< #Ibridocene. La nuova era del tempo sospeso di  Paolo Iabichino (Hoepli)

Qui di seguito le recensioni di Ibridocene raccolte col torneo 'sag' (sino alla fase T12. / finale)

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Non mi è piaciuto

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Dalla lettura di questo breve saggio traspare in modo vivido la forte ed appassionata propensione dell’autore per l’arte di usare bene le parole, tanto nel linguaggio comune quanto nella “business communication”, con particolare focus su marketing creativo, cura del c.d. “brand reputation” e delle relazioni interpersonali.
Altro lodevole punto di forza è la diversità di temi trattati con correlata dovizia di informazioni originali descritte che, indubbiamente, stimolano e rendono coinvolgente la lettura; argomenti comunque tenuti tra loro legati da un filo conduttore comune rappresentato dallo sviluppo tecnologico e dalla velocità dei cambiamenti in atto su scala globale.
Proprio dal titolo si evince che un nuovo mondo si sta delineando con forza dirompente e in tutta evidenza basato su un connubio sempre più indissolubile e complementare tra uomo e macchina, tra l’agire nello spazio fisico e in quello digitale/virtuale, tra i sentimenti e l’empatia umana e l’interazione con l’intelligenza artificiale.
Siamo tutti interconnessi: tra persone, tra popoli e luoghi vicini e lontani, con macchine, con immensi archivi virtuali di informazioni e dati. Questo è un grande valore aggiunto della nostra civiltà, un mondo migliore nel presente e nel futuro dove tuttavia non mancano le insidie, ad esempio legate alla genuinità, verità e sovrabbondanza di informazioni. Il virtuale inoltre tende ad offuscare ciò che comunemente chiamiamo comunicazione non verbale (gesti, postura, timbrica vocale, ecc.). Ecco allora che le giuste parole e un forte senso di empatia ancora una volta assumono un significato importantissimo nell’ambito delle relazioni tanto in ambito business, quanto in quello politico e di comuni cittadini.
Punto debole è forse l’eccessiva enfasi nel “celebrare” quella che l’autore definisce una “Nuova Era” e nell’esaltare la consapevolezza che di questa le persone dovrebbero, a suo argomentare, avere. Se le “Ere” passate sono state codificate e i loro nomi coniati dai posteri con effetto retrospettivo, qui dovremmo essere noi stessi ad avere piena lucidità e consapevolezza della “Nuova Era” che è già nata e darle il nome che gli spetta. L’autore propone appunto “Ibridocene”, pur citando comunque altri appellativi proposti da studiosi di caratura mondiale.
Per mia indole invece lascerei sempre alle generazioni future la responsabilità e l’onore di decidere quali siano le “cesure storiche” e così anche i loro nomi.
il ricorso e continuo richiamo di (pe

Fabio De Biasi

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Un breve saggio che raccoglie le riflessioni di un lockdown che ci ha colpiti tutti. L’impressione è proprio quella di trovarsi in un periodo confuso, cosa che il libro riesce a rappresentare perfettamente. Questa convivenza con una comunicazione multimediale viene rappresentata anche dalla presenza dei titoli delle canzoni abbinate alla lettura: un’idea molto simpatica.
Il risultato è una riflessione sulla digitalizzazione della società che sicuramente lascia molti spunti di riflessione.

Martina Cilento

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In un tempo sospeso dove ormai il luogo dove avvengono le relazioni non è più quello del contatto umano ma è sempre di più la rete il saggio suggerisce ed argomenta un percorso per riuscire a percorrere il passaggio da un mondo di rapporto fisici ad uno digitale. Mi è sembrato un manuale di marketing rivolto a ricercare un’etica per vivere una "nuova era" che chiaramente non può prescindere dalla tecnologia. L’intelligenza artificiale comunque creata da quella umana deve arrivare ad essere governata ed ad avere un rapporto etico con il fruitore che sostanzialmente ricerca la soddisfazione di un bisogno reale o comunque creato dal mondo esterno. Il punto di debolezza è quello di riuscire a coniugare questo ricerca in un sistema per il quale la normalità è il "business" e che quindi spesso deve soggiacere al principio del guadagno.

Mario Festa

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In un tempo che chiede riflessioni profonde sul virtuale e che chiede al virtuale di mostrare la sua umanità, questo libro è leggero e pesante nello stesso tempo. Bravo lo scrittore che si rivela cosciente di quel che sa tenendo conto del possibile lettore. Frasi semplici, leggero nella scrittura, veloce nel definire i termini e spiegare la concatenazione di un viaggio che porta come l’oggi sia stato costruito per tappe importanti, che quasi sempre sono state lette come tali a posteriori. Il racconto di queste tappe è ogni volta essenziale, ma nello stesso tempo l’essenzialità ne definisce l’importanza, non bisogna aggiungere niente al fatto in sè. Ibridocene è l’unione tra fisico e digitale, parole troppo spesso viste come contrapposizione. Siamo in una nuova era e mentre ci stiamo non sappiamo ancora capire come muoverci al meglio. Questo libro aiuta a chiarire un po’ la nebbia e sfiora anche gli aspetti educativi e profondi della trasformazione degli umani di questa era. Come pedagogista citerò molte storie di questo libro per mostrare i possibili cambiamenti introdotti dal digitale. Nello stesso tempo mi spiace che affiori troppo l’aspetto mercantile della conoscenza: conosciamo questa era nuova per vendere di più, giochiamo con gli aspetti umani per aumentare i target economici. Altra nota dolente i riferimenti musicali a condurre (nella mente dell’autore) lo scritto: scelta inutile e troppo farraginosa. Forse l’autore si è innamorato di una idea e ci si è ingabbiato.

Luciano Franceschi

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Prima di leggere questo saggio, devo essere onesta, non conoscevo Paolo Iabichino, poi dalle prime righe che raccontano un po’ la sua biografia scopro che è un creativo che si occupa di nuovi linguaggi, fuori e dentro la rete, una grande firma di Wired Italia e maestro di narrazioni transmediali alla Scuola Holden di Alessandro Baricco. Da qui la voglia di proseguire la lettura e approfondirne alcuni concetti e tematiche, prende il sopravvento.
Scopro che l’Ibridocene è il ciclo dell’età ibrida, fisico e digitale.
Le parole sono una delle tecnologie più antiche del mondo. Le parole e i libri talvolta influenzano e indirizzano le relazioni e le scelte di vita.
Il mondo sta cambiando in modo sempre più repentino, nasce perciò l’urgenza di evolversi con esso e di ragionare su concetti nuovi come il benessere, l’empatia, il linguaggio, il qui e ora e le relazioni.
E’ dalla natura che dobbiamo imparare a lavorare sul digitale perché essa è modello di tutte le cose. Dobbiamo tornare a ragionare e ad ascoltarci.
La lettura digitale se non integrata con la nostra riflessione più profonda resta fine a sé stessa. L’uomo può vivere con l’aiuto degli strumenti digitali non adeguandosi ai ritmi della tecnologia. Da qui il concetto di “mondo ripulito dall’abbondanza del digitale”. Tutto ciò secondo me sta a significare che ahimè, oggigiorno l’uomo è succube, cioè subisce questo “bombardamento” tecnologico e digitale invece di assumerne il controllo e capire che la tecnologia non è altro che un mezzo per un fine.
Poi però c’è stato il lockdown, il tempo sospeso. Prima della pandemia da Covid_19 si viveva tra mondo fisico e mondo virtuale, tra tecnologia e umanesimo, tra intelligenze artificiali ed esuberanze empatiche ora si fanno strada nuove terminologie e se vogliamo nuovi concetti come quello di phygital una via di mezzo tra fisico e digitale, nuovi mindset per affrontare le sfide del domani.
Ci si interroga sulla comunicazione, il linguaggio e l’atteggiamento da tenere nelle relazioni sociali e social, il tema conseguente è inevitabilmente quello dell’empatia digitale ad esempio in ambito giornalistico si parla di giornalismo costruttivo e sguardo sul mondo.
Stiamo vivendo un presente già proiettato nel futuro dall’antropocene al capitalcene conosciuto anche come chtulucene.
La nuova era s’insinua dentro ogni tipo di business. Ora si parla di instant-book, webinar, calls e consulenze costosissime. Forse è questo il vero virus. La pandemia ha accelerato i pr

Antonella Francesca D’Inzeo