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MERAVIGLIOSO. E’ un romanzo famigliare e di formazione che ti obbliga a specchiarti con la realtà, che ti obbliga a misurarti con un evento successo nella storia moderna ma di cui non si ha più la percezione e credo anche che sia stato dimenticato o non conosciuto. E’ un romanzo che parla di morte nella sua totalità e nella sua accezione più eclatante; si parte dalla guerra e in questo periodo storico che siamo costretti a vivere, leggere queste pagine è davvero difficoltoso, fare i conti con gli orrori degli uomini, con le mancanze che ne possono derivare è straziante. Tutto quello che ha dovuto affrontare questa famiglia ha lasciato delle ferite aperte che non si sono mai rimarginate, delle emozioni e dei sentimenti solo negativi che si sono trasformati in malattie per tutti, non salvando nessuno. E’ tanto forte, il linguaggio è duro, le immagini che ci mostra l’autrice ci lasciano molto spesso senza parole facendoci affogare nell’impotenza. La struttura per quadri è divina, ha un ritmo incalzante che non ti permette di staccarti da questo libro... vivi tutto quello che i protagonisti hanno vissuto e mettendoti nei panni di tutti loro ne soffri, a volte ne sorridi.
LINDA MASCIONE
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Un libro duro, straziante ma necessario. Non avevo mai letto un romanzo sulla Guerra in Jugoslavia e mi sono buttato nella lettura voracemente tanto che in 2 giorni avevo già finito. Tramite Aida e la sua famiglia vediamo una generazione di persone sradicate dalla loro patria che cercano il loro posto nel mondo. Ho trovato forse eccessivo l’aggiunta della malattia mentale come dolore che si aggiunge a dolore, coraggiosa comunque la scelta.
S.C.
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Ho trovato il libro tristemente attuale, descrive molto bene la sensazione di chi si ritrova all’improvviso senza patria e senza certezze. Una vita da ricostruire. Ottima la parte in cui viene descritta la sofferenza mentale e le reazioni che questa causa nel contesto familiare. Non il mio genere ma leggibile in breve tempo.Rischia ogni tanto di scadere nel banale.
Mariaelena Corigliano Minniti
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Nicoletta Romanelli
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Una storia facile e scorrevole. Montata con una struttura a incastro che vede una serie di racconti sotto forma di reportages giornalistici (la parte migliore del libro a mio parere) all’interno della vicenda personale e professionale dell’io narrante. Uno stile leggero e scherzoso, volutamente accattivante, che può coinvolgere un pubblico in cerca di una lettura spensierata.
Patrizia Romano
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Donatella Caione
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L’argento della nostra terra…sono le parole che dipingono un luogo amato e perduto, di cui i connotati non appartengono ad una storia inventata, il dolore pernea fatti reali, un racconto di dolore, di violenza e di guerra quella dei Balcani e del genocidio bosniaco taciuto negli anni alle soglie del 2000…Il ritmo del racconto del libro ben scritto da Alessandra Carati, è incalzante seppure avaro di particolari nei fatti descritti. La trama si srotola sulle pagine piene di angoscia e di paura narrate dalla protagonista Aida, giovane profuga bosniaca che si riscatta attraverso gli studi per diventare una medica in Italia. Le vicende sono quelle essenziali, quasi volutamente parziali. Tutto è descritto attraverso lo sguardo pietoso di chi narra la fuga dal proprio villaggio, ripercorrendo il dolore vissuto dentro le sequenze della vita della sua famiglia, del suo tentativo di abbandonare e cancellare la vita familiare vissuta da profughi in Italia. Un prima e un dopo che lacera i rapporti di tutti fino alla tragedia dell’inquieto fratello. Un libro da leggere.
Agnese Onnis
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Bellagamba Agnese
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Bello, intenso e disperante racconto di una famiglia bosniaca di profughi di guerra che, nei primi anni 90, è costretta ad abbandonare il proprio paese nella ex Jugoslavia e trasferirsi a Milano. Romanzo attuale e molto avvincente che coinvolge il lettore in ogni singolo evento familiare, in ogni aspro sentimento, nella profonda nostalgia e insieme speranza di tornare un giorno alla propria famiglia e terra di origine e che invece la guerra distruggerà per sempre! Scrittura molto gradevole la lettura scorre veloce.
Bruni Maria Rosa
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Che dolore e che scrittura! Libro maestoso e dolente come Maria ai piedi della Croce; fino alla fine si ha la speranza che qualcosa si ricomponga, ma la sofferenza del vivere resta incisa come una lapide. Tristissimo, ma molto attuale, purtroppo.
Barbara Monteverdi
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Bellissimo romanzo di Alessandra Carati che racconta di una bambina bosniaca che fugge dal suo paese e dalla guerra con la mamma per raggiungere il padre in Italia. La fuga e l’angoscia sono raccontati molto bene e anche la guerra che cambia le vite dei protagonisti e di chi sta loro intorno: la mamma in forte depressione, non felice nemmeno quando nascerà il fratellino e il padre che lavora molto e non sa più comunicare con i famigliari. La guerra e la fuga cambiano i punti di vista delle persone che fuggono e che sono alla ricerca disperata di un qualcosa che si possa considerare casa.
Mi è piaciuto moltissimo e lo voto come miglior libro tra i due letti perché racconta una storia a me più vicina.
Maddalena Dellacasa
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Silvia Galiotto
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Questo romanzo è ambientato negli anni delle guerre jugoslave (1992-2001) e racconta la storia di Aida, una ragazza costretta dalla guerra a fuggire dalla Bosnia con la sua famiglia e a trasferirsi in Italia, a Milano. Da quel momento la sua vita e quella della sua famiglia saranno per sempre segnate da una separazione: quella tra la vita in Bosnia e la vita in Italia. Mentre i suoi genitori fanno fatica a staccarsi dalle proprie radici e rimangono in una sorta di limbo tra Italia e Bosnia, Aida cerca di costruirsi una nuova vita in Italia e di lasciarsi alle spalle la vita di prima (senza però rinnegarla del tutto). Questo creerà una forte tensione tra lei e la sua famiglia che si risolverà a caro prezzo e solo quando Aida raggiungerà l’età adulta. Ho trovato la storia di Aida molto commovente e coinvolgente. Penso che nella sua storia possiamo leggere la storia di molti altri profughi; per me questo libro è stata un’occasione di mettermi nei panni di chi si trova a faccia a faccia con la guerra ed è costretto a fuggirne. Insieme ad Aida ho “vissuto” la paura della fuga, la fatica di costruirsi una nuova vita in un nuovo Paese e in una nuova cultura e la tensione che comunque la separazione dalle proprie radici comporta. Il libro mi è piaciuto molto perché ho ammirato il coraggio e la tenacia della protagonista nel superare gli eventi traumatici e nel cercare di andare avanti nonostante le difficoltà.
Francesca Faedo Firma
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Questa è una storia di guerra, la Bosnia, di sopravvissuti. Aida è una bambina di sei anni e un giorno del 1992 fugge con la mamma incinta, la zia e il cugino. Arrivano in Italia e si ricongiungono con il padre dopo varie peripezie. A Milano cominciano una nuova vita ma dopo qualche anno Aida cercherà il suo riscatto con una nuova famiglia senza però dimenticare il fratello e i genitori. Curiosa è la minaccia delle donne del villaggio della Bosnia che per spaventare i bambini gli dicono che Allah li manderà in Italia se non si comportano bene! Alcune pagine sono molto crude, violente ... soprattutto quando la scrittrice parla delle fossi comuni, lo smembramento e il mescolamento delle ossa. La scrittrice ha usato una scrittura equilibrata, chiara e coinvolgente e mi è piaciuto.
Nives Giambellini
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Il libro è il drammatico racconto della fuga di una bambina bosniaca di
sei anni e della sua famiglia dalla crudeltà di una guerra assurda :
Aida prova rabbia, paura, orrore per la morte che la circonda. A lei la
vita non risparmianessun dolore, soprattutto la perdita delle persone
care. La disperazione sfinisce lentamente la madre, che ricomincia a
parlare solo quando il piccolo Ibro alza per la prima volta la testa.
Così la figlia si lega sempre più a Franco e a Emilia, due volontari che
la adottano ufficialmente e le permettono di studiar fino alla laurea
in Medicina. I legami con la famiglia di origine inizialmente si
allentano, ma si rinsaldano nuovamente quando Ibro rivela i primi
sintomi di schizofreniaa, malattia che lo porterà a gettarsi dall’ottavo
piano di casa. La sua morte è una supernova. In Aida il dolore è come
un’onda che si avvicina. Si sente di nuovo di fronte alla guerra: niente
dipende dalle sue scelte, prova un tremendo senso di impotenza e di
disperazione. Il dolore pietrifica il cuore della madre, che deciderà di
tornare in Bosnia, vicino al giardino aperto a tutti dove è sepolto il
figlio. Ma con Ibro Aida e la sua famiglia seppelliscono anche l’odio e
la vergogna, la colpa della guerra e delle loro vite a metà. Finalmente
lFatima confessa alla figlia che, pur essendo gelosa di Emilia, ha
preferito che Aida vivesse con lei e Franco, per non scaricarle addosso
il suo dolore. Ma nessuno salva nessuno. Aida deve imparare a trovare la
pace dentro di sé, accanto al Paolo, marito medico che la ama. e la
accetta. Una notte Fatima “vede “ Ibro ed esce a cercarlo tra gli alberi
i durante un’eclisse . La figlia , all’alba, la trova sulla soglia del
bosco , congelata con i capelli poggiati su un cuscino di
neve.
Antonella Burrini
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Non mi è piaciuta particolarmente questa lettura. Nonostante la storia raccontata, ovvero quella di una fuga da un paese in guerra e di un nuovo inizio, sia importante per le tematiche affrontate, ho trovato un po’ noioso e vuoto lo stile di scrittura. L’aspetto positivo di questo libro è che riesce a rendere quello che è il trauma di lasciare la propria terra, soprattutto affrontato dai bambini, argomento che nell’ultimo periodo dovrebbe farci riflettere più che mai.
Francesca Lo Giudice
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Valeria Pedrini
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Sebastiano Sanguigni
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In questo libro viene raccontata la storia di Aida fuggita dalla Bosnia quando aveva sei anni e appena in tempo per mettersi in salvo. Crescere è ovunque difficile ma per lei sembra piu’ complicato e Aida deve mettercela tutta per trovare il suo.posto bel mondo.
Uno straordinario romanzo di formazione, una saga familiare e l’epopea del popolo più martoriato dei Balcani.
Il tutto accompagnato da una scrittura pulita, misurata ed efficace.
Paola Carbellano
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Errore
Alessandro Candiloro
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Storia emozionante dove temi come guerra ,integrazione , adozione e malattie mentali si intrecciano portando il lettore con delicatezza a viverli come la protagonista.Aida fugge dalla Bosnia Erzegovina con la madre per raggiungere il padre in Italia. Qui adolescente si innamora di un non musulmano osteggiato dai genitori che sperano sempre di ritornare in patria .Lo studio per lei rappresenta la rivincita per affermare quello che è...sarà adottata da una famiglia italiana.Infine il fratello nato dopo la fuga diventato adolescente con problemi mentali facendoci vedere uno scorcio di come le famiglie nn riescono ad aiutare perché nn hanno le armi sufficienti .Ho adorato tutto il libro arrivando al finale con pathos.
Giovanna Marino
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Nat Mungari
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La narrazione è scontata (il dolore della fuga, la voglia di rifarsi una
vita, il desiderio di maggior comprensione da parte della famiglia), le
difficoltà della fuga durante la guerra sono risapute ma l’utilizzo di
frasi brevi e dialoghi porta ad una lettura scorrevole anche se spesso
troppo semplice e superficiale.
L’utilizzo della prima persona tende a far avvicinare di più il lettore alle vicende dei personaggi.
Ho
scelto questo libro rispetto all’altro perché penso possa avere un
ventaglio di lettori più grande rispetto a Rapino, dai giovani ai meno
giovani: un libro senza pretese ma più commerciale.
Marta Marcazzan
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Interessante lo svolgimento del racconto di una famiglia bosniaca, padre
madre e due figli, in fuga dal paese in guerra e che trova rifugio in
Italia.
Nel romanzo c’è tutta la difficoltà dell’integrazione soprattutto della figlia e del figlio.
La
ragazza vive drammaticamente il conflitto tra il volersi integrare
nella società italiana e il sentirsi quasi prigioniera della sua cultura
bosniaca di cui i suoi genitori rimangono portatori. Il padre e la
madre sognano di ritornare al loro paese, di ricostruire la loro casa e
di far sposare la figlia con l’amico d’infanzia. Quest’ultimo infatti
sceglie di studiare e poi ritornare a lavorare in paese mentre la
ragazza, dopo l’ultima sua vacanza in Bosnia, capisce che il suo futuro
non potrà che essere in Italia.
Il fratello più piccolo, con un
disturbo mentale che la famiglia non vuole accettare, si perde invece
tragicamente nella sua giovinezza dopo un’adolescenza difficile e non
risolta.
La parte finale invece risulta un po’ deludente.
Laura Mosele
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Una famiglia che aveva suscitato la mia ammirazione per il coraggio e la
determinazione nel cercare di salvare i propri componenti.
Poi si è persa nella quotidianità dell’interesse e dell’opportunismo. Tutto sommato: "usuale e noioso"
Eugenia Mungari
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E’ la guerra troppo presto dimenticata dei Balcani del 1992 che fa da
sfondo a questo romanzo che narra la vita di una famiglia di profughi
attraverso le parole della figlia Aida.
Da questa guerra così vicina e
così lontana fuggono verso l’Italia e si rifugiano nella città di
Milano: è una famiglia ferita nel profondo da una situazione brutale che
ha cancellato in un momento le loro esistenze, aspettative, promesse di
futuro. Ha strappato i suoi componenti da una realtà familiare per
consegnarli ad una vita fatta di insicurezze non solo materiali ma
innanzitutto culturali , emotive e identitarie.
Il senso di
straniamento si riscontra in tutto il testo e si manifesta in una
condotta egoistica dei vari personaggi dettata non solo dalla mera
sopravvivenza ma anche dal bisogno di colmare quel vuoto esistenziale
che li accompagna e, a volte, li consuma.
Aida si trova una famiglia
alternativa che la faccia sentire capita ed accettata fino all’adozione;
babo si rifugia nel lavoro e nella religione che gli appare ora come un
modo per tenersi addosso la vecchia vita che non tornerà; la madre che
dal trauma si riprende a tratti ed ha un rapporto complicato e
conflittuale con questa figlia bosniaca d’origine ma cresciuta in Italia
che vede spesso come un’estranea, come "fuori" dalla famiglia e dalle
tradizioni e che accetterà di farla adottare da altri quando sarà già
grande; Emilia e Franco, gli assistenti sociali che li hanno seguiti dal
primo momento, che vedono nell’affetto di Aida quel riscatto dalla
mancata genitorialità.
E’ un continuo gioco di dare ed avere per colmare pezzi di vita che la vita stessa ha tolto o non ha dato.
Solo
Ibro, il fratello di Aida, nato in Italia poco dopo l’arrivo della
famiglia è un personaggio puro: allegro, coinvolgente, fuori dalle righe
per la sua schizofrenia che gli consente, però, di colmare fratture e
ricucire i rapporti tra i vari protagonisti, assorbendo quel male di
vivere di tutti loro e che lo spingerà a volare via letteralmente.
Un
libro che parla del dolore che la guerra porta con sé e che continua a
portare anche dopo la sua fine e che cerca di analizzare i vissuti dei
diversi protagonisti dal loro punto di vista di famiglia rotta,
ricomposta e che riesce a tornare sui luoghi da cui erano fuggiti senza
ritrovarli.
Mara Paladini
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Libro coinvolgente, porta agilmente al termine.
Enrico Franceschini
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Un racconto intenso scritto in modo talmente fluido e scorrevole da riuscire a ricreare il ritmo di un flusso di pensiero, tanto che al lettore è permesso di immedesimarsi al punto da empatizzare con la storia come fosse un proprio ricordo.
Roberta Zanatta
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Ho provato sensazioni opposte, nel leggere questo romanzo: in alcuni
momenti mi pareva vero e naturale e profondo nel descrivere dolore,
morti, sradicamenti; in altri momenti povero, esile, semplificato. La
storia mi trascinava inizialmente bene, ma senza creare delle ferite,
dei solchi. E procedendo, mi portava verso la fine senza emozioni.
La lingua quasi “inesistente”, anche per un affresco di storia recente.
E
troppo veloce l’excursus di una vita, di una pazzia, di una guerra, di
una penosa vita familiare, della vita estirpata e ripiantata altrove,
per conficcarsi nel cuore e nella memoria di chi legge.
Laura Pegorer
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La vicenda raccontata in questo romanzo è sicuramente avvincente, .anche perché sulla Storia di quella guerra si è scritto ancora poco, è troppo vicina a noi e forse abbiamo ancora molte cose irrisolte.
Ma qui la guerra presente nelle prime pagine, quando la bambina fugge assieme alla mamma incinta, poi diventa un sottofondo, la bambina cerca di integrarsi nel mondo che la accoglie in contrasto con la sua famiglia che vive con il desiderio ossessivo di tornare a “casa”e lei ci riuscirà molto bene fino a quando la malattia e la morte del fratello le farà ricucire i rapporti con la famiglia.
La scrittura è veloce ed avvincente, ma l’uso del racconto in prima persona, mi sembra voler portare il lettore a credere che la vicenda sia vera.
I racconti e gli studi fatti dall’autore non possono comunque essere equivalenti ad una storia vissuta in prima persona.
Mara Boschi
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Ho apprezzato molto il racconto di una vicenda che ha segnato un pezzo della mia vita e che oggi trova eco nelle vicende della guerra in Ucraina, che fa molto pensare a come le vite vengano stravolte da un giorno all’altro, senza senso. Ho apprezzato lo stile, la voce narrante di bambina che ha impresso un ritmo semplice, diretto e asciutto alle vicissitudini, così come è, nella vita. Mi ha fatto pensare che l’autrice, pur non raccontando una vicenda autobiografica, abbia voluto trascrivere le memorie di qualcuna che gliele abbia raccontate. Ha dimostrato in ogni caso grande sensibilità.
Anna Maria Cappelli
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Un romanzo molto ambizioso questa opera prima della Carati. Affronta tanti temi: m igrazione, guerra etnica, perdita delle proprie radici, della propria identità, della lingua, fam iglie sradicate e divise. Sopra a tutti c’è Aida che conosciamo bambina strappata alla sua quotidianità, poi inserita in luoghi diversi, lingua diversa, ritmi diversi, così difficili da affrontare. Facciamo il tifo per Aida? Non proprio e non sempre. Personaggio costruito abilmente dalla Carati, proiettato nel futuro della sua nuova vita ma ancorato alle sofferenze del suo passato, legata a un fratello tanto amato incapace di vivere. Un’opera prima ricca di spunti, di temi, di storia, di sofferenze e di capacità di sopravvivere a tutto. Forse troppo. La aspettiamo alla prossima prova.
Anna Mantovani
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Un romanzo molto ambizioso questa opera prima della Carati. Affronta tanti temi: m igrazione, guerra etnica, perdita delle proprie radici, della propria identità, della lingua, fam iglie sradicate e divise. Sopra a tutti c’è Aida che conosciamo bambina strappata alla sua quotidianità, poi inserita in luoghi diversi, lingua diversa, ritmi diversi, così difficili da affrontare. Facciamo il tifo per Aida? Non proprio e non sempre. Personaggio costruito abilmente dalla Carati, proiettato nel futuro della sua nuova vita ma ancorato alle sofferenze del suo passato, legata a un fratello tanto amato incapace di vivere. Un’opera prima ricca di spunti, di temi, di storia, di sofferenze e di capacità di sopravvivere a tutto. Forse troppo. La aspettiamo alla prossima prova.
Anna Mantovani
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Alessandro Candiloro
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Ci ho messo un po’ ad affezionarmi ai numerosi personaggi che abitano questa vicenda, che inizia nel 1944 e arriva sino al 2003, incrociando vite e piani temporali. Ma, poi, improvvisamente, è stato impossibile resistere a tutti loro, anche a Teresa che con il suo voler tenere le distanze, il suo non voler prendere posizione, è la meno accattivante ma allo stesso tempo la più vera. Il fatto che questa storia abbia, nella sua incredibilità, un fondamento reale, ne aumenta il valore perché spinge a fare ricerche. Uno stile non banale che rende il lettore partecipe non permettendo di abbassare l’attenzione.
Rosangela Usai
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Il libro racconta le vicende di una famiglia bosniaca in fuga dalla guerra nel 1992. Il nucleo familiare, rifugiatosi a Milano, tenta di inserirsi nella nuova realtà aiutato da volontari locali. Ma l’integrazione è difficile e non può prescindere dall’essere appartenuti e di appartenere ancora con il cuore e la memoria ad un altro paese, ad un’altra cultura e religione; questi sentimenti generano malessere, risentimento e nostalgia per un passato perduto . La narrazione scorre fluida ed essenziale, attenta a non sottolineare troppo i dettagli scabrosi delle violenze subite da una popolazione inerme, ma piuttosto a concentrarsi su questa dicotomia di chi lascia e accetta e di chi accetta ma non riesce a lasciare.
Marussia Pastacaldi
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Cio’ che nel silenzio non tace , una storia che si dipana in maniera mirabile attraverso l’ intreccio dei silenzi di donne che si sono trovate , sole, ad affrontare scelte obbligate di vita .
Alessandra Allegritti
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La recensione del secondo libro è" Bene, vi confesso che ho fatto fatica a leggere questo libro e che sono caparbiamente arrivata alla fine solo perchè avevo preso con voi l’impegno alla lettura. Non so le motivazioni alla pubblicazione della casa editrice Mondadori, ma io certamente non lo avrei annoverato tra i miei libri. L’argomento si sarebbe prestato a qualche forma di romanzo anche interessante ma lo stile letterario è arido come una sceneggiatura che, almeno, ha la finalità di aiutare un regista ".Non aggiungo altro se non che questa volta leggere non è stato un piacere per me.
Minelli Anna Rita
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A dir la verità non mi ha entusiasmato nessuno dei due, ma visto che devo esprimere una preferenza propenderei per il primo, storie di vita vissuta e sempre attuale visto che l’immigrazione è sempre sulle nostre bocche, prevalentemente per parlarne male dimenticando anche di quando gli immigrati eravamo noi.
Annamaria Ciarrocca
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Bellissimo! Basterebbe questa parola, un libro che davvero si fa leggere in un fiato,con una tecnica semplice ma di estrema efficacia (brevi capitoletti anche a volte di una pagina) la scrittrice ci conduce a voler sapere, a voler conoscere il prima possibile come si svolgono gli eventi.
Eventi che intrecciano Storia e storia. La guerra civile nella ex Jugoslavia e le vicende di Aida e della sua famiglia,la fuga dalla madreperla Bosnia, l’arrivo in Italia, l’ambientamento, il rapporto con i parenti ma soprattutto quello con i genitori,la forte e fragile mamma e il conflittuale "babo".
E nella seconda parte diventa toccante e ancor più coinvolgente il nuovo protagonista,il fratello di Aida, con i tanti problemi che lo affliggeranno.
Fino a un finale estremamente commovente .
Splendido veramente.
Vittorio Iansiti
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Bosnia, aprile 1992. La guerra irrompe nella vita della piccola Aida e la costringe a fuggire via, insieme alla madre incinta: è l’inizio di un viaggio terribile e spaventoso, nel tentativo di raggiungere il padre e mettersi in salvo. Fuori dal finestrino dell’autobus che dovrebbe condurle a destinazione c’è devastazione e sofferenza; dentro, le famiglie accalcate l’una sull’altra si stringono per farsi coraggio, intonando preghiere musulmane. Aida capisce poco di quello che accade: Aida, e i genitori, si ritrovano per una coincidenza fortuita e oltrepassano il confine. È l’inizio di una nuova vita, il momento della ricostruzione.
La narrazione procede, da questo punto in poi, per salti temporali: l’arrivo in Italia durante lo stesso 1992, insieme alla nascita di Ibro, il maschio a lungo desiderato; l’inizio degli studi e le prime esperienze adolescenziali, che colgono Aida impreparata; infine, la vita adulta. Mentre gli eventi si moltiplicano, la famiglia progressivamente si incrina, ma la separazione, per chi ha passato una tragedia, ha inevitabilmente il significato di un tradimento, e così Aida diventa un’estranea, nel tentativo di reinventarsi e concedersi la possibilità di un’altra vita, lontana dalla casa d’origine; mantiene i contatti solo con il fratello Ibro, che, crescendo, diventa sempre più scomposto e inafferrabile. Aida sa che qualcosa non va, in questo fratello che scappa di notte e ritorna pieno di lividi, e proprio per questo gli sta vicino, cercando arrivare a una parola – schizofrenia – che, da sola, potrebbe sciogliere il mistero del dolore.
La scrittura di questo romanzo è elegante, misurata: non indugia nel dolore per compiacere chi legge, ma lo attraversa rispettosamente. L’autrice è un talento notevole, ha la capacità di costruire una storia solida e coinvolgente, a partire da immagini sparse in cui si sintetizza tutto il senso del crollo, della ricostruzione, della cura e del legame affettivo. Riesce a far diventare tue le emozioni che descrive.
Al contrario di molte narrazioni che si confrontano con temi impietosi, E poi saremo salvi non cede mai alla semplificazione, ma si sofferma piuttosto su quelle contraddizioni insolvibili su cui si regge tutta la nostra precaria umanità, è un racconto sulle cose che perdiamo durante questo viaggio intricatissimo e doloroso che è la nostra esistenza: quelle da cui siamo strappati via e quelle che, invece, consapevolmente abbandoniamo per conquistarci uno spazio nel mondo.
Claudio Facco
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Coinvolgente saga familiare raccontata da una bambina in fuga dalla guerra che ha distrutto l’ex Jugoslavia e la sua famiglia.
Walda Tossani
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Il romanzo si apre nel 1992, all’inizio della guerra in Bosnia Erzegovina. Aida ha 6 anni, fugge dal suo villaggio con i genitori e si rifugia a Milano; qui la famiglia inizia una nuova vita segnata anche dalla nascita di un fratello. Aida cresce e frequenta le scuole fino alla laurea ma rimane sempre in sospeso, come se non appartenesse più alla sua terra di origine ma nemmeno all’Italia che l’ha accolta.
Il libro ci ricorda che tutte le guerre sono uguali: portano morte e violenza fratricida, atrocità, sradicamento, ferite talmente profonde che non si possono mai rimarginare. Possibile che non riusciamo a fare memoria e a cambiare?
Gloria Balboni
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La narrazione, in forma di storia, che partendo da una guerra ( mai argomento più attuale ) si snoda nelle singole vicende ponendo lo spaccato di una entità familiare che oltre a confrontarsi con il gravoso peso dell’abbandono della terra natia si cimenta con tutte le problematiche dei rapporti familiari: uomo/donna, pragmatismo/sogno, integrazione/conservazione identità. La separazione tra chi ha accettato di rimanere : i NONNI e coloro i quali hanno abbracciato la necessità di dover cambiare per non perire. In ultimo la presenza di un fratello, fuori dalle regole del consueto vivere comune che procura ai partecipanti la necessità di dolorose scelte.
GIUDIZIO: Ottima lettura, di semplice comprensione ma pregante di contenuti e possibili spunti di riflessione.
Rosario Colaizzi
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Anche questo libro è molto coinvolgente, con una scrittura rapida e vivida, che ha il pregio di ricordarci un conflitto terribile a pochi passi da noi e oggi rimosso, dimenticato.
Un libro che non abbandoni fino alla fine e che, partendo dalla tragedia della guerra, passa poi ad una sfera più intima, a descrivere il malessere del sopravvissuti e dei profughi. Saranno le proprie esperienze, i ricordi e le diverse interiorità a portare i principali protagonisti verso la rinascita o il dolore.
Giacomo Zipoli
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Se questa sfida fosse un incontro di calcio, si affronterebbero una squadra ( E poi saremo salvi) che gioca in modo molto classico, lineare, ma molto efficace, pronto a colpire ogni volta che si presenta davanti alla porta avversaria e una squadra ( Ciò che nel silenzio non tace ) che ha sicuramente preparato molto la partita, ha studiato molto le tattiche, ma che in campo esprime un gioco eccessivamente elaborato e non sempre efficace.
Ciò che nel silenzio non tace ha più piani narrativi in cui si
intrecciano il passato e il presente, ma soprattutto in cui si creano un
continuo gioco di ricadute sui destini dei personaggi. Un lavoro di
struttura molto importante che a volte soffoca il racconto e lo rende di
difficile comprensione. L’occasione di partenza e il mondo che viene
raccontato sono particolarmente affascinanti: dalle carceri Nuove di
Torino una suora, per carità cristiana, riesce a far fuggire il neonato
di una coppia prigioniera destinata ai campi di sterminio e oltre
cinquant’anni dopo una donna sulle tracce di un fratello di cui ha
sempre ignorato l’esistenza, cerca di ricostruire il passato della sua
famiglia
Il viaggio verso la conoscenza diventa l’occasione per
raccontare anche un mondo, la provincia piemontese, attraverso una serie
di personaggi che legano la loro volta la vita in altre vicende. Una
scrittura eccessivamente attenta alle descrizioni e un racconto che non
compie un percorso lineare rendono difficile, secondo me, la lettura di
tantissimo materiale interessante
Gianandrea Pecorelli
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Monica Mazza
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Romanzo ben scritto, che non mi ha coinvolto, non mi ha suscitato emozioni, sentimenti o empatia. La storia di molti esseri umani sradicati dalla terra d’origine. Ognuno trova la sua strada. Aida la trova lontano dalle sue origini in una nuova identità che le dà senso e tranquillità. I suoi genitori e i suoi nonni la trovano nel conservare la cultura d’origine che dà ordine alla loro esistenza. Anche Ibro il fratello di Aida, che non riesce a percorrere nessuna delle due strade e si rifugia nella schizofrenia e nel suicidio poi, trova la sua strada per quanto dolorosa possa essere. Sì ciascuno in modo diverso alla fine è salvo.
Giovanna Zauli
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Di questa mandata, ho apprezzato molto di più "E poi saremo salvi", non solo perché ho ricordi, pure se vaghi, di quando è scoppiata la guerra in Bosnia, ma anche perché è scritto in uno stile diretto ed immediato, al contrario de "Gli sciacalli".
La guerra è un trauma, sempre e comunque. E quando scoppia la guerra in Bosnia, dove Aida (la giovane donna, all’epoca bambina, che narra la storia) vive, il trauma si presenta in un crescendo di piccole cose:la fuga di notte con la madre incinta, la zia ed il cuginetto, l’attesa per poter prendere un pullman ed andare via, gli uomini ed i bambini maschi sopra i 12 anni che vengono prelevati, la povertà estrema che diventa grettezza, con ciascuno che preferisce salvare la propria vita senza aiutare gli altri. Superare il confine è un’impresa, e nel frattempo per Aida si sono accumulate troppe fratture, troppi motivi di risentimento con i suoi genitori, troppa rabbia...ma quello che poteva essere un romanzo di guerra, diventa un romanzo di crescita personale e formazione familiare: la nuova vita in Italia, la nascita e la crescita del fratellino Ibro, vivace e folle, la nuova famiglia, le separazioni, le incomprensioni, ed alla fine un volo che ricongiunge tutti. È difficile perdonare dopo un trauma, ma chi riesce a farlo può finalmente ricongiungere ogni parte di se stesso, e ricongiungersi con i propri cari.
Annalisa Lundberg
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E poi saremo salvi della new entry, Alessandra Carati, un viaggio verso la salvezza attraverso le follie della guerra non mi é dispiaciuto, ma non mi ha coinvolto come il primo.Il linguaggio é scevro da fronzoli, diretto, rende l’idea della tragedia vissuta, degli stati d’animo, descrive i paesaggi in maniera intimistica, per ciò stesso merita di essere letto.
Gabriella Tiralongo
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Un romanzo, forse più un racconto lungo, anche di formazione, dico anche, perché la guerra nella ex Jugoslavia incombe su tutta la vita della protagonista,che narra in prima persona. Una bambina fugge inconsapevole dall’orrore che sta per travolgere il suo villaggio e quelli vicini e che cambierà il corso della sua esistenza, quello della sua famiglia ed un’intera nazione. La Storia qui è una storia minima, di parenti, di amici, di piccole comunità ricche di tradizioni ma aperte alle diversità. I massacri etnici, la grande vergogna di un mondo che sta a guardare e la distruzione di una civiltà multireligiosa e multiculturale riflessi nelle storie legate alla famiglia della protagonista. A Milano, dopo una scelta di separazione,affermata nello studio ,la fine tragica del fratello la costringe a tornare indietro nel tempo e nella vita precedente ed a ricongiungersi ai genitori,fino al finale, dove la madre, quasi simbolicamente, chiude la sua esistenza sdraiandosi sulla sua terra. Una bella scrittura, dove spiccano le riflessioni in fine capitolo che sono forse l’aspetto più interessante; l’ultima parte è un po’ "tirata via" mentre alcune scelte della trama meriterebbero qualcosa in più ( come il ritorno della nonna da sola al villaggio o la scelta della protagonista di farsi adottare).
Laura Peracca
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Lo sfondo della narrazione è la guerra in Bosnia del 1992, i protagonisti lasciano uno sperduto villaggio sulla Drina alla ricerca della salvezza dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni, per crearsi una nuova vita. Aida la sua mamma, il fratellino Ibro, il babbo, la nonna Anja raccontano nel microcosmo della loro storia tutto il dramma di un popolo esule, deportato sradicato dalla propria nazione. Il pretesto della faccenda etnica è la ragione delle lotte tra mussulmani ,serbi e croati. Il senso di appartenenza dei protagonisti sopravvive grazie ai legami familiari, che diventano anche legami di tradizioni e culture diverse. Il ritrovarsi in una nuova nazione l’Italia, porta con sé difficoltà e disagi. Vicino ed in aiuto della famiglia una coppia di genitori adottivi, Emilia e Franco che vivono in parallelo la vita dei protagonisti. Il romanzo racconta una vita tra un prima e un dopo, descrivendo il dolore dell’abbandono , della scelta di una nuova vita. Eternamente divisi tra l’Italia e la Bosnia i protagonisti si creano una nuova vita non dimenticando le loro radici. Una storia come tante di emigrazione , integrazione e riscatto alla ricerca di una identità perduta.
Milena Sanzaro
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“LA TRISTEZZA ERA UN VELENO CHE ACCUMULAVA NEL CORPO”. Dentro il romanzo tutti sono guidati dalla ricerca della heimat perduta in modo irreversibile, casa, patria, il luogo dove si esiste e dove si ha un ruolo come cittadini, come esseri pensanti. Anche Aida, la protagonista, capisce presto che, per sopravvivere, ha bisogno di reinventare la propria memoria, senza cancellarla. Per diventare adulta nella sua tragica situazione, ha bisogno di un rifugio e il suo bisogno si combina con quello di Emilia, una volontaria. Emilia è una seconda casa, come l’Italia. Aida vede sua madre distruggersi sotto il peso della nostalgia e se ne allontana per sopravvivere, ma nulla è più forte dell’infanzia. E proprio quando tutto sembra essersi sistemato, il destino interviene a riportare Aida nel posto da cui era fuggita. E’ anche la storia di due schizofrenie: quelle dei Balcani e quella di cui soffre il fratello di Aida, Ibro; lo scenario è crudo ed evidenzia la fragilità dell’essere. Il pregio della scrittura di Carati è che non ha fronzoli, non perde tempo; si intuisce un grande lavorio di limatura e riscrittura per arrivare alla versione finale. E’ difficile staccarsi da questo romanzo, si legge velocemente fino alla silenziosa nevicata finale che ci porta all’ennesima sorpresa. I temi fondamentali sono la nostalgia struggente e la capacità di resistere. Mi sono sentita vicina ai personaggi, calata nella loro vita, ho sofferto con loro e ho cercato di comprendere, nei limiti del possibile, la loro esperienza di vita.
Marina Fazzari
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E’ la storia di una famiglia che fugge dalla guerra in Bosnia e cerca rifugio in Italia.
In realtà è il racconto di un tentativo di integrazione, raccontato dall’unica persona della famiglia, alla quale riesce.
Un libro capace di descrivere con dolcezza anche le peggiori emozioni indotte dalle ferite di una guerra, nei cuori sia degli adulti che dei bambini.
Mentre gli eventi accadono, con gli occhi della protagonista, l’autore indaga nel cuore dei personaggi e svela le loro paure, ma anche i loro desideri.
Colpisce la delicatezza con la quale descrive la sofferenza, in tutte le sue forme, anche quando accomuna vite lontane.
La lettura del testo è facile, perché sia la scrittura che la successione temporale degli eventi sono lineari.
Potrebbe sembrare il racconto di un fatto di cronaca, arricchito da note di partecipazione emotiva, che coinvolgono da subito il lettore nella vicenda.
In alcuni momenti, le pause di riflessione della voce narrante, nonché personaggio principale, oltre che unico soggetto effettivamente integrato, conferiscono agli eventi un carattere universale.
L’impressione è che il romanzo sia il pretesto per fare una riflessione da diverse angolazioni sul tema dell’integrazione dei migranti.
È un racconto ricco di considerazioni di valore universale espresse riguardo a un fenomeno di impellente attualità.
Pregevole.
Lara Motta
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Alessandra Carati mi è piaciuta per la sua semplicità nell’affrontare un difficile argomento come quello della malattia mentale in un contesto attuale come quello delle seconde generazioni; lo spirito moderno e la lettura scorrevole danno il peso dell’attualità dell’argomento nella sua complessità.
Nadia Massaro
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Racconto intenso e duro. Interessante ma forse poco declinato al femminile. Belle le descrizioni ed i dialoghi. Talora troppo lungo in alcuni passaggi. Le descrizioni rendono vive immagini emozionanti. Da leggere con calma e di giorno, i fantasmi della notte potrebbero essere richiamati dalle parole del libro.
Barbara Fionda
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La storia della piccola Aida che con la sua famiglia è costretta ad abbandonare la Bosnia allo scoppiare della guerra degli anni ’90 è raccontata con rara delicatezza ed è di forte impatto emotivo. Mi è sembrato quasi di ritrovare le splendide atmosfere di "Venuto al mondo" di Margaret Mazzantini. Poi però il racconto prende una piega diversa, gli anni milanesi di Aida, il contrasto con la famiglia, la difficile integrazione, fino ai capitoli finali, centrati sulla figura complessa del fratello, un fragile fuscello che porta su di sé lo stigma dell’esodo senza poterlo sorreggere.
Lucia Romizzi
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Romanzo scorrevole ed intenso. È la storia di una
Famiglia di profughi serbi che si rifugia in Italia. Il Viaggio terribile, le decisioni da prendere da un minuto all’altro, le difficoltà della vita di tutti i giorni, i problemi di salute, la capacità di imparare a farsi aiutare. Gli elementi della vita vera di tutti, complicati dalla condizione di essere fuggiti da una guerra assurda, di vivere lontani dagli affetti della famiglia e dalle abitudini del proprio popolo. Attuale e storico allo stesso tempo. Importante ricordare una guerra troppo facilmente dimenticata, anche attraverso le persone e le traversie che hanno dovuto vivere. Le stesse terribili esperienze che purtroppo continuano a vivere tanti altri popoli. Da leggere per non dimenticare e per conoscere.
Elisabetta Zampiceni
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“E poi saremo salvi”. Viviamo la sporca guerra di Bosnia del 1992, che brucia anche la casa natia della protagonista, Aida, 6 anni, profuga musulmana con la famiglia, a Milano. Quasi rifiutata dalla madre, è, invece, bene accolta da una coppia milanese senza figli. Impegnandosi nello studio, giunge alla laurea in medicina. L’amore per la sua famiglia rinasce a seguito dell’esplosione di una grave psicopatia con conseguente suicidio del fratello. Un romanzo, a tratti avvincente, a tratti noioso, che fa riflettere sulla tragedia dello sdradicamento conseguente alla guerra.
Roberto Rosario Pennisi
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Ho letto il libro tutto d’un fiato, non mi succedeva da tempo, forse non mi era mai successo. Catturano la scrittura e la trama. Una famiglia fugge tra mille dolorose peripezie dalla Bosnia durante la guerra nella ex Jugoslavia, negli anni novanta. Protagonista una bimba Aida, che poi diventa adolescente e infine donna nell’Italia dei novanta. Adolescente, viene adottata da una coppia di volontari che aveva aiutato i profughi al loro arrivo in Italia. L’autrice cesella caratteri psicologicamente strutturati: la madre pietrificata in un dolore muto e spesso anche sordo, il padre che si tira su le maniche e il figlio Ibro che, verso i vent’anni, verrà risucchiato da una tragica schizofrenia paranoide in grado di riavvicinare i membri della famiglia, in passato progressivamente allontanatisi, trascinandoli in un vortice di sofferenza indicibile. Il disturbo di Ibro, scrive Carati, è “la faglia delle nostre vite divise tra un qui e un là”. Libro profondo, dolce e terribile al tempo stesso, che penetra nella viscerale intimità dei rapporti tra le persone di questo nucleo familiare e a loro prossime. La cifra dominante è l’inesorabile riaffiorare del non detto, che sempre presenta il conto, così come la dura legge del tutto ha un prezzo, anche l’azione apparentemente più nobile, perché l’essere umano è composto tanto di bene quanto di male. Nel romanzo chi sembrava salvo in realtà non lo è fino in fondo e nessuno può veramente sacrificarsi per un altro. Tutti soli nel percorso della vita, benché tangenti i propri cari, che pure vengono percepiti a siderale lontananza. Fragilità, forza, passato e presente si corrispondono simmetricamente l’uno all’altro, fondendosi ciascuno nel suo contrario come in un proprio speculare doppio. Sicuramente da leggere.
Ernestina Messineo
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Una storia commovente, intensa, coinvolgente. La tragedia del popolo bosniaco descritta attraverso gli occhi di Aida, una giovane donna determinata a integrarsi nel paese che la ospita tanto da farsi adottare da una famiglia di italiani, che nel tempo riscopre le proprie radici e la famiglia di origine duramente dilaniata e ferita dalla lontananza e dalla nostalgia per la propria terra. Il dolore che si materializza nella malattia del fratello, nato in Italia, ma cresciuto nel senso di precarietà di chi è costretto a scappare dalla propria terra e non riesce a fare pace con il passato. Vite spezzate tra un prima e un dopo, il senso di colpa di coloro che sopravvivono e quotidianamente lottano con i propri demoni. L’autrice apre uno sguardo nuovo su una guerra civile le cui ferite non si sono ancora cicatrizzate.
Rossana Landini
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Anna Maria Cannata
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Sabrina Pettinari
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Marina Falbo
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Laura De Marchi
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Laura Primon
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Irma Dionese
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Teresa Santini
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Maria Mabilia
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Mario Guderzo
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Carlo Bonato
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Liliana Contin
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Maristella Drago
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Graziella Pivotto
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Rosanna Tasca
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Maura Cadei
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Rita Foresi
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Luigina De Santis
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Annamaria Ciarelli
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Maria Rosaria La Morgia
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Rita Crisanti
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Paola Fasciani
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Elvira Martelli
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Luisa Carinci
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Annarita Frullini
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Pina De Felice
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Maria Alba Simigliani
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Rosella Travaglini
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Franca Pierdomenico
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Antonella Fantini
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Umberto Celli
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Enza Scotto d’Abusco
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Anna Maria Agostino
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Luisa Martinucci
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Claudia Delfino
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Maria Rolli
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Rossella Miccichè
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Barbara Zamagni
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Laura Garino
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Daniela Delfino
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Cinzia di Luzio