< Il rinnegato di  Ariel Toaff (NeriPozza)

Qui di seguito le recensioni di IlRinnegato raccolte col torneo 'nar' (tutte le fasi)

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Il Rinnegato è un libro sospeso che non vuole dare un significato ultimo, e dipanare quindi i complessi intrecci della storia, rimandando al lettore la cardatura della trama e la tessitura finale degli accadimenti. Il figlio, giudice ultimo delle vicende paterne, non perdona e vuole dimenticare dando il memoriale alle fiamme. Siamo in grado di comprenderlo e accettarlo?

stefano selvi

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la scrittura è degna di un docente universitario,la storia ebraica mi interessa molto e amo gli scrittori ebrei contemporanei,ma questo libro è essenzialmente noioso. non credo riuscirò a finirlo entro i quindici giorni concessimi -giustamente-dalle regole di questo torneo letterario, ma penso che , a piccoli bocconcini, lo porterò avanti nei prossimi mesi ...

maddalena dugnani

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Una scrittura piacevole e un’ambientazione singolare che invogliano alla lettura di questo romanzo che è un mix tra giallo e romanzo storico ben riuscito.

Patrizia Bianchi

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"Il Rinnegato" è un libro di rivelazioni, rivelazioni su chi e cosa era Ajash , rabbino algerino con origini italiane ,trovato morto in circostanze non chiare. Il figlio viene in possesso di un memoriale scritto dal padre prima di morire, forse per confessare i suoi errori,e non per cercare un’espiazione, un perdono per la sua vita dissennata.

SaraT

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Grandi lettori
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Intenso e complesso. Difficile il rapporto padre figlio, che rispecchia le diverse generazioni divise del vissuto e dalla difficile empatia.

Simona Cigliano

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Circolo dei lettori
di Bari “Le donne in corriera”
coordinato da Maria Gabriella Caruso
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Il romanzo “Il Rinnegato” di Ariel Toaff è un “affresco” della religione e della cultura  ebraica. Attraverso  la storia travagliata di un rabbino, l’autore dona al lettore una ricostruzione abbastanza affascinante dei luoghi in cui da millenni sono presenti numerose comunità di ebrei.
  La   commovente parabola esistenziale del  rabbino David Ajash ci trasporta in un mondo, quello ebraico,  ricco di simboli, di riti, di superstizioni, di cibi, di credenze, di nomi, che destano curiosità e inducono a voler conoscere  più da vicino la  storia della presenza ebraica, in particolare, in molte città italiane e non solo.
 Il romanzo è anche il racconto di un rapporto mai veramente “coltivato”, tra il rabbino David Ajash e suo figlio Moisè, rabbino anche lui, come del resto lo era il padre di David.
Il romanzo, ambientato nel secolo XIX, inoltre,  si sofferma sulle differenze  delle varie “anime” del giudaismo e sulla interpretazione dei testi sacri posti a fondamento della religione ebraica, ma descrive, anche  in alcuni episodi la difficile convivenza con i cristiani e con le autorità cittadine che sottoponevano a terribili vessazioni  gli ebrei, costretti in molti casi a emigrare in luoghi più accoglienti


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Narda Limitone

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Nablus (Medioriente), 1840: il rinvenimento di un cadavere, un manoscritto affidato al proprio figlio perché scopra la vera personalità del padre, un paesaggio sullo sfondo che muta di continuo in cui si muovono ebrei ‘erranti’ più o meno fedeli alle proprie tradizioni.
Questi solo alcuni tra gli ingredienti di questo interessante e avvincente romanzo di Toaff che li mescola sapientemente per creare non un giallo ma un complesso mosaico in cui s’intrecciano storia, religione, tradizione, cultura ebraica con superstizione, magia, ingenuità e furbizia, talento e mistificazione.
L’espediente del manoscritto- non nuovo nella letteratura- ma sempre affascinante, qui diviene testamento biografico in cui un padre, alla sua morte, decide di raccontarsi al proprio figlio, anche lui, come da tradizione familiare, rabbino.
Da questa lettura, Moisè, figlio di David, l’uomo trovato morto nelle prime pagine del romanzo e autore del manoscritto, chiamato da un amico del padre a Nablus perché abbia le pagine a lui destinate dal genitore, apprende una vicenda che in parte gli conferma la posizione di ‘rinnegato’ di suo padre che - da rabbino- si è convertito al Cristianesimo aderendo anche alla -allora setta segreta- massoneria, ripudiata dagli Ebrei.
Questo padre di cui Moisè sa poco, gli appare in tutta la sua verità: un rinnegato che, trasferitosi in Palestina, cambia pelle e di lui amici e conoscenti che lo hanno accolto negli ultimi anni della sua vita, danno un’immagine diversa da quella nota: di uomo buono, generoso, altruista e pentito per tutto ciò che ha fatto in passato.
Un altro uomo viene consegnato al suo ricordo di figlio, un padre che ha scritto, prima di morire (non diremo come), il suo epitaffio che così recita: “Qui giace David Ajash (1788-1840) che ha appreso il segreto di come trasformare l’apparenza in realtà…” affidandosi, come fa il suo autore, alla parola letteraria che moltiplica, come in un gioco di specchi, la realtà e – spesso- la deforma.

Maria Celeste Maurogiovanni

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Tralasciando una certa fatica a familiarizzare con così tanti, ma comunque giustificati, riferimenti alla religione ebraica e a tutto quel mondo estremamente complesso, la lettura del libro è abbastanza interessante. Le vicende vengono presentate e interpretate da tre prospettive diverse, come tre sono le voci narranti. Questo consente di scegliere verso quale delle possibili chiavi di lettura propendere, per valutare la figura del rabbino di cui si raccontano le vicissitudini. La sua voce ci riporta i tormenti, gli errori, le avventure di un ebreo molto critico verso le religioni, si potrebbe dire “rabbino per caso”, ma fortemente attratto dai possibili significati nascosti nella Kabbalah. Le altre due voci, in seguito alla sua morte, si contrappongono: quella del figlio, rabbino serio e sinceramente religioso, che non può superare il rancore verso un padre che aveva abbandonato la famiglia per seguire una strada spregiudicata, e quella di un anziano, che, insieme ad altri personaggi minori, aveva colto, negli ultimi anni di vita del protagonista, i lati più generosi e tolleranti della sua indole. Se poi aggiungiamo l’ambientazione storica, dalla metà del ‘700 ai primi dell’ ‘800, le vicende di talismani ed eventi misteriosi, l’enigma sulla morte del protagonista, abbiamo tutti gli ingredienti per consideralo un giallo storico-letterario. A mio parere però, nell’insieme e in particolare nel finale, si avverte una certa incompiutezza, una sensazione di mancato sviluppo di tante premesse disseminate lungo il racconto, che mi hanno lasciata un po’ insoddisfatta.

Rosa Tripaldi