< I miei stupidi intenti di  Bernardo Zannoni (Sellerio)

Qui di seguito le recensioni di IMieiStupidiIntenti raccolte col torneo 'nar' (tutte le fasi)

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Mi ha catturata sin dalle prime pagine e non mi ha mollata più. È stato un libro particolarissimo da leggere, infatti con protagonisti gli animali avevo letto soltanto “la collina dei conigli” ma “i miei stupidi intenti” é stato molto diverso.
Qui gli animali sono dei predatori (e non prede come i conigli) faine, volpi, cani. Ma la caratteristica che lascia interdetti e ammaliati è che in contrapposizione agli istinti (archy che si accoppia con sua sorella durante la stagione degli amori), alla parte bruta (la mamma che con una zampata acceca la figlia) tratti tipici del regno animale, c’è una componente pensante. Un voler umanizzare gli animali, con gesti e caratteristiche che appartengono solo a noi, come imparare a leggere e a scrivere (dalla Bibbia) ma soprattutto la ricerca di Dio, il bisogno spirituale che abbiamo soltanto noi, ma che qui ha anche Solomon la vecchia volpe usuraia.
Il tema della morte e delle consapevolezze è molto presente nel libro. Il protagonista, Archy, una faina zoppa ne rimane segnato per tutta la vita, desiderando ogni tanto non aver saputo nulla di Dio o del fatto che prima o poi la sua vita sarebbe finita ( effettivamente gli animali non hanno il senso del tempo come il nostro, nè sono consapevoli che finiranno).
Una scrittura bella e coinvolgente, divorato in pochi giorni. Sicuramente vince a mani basse.

Jessica Florio

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I miei stupidi intenti racconta attraverso animali del bosco leggermente antropomorfizzati. Lo trovo appassionante a tratti destabilizzante, ma nel migliore dei modi. Il protagonista, una faina, scopre il mondo intorno a sé, e sé stesso, fino a diventare "adulto". La sua ingenuità col tempo svanisce lasciando posto alla cruda realtà dell’affrontare il mondo. Un libro che ho letto volentieri.

Luca Memma

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Volutamente non ho cercato, prima di leggere i libri, notizie sugli autori (però sapevo che Marianna Corona è la figlia di Mauro Corona). Dal titolo propendevo per Fiorire tra le rocce, essendo appassionata di piante e di giardinaggio; il titolo dell’altro mi sconcertava ed ho deciso di cominciare a leggere proprio da quello e lasciare per ultimo quello che ritenevo a me più congeniale. E invece I miei stupidi intenti mi ha preso subito e l’ho letto tutto d’un fiato. Poi sono andata a informarmi sull’autore e sono rimasta di sasso a leggere che si trattava di uno scrittore giovane. Il ricorrente pensiero della morte, il continuo senso di finitudine che spingeva gli animali a voler imparare a scrivere per lasciare un ricordo di sé negli altri, mi aveva fatto pensare che lo scrittore fosse anziano. Io ho 75 anni e conosco bene questo bisogno di scrivere per lasciare un ricordo non solo di me, ma anche di tutte le persone che io ho conosciuto ed amato ed il cui ricordo sparirà per sempre con me. A me dei miei nonni e bisnonni, oltre al colore degli occhi e dei capelli, sarebbe piaciuto sapere di più, la loro vita, il loro carattere, dove vivevano… Infatti ho fatto la ricerca genealogica fino al 1500, anche se tutti mi prendevano in giro per il tempo che perdevo a cercare tutti questi contadini. Ma io non volevo sapere se erano persone importanti, a me importava solo conoscere qualcosa delle loro famiglie, dove abitavano. Solo mio nipote che allora era un bambino mi disse una cosa bellissima: “Nonna, quando muori chissà in quanti vengono a salutarti perché ti sei ricordata di loro dopo tanto tempo!”.

Carla Focardi

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Circolo dei lettori del torneo di Robinson
di Parma “Voglia di leggere Ines Martorano”
coordinato da Pietro Curzio
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Il testo narra di un giovane animale – una faina- nel suo percorso verso l’umanizzazione. Un percorso faticoso, scomposto, un andirivieni senza tregua fra interrogativi, battaglie, fughe e ritorni, sogni di grandezza e tremori, nel quale la scoperta della scrittura ha un ruolo fondamentale.
Nel suo percorso, Archie, il protagonista, sente nascere la consapevolezza di sé, della propria responsabilità, del trascorrere del tempo e della morte; e vagheggia il ritorno all’innocenza della condizione animale, tutta immediatezza e istinto.
E’ un romanzo d’esordio di un giovane autore; un testo ambizioso, a mio parere ancora acerbo, ma intenso, che qualcuno ha giudicato un romanzo di formazione. Da questo punto di vista, si presterebbe a facili interpretazioni psicologiche, che non ritengo opportune in questa sede.

Maria Pia Arrigoni

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Curioso romanzo allegorico in cui il protagonista, ’io narrante, è una faina ed i personaggi sono animali umanizzati. Vivono in tane, ma mangiano a tavola cibo cucinato, uccidono mordendo alla gola, ma allevano galline, non portano indumenti ma praticano il commercio. La Vecchia Volpe, il deuteragonista, è un usuraio con un passato banditesco, la sua guardia del corpo è un grosso cane, poi ci sono maiali, castori, istrici, linci ecc e naturalmente altre faine con cui il protagonista si relaziona più¹ spesso. C’è anche l’uomo, essere distante e misterioso, il più grosso e pericoloso degli animali. E’ un mondo animalesco dominato dagli istinti, crudele. L’io narrante racconta la propria vita che inizialmente si svolge al servizio ed alla scuola della Vecchia Volpe e poi, dopo la morte della Volpe, autonomamente. E’ il racconto amaro di una vita sconfitta, cinica e spietata, disperatamente attaccata all’illusione di un Dio. Il pensiero di Dio è nato primieramente nella Volpe che ha imparato a leggere e scrivere ed è venuta in possesso fortunosamente di una Bibbia (gli oggetti dell’Uomo sono cose preziosissime in questo mondo di animali). Questa idea di Dio la Volpe la trasmette al suo servo, la Faina narrante, insieme all’arte di leggere e alla ossessione di scrivere. Una eredità gravosa, una condanna all’illusione e all’infelicità  che la Faina, al termine della vita, trasmetterà  a sua volta all’unico amico, l’Istrice. E’ dunque un romanzo a più strati: letterale. allegorico, metaforico ecc. Ben scritto in una prosa semplice. Si legge volentieri.

Giuseppe Montagna

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Circolo dei lettori
di Treviso “5 del 42”
coordinato da Laura Pegorer
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Ho cercato di dare un senso a ciò che leggevo con un certo interesse perché, essendo io animalista, mi piaceva sentirmi coinvolta. Ma, devo dire, che il libro non rende giustizia né agli animali né alla razza umana.

Eugenia Mungari

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Favola nera, inconcludente. Usare le faine al posto degli uomini risulta irritante.
Inutilmente lungo. I due protagonisti discutono di Dio ma ne amano solo le parole.
È ancora necessario scrivere di quanto siano importanti ? Se si l’abuso che ne fa l’autore vanifica il messaggio.
Quanta distanza dalla « Fattoria degli animali »!

Nat Mungari

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Un’opera prima che ci rivela un giovane scrittore di talento.
L’autore inserisce nei personaggi i lati peggiori dell’animo umano e di quello animale, vedi ad esempio il delitto d’onore quando il patrigno uccide Luise perché incinta o la sottomissione della femmina al maschio capobranco o l’avidità dell’usuraio o la mancata riconoscenza verso la pietà del medico castoro; il riscatto viene dalla conoscenza del proprio destino anche se questo significa consapevolezza della morte.
E’ certamente una favola nera originale anche se l’umanizzazione degli animali è un po’ troppo esasperata, come animali che cucinano o le tane arredate con sedie tavoli lampade letti e così via.

Laura Mosele

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Una sola parola per descrivere queto libro: inutile. E sembra una forzatura perché, per quanto brutto, un libro non lo è mai, insegna sempre qualcosa nel bene e/o nel male ma in questo caso mi chiedo quale interesse possa suscitare la storia in sé, il lungo, troppo lungo, resoconto delle vicende poco o nulla interessanti di una faina umanizzata ( come tutti gli animali del libro tranne, forse, il cane Gioele) che trascina i poveri lettori in un baratro di disperazione in cui si domandano se questo libro è stato veramente pubblicato e se qualcuno ha anche pagato per leggerlo.
Unica nota positiva a pag. 126 quando Archy, la faina, riflette sul potere della scrittura che è immune al tempo

Mara Paladini

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Mi è tornato alla mente George Orwell 1984 La fattoria degli animali e Richard Adams La collina dei conigli: questo libro però non mi ha appassionato, non sono riuscita ad affezionarmi ai personaggi come mi è successo con il libro di Adams.
Libro troppo lungo, a volte noioso e ripetitivo
Non ho capito la necessità di inserire Dio a volte in maniera morbosa: un Dio punitore che di colpo diventa unica speranza e salvezza. Forse bastava accennare ad una speranza che veniva dall’alto, avrebbe ottenuto un tocco più delicato e mistico.
Quale vuole essere la morale? Un elogio alla resilienza? La voglia di riscatto dalla vita di sottomissione di Archie? Il dittatore - volpe che alla fine deve essere compatito?
Ho pensato potesse essere un libro per ragazzi, ma non trovo cosa possa rimanere alla fine della lettura se non un superficiale racconto di animali sfortunati.

Marta Marcazzan

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Se l’incipit non entusiasma, continuando la lettura si avverte un po’ di interesse; peccato però che il racconto rimanga piatto. Libro non piaciuto.
L’idea è originale, la forma coerente con il tipo di racconto. A mio avviso manca un po’ più di coraggio e di profondità.
Mi chiedo: perché l’autore avrà scelto proprio una faina?

Roberta Zanatta