< Il pioppo del Sempione di  Giuseppe Lupo (Aboca)

Qui di seguito le recensioni di IlPioppoDelSempione raccolte col torneo 'nar' (tutte le fasi)

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Qui si tratta di un tipo di immigrazione più ’protetta’. C’è la possibilità di studiare, cosa che non sempre è possibile per chi affronta il mare o lunghi pellegrinaggi per raggiungere l’Italia. Ma come in "Quando tornerò", qui c’è il tema del ricordo, che viene però declinato tra i vari protagonisti del romanzo. La memoria, in questo caso, potrà solo offrire nostalgia: o ci si culla nei ricordi lontani o verranno sostituiti da nuove, diverse possibilità. C’è speranza di un futuro che colmi la nostalgia e il dolore, ma dall’altro lato c’è la sicurezza che i tempi sereni del passato non torneranno più. Nel frattempo resta l’amarezza. E tutto ciò che si deve imparare a fare è conviverci fino alla fine.

Serena Gherghi

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Avvio piuttosto lento e difficile per chi non conosce la geografia dei luoghi narrati.
I ricordi di un vecchio come terreno comune con un gruppo di studenti adulti, emigrati extracomunitari: la perdita della terra d’origine, di una persona amata, il lavoro.
L’argomento non è, personalmente, uno che avrei scelto di leggere. Due fratelli di mia nonna e il fratello di mio padre sono stati emigranti, ho i ricordi dei loro racconti.

Cristina Toffi

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Il libro non mi è piaciuto: la tematica è poco interessante e ripetitiva, i personaggi solo tratteggiati, alcuni addirittura privi di qualsiasi spessore. L’espediente narrativo del nonno poco convincente

Piera Torselli

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Letto in un fiato, ho trovato molto delicato e commovente questo intreccio di storie e di gesti.

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E’ una storia che mi ha presa subito e che ritengo molto poetica. La natura del luogo, scelto dal personaggio arrivato da giovane "sul pianale di un moto carro" da una zona remota dell’Italia, in questa zona umida del nord Italia, il fiume, la vista sulle "impalcature del cielo" (le montagne), il pioppo vicino alla casa, che lui chiama Paplush (lo stesso nome con cui si fa chiamare), che rappresenta le sue radici "Paplush è come il mio sangue", la fa da padrone. E la solitudine di un vecchio pensionato, che ama raccontare storie della sua vita, si unisce alla solitudine di un gruppo di immigrati di diverse nazionalità che frequentano un corso serale, tenuto da un giovane insegnante che accetta le incursioni di Paplush nella sua aula, perchè si rende conto che gli alunni preferiscono ascoltare il pensionato piuttosto che " I promessi sposi". "Stranieri e lui trapiantati in una terra che non gli appartiene".
Un’aula in cui ognuno ha voglia di raccontarsi, frequentata per cercare rifugio dal freddo e da quel che sta intorno... e che, a causa dei problemi personali di ognuno, diventa via via piu’ vuota. Anche la parte finale del libro, in cui tutti, tranne uno, si incontrano dopo un pò di tempo, è coinvolgente e tenera.
L’aula diventa il luogo in cui ognuno ha voglia di raccontarsi e che allevia la solitudine di ognuno. "Trascorriamo in questa tristezza la sera".

SIMONETTA CERASO

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Se Cosangeles non fosse un libro sarebbe un dipinto in un museo: sì, un quadro del pittore spagnolo Velasquez, dalle tinte scure e fosche, però più matèrico, quasi che invece dei pennelli, il colore delle sue descrizione fosse dato con le dita sulla tela della vita di Jo Pinter.
Lo scrittore Jo Leporace dipinge la vita di Pinter e la racconta descrivendo minuziosamente quello che il protagonista fa, di come si inserisce ed attraversa gli eventi che trasformano Cosenza e fanno evolvere il personaggio, in un periodo tra l’alba della minigonna e la fine del ventesimo secolo.
Il romanzo sale e prende quota entrando nelle vicende attraverso cui si dipana l’esistenza di Jo, uno “ ‘ndisto” - cioè uno “giusto” - e onesto criminale che surfa e fa le evoluzioni sulla lama tagliente del codice penale e di procedura penale, facendola in barba al resto dell’umanità italiota che arranca e tira a campare, nella dormiente ed ordinaria quotidianità in cui essa si trascina.
Jo Pinter quindi viaggia ed il suo protagonista diventa il menestrello emigrante (che ritorna) di una città e dei suoi abitanti. Vuole indicarci la grandezza di un luogo e la specificità di chi ci vive però il tutto, come in una pietanza in cui è stato messo poco sale, manca di sapidità, e manca quello che fa veramente emozionare: il dialogo tra i personaggi.
I dialoghi sono la vita di un testo perché dentro ci sono i battiti del cuore ed i pensieri che prendono voce, ed appartengono all’umanità che vive dentro le pagine di un libro e permea tutto il testo che forma le righe di inchiostro che avvolgono il volume rilegato. A Cosangeles questo non si vede e così la vita e le sue vicende sono si impresse ma i contorni non sono vividi.
Comunque se vado a Cosenza, la guida di Leporace me la porto.

Beniamino Nargi