< Le nostre vite di  Francesco Carofiglio (Piemme)

Qui di seguito le recensioni di LeNostreVite raccolte col torneo 'nar' (tutte le fasi)

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Libro molto curato. Buono l’intreccio tra le storie dei due protagonisti ; il contrasto tra un uomo che ha perso la memoria di tutta la sua adolescenza e una donna che vorrebbe invece , nello stesso tempo, cancellare e inseguire la sua di adolescenza, segnata da una violenza sessuale. Bello il colpo di scena finale. La mia decisione non è stata semplice , mi sono preso due giorni per rifletterci. Carofiglio perde , a mio modesto avviso, perché in confronto dell’altro libro è molto asciutto , asettico, pochi personaggi con vite " da romanzo" .

Andrea Somma

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Sebbene inizialmente ho trovato la storia un pochino intricata ho amato molto questo libro e la trama.

Chiara Saccani

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Non riesci a smettere di leggero perchè vuoi sapere tutto, quel tutto è un tela vuota che nessuno sa da dove iniziare per dipingerla.

Giada Frisoni

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Il libro narra la storia di due vite parallele che a un certo punto della loro esistenza si incontrano e si rivelano.
Il libro inizia con la descrizione di un incidente accaduto ad una famiglia composta da madre padre e figlio ventenne; si scoprirà nelle pagine successive che sarà Stefano, il figlio, l’unico sopravvissuto.
Stefano sarà il protagonista del racconto che si snoderà attraverso la ricerca della memoria per sempre perduta non solo avvalendosi del terapeuta ma approfondendo l’argomento attraverso i suoi studi e il suo lavoro di docente.
Concretizzerà il suo pensiero e il suo vissuto attraverso la pubblicazione di un libro biografico improntato sulla perdita della memoria, che lo porterà ad uscire dal suo isolamento ed a incontrare delle persone durante le presentazioni del suo libro.
“Era come se la perdita della memoria avesse reciso un nervo e inibito il senso del contatto. Non era felice, ma non soffriva”.
Importante la presenza del nonno Zeno che lo porterà a vivere nella masseria in Puglia e che non vorrà costruirgli attraverso i ricordi i suoi primi vent’anni. Terminati gli studi universitari si trasferirà stabilmente a Parigi.
Nina è l’altra vita raccontata, è un’adolescente chiusa, riservata, timida che vive l’isolamento come malessere a differenza di Stefano. Anch’essa incapace di superare il ricordo di quella festa serale estiva in riva al mare dove ha conosciuto un ragazzo con cui si era appartata.
Le loro vite si rincontreranno a Parigi e inizieranno una relazione. Si scoprirà che l’incontro non è stato del tutto casuale e il finale lascerà il lettore piacevolmente sorpreso.

Laura Favaro

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Una trama avvincente che tocca nel profondo ognuno di noi. Ci regala un viaggio introspettivo che ci pone di fronte a molte domande. L’esperienza e la saggezza degli anziani viene valorizzata e i continui dialoghi tra i personaggi danno un ritmo veloce e coinvolgente al racconto.

Gaia Marani

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Lettura appassionante e colta con rimandi e curiosità storici e filosofici. Interessante l’intreccio della trama.

Luciano La Letta

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Parma “Voglia di leggere - Ines Martorano”
coordinato da Pietro Curzio
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Francesco    Carofiglio    Le nostre vite    Piemme
Il romanzo si snoda su diversi piani, nel passato, nel presente, nella dimensione del sogno. E’ la storia delle "vite" dei due personaggi che Carofiglio ci propone, storie che viaggiano parallele ma che saranno poi destinate ad incontrarsi. Un passato che non esiste per Stefano che, vittima a 19 anni di un grave incidente, perde i suoi genitori, la memoria e con essa la sua infanzia e la sua giovinezza. Il risveglio dal coma gli lascia un vuoto cosmico che lo accompagna da sempre, fino a quando un pò per scelta e un pò per caso, grazie anche all’incontro con Anna, deciderà/riuscirà a far riemergere i ricordi per tanto tempo sopiti e a dare una svolta alla sua vita. Un passato invece molto presente e doloroso per Nina che, sedicenne, vive un trauma che la accompagnerà per tutta la vita. Un ricordo dunque incombente che produce ansia, sensi di colpa e che l’ha segnata per sempre. Quindi un passato, assente per l’uno, incombente per l’altra. Per entrambi un cambio di "identità": per volontà del nonno nel caso di Stefano, che lo vuole proteggere da dolorosi ricordi, per sua scelta nel caso di Anna, che vuole prendere le distanze da una storia di sofferenza. Il presente è per entrambi un incontro che potrà, forse, rappresentare l’inizio di una nuova vita.

Elisabetta Mora

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Non avevo mai letto un testo di Francesco Carofiglio, la lettura del romanzo Le nostre vite è stata una scoperta piacevolissima che mi ha spinto a una rilettura per scoprire nuovi aspetti nel flusso dei misteri che compongono le vite dei personaggi, per cogliere i rimandi alla filosofia e alla letteratura che schiudono nuovi percorsi interpretativi. Nel romanzo si alternano due piani narrativi paralleli per raccontare due vite spezzate, che hanno subito durante l’adolescenza un trauma talmente grave che li ha segnati nel profondo. A differenza delle leggi matematiche  le due vite ad un certo punto si incontreranno per dar vita ad un amore che forse li curerà. Lo scrittore è riuscito a creare una atmosfera sospesa che rende la lettura assai piacevole.
Mi ha colpito la capacità di descrivere gli ambienti cittadini  sia quelli naturali. La descrizione dell’incontro tra il protagonista e l’orango non  solo è magica, ma anche tenerissima. Carofiglio ha il coraggio di scandagliare fin nel profondo le emozioni con empatia e senza giudicare.

Carla Maria Guastalla

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Un trama che gradualmente coinvolge ma senza emozionare, temi e tracce che incrementano il loro peso nell’economia del romanzo rimanendo comunque tracce, non solchi profondi: il tema del doppio, una storia d’amore che sale e fa percepire gradualmente  la sua presenza (e importanza) ,  la memoria (cosi diversamente vissuta  nei due protagonisti), la filosofia che occhieggia e ci rimanda via via a riferimenti importanti ma che non sfondano nel  senso del colpire il lettore con assonanze decisive  tra romanzo e storiografia ( pietre miliari filosofiche lasciate un po qua e la’), ma comunque  una scrittura non soporifera , divertente,  non pesante, anche se certamente non sensazionale né “impressionista”; e  infine, “abbellimenti “  (dialoghi un po surreali, più da fiction che da romanzo psicologico,  inserimenti di personaggi non utili alla narrazione e alla costruzione delle situazioni, argomenti -anche culinari- poco pertinenti alla trama) che diversamente da quelli di uno spartito musicale  danno a volte la  sensazione  del  riempimento forzato, più  che quello della funzionalità al tema narrativo.
In altri termini, e in sintesi,  la trama avrebbe tutti gli ingredienti per essere avvincente, ma una certa narrazione non certo epica, i dialoghi con poca o senza tensione, il modo di definire  i personaggi, gli aspetti dei loro differenti quadri psicologici, e il ritmo narrativo, lasciano il lettore un poco disorientato, tra l’ attesa di colpi di scena che non arrivano, e  le pastoie di riflessioni intime a volte irrisolte o con conclusioni a volte inesistenti (p. es.  poco convincente il rapporto tra il protagonista e la sua analista).  Un romanzo a cui ci si avvicina con grande curiosità e che gradualmente inclina ad una lettura distesa, e che dopo l’ultima pagina ci lascia pacatamente sereni senza gli sconvolgimenti che generano le  pietre miliare della letteratura moderna.   

Leonardo Pinzi

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Grandi lettori
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È un romanzo in cui i legami con le persone più care, che meglio sanno sanare le nostre ferite (non solo quelle fisiche), sono i veri protagonisti. A questi si aggiungono l’importanza della memoria e del nostro passato, di come possiamo usarlo per costruirci un futuro non per forza aderente alle aspettative.
Il tutto ci viene mostrato attraverso le vite dei due protagonisti, che nel finale convergono senza però darci un finale troppo scontato.

Camilla Camilli

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Il viaggio letterario che l’autore svolge in questo scritto, è scandito da visioni oniriche precise e dettagliate che aiuteranno il protagonista nella ricerca di qualcosa che non gli appartiene piu ma che in seguito riuscirà a estrapolare grazie anche ad un percorso di ricerca interiore che dure negli anni.
Decisamente rappresentativi sono i luoghi dove la storia si sviluppa intorno a realtà diametralmente opposte per importanza artistica e naturale ma pur sempre legate da un filo che lega la vita del protagonista.
Nonostante i vari riferimenti letterari, cinematografici, e via discorrendo, molto apprezzati e fonte di spunti per un eventuale approfondimento, l’unica cosa che mi ha lasciato molto perplesso (e un po’ scettico) è l’episodio dove il protagonista, nel parco, si avvicina alla gabbia dello scimpanzé e questi si toccano con l’indice delle rispettive mani Mi sembra un riferimento un po’ forzato al Giudizio universale di Michelangelo che l’autore poteva anche farne a meno.
Per il resto posso dire che il racconto è piacevole e si uniforma a molti altri racconti dove i ricordi del passato fanno riaffiorare quella nostalgia che caratterizza poi anche la vita reale di ogni individuo.
Il riferimento ad un alter ego che in certi momenti riaffiora nella mente del protagonista mi fa riflettere e pensare che il dubbio che Lupo e Stefano siano la stessa persona sia un tratto distintivo dell’autore nel voler lasciare quel piccolo mistero alla decisione del lettore se ciò sia vero oppure no.
Nel complesso, giudico questo racconto molto articolato e interessante dal punto di vista intuitivo e descrittivo nel senso che lo svolgimento dello stesso, risulta appropriato nella descrizione di quel concetto psicologico dell’amnesia dissociativa che caratterizza un momento difficile di ogni individuo che attraversa una parte della propria vita in seguito a traumi avuti in passato e mai accettati dal proprio subconscio.

Filippo Berruti

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Un testo tutto sommato gradevole ma con qualche pretesa di troppo: difficile voler eviscerare nel profondo la psicologia del protagonista e poco verosimile il legame, piuttosto forzato, che emerge alla fine del romanzo, tra lo stesso protagonista e la donna di cui si è innamorato, con un mini-colpo di scena finale poco probabile.

Ada Marchesini

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Nonostante la brillante carriera da professore universitario, filosofo e scrittore, Stefano Sartor fatica a vivere appieno il proprio presente perché è un uomo senza passato. Reduce da una violenta esplosione domestica che lo rese orfano di entrambi i genitori e della memoria dei suoi primi 19 anni di vita, era stato adottato da Zeno, nonno materno e unico parente rimasto, che per proteggerlo dal dolore lo aveva sradicato dalla vita nella Capitale e lo aveva immerso nel suo mondo rurale della Valle d’Itria. Ma di tutto ciò il lettore è reso al corrente solo parzialmente e per mezzo dei continui flashback del protagonista, il quale vive a Parigi da decenni ma ritorna spesso col pensiero ai mesi di convalescenza e poi agli anni trascorsi presso l’azienda agricola pugliese sapientemente gestita da Zeno. La vicenda di Stefano, alle prese con la promozione della sua recente autobiografia, è intervallata dal resoconto di una serata estiva (in un passato non precisamente collocato) durante la quale la sedicenne Nina, in vacanza al mare con la madre, si sente finalmente parte di un gruppo e in particolare sperimenta l’attrazione per l’avvenente e carismatico Lupo. I filoni procedono in parallelo per circa metà romanzo, tanto che il lettore è portato a chiedersi se esista o meno un nesso tra le due vicende o se sia solo un vezzo dell’autore, uno stratagemma adottato per narrare “le loro vite” così come preannunciato dal titolo. E invece il collegamento arriva eccome, con successivi colpi di scena che mettono ripetutamente in discussione le certezze acquisite nel corso del racconto e che finalmente ingaggiano il lettore costringendolo ad una più assidua partecipazione.

Complessivamente si ha la percezione che le continue digressioni, non funzionali allo sviluppo della trama (una fra tutte i frequenti diari dei sogni del protagonista), siano solo un pretesto per allungare il numero di pagine rimandando l’effettiva spiegazione dei fatti, ed hanno invece l’effetto di far procedere il lettore quasi svogliatamente. Quell’alone di mistero che Carofiglio vorrebbe assegnare alla trama si rivela piuttosto una lacuna, per cui anche a lettura tutto sommato piacevolmente conclusa non ci ritroviamo davvero immersi nella psicologia dei protagonisti. Ad una riflessione più accurata insorgono poi altri quesiti: come si spiega l’esplosione iniziale? Dalla descrizione siamo portati a pensare ad un attentato, ma nel seguito del romanzo non troviamo nessuna allusione alla vita dei genitori che possa giustificare una matrice terroristica. O ancora, quanto è verosimile l’idea di poter cancellare con un colpo si spugna la vita di un ragazzo semplicemente con un trasloco e un nuovo cognome? Veramente nessun amico, insegnante, conoscente, si è mai preso la briga di ricercarlo e narrargli del suo passato? Se da un lato possiamo perdonare al romanzo tali ombre e incongruenze giustificandole come licenza narrativa, dall’altro sarebbe auspicabile una maggiore precisione nella citazione di dati incontestabili: la ninna-nanna Ah, vous dirai-je Maman non è affatto opera di Mozart come affermato, ma un canto popolare francese del XVIII secolo (famoso anche oggi nella versione Twinkle, twinkle little star, per cui oltretutto risulta poco plausibile che il protagonista ne dica di ricordare la melodia senza motivo...) sul quale il compositore salisburghese compose delle variazioni. Salta inoltre subito all’occhio che il Concerto n°5 per pianoforte K.622 ascoltato da Stefano non possa sicuramente appartenere a Bach in quanto il catalogo Köchel, abbreviato “K.”, è utilizzato unicamente per le opere di Mozart (e del quale in ogni caso il numero K.622 risulta essere il concerto per clarinetto e orchestra). Ma noi siamo indulgenti e vogliamo pensare che si tratti solamente di sviste di un autore che si intende sicuramente meglio di altri ambiti e che non si è preoccupato di controllare la veridicità di certe fonti...tanto chi vuoi che se ne accorga!?

Eleonora Ficola

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In seguito al successo editoriale riscosso dal saggio che ripercorre una sua tragica vicenda famigliare, Stefano Sartor, professore di filosofia alla Sorbona, conosce un’avvenente fotografa, Anna Castiglioni. Fra i due si crea un’immediata attrazione su cui aleggia un alone di mistero e di timori. Stefano ha perso i genitori e la memoria in un incidente. A trent’anni di distanza, sta tentando di recuperare il passato col supporto di uno psicologo. Anna, invece, non ha ancora metabolizzato una fulminea storia d’amore che la rese madre a sedici anni, sconvolgendo la sua esistenza. All’epoca si faceva chiamare Nina. Il pieno sostegno della madre l’aiuterà a uscirne fuori, consentendole di diventare un’affermata professionista. A prendersi cura di Stefano è stato nonno Zeno, portandolo a vivere nella sua fattoria agricola in Puglia. Il forte legame che lo lega a quella terra si sfilaccia alla morte del nonno, che lo lascia erede della tenuta. Vivendo in Francia, non può più seguire la gestione dell’azienda e sta valutando un’offerta di cessione. La relazione fra Anna e Stefano si consolida. Confidandosi, ripercorrono i buchi oscuri della memoria, Scoprono così di essersi conosciuti e frequentati quando lei era in vacanza in Puglia e lui s’era preso una cotta per lei. Si genera un equivoco che li porta a credere di essere proprio i due ragazzi che in una nottata di allegria in riva al mare hanno fatto l’amore e poi si sono persi senza cercarsi più. Il risentimento di lei e il senso di colpa di lui mette in crisi il loro rapporto. Sarà una lettera ritrovata nelle carte di nonno Zeno a chiarire le cose: Stefano era solo il timido innamorato che non s’era fatto avanti, e a togliere la verginità a Nina è stato Lupo, il capobranco che non perde le occasioni. La ritrovata serenità porta Stefano Sartor a ridisegnare il suo futuro: invece di lasciare la Puglia, deciderà di lasciare Parigi. Anche Anna comincerà a pensarci.

Luca Antonio Catoggio

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Confesso che dopo 20 pagine ho smesso. È un mio diritto, no? Diritto riconosciuto a livello internazionale, tra l’altro. Dialoghi piatti, artificiosi, da primo mese di corso di scrittura creativa. La storia, poi, che non decolla... Personaggi appena tratteggiati, e superficialmente, per giunta. Non mi chiedo “Perché l’hanno pubblicato?” giusto per non aprire polemiche. 

Carlo Floris

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"La vita può cambiare in un momento": nulla di più vero per il protagonista di questo romanzo, che conosciamo adolescente per i pochi attimi che precedono un evento tragico che influenzerà il resto della sua esistenza, cioè una non meglio definita (e tale resterà per tutto il romanzo) esplosione che spazza via in un attimo la sua famiglia e la sua vita precedente, di cui non gli resta memoria alcuna. Lo ritroviamo a distanza di trent’anni, stimato professore e scrittore, ma è ancora un uomo spezzato, nonostante la tenacia e la forza d’animo del saggio nonno lo abbiano a un tempo protetto e rinchiuso tra i confini sicuri di un legame familiare necessario ma in qualche modo posticcio. I continui flashback tra passato e presente accompagnano il lettore nella ricomposizione del puzzle della personalità del protagonista, avvicinando le storie parallele dei personaggi del romanzo, che si sfiorano ma senza sovrapporsi completamente, tra eventi poco realistici, coincidenze forzate, dialoghi di spessore altalenante, protagonisti un po’ stereotipati. Lo stile narrativo è indubbiamente scorrevole, pur se appesantito da certi espedienti di dubbia utilità, come l’uso dei tre puntini tra virgolette ogni volta (tantissime volte!) che in un dialogo un personaggio evita di rispondere e la battuta torna al precedente.
Il finale è deludente: la ricerca forzata e un po’ sbrigativa del colpo di scena e dell’happy ending suona come un’occasione persa, che altrimenti avrebbe reso il dissidio interiore del protagonista qualcosa di più del solo frutto di un vuoto da colmare, caricandolo piuttosto di un dilemma etico tutto da affrontare e lasciando in mano al lettore interrogativi importanti cui provare a rispondere. Al contrario, poco resta di questo romanzo se non la piacevolezza di un intrattenimento riuscito, ma senza troppe pretese.

Elisabetta Bertoldi

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Un viaggio nella memoria è quello che fa Stefano Santor, per ritrovare la propria identità, perduta all’età di 19 anni, in seguito ad un incidente stradale in cui sono morti i suoi genitori.
Zeno, l’amorevole nonno che si prenderà cura di lui, allontanandolo dal trauma subito, portandolo nelle campagne pugliesi e addirittura cambiandogli nome, da Giovanni a Stefano che diventerà l’amico, il genitore, il confidente.
Stefano studia, si laurea, fino a quando non va a ricoprire la cattedra di Filosofia alla Sorbona a Parigi.
Si sentirà comunque una persona a metà cosa che lo spingerà a continui sforzi per superare la sua amnesia e recuperare i primi venti anni della sua vita. Intraprende un percorso psicologico e scriverà anche un romanzo autobiografico che però non sembra lo porti nella giusta direzione.
L’incontro con Anna all’età di cinquanta anni, determina un risveglio di ciò che per molto tempo ha cercato di occultare, la paura di confrontarsi con i suoi sentimenti e di innamorarsi allontanata perché temuta.
Quello che scatta con Anna è un sentimento spontaneo, nuovo, una sintonia in cui Stefano si sente a suo agio, come potrebbe essere il ritrovarsi con una vecchia amica…
Ma anche Anna ha un periodo della propria vita che ha deciso di cancellare, anche lei ha cambiato nome, Nina, la ragazzina sedicenne che si ritrova di notte in una spiaggia, insieme ad un gruppo di adolescenti, con le loro spavalderie e i loro timori, incerta e timida, che a seguito di particolari vicende cambierà il suo nome in Anna, la donna impegnata che chiuderà alle spalle una porta che non vorrà più aprire.
Poi l’incontro fatale con Stefano in cui emergeranno ricordi sopiti, sospetti, ma anche sentimenti che prepotentemente emergeranno sconvolgendo la sua esistenza.
Ed è in questo incontro che arriverà per entrambi la risposta alle loro vite irrisolte, enigmi che si scioglieranno dando inizio ad un percorso di revisione per poter finalmente ritrovare nella loro esistenza quella serenità per riconoscersi.
Apprezzabili e molto belli le sensazioni di palpiti di sentimenti, mentre a volte superfluo quel voler insistere su dettagli descrittivi che possono allontanare dalla trama del discorso.

Maria Sofia Aversa

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In questo romanzo ci sono le storie di quattro vite, quelle di Stefano, Lupo, Nina e Anna che si intrecciano e si sovrappongono condividendo dolori e piaceri. Stefano all’età di diciannove per un incidente perde i genitori e la memoria della vita vissuta fino a quel momento. Chi era prima non esiste più: deve ricostruire un’esistenza sul buio dei ricordi e lo fa grazie all’esempio forte e luminoso di suo nonno Zeno che lo circonda di natura e di libri. Nina è una bella ragazza di sedici anni che ama lo sport, un po’ insicura e diffidente. In vacanza si innamora di Lupo: un affascinante ventenne, musicista e intraprendente. Anna è una donna adulta che vive da vagabonda cosmopolita: cattura la vita degli altri con la macchina fotografica, nascondendo all’obiettivo una ferita del passato.
Carofiglio con una scrittura limpida e suggestiva ci rende spettatori di una storia che nasconde diversi scenari temporali e spaziali. Ci svela con una punta di mistero e di inganno le vicende che si si toccano, si mescolano e si risolvono in un finale sorprendente e consolante. Un romanzo piacevole e ben scritto; Carofiglio ha saputo disegnare in modo convincente le personalità e le emozioni dei personaggi che si alternano nella storia. Ci sono però dei dettagli della vicenda poco chiari e non approfonditi, nel voler mantenere un certo grado di mistero ha omesso qualche informazione che avrebbe forse reso la storia più convincente.

Francesca Fanucci

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Un ragazzo perde la memoria senza possibilità di ricostruire il suo passato. Divenuto oramai un uomo intesse una relazione con una donna che lo crede la sua prima esperienza sessuale nonché la grande delusione che l’ha segnata. In realtà si tratta di un altro ragazzo che gravitava nella stessa sfera di amicizie.
Anche questo libro non sembra pensato per intrattenere, lo scrittore si perde in elucubrazioni e descrizioni troppo lunghe che non aggiungono niente alla storia provocando solo un calo dell’attenzione del lettore.
La trama si presta a numerose incongruenze, fra tutte proprio l’assenza degli amici o professori o autorità che aiutino il ragazzo a riconquistare la memoria perduta e il suo aspetto originario (com’è possibile che nessun compagno di classe avesse una sua foto? Quali chirurghi accettano di effettuare una ricostruzione del viso così velocemente e senza una ricerca e studio accurato della sua immagine originaria? Gli amici fraterni come possono scomparire in un momento come questo?)
L’effetto finale è che la storia fosse solo un pretesto per lo scrittore e non lo scopo.

Valentina Federici