< L’osceno libro della notte di  Luciano Aprile (LesFlaneurs)

Qui di seguito le recensioni di LOscenoLibroDellaNotte raccolte col torneo 'nar' (tutte le fasi)

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Per Luca, ex ricercatore universitario e filosofo disilluso, un semplice lavoro di archivio si rivela una caccia al tesoro che lo porterà, seguendo le tracce lasciate tra gli scaffali, a svelare la figura di un defunto insegnante. Una figura ben diversa da quella del misantropo che tutti conoscevano. Il mondo dei libri fa da sfondo ad una storia piacevole che cattura il lettore fin dalle prime pagine.

Scipioni Matteo

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Una scrittura scorrevole, un linguaggio diretto ma curato. Fin dalle prime righe si conosce il personaggio protagonista, si vivono ambientazioni ed epoche diverse per via della scelta di raccontare nel racconto, ovvero la trama ripercorre la vita del vecchio professore con un’unica eredità; i suoi scaffali di opere da catalogare e i suoi scritti nascosti tra le pagine. Ogni capitolo è una raccolta di vari riferimenti musicali, cinematografici e in particolar modo letterari e citazioni filosofiche. È difatti, curioso l’intreccio bibliografico e biografico che dà alla narrazione trasparenza, spontaneità e genuinità. Irriverente, dotto e attento nelle descrizioni per ripercorrere la sua vita e la storia. Le note di horror probabilmente a mo’ di giustifica di quell’osceno nel titolo è un monito a superare le paure, anche quelle più intime. Una passione culturale che si evolve nei capitoli, una sensuale coscienza passando dalla ribellione giovanile con le cuffie e i vinili di rock al ruolo di docente impegnato, travolto da infatuazioni, brevi incontri erotici e risposte sulla vita da cercare tra i manoscritti.
Per citare e comprendere al meglio; “Il libro è la soddisfazione dell’uomo civilizzato, la sua maschera. “
Lù, così si fa chiamare il protagonista, scrive e parla sempre in prima persona, è diretto ed emotivo, svela le sua maschera, diventando così un amico, un conoscente.
L’appunto da fare è sullo schema dei capitoli; vi sono tratti in cui si racconta con una sintassi al passato vicende del presente o un fatto sciolto dalla storia principale. Inoltre vi è una ridondanza di citazioni. Tuttavia nel complesso può descriversi colorito e piacevole; un libro da leggere sotto l’ombrellone per la sua freschezza e semplicità.

Barbara Viotti

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Ammetto di non essere riuscita a finirlo, non mi piace lo stile di scrittura, troppe citazioni e linguaggio eccessivamente forbitoe quasi autocelebrativo. Peccato.

Giulia Di Bella

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Tante cose, forse un po’ troppe. Un buon editor avrebbe potuto e dovuto convincere l’autore ad alleggerire un po’ il tutto. Troppe citazioni che a volte sembrano denunciare un compiacimento di erudizione. La probabile vicinanza anagrafica con l’autore e quindi i temi trattati, me lo fanno preferire.

Marcello Carossino

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Scomodo, provocatorio, intrigante, “L’osceno libro della notte” parla al lettore scuotendone a fondo la curiosità e facendogli inseguire con famelica curiosità quelle risposte ai misteri che velano la vita grandiosa di un odiato professore di scuola media ora defunto, sepolto sotto la polvere dei suoi libri, libri che non solo raccontano la propria storia ma anche la storia di chi li ha letti. Con uno stile travolgente e intrepido l’autore - e il protagonista - ci mette indirettamente a contatto con quelle parti più nascoste di noi stessi, smuovendo il nostro inconscio a farsi domande scomode sulla nostra vita, all’ombra del confronto costante e incalzante tra la vita monotona e solitaria di Luca, professore di una scuola media in bilico tra una tagliente asocialità ed intellettualismo elitario, e quella grandiosa di un personaggio ignoto e di difficile decodificazione, se non fosse per la consolidata austerità con cui lo descrivono le persone che lo conobbero. Un confronto costante che ci pone di fronte al baratro angosciante tra la nostra percezione di noi stessi e della nostra vita alla luce dei rapporti, dei vincoli e dei legami con gli altri e ciò che effettivamente lasciamo e lasceremo ai posteri, a chi forse non avendoci mai conosciuto potrà un giorno, per caso, scavare le parti più profonde e recondite della nostra anima.

Giulia Muccioli

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Nel romanzo sono presenti spunti di approfondimento per chi ama i temi legati alla psicologia. Il protagonista ricalca il prototipo dell’uomo colto ma sfortunato nelle vicende amorose, a volte si indugia troppo su dinamiche un pó morbose.

Paola Destro

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Il protagonista del libro è Enrico Carta, ex ricercatore universitario e filosofo appena arrivato in un paesino del Sud per insegnare in una scuola media dove sembra rassegnato a continuare la sua esperienza lavorativa.
Conosce Mila, una bellissima collega con la quale avrà una storia che metterà in evidenza il contrasto tra l’anticonformismo e la morale borghese.
Luca e Mila hanno l’incarico di riordinare e catalogare i libri della biblioteca di Borromeo, insegnante defunto, molto erudito ma con la fama di portare sfortuna.
Sembra una semplice attività di archiviazione ma i protagonisti sono coinvolti in una ricerca guidata da citazioni e scritti autobiografici. Emerge così la figura di un vecchio professore ben diversa da come appariva nella realtà di tutti i giorni.
La storia è affascinante con una scrittura abbastanza scorrevole. Le frequenti citazioni possono interrompere il ritmo della lettura: da un lato, possono richiedere un lettore attento e un buon conoscitore di libri, dall’altro i frequenti riferimenti ad autori diversi potrebbe suscitare il desiderio di approfondimenti personali.
Interessante la storia di Borromeo e affascinanti i parallelismi con il protagonista Luca che alla fine si riconosce nell’arcigno professore. “Mi ci riconosco un po’. A tratti mi sembra addirittura un me stesso di un’altra epoca, cui la sorte ha riservato dei drammi che la diversità dell’epoca in cui siamo capitati ha invece risparmiato a me. Ci sono tante cose che me lo fanno sentire familiare.”
Purtroppo anche i riferimenti alla scuola non sono incoraggianti: “Un fatalismo, un’ignavia, un’acquiescenza tale dei docenti della sua scuola nei confronti della preside ed ai rituali imbecilli della burocrazia scolastica, e l’entusiasmo con cui tutti si piegavano alla mediocrità e al conformismo. L’unica forma di solidarietà o comunitarietà sembravano essere le quote da versare per il matrimonio della figlia di quella o per i funerali del papà di quell’altro. Sempre dei “colleghi”, è ovvio. Gente che magari non si riconosceva neanche o che si conosceva e si disprezzava.”
Riflessioni amare e la presa d’atto di quanto gli intellettuali o comunque le persone di profonda cultura trascorrano spesso la loro vita circondati dalla solitudine.

Paola Begnini