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Il Rinnegato è un libro sospeso che non vuole dare un significato ultimo, e dipanare quindi i complessi intrecci della storia, rimandando al lettore la cardatura della trama e la tessitura finale degli accadimenti. Il figlio, giudice ultimo delle vicende paterne, non perdona e vuole dimenticare dando il memoriale alle fiamme. Siamo in grado di comprenderlo e accettarlo?
stefano selvi
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la scrittura è degna di un docente universitario,la storia ebraica mi interessa molto e amo gli scrittori ebrei contemporanei,ma questo libro è essenzialmente noioso. non credo riuscirò a finirlo entro i quindici giorni concessimi -giustamente-dalle regole di questo torneo letterario, ma penso che , a piccoli bocconcini, lo porterò avanti nei prossimi mesi ...
maddalena dugnani
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Una scrittura piacevole e un’ambientazione singolare che invogliano alla lettura di questo romanzo che è un mix tra giallo e romanzo storico ben riuscito.
Patrizia Bianchi
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"Il Rinnegato" è un libro di rivelazioni, rivelazioni su chi e cosa era Ajash , rabbino algerino con origini italiane ,trovato morto in circostanze non chiare. Il figlio viene in possesso di un memoriale scritto dal padre prima di morire, forse per confessare i suoi errori,e non per cercare un’espiazione, un perdono per la sua vita dissennata.
SaraT
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Simona Cigliano
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Narda Limitone
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Nablus (Medioriente), 1840: il rinvenimento di un cadavere, un
manoscritto affidato al proprio figlio perché scopra la vera personalità
del padre, un paesaggio sullo sfondo che muta di continuo in cui si
muovono ebrei ‘erranti’ più o meno fedeli alle proprie tradizioni.
Questi
solo alcuni tra gli ingredienti di questo interessante e avvincente
romanzo di Toaff che li mescola sapientemente per creare non un giallo
ma un complesso mosaico in cui s’intrecciano storia, religione,
tradizione, cultura ebraica con superstizione, magia, ingenuità e
furbizia, talento e mistificazione.
L’espediente del manoscritto- non
nuovo nella letteratura- ma sempre affascinante, qui diviene testamento
biografico in cui un padre, alla sua morte, decide di raccontarsi al
proprio figlio, anche lui, come da tradizione familiare, rabbino.
Da
questa lettura, Moisè, figlio di David, l’uomo trovato morto nelle prime
pagine del romanzo e autore del manoscritto, chiamato da un amico del
padre a Nablus perché abbia le pagine a lui destinate dal genitore,
apprende una vicenda che in parte gli conferma la posizione di
‘rinnegato’ di suo padre che - da rabbino- si è convertito al
Cristianesimo aderendo anche alla -allora setta segreta- massoneria,
ripudiata dagli Ebrei.
Questo padre di cui Moisè sa poco, gli appare
in tutta la sua verità: un rinnegato che, trasferitosi in Palestina,
cambia pelle e di lui amici e conoscenti che lo hanno accolto negli
ultimi anni della sua vita, danno un’immagine diversa da quella nota: di
uomo buono, generoso, altruista e pentito per tutto ciò che ha fatto in
passato.
Un altro uomo viene consegnato al suo ricordo di figlio, un
padre che ha scritto, prima di morire (non diremo come), il suo
epitaffio che così recita: “Qui giace David Ajash (1788-1840) che ha
appreso il segreto di come trasformare l’apparenza in realtà…”
affidandosi, come fa il suo autore, alla parola letteraria che
moltiplica, come in un gioco di specchi, la realtà e – spesso- la
deforma.
Maria Celeste Maurogiovanni
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Tralasciando una certa fatica a familiarizzare con così tanti, ma comunque giustificati, riferimenti alla religione ebraica e a tutto quel mondo estremamente complesso, la lettura del libro è abbastanza interessante. Le vicende vengono presentate e interpretate da tre prospettive diverse, come tre sono le voci narranti. Questo consente di scegliere verso quale delle possibili chiavi di lettura propendere, per valutare la figura del rabbino di cui si raccontano le vicissitudini. La sua voce ci riporta i tormenti, gli errori, le avventure di un ebreo molto critico verso le religioni, si potrebbe dire “rabbino per caso”, ma fortemente attratto dai possibili significati nascosti nella Kabbalah. Le altre due voci, in seguito alla sua morte, si contrappongono: quella del figlio, rabbino serio e sinceramente religioso, che non può superare il rancore verso un padre che aveva abbandonato la famiglia per seguire una strada spregiudicata, e quella di un anziano, che, insieme ad altri personaggi minori, aveva colto, negli ultimi anni di vita del protagonista, i lati più generosi e tolleranti della sua indole. Se poi aggiungiamo l’ambientazione storica, dalla metà del ‘700 ai primi dell’ ‘800, le vicende di talismani ed eventi misteriosi, l’enigma sulla morte del protagonista, abbiamo tutti gli ingredienti per consideralo un giallo storico-letterario. A mio parere però, nell’insieme e in particolare nel finale, si avverte una certa incompiutezza, una sensazione di mancato sviluppo di tante premesse disseminate lungo il racconto, che mi hanno lasciata un po’ insoddisfatta.
Rosa Tripaldi