< Il cappello scemo di  Haim Baharier (Garzanti)

Qui di seguito le recensioni di IlCappelloScemo raccolte col torneo 'sag' (sino alla fase T12. / finale)

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Interessante, parla.di una religione che non conosco bene

Marzia incerti

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LA RELIGIONE EBRAICA SPESSE VOLTE È CONSIDERATA PERVASA DA UN ECCESSIVO FORMALISMO CHE SOFFOCA I SIGNIFICATI PROFONDI INSITI NELLE SACRE SCRITTURE. NEL “CAPPELLO SCEMO” L’AUTORE OFFRE UNA VISIONE NEN CONSAPEVOLE DI QUANTO LA RITUALITÀ POSSA RAFFREDDARE ANCHE LE RICORRENZE PIÙ IMPORTANTI. VI È DIVERSITÀ TRA IL
MITO DELLA FOTO IN BIANCO E NERO E LA REALTÀ DEL “SEDER”, LA CENA PASQUALE VISSUTA DALLO SCRITTORE QUANDO ERA 12enne. MA DA UN LATO L CHIAVE DI LETTURA, AFFETTIVA E DI RIFERIMENTO, OFFERTA DAL
PADRE E DALL’ALTRA PARTE IL LAVORO ESEGETICO, L’APPROFONDIMENTO SEMANTICO DELLE PAROLE “VERBI” PROPONE AL LETTORE LA GRANDE RICCHEZZA SOTTESA ALLA CULTURA EBRAICA CHE È UN TUTT’UNO CON LA FEDE. UN SAGGIO PREZIOSO CHE PARLA ALL’UOMO/DONNA D’OGGI PROPONENDO SIGNIFICATI E UN’ETICA A FONDAMENTO DELLA VITA. SULLO SFONDO, INELUDIBILE ANCHE COME CHIAVE INTERPRETATIVA, IL DRAMMA DELLA SHOAH SEMPRE PRESENTE. IL “CAPPELLO SCEMO” SI PRESENTA COME UN SAGGIO CON SOTTOFONDO DI SPUNTI AUTOBIOGRAFICI CHE FUNGONO DA PRETESTO PER INTRODURRE O APPROFONDIRE TEMI E DARE UNA CONCRETIZZAZIONE DEI PRINCIPI ETICI CHE PERVADONO LE PAROLE DEL VOCABOLARIO DI UN POPOLO IN COSTANTE RAPPORTO CON IL PROPRIO DIO.

Dante Preti

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Haim Baharier
IL CAPPELLO SCEMO
Garzanti
ISBN 9788811819622
2021, pag. 132, 16 Euro

Kova Tembel. Il cappello scemo. Origini ed etimologia: chi lo ricollega al cappello pesante del movimento cristiano dei Templari, attivo in Israele alla fine del XIX secolo. Ora pare che gli arabi, che non sapevano pronunciare la lettera ’p’ e certe vocali cambiarono il nome in ’cappello a tembel’; mentre secondo altri il nome ’tembel hat’ derivi dalla parola turca (o ottomana) “tembel”, che significa pigro. La forma di questo cappello è identica al ’pileus’, il cappello adottato dagli schiavi liberati nel mondo greco e romano e ripreso ai tempi della Rivoluzione Francese come simbolo di libertà. Haim Baharier è nato a Parigi nel 1947, è figlio di genitori di origine polacca reduci dai campi di sterminio. Allievo del Maestro Léon Askenazi e del filosofo Emmanuel Lévinas. Matematico, psicoanalista, è considerato tra i principali studiosi di ermeneutica biblica e di pensiero ebraico. In questo suo nuovo (e bellissimo) libro che aiuta a compiere il più difficile dei percorsi: superare lo smarrimento delle nostre vite, uscire proprio da quella condizione dentro cui ci sentiamo ’schiavi’ per trovare (o ritrovare?) la nostra via da uomini liberi. Dieci percorsi di pensiero; dieci, come gli ultimi oggetti creati dal Divino alla vigilia del sabato, oggetti che non vennero replicati, dall’arcobaleno alle tavole dell’alleanza, dalla manna alla bocca della sorgente. A proposito di scrittura: quella di Baharier è semplicemente meravigliosa: si dalle prime pagine, che evoca la festività di Pèsach e i ricordi della sua infanzia, si resta rapiti dalla narrazione e dalla sua fluida ricchezza, dalle riflessioni (“siamo affamati di significati, di culture, di emozioni che ci facciano entrare da qualche parte. Entriamo molto facilmente, gli assaggi ci sono congeniali. Uscire ha un peso maggiore, non è lo scontato contrario di entrare. Forse lo intuisce il pesce ingannato dalla nassa. Si può entrare per un soffio, in un pertugio. L’uscita ha bisogno di maggiore spazio perché quando si esce si porta addosso un qualcosa in più.”), dallo spessore dei rimandi culturali. Libro da assaporare a piccoli assaggi. E lasciare, tra un capitoletto e l’altro, che il rumoroso silenzio che abitiamo si faccia respiro profondo.

sergio albertini

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Un saggio scritto con eleganza, competenza e ironia per chi vuole capire meglio i principi e la filosofia della religione ebraica, i suoi testi sacri, le sue parole chiave. Baharier inizia proprio da quest’ultime, le parole, anzi i verbi biblici, che scandiscono l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto. Concetti non sempre facili proposti con esempi e uno stile più romanzato che dotto.
Forse più ostica la sezione dedicata alle ‘Dieci Creazioni dell’Ultimo Momento’, dove solo i lettori più interessati all’esegesi dei testi sacri potranno orientarsi senza perdere il disegno complessivo e il filo delle spiegazioni. In breve, un testo divulgativo ben costruito e denso di contenuti, che richiede però una buona motivazione del lettore. Soddisfa chi è già interessato al tema, non invoglia gli altri.

Alessandro Cappelletti

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Si tratta di un saggio di filosofia ermeneutica composto da quattro parti:
I cinque verbi
I dieci oggetti
La sfida
L’ultimo dei giusti
Un elemento comunque ad ognuno di questi “capitoli” è che l’autore ricorre a proprie personali esperienze di vita quotidiana per accostarsi al tema, alla questione su cui ha sviluppato la sua riflessione: può essere l’incidente di cui è stato vittima che gli fa comprendere come il soccorso deve superare l’emergenza, deve saper vedere oltre e cogliere le priorità, così come può essere il ritrovamento del tutto casuale del kova tembel, “il cappello scemo” che dà il titolo al saggio.
I cinque verbi sono quelli che scandiscono il seder ossia la cena pasquale, sono parole-brindisi ognuna delle quali si accompagna ad una coppa da cui si beve: Vi farò uscire, Vi soccorrerò, Vi riscatterò, Vi prenderò, Vi porterò.
I dieci oggetti sono in realtà parole-oggetto che corrispondono alle creazioni dell’ultimo momento prima che fosse Shabbat: Il verme detto shamir, La scrittura lo scritto, La bocca della terra, La bocca dell’asina, La bocca della sorgente, L’arcobaleno, La manna, I demoni.
L’operazione analitica condotta da Haim Beharier consiste nell’addentrarsi nei meandri interpretativi di ognuna di queste parole e parole-oggetto, un’impresa che lo impegna da tutta la vita come si coglie da qualche passaggio in cui spiega come sia approdato ad una nuova interpretazione che differisce da quelle precedentemente elaborate, un’impresa mai conclusa non perché sia inconcludente ma perché in quelle parole si cela pur sempre qualcosa, una prospettiva, un accento, una sfumatura che può indirizzare la riflessione interpretativa verso una nuova inesplorata soluzione.
Questa impresa ha a che fare con una lingua, l’ebraico, in cui ogni parola può avere più significati, ma anche un valore numerico: “La bocca”, in ebraico peh, ha un valore numerico: 85.
E le lettere stesse che compongono l’alfabeto ebraico sono dotate di un valore simbolico come quando afferma che lettera LAMED ל essendo graficamente un segno che spicca sugli altri perché supera in altezza le altre lettere, allude all’ascesa possibile grazie al sapere.

Così le riflessioni proposte dall’autore hanno qualcosa di vertiginoso perché anche là dove sembra di misurarsi con concetti o esperienze “semplici” in realtà ci si trova al cospetto di questioni quanto mai complesse, articolate, poliedriche e seguire la riflessione dell’autore diventa assai difficile e impegnativo forse perché entra

lina p.

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scorrevole ed interessante, ma non propriamente nelle mie corde

Annalisa Righini

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Intanto ci tengo a precisare che ho scaricato il Cappello Scemo contestualmente all’altro testo, per cui il 21 giugno... poi, alla ennesima volta, finalmente il sistema si è deciso a registrare che l’avevo scaricato.
Questa recensione è la confessione di un fallimento. Ho provato a leggere il libro in più tempi. Ho riletto le stesse pagine in giorni diversi. Ma niente. La prosa è complessa, piena di rimandi a tradizioni differenti rispetto a quella cristiana di cui faccio parte culturalmente. E la sensazione è che l’autore non sia interessato a rivolgersi ad altri, che a coloro che già sanno.

Pietro Pieroni

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Assolutamente originale!Un libro che riflette sulla concretizzazione dei 5 verbi dell’uscita dalla schiavitù e indaga sulla situazione tenebrosa che il mondo sta vivendo interrogandoci su come attualizzare il compito che questi verbi ci indicano, alla riconquista della libertà.

GIOVANNA RICCARDO

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Un mix di riflessioni sulla storia, il credo, i riti, le festività propri della cultura ebraica e ricordi biografici legati al modo in cui la famiglia dell’autore viveva e osservava il proprio essere ebrei, ponendo in particolare il focus sulla figura paterna e su quanto questo credo fosse divenuto elemento costitutivo della sua personalità. Il tutto, par di capire, con l’intento di restituire un respiro più ampio alla storia del popolo ebraico, quasi un ricondurla a simbolo valido per tutta l’umanità, con lo scopo, sembra, di sottrarla ad un angusto limite di una storia personale.
È un navigare nel mare di parole presenti nelle scritture, farle emergere da un sonno mortifero in cui vengono gettate dalle consuetudini, la sclerotizzazione e la rigidità dei costumi, da un credo che rischia di essere fine a se stesso… è forse questo il significato di questa indagine sulle parole, che cerca di farle rivivere al di là delle contraddizioni che in esse sono racchiuse. Mi sembra che il valore primo di questo lavoro sia quello di restituire alla parola una prospettiva di attualità e di vita, un invito all’essere umano a uscire, ad assumersi la responsabilità di essere libero

Antonella Bandini