< La voce di Robert Wright di  Sacha Naspini (EO)

Qui di seguito le recensioni di LaVoceDiRobertWright raccolte col torneo 'nar' (tutte le fasi)

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La mente di Robert Wright è il palcoscenico sul quale si sviluppa l’intero romanzo. Tutto ha inizio con un lutto inaspettato e la caduta in un "mutismo selettivo" che porterà il povero Robert ad essere vittima di sè stesso ma non solo. E’ stata la voce di un personaggio di un certo peso, una star di Hollywood che "improvvisamente abbandona questa terra in quel modo, poi… In virtù del legame di cui parlavi prima: anche qualcosa di te non c’è più". Deve combattere con un passato ingombrante, con un presente che sembra aver cristallizzato persone, suoni, colori, fino alla sua "scomparsa" che sembra scuotere dal profondo la tranquillità che lo ha sempre contraddistinto. I piani temporali si alternano nel susseguirsi degli eventi e più si prosegue nella lettura, più si comprende quanto il fardello di ciò che è accaduto gli gravi sul presente mostrandone gli aspetti più oscuri che lo rendono vulnerabile.
Trama un po’ lenta. Mi è piaciuto molto il flusso di coscienza.

Alessia Scalzo

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Un thriller identitario con un narratore in seconda persona (il protagonista parla a se stesso, doppia se stesso o un narratore onnisciente gli parla?). Un buon testo da rappresentare a teatro.

Cinzia Sale

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CON UNA SCRITTURA VELOCE E PIACEVOLE SI SVOLGE UNA STORIA LUNGA E RIPETITIVA TIPICA DI UNA LETTERATURA DESTINATA ALLA DIFFUSIONE COMMERCIALE.L’AUTORE DIMOSTRA ESSERE UN ABILE NARRATORE NELLE PRECISE E RAPIDE DESCRIZIONI DI "SCENE" E " PARTI DEI PROTAGONISTI".

PASQUALE ROMANO-NAPOLI

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È un libro coinvolgente che affascina già dall’uso inusuale della seconda persona singolare e avvolge il lettore in un climax crescente di tensione. La battaglia identitaria di Carlo Serafini si svolge nel palcoscenico claustrofobico della sua stessa mente, e i confini del reale sfumano verso un’ambiguità senza soluzione mentre il lettore, ormai immerso nella narrazione, usa gli occhi di Carlo e le sue orecchie per muoversi nel mondo.

Maria Teresa Trucillo

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Circolo dei lettori
di Palermo “Eutropia”
Coordinato da Rosana Rizzo
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Carlo Serafini è il doppiatore che da più di trent’anni dà voce a quel fenomenale gigante hollywoodiano che è Robin Wright. Per Carlo, che ha lottato molto per affermarsi come attore, barcamenandosi tra cinema e teatro senza riuscire a sfondare, aggiudicarsi il provino per doppiare i film interpretati da questa star del cinema  è stata la salvezza,  una manna dal cielo che gli ha consentito di affiorare dalla nebbia e di ottenere agi, visibilità e riconoscimenti. Una sera, però, scopre dai social che si sono scatenati nell’indirizzargli le condoglianze, che il suo angelo californiano è morto; il suo Dio è morto, anzi si è suicidato, lasciandolo privo di identità. Carlo, costatando con un certo raccapriccio di avere “la voce di un morto”, reagisce al lutto smettendo di parlare e prende le distanze dal mondo, diventando spettatore della sua vita, e da spettatore assiste a ciò che nel frattempo accade alla sua carriera, alla moglie Marta e al figlio Filippo, assolutamente impermeabile agli stimoli esterni. Nel silenzio, questo Bartleby in salsa romana si ritrova a confrontarsi con una serie di nodi della sua vita che affiorano dal suo passato: il presunto tradimento della moglie, scoperto leggendo le sottolineature nel libro “Occhi di cane azzurro” che Marta aveva portato con sé in vacanza; la defenestrazione di Vanessa Sarchi, stagista allo studio di doppiaggio Vox e che adesso minaccia - la falsa!- con una lettera di   dare in pasto alla stampa i particolari scabrosi delle avances di Carlo; la colpevole distrazione con cui aveva assistito all’adolescenza del figlio. Di fronte a questi fantasmi, veri o presunti, che ingombrano le stanze della sua casa, Carlo prende l’unica decisione possibile: diventare un fantasma ed “entrare in scena. Scomparendo”.  Questo libro che mi ha fatto conoscere il talento di Sacha Naspini, ha la suspense e la tensione crescente di un giallo, l’ironia beffarda e guizzante di una commedia e  gli spazi, i tempi e le battute di un testo teatrale;  mi ha appassionato e divertito per i continui colpi di scena, per i siparietti tra i personaggi, per lo stile originale e scorrevole, cadenzato da una voce narrante che si rivolge al protagonista in seconda persona e finisce col diventare anch’essa personaggio della storia. E poi, come si può non amare un personaggio come Carlo, che ha il coraggio di sferrare la sua corda pazza ai nostri giorni? Come direbbe l’avvocato Martini, amico della famiglia Serafini: “Questo libro non è bello: di più!”

Annalisa Cannata

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Lanciano“Ex Libris”
 coordinato da Maria Rosaria La Morgia
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Un romanzo lungo che, se pur interessante, è molto difficile da seguire, la voce di un morto e troppi personaggi, ricco di eventi che si intrecciano tra loro, continuamente sovrapposti. Un libro faticoso, un percorso narrativo difficile, la cui lettura non scorre facilmente, anche se va riconosciuto un grande merito.

Franca Pierdomenico

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Il romanzo parte da uno spunto interessante, adottando come protagonista un doppiatore, e facendo la scelta poco usuale di scrivere al «tu», con la voce narrante che ricostruisce gli eventi come ricordandoli al protagonista. È giunto al successo a quarant’anni, dopo una lunga gavetta abbastanza anonima, per essere diventato la voce di uno straordinario attore statunitense, e per più di vent’anni ha fuso la sua carriera con questa unica, osannata, attività. Quando l’attore muore suicida, il protagonista smette di parlare. Da qui si avvia una catena di reazioni da parte di tutti coloro che hanno relazioni con lui. Il lettore presto si perde dietro ai comportamenti degli uni e degli altri (moglie, figlio, nuora, avvocato, ex amante...) senza riuscire a immedesimarsi né nel protagonista né in alcuno di essi. La storia diventa estenuante senza che si intuisca lo scopo di tutto ciò, né la crisi del protagonista risulta appassionante o sembra che porti da qualche parte. Ho faticato ad arrivare al fondo, raggiunto solo per vedere come andava a finire e andando ben volentieri a volo d’uccello su tante pagine.

Roberto Falciola

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Carlo Serafini un doppiatore di successo vive con angoscia profonda la morte della famosa star del cinema robert wright a cui aveva da sempre  prestato la voce e a cui deve il suo successo in un momento in cui avrebbe dovuto iniziare a trarre sintesi della sua vita professionale per affontare al meglio l’arrivo della maturita e dell’anzianità , il protagonista e la sua famiglia sono costretti ad affrontare una sorta di trauma primario identificatosi totalmente con l’attore  il doppiatore affronta una crisi e una ricerca  identitaria , smettendo di parlare ed entra in un tunnel di progressiva  parossistica scissione psicotica e paranoica  fino al rischio di perdersi tra descrizioni che ricordano le inquietudine  dei personagggi di dino buzzati e la matemorfosi  psicologica di un nuovo gregor samsa  , il dramma di carlo  si svolge nell’arco di 4 giorni nella casa del protagonista  trasformato  in un sorta di setting analitico collettivo e sarà  la sua rete di relazioni e un contesto inaspettato a salvarlo un attimo prima del precipizio Thriller psicologico scritto con stile  asciutto  rapido e incisivo e  con un indovinato  uso della seconda persona singolare quella del protagonista che trasforma la  narrazione una sorta di steadycam in presa diretta.

Mauro Montalbetti

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Per tutta la vita hai donato la tua voce a un’altra persona: tu che gonfi l’ombra della star che gode della luce di entrambi. Ti sei calato così bene nella parte da non ricordare più le battute del protagonista della tua esistenza. Ma ora devi riprendere in mano lo script di quel film che è la tua, di vita. Sei l’unico personaggio. Dopo la morte dell’attore hollywoodiano, la finzione si crepa e, calato il sipario, non sai più cos’è reale e cosa è finzione. Il dubbio si insinua e ti sembra di essere davanti alla proiezione di una persona che non sai chi sia: te stesso.


Chiara Ciampà

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Una lettura decisamente sopra le righe, una storia piena di cambi di rotta, ossessioni e vicoli cechi.
Interessante l’impalcatura narrativa stravagante e variegata, anche se i continui cambi di tonalità creano una sorta di distacco con i personaggi, si empatizza poco o niente ma si è spettatori attivi del disagio altrui.
Una voce fuori campo parla del protagonista rivolgendoglisi direttamente, come fosse lui stesso oggetto di una messa in scena continua. Attore sul palcoscenico della sua complessa vita, circondato da comparse indispensabili allo scopo ma spesso fastidiose.
Un attore che non è riuscito a decollare con la sua faccia è le sue forze, vicino al giro di boa, si imbatte con la fortuna più grande e inaspettata, viene scelto come voce italiana di una super star holliwoodiana estremamente prolifica. Dedica tutta la sua vita a questo nuovo “Dio”, grazie al quale può permettersi casa, famiglia, viaggi insomma una vita impensabile nei suoi ormai più di quarant’anni in cui ha impersonato il ruolo di eterno precario e semifallito agli occhi del mondo ma sopratutto di se stesso barcamenandosi tra mille difficoltà per tirar su una sorta di stipendio da sopravvissuto ogni mese.
L’incipit della narrazione però nonostante lo colga nel pieno del benessere materiale è l’inizio della fine, ci viene subito presentata la morte del divo e da lì un dipanarsi di eventi a metà tra la commedia e la tragedia, il reale e il surreale si intersecano creando scompiglio.
Ci ritroviamo ad inseguire insieme al protagonista una chiusura del cerchio che sembra quasi impossibile.
Sorprendente il finale segue perfettamente il flusso dando un dignitosissimo sipario a tutto lo scritto.
Ho trovato la prima parte molto lenta, ho fatto molta fatica ad appassionarmi, sicuramente nella seconda metà i colpi di scena hanno acceso la li curiosità rendendo la lettura molto più accattivante.
Un testo insolito e sorprendente anche se non entusiasmante.

Ludovica Maccaferri

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Storia originale, ben scritta, l’impatto è davvero interessante, poi con il passare della lettura la vicenda prende una piega più scontata, i brani che rimandano a continui flashback sono un po’ lunghi e privi di nerbo.
Ci sono sicuramente dei colpi di scena interessanti (forse però il protagonista che va sotto il letto per provare e provocare la reazione dei familiari alla sua scomparsa è eccessivo)
Diciamo che il registro che l’autore vuole tenere oscilla troppo tra l’ironico, il grottesco, ma ci sono anche venature quasi thriller, e forse questo pastiche non giova completamente all’intera vicenda.
Il sottofinale tranchant avrebbe avuto bisogno di qualche spunto in più.
 Nel complesso un libro che si fa leggere, ma non indimenticabile. 

Vittorio Iansiti

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Idea originale. Scrittura impeccabile. Originale anche la scelta del punto di vista e la narrazione in seconda persona. Però dopo un inizio folgorante la narrazione va troppo per le lunghe e si complica, prendendo la strada non soltanto del surreale, ma dell’irrealistico. Il nascondersi in casa senza essere visto è un po’ troppo per il lettore. Finale consolatorio, nel quale tutto sembra ricomporsi. Meglio sarebbe stato se la storia narrata si fosse rivelata un sogno o un’allucinazione del protagonista. Forse la misura giusta era quella del racconto lungo, mentre trascinare la narrazione per trecento pagine fa perdere mordente. Immaginiamo di trasferire questa storia sullo schermo. Sulla pagina può funzionare, grazie allo stile, ma sullo schermo risulterebbe del tutto artificiale. Ricordo un film spagnolo nel quale un portinaio ossessionato da una ragazza si introduce tutte le sere in casa sua e si nasconde sotto il suo letto sinché non riesce a metterla incinta. Sino a un certo punto il film intrigava, poi deragliava. Ecco, il romanzo di Naspini mi ha fatto questa impressione.

Carlo Bitossi

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La trama è originale.
Il ritmo della narrazione è lento all’esordio, ma va in crescendo nel tempo.
L’intreccio non è scontato e la lettura diventa coinvolgente grazie al succedersi dei colpi di scena, che ad un certo punto diventa quasi frenetico.
È invece un po’ noiosa la scelta del punto di vista del personaggio protagonista maschile: a tratti i suoi ragionamenti ricordano quelli dei soggetti dei romanzi di Dostoevskij.
Il tono del testo rimane leggero, anche quando la vicenda affronta problematiche impegnative (tradimenti, paternità, rapporti genitori-figli).
Non si può dire la stessa cosa dello stile. La scelta del tempo del racconto, il passato remoto, e l’utilizzo del narratore onnisciente, che interpella il protagonista utilizzando la seconda persona, appesantiscono la lettura.
All’inizio del racconto, si crea nella mente del lettore una sensazione di sovraffollamento.
Forse, e non è solo un’impressione, l’autore anticipa con questa scelta stilistica lo “sdoppiamento” che svela alla fine del racconto.

Lara Motta

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Cosa succederebbe se la vostra vita professionale si risolvesse nel fare il doppiatore di una celebre star di Hollywood e questi, un bel giorno, decidesse di togliersi la vita, lasciandovi senza lavoro e senza identità? È quello che succede a Carlo Serafini, da più di trent’anni geniale doppiatore di Robert Wright, dopo un esordio piuttosto incerto nel mondo dello spettacolo. La morte del suo “doppio”, Robert Wright, segna per lui la fine di un’esistenza professionale ma anche dell’equilibrio che lo lega alla famiglia e alla società. E lui, tace: decide di non aprire più bocca per non lasciarvi uscire la voce di un morto. La voce di Robert Wright  è un libro particolare, a tratti comico e grottesco. Si legge velocemente ma vi lascia appesi ad un inquietante interrogativo: e se io non fossi chi credo di essere?

Renata Enzo

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Libro da leggere di un fiato, ci ho messo precisamente due notti. Ho trovando una profonda umanità in tutti i personaggi del romanzo in quanto descritto fin da subito nelle loro fragilità, differentemente da molto romanzi in cui virtù e capacità personali spiccano. Fin da subito il lettore si rende conto di entrare in una famiglia normale con numerosi disagi. Perché attualmente la normalità vive nel disagio.
La volontà e l’esigenza del protagonista di smettere di parlare mette in luce da una parte la forza del silenzio in contrapposizione a quella delle parole, oggi per lo più usate per far valere la propria ragione su quella degli altri.
Il silenzio permette di essere inscalfibili, fa perdere la pazienza a coloro che attendono risposte ed eregge la persona su un piedistallo conferendole un senso di intoccabilità.
Allo stesso modo il silenzio fa emergere le fragilità e le incertezze. Permette di analizzare e comprendere se stessi e le persone che ci stanno intorno.
Il protagonista ha parlato per lungo tempo con lo scopo di dar voce ad un attore famoso rendendolo comprensibile in una certa lingua a migliaia di persone. Nel far questo ha perso se stesso e la sua di voce. In seguito alla morte di questa persona famosa entra in profonda crisi, perde il senso della propria vita. Tutto questo viene amplificato da una patologia che viene spiegata al lettore solo a metà del romanzo.
In realtà il protagonista non si rende conto che nella scelta di dedicarsi interamente a dar voce a Robert Wright si è dimenticato negli anni di parlare con la propria voce, di essere riconosciuto dagli altri come Carlo, ovvero un essere umano individuale.
Vivendo in funzione di dar voce ad un’altra persona soltanto con il silenzio il protagonista riesce a far emergere la sua esistenza.
Importanti sia per il protagonista nel romanzo che per il lettore sono stati i dialoghi della famiglia svoltesi in salotto. La moglie Marta e il figlio Filippo hanno usato per tutta la vita il silenzio come arma di protezione e hanno parlato con le persone più vicine della malattia di Carlo solo quando non era possibile fare altrimenti.
Questo libro ci pone di fronte all’importanza del silenzio, di quando il silenzio è necessario, di quando invece bisogna usare le parole. Spesso si dice “non è il momento”, senza sapere quando  deve trovare spazio il dialogo e quando il silenzio.
La malattia del protagonista può trovare spazio in tutti noi. La difficoltà di identificarsi, di legittimarsi e di non conoscere se stessi non è rara negli  anni in cui viviamo.

Alessia Bogiolati

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Echi pirandelliani a gogo per il romanzo di Sasha Naspini. L’estraneazione del protagonista dalla vita reale, è assolutamente riconoscibile dall’utilizzo della seconda persona durante la narrazione. La salute mentale di Carlo, protagonista del romanzo, rimane compromessa da una vita in cui ha indossato troppe " maschere" e forse, non proprio per questo, l’ha mai vissuta. Una sorta di spettacolo teatrale che ha inizio da molto prima della morte di Robert Wright, il famoso attore a cui carlo ha prestato la sua voce doppiandolo: la morte è stato solo il casus belli per far riaffiorare il suo malessere psicologico e le sue molteplici personalità. Oltre  Pirandello, mi ha ricordato anche "I Baffi" di Carrére, ed essendo un’amante del genere, non posso che consigliarlo calorosamente.


Eliana Tripaldi