< Guardavo il cielo di  Rolando Del Torchio (Piemme)

Qui di seguito le recensioni di GuardavoIlCielo raccolte col torneo 'sag' (sino alla fase T12. / finale)

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Premesso che ho apprezzato entrambi i saggi, quindi la mia è stata una scelta difficile. Tuttavia, Del Torchio racconta la sua storia, il suo rapimento, la sua esperienza...Insomma è qualcosa lontano da me, che mi ha affascinata e terrorizzata al contempo, ma non mi appartiene. Adinolfi è una pagina della storia italiana, la mia.

Manuela Anna Bruno

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Un’autobiografia semplice e pulita, un esercizio di scrittura che ha il duplice pregio di far conoscere al lettore una terribile esperienza attraverso gli occhi di chi l’ha vissuta, e aiutare lo scrittore a processarla e forse accettarla se non superarla, quasi che mettere tutto nero su bianco possa avere sullo stesso un effetto purificatore e catartico.
E insieme a questo si trova una meravigliosa descrizione di luoghi esotici che pure dalle pagine bianche di un libro riescono a rimandare una bellezza abbacinante e sconvolgente, benchè siano il teatro di spaventose lotte, morti e sanguinarie battaglie.
L’autore riesce, inoltre, nella non facile opera di rendere anche i terroristi più "umani", pur nei limite del possibile data la vicenda narrata: li dipinge come uomini e ragazzi comuni, non dissimili da tanti altri incontrati prima e dopo lungo la sua strada, che oltre al mitra imbracciato in spalla hanno sogni e speranze.

Laura Quadri

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E’ stato difficile scegliere; alla fine ho scelto questo perchè è vita vissuta, in una realtà che non conosciamo. Pur avendo alcuni difetti, il libro riflette la verità della vita avventurosa e drammatica che il protagonista ha vissuto

Cesare Gigli

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Anche "Guardavo il cielo" mi è molto piaciuto, una scrittura semplice e pulita per raccontare un’esperienza che nulla di semplice ha. Come sempre in letture di questo genere, ho terminato con un profondo senso di gratitudine nei confronti dell’autore per la condivisione di un vissuto così doloroso.

Erica Zagato

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Rolando Del Torchio in "Guardavo il cielo" ricostruisce i sei mesi da lui passati nelle mani dei terroristi islamici Abu Sayyaf, nella giungla filippina. L’ingombrante presenza del discorso diretto mi ha fatto più volte pensare ad una storia romanzata, per me inaccettabile in un torneo di saggistica.

Giuseppe Parisotto

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A partire da Omero in poi, il flashback si é sempre rivelato una risorsa narrativa di peso, e Del Torchio ne fa un uso consistente nel rievocare la sua detenzione presso i terroristi islamici nelle Filippine, nonché i suoi trascorsi come missionario prima di abbandonare la tonaca.

L’autore descrive la sua prigionia, i carcerieri caratterizzati con nomignoli (il Nonnino, Il Guru) e gli stenti cui é sottoposto innestandoli in una ricerca di nuova fede che rimane più descritta che sentita. Non si riesce a empatizzare fino in fondo con il narratore e lo stile giornalistico impiegato, direi alla "Hemingway " non cattura l’attenzione. Si nota qualche interessante parallelismo tra la condizione di "prigionia" emotiva durante il percorso da seminarista e la prigionia reale vissuta dopo, ma non basta a far prendere quota al testo.

Per concludere, diciamola tutta: il linguaggio usato si addice più ad un liceale che scrive un tema in classe. Era proprio necessario ricorrere ad espressioni come "tono concitato" (pg.138), "mi stavo forse spegnendo" (pg.140), "La fronte corrucciata" (pg.151), e per finire "Una luce in fondo al tunnel" (pg. 167)?

Elisabetta Nucifora