio cristallino, senza enfasi né ridondanze. Il nome dell’autrice è assolutamente nuovo per me e tuttavia le riconosco una maestria non comune. Mi ha suscitato la curiosità di conoscerla meglio.

Rosanna Tasca

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Grandi lettori
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La storia di AIDA ci riconduce alla cruenza e alle atrocità di un conflitto a tratti dimenticato. Sfioriamo il trauma della guerra nelle vicende di una famiglia bosniaca costretta a lasciare il proprio paese
in uno strappo che non verrà mai  ricucito e che rimane indelebile sulla pelle e nelle menti dei protagonisti fermi in una dimensione atemporale. Echi del disagio mentale li si percepisce in una madre che si abbandona temporaneamente all’astenia e nel tuono prorompente della schizofrenia e nel super io narrante che cerca il controllo laddove non può sussistere. La tematica affrontata,  le conseguenze del trauma post- bellico, è molto attuale ma mi è arrivata in lontananza, il dolore è forse risultato ovattato per  quello strato di neve stesso che chiude il romanzo sotto il cui strato il grido è sepolto.

Maura Cadei

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Lanciano Lanciano“Ex Libris”
 coordinato da Maria Rosaria Lamorgia
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Il romanzo della Carati è una dolorosa riflessione sulla guerra, sul genocidio del popolo bosniaco perpetrato non molti anni fa, non molto lontano da noi, e allo stesso tempo il racconto della vita dei profughi, lacerati dal senso di colpa per essersi salvati, consumati dal desiderio lancinante della “casa”, della terra, dei propri cari.
I più giovani si integrano nelle nuove realtà, come Aida, che con la madre raggiunge in Italia il padre che vive e lavora a Milano, ma non così gli adulti. ”E poi saremo salvi” è un titolo emblematico, la vita in un altrove che ti dà lavoro, scuola, assistenza è solo salvezza del corpo, non dell’anima, che resta impigliata nel mondo precedente. Così accade ai genitori di Aida, padre padrone l’uno, madre assente e depressa l’altra. Emblema della dicotomia, della condizione di vita del profugo è la schizofrenia, che aggiunge dolore a dolore, di Ibro, il fratello di Aida, che la giovane, diventata medico, non riesce a salvare.

Rita Foresi

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Fuggire di notte dal villaggio con mamma Fatima, la zia Mejra e il cugino Samir, lasciare la casa, le bambole, i giochi, gli abbracci della nonna e, con l’aiuto del nonno, sicuro che gli uomini valgano più delle donne! , attraversare boschi di tronchi caduti e di animali sconosciuti per scappare dalla guerra e dai cetnici, i temibili guerrieri serbi, e raggiungere il padre, emigrato in Italia. A sei anni, è l’aprile del 1992, Aida , bosniaca, perde il suo piccolo mondo e le sue sicurezze per intraprendere un cammino nuovo: costruire la sua identità e la sua vita cercando di tenere insieme, in un  equilibrio che si rivelerà complicato, due famiglie, due culture, due Paesi. Partendo dal primo alloggio, due locali " affacciati su un quadrato di cemento" in un comune a sud di Milano, la famiglia, in quattro con l’arrivo del piccolo Ibro, migliorerà la sua condizione economica ma continuerà a vivere tra due mondi: seguirà la tragedia del villaggio d’origine, soffrirà per le invasioni, i massacri, i familiari trucidati e coltiverà , come un fiore, alcuni elementi dell’originalità identità quali la devozione ad Allah, rinnovata, il fazzoletto in testa delle donne, che pure in Bosnia non lo mettevano,  si addolorerà per la burocratica definizione di nuovi confini e per l’artificiosa separazione  tra  bosniaci e serbi. Con l’aiuto di una coppia di volontari, Emilia e Franco, la seconda famiglia che la adotterà, Aida completerà gli studi, diventerà medico e conquisterà la specializzazione mentre il fratello Ibro si perderà, tra le pagine di Dante, della Bibbia e del Corano, non concluderà nulla, non ce la farà..Ibro, frattura vivente di un di qua e un di là che " ci portiamo dentro", due mondi che si combattono e che lacereranno anche i giorni di Fatima. 
Il dramma delle migrazioni: per la fame, per la guerra, per la siccità, per la paura..si ripete ogni giorno: a livello mondiale , ogni anno oltre 281 milioni di persone lasciano il loro paese  per cercare fortuna altrove. In Italia oltre cinque  milioni di immigrati regolari sono silenziosamente presenti nel nostro quotidiano: la badante, il muratore, l’operaio, la sarta. l’infermiere, l’informatico..il nostro paese conta sul loro lavoro e sul loro apporto al nostro sistema economico ma non decide sui loro diritti, perdendosi tra  jus soli e jus scholae. Eppure queste persone andrebbero accolte e valorizzate , facilitando la loro  integrazione e il loro cammino, per ridurre i danni del conflitto tra culture diverse. 
Con un linguaggio asciutto, descrittivo, scevro da una artificiosa e lacrimosa emotività Alessandra Carati riesce a fare di questo romanzo il paradigma narrativo della dolorosa vicenda umana di ogni persona costretta ad emigrare.

Luigina De Santis

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Dramma raccontato in prima persona che ci coinvolge, ci fa riflettere e, soprattutto, ci porta a confrontarci con realtà che spesso ci fa comodo ignorare. Ci viene raccontata una integrazione difficoltosa in un continuo altalenassi tra vecchio e nuovo, tra un passato certo e il futuro. Spesso ci si salva nel corpo, si sopravvive, ma ci si salva nell’anima?

Annamaria Ciarelli

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Un racconto di guerra, un’epopea familiare, una riflessione sull’orrore di un genocidio che si è consumato non lontano da noi. Alessandra Carati  nel raccontare la storia di Aida, costretta a sei anni ad abbandonare la Bosnia e il suo piccolo mondo tra i boschi, affronta uno dei problemi più importanti dei nostri giorni, quello della convivenza tra culture diverse e dell’integrazione. Ci sarà un prima e un dopo nella sua vita e in quella dei suoi genitori, ci saranno ferite che rimarranno aperte, vuoti impossibili da riempire, lacerazioni affettive. Scrittura chiara, incalzante, coinvolgente che obbliga chi legge a riflettere sull’oggi, sulla violenza delle armi e dei ghetti, su che cosa significhi accogliere. 

Maria Rosaria La Morgia

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In una notte buia, Aida che ha appena sei anni è costretta a fuggire insieme alla madre, incinta del fratellino, da un piccolo paese montano della Bosnia, appena in tempo per sfuggire agli orrori dei massacri. Il padre li aspetta al confine e da lì arriveranno a Milano. Mentre i genitori vivono nell’attesa di poter tornare a breve nel loro paese, Aida si sente attratta dalla nuova realtà, studia, si laurea in medicina si relaziona, cerca di integrarsi, ma questo suo slancio la fa sentire in colpa  verso i suoi genitori che continueranno  per tutta la vita a pensare alla Bosnia come l’unica patria dove fare ritorno. Questo è un romanzo sulla guerra, sulla integrazione dei rifugiati, ma anche un percorso intimo sui sensi di colpa e sulle difficoltà che possono portare i sentimenti quando vengono soffocati e non si riesce ad esprimerli. Per molti profughi la salvezza della vita è oltre il confine che separa un Paese in guerra da un Paese in pace, ma la salvezza dell’anima non sempre coincide con questa. Aida agisce per rabbia, il taglio delle radici non risponde a un desiderio, è conseguenza di una situazione estrema. Si lascia trascinare dagli eventi e si rende conto di dove si trova solo dopo anni, quando ormai è approdata su una sponda sicura. Ed è proprio allora che il destino scarta di nuovo, all’improvviso, riportandola nel posto da cui era fuggita. Dentro la storia tutti sono mossi dalla ricerca della heimat perduta. Per loro e per Aida heimat è casa, patria, è il luogo dove si ha diritto di esistere e di essere riconosciuti.

Rita Crisanti

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Verrà mai per Aida e la sua famiglia quel "poi", luogo e tempo, in cui poter dire finalmente siamo salvi?
La mamma le aveva assicurato che la salvezza sarebbe arrivata non appena varcato l’ultimo confine. Così non è stato. Forse la sicurezza sì; una volta in Italia i loro corpi non sarebbero stati più violati, lacerati, mutilati. Ma l’anima no, quella la guerra l’aveva ingoiata per sempre e la tratteneva, prigioniera, in un luogo inaccessibile l’uno agli altri, avvolta in un bozzolo di estraneità financo a sé stessi. E alla paura era subentrata l’angoscia per parenti e amici scomparsi e poi la tristezza per il proprio popolo bosniaco distrutto massacrato e quindi quel dolore sordo e incomprensibile che si attacca al lottare di ogni giorno permeando ogni tentativo di rivolta e soffocandolo inesorabilmente fino a sfociare, per ognuno, nel suo proprio, isolato, solitario mare. Paradossalmente è stato l’evento estremo della pazzia di Ibro a far esplodere la costruzione in cui ciascuno aveva cercato riparo, a farli ritrovare e infine a riunirli. E "la sua morte era una supernova".


Paola Fasciani

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Periodi brevi e concisi per raccontare il vissuto di una famiglia in fuga, sineddoche di un popolo costretto a scappare dalla propria casa, dalle proprie radici a causa di una guerra non voluta. Guerra che lacera più gli animi che le vite stesse dei protagonisti. La salvezza passa attraverso la fuga, per ritrovarsi ibridi in un nuovo paese che non è il proprio e forse non lo sarà mai mentre il proprio paese non esiste più se non nei ricordi. Accanto alla fuga dalla guerra c’è anche la fuga dalla realtà quotidiana: la scelta di una nuova famiglia da parte di Aida, protagonista e voce narrante del romanzo, la depressione della madre e la schizofrenia del fratello. Cosa rappresenta la malattia di Ibro se non la concretezza della lacerazione di un intero popolo? Anche se le vicende del romanzo riguardano un preciso periodo storico, la guerra dei Balcani, in realtà potrebbe riferirsi a qualsiasi epoca……La forza del libro sta proprio in questo: aver raccontato le emozioni di un popolo attraverso Aida e la sua famiglia.

Elvira Martelli

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Romanzo, a volte crudele come solo la vita può essere, e dannatamente bello come solo la vita può essere. Ben scritto, essenziale, coinvolgente. In esso quel che vince è la forza della piccola Aida che dovrà fare i conti per sempre con un prima e un dopo, con i genitori che vivono una
vita di passaggio proiettata al ritorno in Bosnia e che non la accompagnano quindi, rispettando il suo desiderio di integrazione , che vivono come un rifiuto delle origini, nella ricostruzione di una nuova vita. Da leggere e magari rileggere!

Luisa Carinci

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Anche questo un libro che avrebbe meritato una diversa valutazione per la storia e la modalità della scrittura. Notevole come romanzo di formazione, che esplora le tappe di una vita, di tante vite...in un contesto che oggi sembra in particolare pericolosamente vicino.
Libro che mi consente di capire le differenze generazionali di persone che sono parte integrante del mio quotidiano. Bello lo scrivere di alessandra carati...apre ancora una volta una riflessione sulle caratteristiche dello scrivere dei nostri giorni...quanto il giornalismo e
la sceneggiatura siano essenziali o periferici nella costruzione di un buon romanzo? Boh….

Annarita Frullini

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Ha solo sei anni Aida quando insieme alla mamma incinta del fratellino Ibro è costretta a fuggire dalla sua terra martoriata da una guerra fratricida. Una via crucis infinita sostenuta solo dalla speranza di raggiungere l’Italia per essere finalmente..salvi. Ma non basta fuggire
da un conflitto, dagli orrori e dalla morte per trovare la sospirata salvezza. Dalla morte sì,ma la rinascita ha un percorso arduo, pieno di ostacoli e di insidie. Il libro di esordio della Carati non è solo la storia di una famiglia che scappa dalla guerra, un calvario che continuano a vivere in tanti, ma racconta quello che si perde ovvero le proprie radici, l’esistenza stessa. Difficile da ricostruire quando tutto si sgretola e si consuma lontano dalla propria casa. Mi ha fatto riflettere sull’ importanza delle relazioni umane, su quanto sia necessario esprimere i propri sentimenti, raccontarsi e avvicinarsi a chi si ama, nonostante il dolore, la rabbia, le contraddizioni. La salvezza non può prescindere dalla sincerità degli affetti

Pina De Felice

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Le atrocità della guerra e le sue conseguenze viste e raccontate dalla piccola Aida risultano ancora più assurde e insopportabili. Come molti altri bosniaci è costretta nel 1992 a fuggire e a vivere il dramma di esule. Dopo un percorso travagliato approda in Italia che le offre una certa integrazione, le permette di studiare e di “diventare adulta”, ma non può sanare tutte le sue ferite, non riesce a risparmiarle sofferenze, contrasti e lutti familiari. Un racconto duro accompagnato da una scrittura chiara e coinvolgente con cui l’autrice cerca di interessare il lettore facendo leva, in modo a volte piuttosto esagerato, sulla sua emotività.

Maria Alba Simigliani

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E’ il racconto di Aida, una bambina bosniaca costretta a fuggire dal Paese natio, una saga che fa riflettere a pieno il senso della guerra, della perdita. Una famiglia, costretta a lasciare il proprio paese per la guerra, che fatica ad adattarsi nel paese che la ospita e convive con il dolore, la paura, la nostalgia, e il desiderio di tornare alle origini.
Forse solo un po’ triste, un romanzo che elenca una serie di eventi negativi che lascia alla fine un senso di malessere ad
dosso.

Rosella Travaglini

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L’Autrice, con la sua narrazione, ci porta in un periodo in cui si sono consumate vicende dolorosissime in Bosnia quando, nell’aprile 1992 la piccola Aida con la madre è costretta a fuggire per poter raggiungere il padre e poi cercare la loro salvezza in Italia. Un viaggio faticosissimo e molto doloroso, intriso di separazioni, abbandoni, malattie. Un’esistenza piena di difficoltà e precarietà, dove non è stato semplice trovare un nuovo orizzonte se non a costo di grosse rinunce di tagli dolorosi. Un libro, comunque, molto interessante.

Franca Pierdomenico

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Aprile 1992, Bosnia. La vita di Aida, 6anni,  viene letteralmente stravolta dall’inizio della guerra nei Balcani. La  guerra ai suoi occhi è fatta di immagini, di paure, di vicende non ancora pienamente comprensibili.
Poi la fuga e l’arrivo in Italia, a Milano.
Qui inizia un percorso di crescita che, negli anni, riproporrà nel contesto familiare le stesse contraddizioni che hanno portato al conflitto conosciuto da piccola.

Antonella Fantini

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Grandi lettori
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 Saga di una famiglia fuggita dalla Bosnia durante il conflitto degli anni 90. Protagonista principale è la ragazza Aida che narra in prima persona la sua vita, non molto celeste ma abbastanza nera a causa delle vicissitudini della sua esistenza. Scampata dal genocidio, si stabilisce in Italia con la famiglia. L’ambientarsi in una nuova nazione è molto difficile in generale, figuriamoci per una famiglia proveniente dalla ex Jugoslavia. Ne fanno le spese un po’ tutti: a pagare il conto più salato sono la protagonista che finirà col farsi adottare da una famiglia italiana ed il fratello, che morirà suicida. 
Non esistono crimini di guerra, la guerra stessa è un crimine


Umberto Celli

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson 
di Pontedera “LaAV” 
coordinato da Maria Rolli
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Romanzo ben strutturato e ben scritto, con una prosa fluida e scorrevole che si lascia leggere come se si percorresse la stessa strada seguita ed affrontata dalla protagonista che narra la sua storia di profuga, scappata dal proprio paese di origine, la Bosnia, negli anni Novanta del secolo scorso. Il racconto si sofferma su tutti i passaggi della fuga dalla decisione di allontanarsi alla volta dell’Italia, pur sentito come paese “di delinquenti”, alla sistemazione nella periferia di Milano, e da qui si snoda attraverso i ricordi di Aida che riguardano lei, la sua famiglia e gli amici e conoscenti lontani e vicini. Racconto di episodi singoli e contestualizzati “nel viaggio” più ampio, di violenze, privazioni, indifferenza dei più, di speranze ma anche di successo, lei che riesce ad inserirsi nella nostra società, che trova il suo posto nel mondo riscattandosi dalla posizione di migrante clandestina; un lieto fine però amaro poiché raggiunto tra sacrifici e dura quotidianità. 

Enza Scotto d’Abusco

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Nel romanzo vi è una crudezza di sentimenti e risentimenti che pur trattenuti emergono lasciando un senso di amaro soprattutto nella prima parte della narrazione che poi ha un riscatto finale quasi di riconciliazione col mondo se non con la Storia. Il libro è ben scritto con riferimenti di storia recente che certamente fanno male quando riportano alla memoria eventi alla fine dello scorso secolo quando molti di noi li seguivano dai giornali e dai notiziari. Belli e ben caratterizzati i personaggi a testimonianza di un mondo che non c’è più, quello della vecchia Jugoslavia già separata in stati dove tante etnie convivevano pacificamente

Anna Maria Agostino

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Il racconto “E poi saremo salvi” di Alessandra Carati è presentato quasi in modo “garbato” come se volesse evitarci un trauma pur comunicandoci orrori ed atrocità che la guerra porta con sé. Con una narrazione scorrevole e precisa ci fa entrare nella dimensione del dolore, delle tragedie familiari e del dramma dell’abbandono. Il racconto si concentra poi su Aida, la protagonista che riuscirà ad affrontare il peggio del vivere affrancandosi con lo studio, mettendo la passione in tutto quello che fa, con una laurea in medicina e con il proprio amore. Scopriamo in lei la capacità di una integrazione nonostante tutto.

Luisa Martinucci

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Questo testo si fa leggere volentieri; la trama è avvincente e condotta con perizia, i personaggi sono convincenti, la scrittura è agile e elegante; si sente che dietro c’è un grande lavoro di documentazione sui temi che il testo affronta - la Bosnia del 1992; la fuga dalla guerra, le diverse reazioni delle persone al trapianto in un’altra realtà e in un’altra cultura, la malattia mentale -  e una grande esperienza dell’autrice nel maneggiare la forma narrativa. Un romanzo decisamente riuscito.

Claudia Delfino

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Una storia di formazione, quella di Aida, che cresce divisa tra due paesi, due culture e due anime. 
Una storia di esuli, di migrazione e di guerra, tra popoli ma anche con sé stessi, con la propria identità che divisa conduce alla schizofrenia che colpisce uno dei personaggi del romanzo. Dal 1992 al 1995, un passato non tanto lontano, in Bosnia si contrapposero serbi, croati e musulmani, tre popoli che per secoli avevano vissuto in pace. Alessandra Carati con uno stile che non annoia e una trama che trascina di pagina in pagina il lettore, racconta una storia familiare con le sue dinamiche affettive, con la difficoltà di crescere, di riconoscersi, ma anche la storia di qualunque popolo costretto alla guerra e alla fuga per salvarsi la vita. Raccontando una storia familiare Carati ci racconta la grande Storia quella da cui purtroppo sembriamo non riuscire a imparare e che si ripete con corsi e ricorsi. Emergono, su tutti i personaggi costruiti con sapienza, le figure femminili, figure di donne forti, volitive e capaci di tenere insieme il qui e il là, il passato, il presente e il futuro. Sono loro a rappresentare la speranza. 
“…mi sono sorpresa a desiderare di essere coccolata come quando ero bambina, ho allungato una mano e ho trovato quella immobile di mia madre. Era rugosa e leggera, come una corteccia di sughero, senza più linfa. In un colpo ho visto il tempo trascorso, la fatica della costruzione di una vita e il rovescio del destino che aveva scombinato tutto. Mi sono chiesta come si possa sopravvivere alla propria vita”. 

Maria Rolli

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Un romanzo forte, doloroso, ben costruito, che sa condurre il lettore fino alla fine con intensità e che ci apre uno squarcio sofferto su una pagina spesso dimenticata della storia. Un’opera scritta con maestria, in cui i personaggi (e in particolare della storia di Ibro) eccellono particolarmente per la finezza e la precisione con cui sono realizzati.

Rossella Miccichè

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Gli effetti della guerra in Bosnia per gli abitanti di un villaggio a maggioranza musulmana, narrati dalla protagonista Aida, che scappa insieme alla sua famiglia in Italia, all’età di sei anni. Mentre lei riesce, con tenacia e determinazione, a integrarsi e a realizzare i suoi progetti, tagliando le sue radici, la sua famiglia invece, non ha la forza o forse la volontà di farlo e va alla deriva in maniera sempre più drammatica. La seconda parte della vicenda, relativa alla malattia mentale del fratello minore di Aida, Ibro, rappresenta, in maniera concreta, lo straniamento di chi lascia il proprio paese perché costretto: non può tornare indietro e non ce la fa ad andare avanti. La lettura è coinvolgente e la conclusione si apre a un’immagine di speranza per il futuro.

Barbara Zamagni

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Il racconto ci accompagna nella fuga dalla propria terra tra le difficoltà incontrate, e l’incontro con un’altra realtà, anche se no così lontano. Di fatto tutto il libro è permeato dal senso di perdita e di sdoppiamento tra due realtà. Tale lacerazione si fa evidente nella seconda parte, in cui la guerra appare lontana e sfumata. Appare evidente la lotta interiore tra il desiderio di tornare e ritrovare la vita perduta e quello di restare in una nuova realtà più appagante. Tale sentimento si palesa nella schizofrenia del fratello, dilaniato tra le due realtà al punto di non sopravvivere alla crisi.
I sopravvissuti scelgono di restare o di tornare: chi è giovane e si è ricostruito una vita resta, ma chi ha lasciato la propria felicità e giovinezza indietro, torna a morire nella patria di origine.

Laura Garino

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L’autrice maneggia la scrittura con abile tecnica narrativa, adottando uno stile asciutto e preciso. La lettura è piacevole e coinvolgente. A partire dalla malattia del fratello il ritmo cambia e la scrittura diventa più densa e dolorosa. L’ultimo capitolo mi sembra superfluo, il ritmo si spezza, i personaggi perdono credibilità. 
La critica che posso avanzare è che durante la lettura ci sono momenti in cui si percepisce una tecnicità quasi fastidiosa e ho avuto l’impressione che il romanzo scivoli in una ricerca stilistica fine a sé stessa.

Daniela Delfino

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Tutti abbiamo attraversato un punto di non ritorno. Abbiamo tutti vissuto un evento che ha rappresentato una rottura con il passato, il superamento di un confine oltre il quale nulla è stato più come prima. Per Aida la crepa si apre quella notte. Una notte di fuga dal suo villaggio assediato in Bosnia, una corsa disperata verso la salvezza. La crepa si espande negli anni e Aida cresce in Italia, oscillando come su un’altalena tra un passato troppo lontano e troppo invadente ed un futuro a cui chiede un riscatto, una rivalsa sul dolore, sulla guerra, su quello che la vita ha deciso per lei. La ricerca di un equilibrio passa attraverso il coraggio e la paura, l’amore ed il dolore, la solidarietà e l’integrazione, l’impotenza e la voglia di ricostruire. Passa attraverso il delirio di una malattia, così simile al delirio della guerra, passa attraverso l’orrore della morte. Si ferma lì, dove tutto è iniziato, per acquisire la consapevolezza che i veri confini non sono geografici, né culturali. I veri limiti sono nelle nostre menti, nelle fragilità umane. L’accettazione delle proprie radici e la riscoperta dell’amore che a loro ci lega, nascondono la forza per superarli. “E poi saremo salvi” è una storia di resilienza. La resilienza di una bambina di sei anni, della sua famiglia, del suo popolo.  La narrazione scorre via veloce, trascinando il lettore con sé fin dalle prime righe. Ciascuna parola è scelta con perizia e si incastra perfettamente alle altre in un linguaggio schietto ed efficace che procede a ritmo incalzante. Sorprendente l’uso di metafore taglienti, di grande impatto emotivo e sensoriale. Il lettore è lì insieme ad Aida, accompagna ogni suo passo, condivide le sue percezioni, vive delle sue emozioni. È un romanzo che ti resta dentro, aggrappato al cuore.

Cinzia di Luzio