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L’essenza dell’assenza è il quarto romanzo di Pietro Calabretta. Vi si narra la storia di un parroco di paese, Eliano, alle prese con una crisi mistica scatenata da un episodio avvenuto durante la celebrazione di una messa: nel momento-clou dell’eucarestia, un bambino rischia di soffocare dopo aver inghiottito una moneta destinata al cestino delle offerte, e il trambusto che si crea disturba alquanto il sacerdote. Come è possibile, si domanda questi, che Dio abbia consentito di interrompere un miracolo? Forse non si trattava davvero di un miracolo? Nella sua messa in discussione della fede Don Eliano è ben presto accompagnato da un commerciante di tessuti del paese, tale Giulio, che lo introduce al pensiero di Giuseppe Prezzolini, pensatore «pagano e individualista» del primo Novecento. Alla fine di ventuno incontri con Giulio, Eliano finisce per far pace con Dio, con la comunità e con sé stesso, avendo trovato, dice, il modo di conciliare «la spiritualità del suo essere sacerdote» con «la terrenità del suo essere uomo». Il grave problema è che Eliano si dimostra fin dall’inizio scarsamente provvisto di umanità: quale uomo (non dico un religioso, ma anche il più laico degli uomini della strada), di fronte a un bambino in pericolo, può «parteggiare per la realizzazione di quella tragedia», vedendo nella morte di una creatura innocente «un castigo necessario per quei genitori inetti»? Da una premessa così aberrante, da un personaggio così totalmente privo di compassione e di empatia, mi sarei aspettata o una redenzione o una dannazione: un percorso che lo trasformasse, per restare nelle metafore religiose, in un angelo o in un diavolo. Invece ho trovato soltanto una lunga disquisizione teologica che si conclude con il ritorno di Eliano al sacerdozio, avendo compreso che il suo compito consiste nell’essere «una guida capace di comunicare affetto e vicinanza anche nei momenti meno piacevoli della vita», senza peraltro rinunciare totalmente all’«equivoco del teatro».
Più che un romanzo, L’essenza dell’assenza sembra un dialogo filosofico tra personaggi privi di qualsiasi spessore umano, che esistono soltanto per dare voce a un punto di vista astratto e teorico; come se non bastasse, è scritto in una lingua fredda, stantia e ampollosa. Una mancanza grave, sempre sul piano linguistico, è la presenza di ben venti quello/quella/quei/quelle nelle prime due pagine: non si può non notarli, e l’effetto è irritante.
Carla Palmieri
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Lettura scorrevole, un’analisi sulla crisi di identità che riguarda tutte le donne e tutti gli uomini che, almeno una volta nella vita, si trovano a dover mettere in discussione il proprio ruolo all’interno della società, il proprio lavoro, la propria identità personale e sociale. In questo caso il protagonista è un sacerdote. Un pò di luoghi comuni, nessun particolare accento.
Sara Berettieri
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Il secondo libro, che in realtà ho iniziato a leggere per primo, non incontra i miei gusti, non sono religiosa e non mi piace leggere libri che parlano di questa tematica, tra l’altro i due personaggi che ne dicutono, il sacerdote e l’amico ateo non aggiungono niente di interessante a quanto già risaputo. Naturalmente parere personale
Isabella Bistanti
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A tratti illegibile. Pesante e senza una reale trama. Inspiegabile il motivo per il quale sia stato inserito in torneo contro un thriller.
Giorgia De Matteis
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Lapetina Nando
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Prendendo spunto dalla figura di un sacerdote il cui amore per l’uomo comincia a vacillare e, dal suo incontro con un ateo, direi, di ben solida moralità, il romanzo si dipana in un dialogo che pone in luce i vari dubbi sulla fede e sulla religione
Sono dubbi che vanno dalla poca partecipazione dei fedeli alla Messa, al concetto più arduo della transustanziazione. L’affrontare gli argomenti, su questo o su altri dogmi, in questo modo, risulta, però, superficiale ed abbastanza deludente Da una parte il lettore scopre che molte sue perplessità sulla religione cattolica sono comuni ai molti, e, per questo si rassicura; dall’altra, non trovando altra risposta, se non nella fede nell’amore, non può avere sicurezze.
Donatella D’Agostino
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La spiritualità del suo essere sacerdote conviveva ora serenamente con la terrenità del suo essere uomo (pag.131).
La frase conclusiva del libro definisce il significato di tutta la ricerca che il sacerdote Eliano compie in queste pagine, a partire dalla reazione stizzita e al rifiuto della esplosione di emotività dei suoi parrocchiani durante il momento più sacro della Messa – l’Eucarestia – vissuta da lui come una profanazione della purezza della Fede e come un affronto al suo ministero.
Il percorso tocca punti importanti degli scritti di Prezzolini, citato in bibliografia e all’interno del testo, quali il senso del Cristianesimo: se debba essere un’esperienza individuale o condivisa.
Dice infatti Eliano Vorrei poter celebrare le mie Messe in totale solitudine: la condivisione non fa per me (pag.12).
Perché la condivisione lo mette in contatto con l’umanità, la scarsa spiritualità dei fedeli -che è poi la sua- e rischia di minacciare la sua tensione verso la spiritualità.
E’ attraverso gli incontri con un ateo dichiarato e la scoperta della sua sincera umanità, che Don Eliano giunge a prendere contatto con il proprio lato umano e ad accettarlo come non pericoloso.
Questa riflessione si accompagna in parallelo, ad un’altra, circa l’autenticità della Fede: tema, anch’esso, visitato da Prezzolini.
Accettare il proprio lato umano vuol dire anche gettare la tonaca di scena (pag. 137) e non vivere l’altare come un palcoscenico. Eliano si rende conto di quanto la celebrazione della Messa, nella ricerca di un atteggiamento altamente spirituale, abbia in realtà sotteso da parte sua l’ingegnosa recita di un ruolo scenico, e lo abbia allontanato dalla propria autenticità.
Pur lodevole nelle intenzioni, il testo non risulta, però, abbastanza stimolante nel suo svolgimento.
Maria Pia Arrigoni