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Libro molto curato. Buono l’intreccio tra le storie dei due protagonisti ; il contrasto tra un uomo che ha perso la memoria di tutta la sua adolescenza e una donna che vorrebbe invece , nello stesso tempo, cancellare e inseguire la sua di adolescenza, segnata da una violenza sessuale. Bello il colpo di scena finale. La mia decisione non è stata semplice , mi sono preso due giorni per rifletterci. Carofiglio perde , a mio modesto avviso, perché in confronto dell’altro libro è molto asciutto , asettico, pochi personaggi con vite " da romanzo" .
Andrea Somma
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Sebbene inizialmente ho trovato la storia un pochino intricata ho amato molto questo libro e la trama.
Chiara Saccani
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Non riesci a smettere di leggero perchè vuoi sapere tutto, quel tutto è un tela vuota che nessuno sa da dove iniziare per dipingerla.
Giada Frisoni
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Il libro narra la storia di due vite parallele che a un certo punto della loro esistenza si incontrano e si rivelano.
Il libro inizia con la descrizione di un incidente accaduto ad una famiglia composta da madre padre e figlio ventenne; si scoprirà nelle pagine successive che sarà Stefano, il figlio, l’unico sopravvissuto.
Stefano sarà il protagonista del racconto che si snoderà attraverso la ricerca della memoria per sempre perduta non solo avvalendosi del terapeuta ma approfondendo l’argomento attraverso i suoi studi e il suo lavoro di docente.
Concretizzerà il suo pensiero e il suo vissuto attraverso la pubblicazione di un libro biografico improntato sulla perdita della memoria, che lo porterà ad uscire dal suo isolamento ed a incontrare delle persone durante le presentazioni del suo libro.
“Era come se la perdita della memoria avesse reciso un nervo e inibito il senso del contatto. Non era felice, ma non soffriva”.
Importante la presenza del nonno Zeno che lo porterà a vivere nella masseria in Puglia e che non vorrà costruirgli attraverso i ricordi i suoi primi vent’anni. Terminati gli studi universitari si trasferirà stabilmente a Parigi.
Nina è l’altra vita raccontata, è un’adolescente chiusa, riservata, timida che vive l’isolamento come malessere a differenza di Stefano. Anch’essa incapace di superare il ricordo di quella festa serale estiva in riva al mare dove ha conosciuto un ragazzo con cui si era appartata.
Le loro vite si rincontreranno a Parigi e inizieranno una relazione. Si scoprirà che l’incontro non è stato del tutto casuale e il finale lascerà il lettore piacevolmente sorpreso.
Laura Favaro
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Una trama avvincente che tocca nel profondo ognuno di noi. Ci regala un viaggio introspettivo che ci pone di fronte a molte domande. L’esperienza e la saggezza degli anziani viene valorizzata e i continui dialoghi tra i personaggi danno un ritmo veloce e coinvolgente al racconto.
Gaia Marani
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Lettura appassionante e colta con rimandi e curiosità storici e filosofici. Interessante l’intreccio della trama.
Luciano La Letta
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Elisabetta Mora
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Non avevo mai letto un testo di Francesco Carofiglio, la lettura del romanzo Le nostre vite è stata una scoperta piacevolissima che mi ha spinto a una rilettura per scoprire nuovi aspetti nel flusso dei misteri che compongono le vite dei personaggi, per cogliere i rimandi alla filosofia e alla letteratura che schiudono nuovi percorsi interpretativi. Nel romanzo si alternano due piani narrativi paralleli per raccontare due vite spezzate, che hanno subito durante l’adolescenza un trauma talmente grave che li ha segnati nel profondo. A differenza delle leggi matematiche le due vite ad un certo punto si incontreranno per dar vita ad un amore che forse li curerà. Lo scrittore è riuscito a creare una atmosfera sospesa che rende la lettura assai piacevole.
Mi ha colpito la capacità di descrivere gli ambienti cittadini sia quelli naturali. La descrizione dell’incontro tra il protagonista e l’orango non solo è magica, ma anche tenerissima. Carofiglio ha il coraggio di scandagliare fin nel profondo le emozioni con empatia e senza giudicare.
Carla Maria Guastalla
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Un trama che gradualmente coinvolge ma senza emozionare, temi e tracce che incrementano il loro peso nell’economia del romanzo rimanendo comunque tracce, non solchi profondi: il tema del doppio, una storia d’amore che sale e fa percepire gradualmente la sua presenza (e importanza) , la memoria (cosi diversamente vissuta nei due protagonisti), la filosofia che occhieggia e ci rimanda via via a riferimenti importanti ma che non sfondano nel senso del colpire il lettore con assonanze decisive tra romanzo e storiografia ( pietre miliari filosofiche lasciate un po qua e la’), ma comunque una scrittura non soporifera , divertente, non pesante, anche se certamente non sensazionale né “impressionista”; e infine, “abbellimenti “ (dialoghi un po surreali, più da fiction che da romanzo psicologico, inserimenti di personaggi non utili alla narrazione e alla costruzione delle situazioni, argomenti -anche culinari- poco pertinenti alla trama) che diversamente da quelli di uno spartito musicale danno a volte la sensazione del riempimento forzato, più che quello della funzionalità al tema narrativo.
In altri termini, e in sintesi, la trama avrebbe tutti gli ingredienti per essere avvincente, ma una certa narrazione non certo epica, i dialoghi con poca o senza tensione, il modo di definire i personaggi, gli aspetti dei loro differenti quadri psicologici, e il ritmo narrativo, lasciano il lettore un poco disorientato, tra l’ attesa di colpi di scena che non arrivano, e le pastoie di riflessioni intime a volte irrisolte o con conclusioni a volte inesistenti (p. es. poco convincente il rapporto tra il protagonista e la sua analista). Un romanzo a cui ci si avvicina con grande curiosità e che gradualmente inclina ad una lettura distesa, e che dopo l’ultima pagina ci lascia pacatamente sereni senza gli sconvolgimenti che generano le pietre miliare della letteratura moderna.
Leonardo Pinzi
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Camilla Camilli
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Il viaggio letterario che l’autore svolge in questo scritto, è scandito
da visioni oniriche precise e dettagliate che aiuteranno il protagonista
nella ricerca di qualcosa che non gli appartiene piu ma che in seguito
riuscirà a estrapolare grazie anche ad un percorso di ricerca interiore
che dure negli anni.
Decisamente rappresentativi sono i luoghi dove
la storia si sviluppa intorno a realtà diametralmente opposte per
importanza artistica e naturale ma pur sempre legate da un filo che lega
la vita del protagonista.
Nonostante i vari riferimenti letterari,
cinematografici, e via discorrendo, molto apprezzati e fonte di spunti
per un eventuale approfondimento, l’unica cosa che mi ha lasciato molto
perplesso (e un po’ scettico) è l’episodio dove il protagonista, nel
parco, si avvicina alla gabbia dello scimpanzé e questi si toccano con
l’indice delle rispettive mani Mi sembra un riferimento un po’ forzato
al Giudizio universale di Michelangelo che l’autore poteva anche farne a
meno.
Per il resto posso dire che il racconto è piacevole e si
uniforma a molti altri racconti dove i ricordi del passato fanno
riaffiorare quella nostalgia che caratterizza poi anche la vita reale di
ogni individuo.
Il riferimento ad un alter ego che in certi momenti
riaffiora nella mente del protagonista mi fa riflettere e pensare che il
dubbio che Lupo e Stefano siano la stessa persona sia un tratto
distintivo dell’autore nel voler lasciare quel piccolo mistero alla
decisione del lettore se ciò sia vero oppure no.
Nel complesso,
giudico questo racconto molto articolato e interessante dal punto di
vista intuitivo e descrittivo nel senso che lo svolgimento dello stesso,
risulta appropriato nella descrizione di quel concetto psicologico
dell’amnesia dissociativa che caratterizza un momento difficile di ogni
individuo che attraversa una parte della propria vita in seguito a
traumi avuti in passato e mai accettati dal proprio subconscio.
Filippo Berruti
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Un testo tutto sommato gradevole ma con qualche pretesa di troppo: difficile voler eviscerare nel profondo la psicologia del protagonista e poco verosimile il legame, piuttosto forzato, che emerge alla fine del romanzo, tra lo stesso protagonista e la donna di cui si è innamorato, con un mini-colpo di scena finale poco probabile.
Ada Marchesini
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Nonostante la brillante carriera da professore universitario, filosofo e scrittore, Stefano Sartor fatica a vivere appieno il proprio presente perché è un uomo senza passato. Reduce da una violenta esplosione domestica che lo rese orfano di entrambi i genitori e della memoria dei suoi primi 19 anni di vita, era stato adottato da Zeno, nonno materno e unico parente rimasto, che per proteggerlo dal dolore lo aveva sradicato dalla vita nella Capitale e lo aveva immerso nel suo mondo rurale della Valle d’Itria. Ma di tutto ciò il lettore è reso al corrente solo parzialmente e per mezzo dei continui flashback del protagonista, il quale vive a Parigi da decenni ma ritorna spesso col pensiero ai mesi di convalescenza e poi agli anni trascorsi presso l’azienda agricola pugliese sapientemente gestita da Zeno. La vicenda di Stefano, alle prese con la promozione della sua recente autobiografia, è intervallata dal resoconto di una serata estiva (in un passato non precisamente collocato) durante la quale la sedicenne Nina, in vacanza al mare con la madre, si sente finalmente parte di un gruppo e in particolare sperimenta l’attrazione per l’avvenente e carismatico Lupo. I filoni procedono in parallelo per circa metà romanzo, tanto che il lettore è portato a chiedersi se esista o meno un nesso tra le due vicende o se sia solo un vezzo dell’autore, uno stratagemma adottato per narrare “le loro vite” così come preannunciato dal titolo. E invece il collegamento arriva eccome, con successivi colpi di scena che mettono ripetutamente in discussione le certezze acquisite nel corso del racconto e che finalmente ingaggiano il lettore costringendolo ad una più assidua partecipazione.
Complessivamente si ha la percezione che le continue digressioni, non funzionali allo sviluppo della trama (una fra tutte i frequenti diari dei sogni del protagonista), siano solo un pretesto per allungare il numero di pagine rimandando l’effettiva spiegazione dei fatti, ed hanno invece l’effetto di far procedere il lettore quasi svogliatamente. Quell’alone di mistero che Carofiglio vorrebbe assegnare alla trama si rivela piuttosto una lacuna, per cui anche a lettura tutto sommato piacevolmente conclusa non ci ritroviamo davvero immersi nella psicologia dei protagonisti. Ad una riflessione più accurata insorgono poi altri quesiti: come si spiega l’esplosione iniziale? Dalla descrizione siamo portati a pensare ad un attentato, ma nel seguito del romanzo non troviamo nessuna allusione alla vita dei genitori che possa giustificare una matrice terroristica. O ancora, quanto è verosimile l’idea di poter cancellare con un colpo si spugna la vita di un ragazzo semplicemente con un trasloco e un nuovo cognome? Veramente nessun amico, insegnante, conoscente, si è mai preso la briga di ricercarlo e narrargli del suo passato? Se da un lato possiamo perdonare al romanzo tali ombre e incongruenze giustificandole come licenza narrativa, dall’altro sarebbe auspicabile una maggiore precisione nella citazione di dati incontestabili: la ninna-nanna Ah, vous dirai-je Maman non è affatto opera di Mozart come affermato, ma un canto popolare francese del XVIII secolo (famoso anche oggi nella versione Twinkle, twinkle little star, per cui oltretutto risulta poco plausibile che il protagonista ne dica di ricordare la melodia senza motivo...) sul quale il compositore salisburghese compose delle variazioni. Salta inoltre subito all’occhio che il Concerto n°5 per pianoforte K.622 ascoltato da Stefano non possa sicuramente appartenere a Bach in quanto il catalogo Köchel, abbreviato “K.”, è utilizzato unicamente per le opere di Mozart (e del quale in ogni caso il numero K.622 risulta essere il concerto per clarinetto e orchestra). Ma noi siamo indulgenti e vogliamo pensare che si tratti solamente di sviste di un autore che si intende sicuramente meglio di altri ambiti e che non si è preoccupato di controllare la veridicità di certe fonti...tanto chi vuoi che se ne accorga!?
Eleonora Ficola
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In seguito al successo editoriale riscosso dal saggio che ripercorre una sua tragica vicenda famigliare, Stefano Sartor, professore di filosofia alla Sorbona, conosce un’avvenente fotografa, Anna Castiglioni. Fra i due si crea un’immediata attrazione su cui aleggia un alone di mistero e di timori. Stefano ha perso i genitori e la memoria in un incidente. A trent’anni di distanza, sta tentando di recuperare il passato col supporto di uno psicologo. Anna, invece, non ha ancora metabolizzato una fulminea storia d’amore che la rese madre a sedici anni, sconvolgendo la sua esistenza. All’epoca si faceva chiamare Nina. Il pieno sostegno della madre l’aiuterà a uscirne fuori, consentendole di diventare un’affermata professionista. A prendersi cura di Stefano è stato nonno Zeno, portandolo a vivere nella sua fattoria agricola in Puglia. Il forte legame che lo lega a quella terra si sfilaccia alla morte del nonno, che lo lascia erede della tenuta. Vivendo in Francia, non può più seguire la gestione dell’azienda e sta valutando un’offerta di cessione. La relazione fra Anna e Stefano si consolida. Confidandosi, ripercorrono i buchi oscuri della memoria, Scoprono così di essersi conosciuti e frequentati quando lei era in vacanza in Puglia e lui s’era preso una cotta per lei. Si genera un equivoco che li porta a credere di essere proprio i due ragazzi che in una nottata di allegria in riva al mare hanno fatto l’amore e poi si sono persi senza cercarsi più. Il risentimento di lei e il senso di colpa di lui mette in crisi il loro rapporto. Sarà una lettera ritrovata nelle carte di nonno Zeno a chiarire le cose: Stefano era solo il timido innamorato che non s’era fatto avanti, e a togliere la verginità a Nina è stato Lupo, il capobranco che non perde le occasioni. La ritrovata serenità porta Stefano Sartor a ridisegnare il suo futuro: invece di lasciare la Puglia, deciderà di lasciare Parigi. Anche Anna comincerà a pensarci.
Luca Antonio Catoggio
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Confesso che dopo 20 pagine ho smesso. È un mio diritto, no? Diritto riconosciuto a livello internazionale, tra l’altro. Dialoghi piatti, artificiosi, da primo mese di corso di scrittura creativa. La storia, poi, che non decolla... Personaggi appena tratteggiati, e superficialmente, per giunta. Non mi chiedo “Perché l’hanno pubblicato?” giusto per non aprire polemiche.
Carlo Floris
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"La vita può cambiare in un momento": nulla di più vero per il
protagonista di questo romanzo, che conosciamo adolescente per i pochi
attimi che precedono un evento tragico che influenzerà il resto della
sua esistenza, cioè una non meglio definita (e tale resterà per tutto il
romanzo) esplosione che spazza via in un attimo la sua famiglia e la
sua vita precedente, di cui non gli resta memoria alcuna. Lo ritroviamo a
distanza di trent’anni, stimato professore e scrittore, ma è ancora un
uomo spezzato, nonostante la tenacia e la forza d’animo del saggio nonno
lo abbiano a un tempo protetto e rinchiuso tra i confini sicuri di un
legame familiare necessario ma in qualche modo posticcio. I continui
flashback tra passato e presente accompagnano il lettore nella
ricomposizione del puzzle della personalità del protagonista,
avvicinando le storie parallele dei personaggi del romanzo, che si
sfiorano ma senza sovrapporsi completamente, tra eventi poco realistici,
coincidenze forzate, dialoghi di spessore altalenante, protagonisti un
po’ stereotipati. Lo stile narrativo è indubbiamente scorrevole, pur se
appesantito da certi espedienti di dubbia utilità, come l’uso dei tre
puntini tra virgolette ogni volta (tantissime volte!) che in un dialogo
un personaggio evita di rispondere e la battuta torna al precedente.
Il
finale è deludente: la ricerca forzata e un po’ sbrigativa del colpo di
scena e dell’happy ending suona come un’occasione persa, che altrimenti
avrebbe reso il dissidio interiore del protagonista qualcosa di più del
solo frutto di un vuoto da colmare, caricandolo piuttosto di un dilemma
etico tutto da affrontare e lasciando in mano al lettore interrogativi
importanti cui provare a rispondere. Al contrario, poco resta di questo
romanzo se non la piacevolezza di un intrattenimento riuscito, ma senza
troppe pretese.
Elisabetta Bertoldi
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Un viaggio nella memoria è quello che fa Stefano Santor, per ritrovare
la propria identità, perduta all’età di 19 anni, in seguito ad un
incidente stradale in cui sono morti i suoi genitori.
Zeno,
l’amorevole nonno che si prenderà cura di lui, allontanandolo dal trauma
subito, portandolo nelle campagne pugliesi e addirittura cambiandogli
nome, da Giovanni a Stefano che diventerà l’amico, il genitore, il
confidente.
Stefano studia, si laurea, fino a quando non va a ricoprire la cattedra di Filosofia alla Sorbona a Parigi.
Si
sentirà comunque una persona a metà cosa che lo spingerà a continui
sforzi per superare la sua amnesia e recuperare i primi venti anni della
sua vita. Intraprende un percorso psicologico e scriverà anche un
romanzo autobiografico che però non sembra lo porti nella giusta
direzione.
L’incontro con Anna all’età di cinquanta anni, determina
un risveglio di ciò che per molto tempo ha cercato di occultare, la
paura di confrontarsi con i suoi sentimenti e di innamorarsi allontanata
perché temuta.
Quello che scatta con Anna è un sentimento spontaneo,
nuovo, una sintonia in cui Stefano si sente a suo agio, come potrebbe
essere il ritrovarsi con una vecchia amica…
Ma anche Anna ha un
periodo della propria vita che ha deciso di cancellare, anche lei ha
cambiato nome, Nina, la ragazzina sedicenne che si ritrova di notte in
una spiaggia, insieme ad un gruppo di adolescenti, con le loro
spavalderie e i loro timori, incerta e timida, che a seguito di
particolari vicende cambierà il suo nome in Anna, la donna impegnata che
chiuderà alle spalle una porta che non vorrà più aprire.
Poi
l’incontro fatale con Stefano in cui emergeranno ricordi sopiti,
sospetti, ma anche sentimenti che prepotentemente emergeranno
sconvolgendo la sua esistenza.
Ed è in questo incontro che arriverà
per entrambi la risposta alle loro vite irrisolte, enigmi che si
scioglieranno dando inizio ad un percorso di revisione per poter
finalmente ritrovare nella loro esistenza quella serenità per
riconoscersi.
Apprezzabili e molto belli le sensazioni di palpiti di
sentimenti, mentre a volte superfluo quel voler insistere su dettagli
descrittivi che possono allontanare dalla trama del discorso.
Maria Sofia Aversa
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In questo romanzo ci sono le storie di quattro vite, quelle di Stefano,
Lupo, Nina e Anna che si intrecciano e si sovrappongono condividendo
dolori e piaceri. Stefano all’età di diciannove per un incidente perde i
genitori e la memoria della vita vissuta fino a quel momento. Chi era
prima non esiste più: deve ricostruire un’esistenza sul buio dei ricordi
e lo fa grazie all’esempio forte e luminoso di suo nonno Zeno che lo
circonda di natura e di libri. Nina è una bella ragazza di sedici anni
che ama lo sport, un po’ insicura e diffidente. In vacanza si innamora
di Lupo: un affascinante ventenne, musicista e intraprendente. Anna è
una donna adulta che vive da vagabonda cosmopolita: cattura la vita
degli altri con la macchina fotografica, nascondendo all’obiettivo una
ferita del passato.
Carofiglio con una scrittura limpida e
suggestiva ci rende spettatori di una storia che nasconde diversi
scenari temporali e spaziali. Ci svela con una punta di mistero e di
inganno le vicende che si si toccano, si mescolano e si risolvono in un
finale sorprendente e consolante. Un romanzo piacevole e ben scritto;
Carofiglio ha saputo disegnare in modo convincente le personalità e le
emozioni dei personaggi che si alternano nella storia. Ci sono però dei
dettagli della vicenda poco chiari e non approfonditi, nel voler
mantenere un certo grado di mistero ha omesso qualche informazione che
avrebbe forse reso la storia più convincente.
Francesca Fanucci
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Un ragazzo perde la memoria senza possibilità di ricostruire il suo
passato. Divenuto oramai un uomo intesse una relazione con una donna che
lo crede la sua prima esperienza sessuale nonché la grande delusione
che l’ha segnata. In realtà si tratta di un altro ragazzo che gravitava
nella stessa sfera di amicizie.
Anche questo libro non sembra pensato
per intrattenere, lo scrittore si perde in elucubrazioni e descrizioni
troppo lunghe che non aggiungono niente alla storia provocando solo un
calo dell’attenzione del lettore.
La trama si presta a numerose
incongruenze, fra tutte proprio l’assenza degli amici o professori o
autorità che aiutino il ragazzo a riconquistare la memoria perduta e il
suo aspetto originario (com’è possibile che nessun compagno di classe
avesse una sua foto? Quali chirurghi accettano di effettuare una
ricostruzione del viso così velocemente e senza una ricerca e studio
accurato della sua immagine originaria? Gli amici fraterni come possono
scomparire in un momento come questo?)
L’effetto finale è che la storia fosse solo un pretesto per lo scrittore e non lo scopo.
Valentina Federici