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La storia della conquista dell’Himalaya è rivissuta attraverso la dimensione umana che traspare dalle lettere e dai diari di Messner e di chi, prima di lui, ha affrontato quella sfida e si è trovato lì, lontano da tutto, a scrivere a casa. Dal racconto dei problemi quotidiani, della vita nei vari campi verso la vetta, delle decisioni da prendere a seconda delle previsioni meteo, degli infortuni e delle morti, emergono sogni, speranze, orgoglio, paure, disillusioni. Emerge la nostalgia di casa quando sono lì, ma soprattutto la testimonianza di due secoli di nostalgia himalayana che li pervade quando sono a casa e li obbliga a ripartire.
“Sono un alpinista, esattamente come potrei essere un contadino o un ingegnere.” dichiara Messner. E no! un contadino o un ingegnere fanno un lavoro utile al prossimo, l’alpinista no. Mi sono chiesta il motivo di questo genere di imprese senza senso e senza utilità se non per chi le compie, che costano spesso la vita di chi viene coinvolto e sempre la tensione di chi, a casa, deve sopportare l’incertezza del ritorno dell’eroe. “Per i genitori, i figli, i famigliari, le nostre azioni non sono soltanto egoiste, ma ingiustificabili e irresponsabili.”
“Se non vado sto male” la frase simbolo del testo, mi ha permesso di comprendere. Cercano l’avventura fine a sé stessa: le montagne diventano lo scenario in cui sogni e scoperte, difficoltà e paure, coraggio e incoscienza, si rivelano in tutta la loro profondità. In un mondo assurdo che sembra sfuggire ai limiti del tempo, devono osare immergendosi nell’ignoto. Ed è proprio questa assurdità che li appaga. “È l’incertezza il motore che muove le mie azioni. Non sarei in grado di investire tutte le mie energie in una spedizione se fossi certo del suo successo fin dal principio.”
L’altro aspetto che mi ha molto interessata è l’evoluzione dell’approccio alla spedizione e al concetto di alpinismo dalle prime esplorazioni dell’800 fino all’ipertecnologica fase attuale dove, nell’era del web e dei social, il tutto si riduce a una mera questione di successo o fallimento.
Tullia Roghi
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"Lettere dall’Himalaya" è un titolo che cattura immediatamente.
Lascia intravedere il resoconto di una vita trascorsa a conquistare quella vetta e le altre da 8000 metri, a dominarle, domarle e farle proprie trasferendo al lettore quelle emozioni, quelle difficoltà, fisiche, climatiche, anche economiche e politiche, che non gli è dato vivere ma solo spiare dalle parole lasciate da altri, l’alpinismo come passeggiata nella storia della terra ma soprattutto come immersione nella natura umana, con le sue ambizioni ed i suoi limiti, le sue promesse e le sue bugie. Storie di nostalgie per tutto ciò che si lascia per trovare altro. E non ci sono solo le storie di Messner in quelle lettere ma anche quelle di chi lo ha preceduto, dal 1850 in poi, non spianando una strada ma lasciando la possibilità ad altri di sfidarla. Come tutte le lettere in partenza, anche queste sono orfane di risposte. Fanno comprendere che l’alpinismo non è uno sport ma un concetto, una fede, un’urgenza, una visione di vita diversa. Tra le pagine più intime, struggente il ritrovamento dei resti del fratello sul ghiacciaio di Damir che lo libera, dopo 35 anni, da dubbi e responsabilità sulla sua morte. Ciò che stride e non ci si aspetta forse è solo lo spazio che dà alla condanna di ciò che è diventato l’alpinismo moderno, piegato alle logiche del marketing, all’ultima moda dell’Everest lampo con spedizioni flash preconfezionate alla portata di un turista capace di comprarsi anche una vetta che, come tutto ciò che risponde a logiche commerciali, ha un costo ma non un valore.
Cesarina Marzulli
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MI E’ PIACIUTO.
le raccolte epistolari possono esser noise, ma cercare le evoluzioni della storia e della società è molto interessante.
Cristina Franchini
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Suggestivo e attrattivo in particolare per quanto relativo agli albori pioneristici dell’alpinismo con una descrizione, dalla lettura della corrispondenza, di come erano organizzate e vissute vicende che magnificavano un amore per la montagna, e più in generale per l’avventura. Unico neo dell’opera è la contrapposizione che l’Autore avverte e rimarca con l’attuale «gestione», consumistica della montagna, divenuta, per troppi, un oggetto turistico e non meta del viaggiatore.
salvatore urciuolo
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Formato azzeccato per il tipo di storia che si vuole raccontare
Molto interessante leggere le lettere scritte nei vari posti del mondo
Libro che ti fa immergere completamente nella sua avventura
Samuele Marino
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L’idea di raccontare l’alpinismo, la sua storia e le sue sfide, attraverso le lettere dei suoi protagonisti è suggestiva e affascinante. La lettura di questi testi cala il lettore nell’atmosfera romantica, a tratti eroica, delle imprese narrate. Un libro coinvolgente.
Renata Abicca
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La conquista dell’Himalaya attraverso le lettere di chi ha scritto pagine leggendarie di questo sport. Un ritratto umano e sincero di queste persone e della loro straordinaria avventura
Carini Gianluca
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Il testo di Messner ricostruisce il mondo interiore che soggiace a tutte le sue vicissitudini. Testo polifonico, intimo, umbratile che offre una visione delle imprese alpinistiche profondamente umana. Emergono le voci di grandi alpinisti che compongono un mosaico di relazioni e di punti di vista che forse il grande pubblico degli appassionati di montagna non conosceva. Messner, da grande saggio, regala un testo che forse completa più di ogni altro la sua storia.
Luciano Vaninetti
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Il saggio si divide essenzialmente in due parti. Una prima, in cui l’autore propone lettere scritte dai primi alpinisti che si cimentarono con le scalate sull’Himalaya, a partire dalla seconda metà del XIX secolo fino agli anni ’60 del Novecento. Nella seconda parte, invece, spazio a lettere scritte dall’autore stesso, in cui evidenzia i cambiamenti che hanno interessato l’alpinismo a partire dagli anni ’80.
Per comprendere appieno il contenuto del saggio è necessaria tuttavia una preparazione previa, poiché le sole lettere non permettono di comprendere appieno gli avvenimenti storici o l’esito delle scalate. Proprio per questa ragione, il saggio appare rivolto ad una platea ristretta di lettori, che conoscano già gli eventi, i nomi, i luoghi nominati. Un testo, quindi, significativo per chi volesse approfondire gli aspetti dell’alpinismo himalayano, ma probabilmente incomprensibile ai profani in materia.
Mauro Saccol