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Pentcho è un piccolo mondo, fatto di intrecci e di destini. Ognuno ha una storia da raccontare, diversa, difficile, complicata ma tutte accomunate da un fattore comune: il Pentcho
Veronica Placido
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Bello, una storia che non conoscevo raccontata attraverso i personaggi descritti mirabilmente. Poi l’idea del fiume che scorre come metafora della vita in cui si immergono altre vite.
Rolando Tomassi
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Non c’è storia, scelgo Pentcho. Una storia di oggi, sia per il contenuto profondo, drammatico, tragicamente attuale; sia per la scrittura, lieve ma intensa, che tratteggia i personaggi della carretta fluviale con parole incisive, essenziali e descrive i loro stati d’animo con similitudini azzeccate e pennellate d’artista. Per non parlare della profondità dei concetti che ogni persona del Pentcho veicola. Il Pentcho è l’umanità intera con le sue aspirazioni, paure, insicurezze, speranze, tradimenti, eroismi, piccinerie, ideali. Il libro l’ho bevuto e amato e l’ho letto in un pomeriggio.
Maria Maddalena Zuccolo
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Le avventure del Pentcho sono avventure coraggiose, e il romanzo che le racconta è un romanzo corale che ricorda l’Antologia di Spoon River di Lee Masters (P. Rumiz), con due differenze: anziché la terra, l’acqua; anziché la poesia, la prosa.
Sul Pentcho, che è una nave non-nave, ci sono centinaia di passeggeri nel 1940: tutti ebrei, tutti in fuga. Qualcuno è destinato a salvarsi, qualcuno no. Alcuni di loro arriveranno a terra insieme al compagno con cui sono partiti, ad altri non rimarranno che i pochi brandelli che indossano. In poche parole, Pentcho è il resoconto turbolento e amaro di un naufragio che non riguarda solo un battello sfortunato, ma anche la vita stessa dei disperati che ha traghettato da Bratislava lungo il Danubio e poi attraverso il Mar Nero e il Mar Mediterraneo, senza mai giungere in Palestina. Un romanzo intenso e sapiente con cui Salvati restituisce alla memoria collettiva un episodio in bianco e nero che è in grado di dirci ancora qualcosa, non solo sul passato, ma anche sulla necessità di intervenire in maniera delicata, critica e lucida sulle disumanità che, in forma diversa, tratteggiano con forza anche il nostro presente.
Simona Di Carlo
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Pentcho è una raccolta di storie nella storia di questa sgangherata imbarcazione e della speranza della vita.
Perché, nonostante il dolore, la paura e la morte, è di vita che questo testo è densamente pieno, la vita che scaturisce dalle storie dei protagonisti, la vita che anima gli armatori dello sgangherato battello e l’idea folle che portano avanti, la vita che passa dalle mani della dottoressa che, chiamata a scegliere, si sottrae alla follia dell’imperativo nazista del momento e non sceglie. “La tua felicità non può mai essere vera e completa se si nutre della infelicità di altri” è la frase che la dottoressa ricorda del saggio padre. E non sceglie.
La vita del nastro rosso della fidanzata che non vorrebbe partire ma parte lo stesso.
E di vita parla anche la speranza della salvezza.
Poco importa l’epilogo, la speranza riempie il cuore.
La scrittura è corposa, studiata, attenta.
Mi è piaciuta molto la struttura che non risulta al lettore slegata, in quanto, personaggio dopo personaggio, si snoda la storia del gruppo.
Molto attuale e molto intenso e a tratti commovente.
Sonia Consolo Giaccotto
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Donatella D’Agostino
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Il Pentcho fu un vecchi battello fluviale che nel 1940 venne acquistato da un gruppo di ebrei per fuggire dal nazismo e raggiungere la Palestina navigando da Bratislava lungo il Danubio e quindi attraverso il mediterraneo. L’impresa non fu conclusa. Il Pentcho si incagliò nell’Egeo su un’isoletta deserta. I 500 ebrei della Mitteleuropa che erano a bordo sopravvissero quasi tutti, furono recuperati da navi italiane e portati in Italia, in Calabria. Il romanzo racconta il viaggio di questa “carretta del mare””. La storia è narrata dai singoli passeggeri, uno per capitolo, ogni capitolo un fatto o una situazione del viaggio.
Romanzo coinvolgente, ben scritto, una storia ormai antica, pungente di attualità.
Giuseppe Montagna
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Barbara Bertamini
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Pentcho è un libro che accompagna in un lungo viaggio, intrapreso durante la seconda guerra mondiale da 400 ebrei che fuggivano dall’Europa nazista per raggiungere la Palestina. È un libro struggente, che mette in luce una situazione e delle dinamiche purtroppo ancora molto attuali. Leggendo questo libro, che ci racconta il viaggio attraverso le persone che lo hanno intrapreso, viene risaltata l’importanza di dare una considerazione maggiore ai singoli individui. Conoscendo i personaggi e le loro storie ci rendiamo conto che sono unici, e che il fatto che stiano fuggendo insieme verso una prospettiva di vita migliore comunque non li rende uguali l’uno all’altro, e non li rende “solo” persone che fuggono. Ogni capitolo una persona,
ogni persona una storia, ogni storia una vita intera che merita di essere considerata tale, unica e distinta.
Quella vita che troppo spesso finiamo per semplificare e ridurre ad un numero, ad un titolo di giornale letto troppe volte, che ormai ci scivola addosso. Questo libro mi ha aiutata a pensare più a fondo, ad andare oltre i pregiudizi, ma soprattutto ad imparare a rifiutare una narrazione semplicistica delle persone, della loro vita e delle loro esperienze.
Virginia Santoni
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Questo autore davvero sa usare la penna creare suspense.
Il Pentcho è
una vecchia imbarcazione da fiume che durante la seconda guerra
mondiale carica centinaia di ebrei con l’obiettivo di scendere lungo il
Danubio fino in terra santa. Ogni tratto di strada viene narrato da una
persona che era davvero sul Pentcho, da uno studente, un medico, dal
farmacista, dalla sarta.... Nella storia ci sono molti imprevisti che
fanno deviare dalla rotta, ci sono tragedie nella tragedia, problemi
tecnici, fame e malattia, e leggendo ho appreso fatti storici che non
conoscevo.
Semplicemente OTTIMO LIBRO
Paola Franceschini
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Il romanzo narra di centinaia di ebrei che, per sfuggire alle
persecuzione naziste, salpano da Bratislava su un battello sgangherato,
il Pentcho, inizialmente solcando il Danubio e affrontando poi le
insidie del mare aperto con l’obiettivo comune di raggiungere la
Palestina. Dopo cinque mesi
di navigazione il battello andrà
distrutto e I naufraghi, anzichè in Palestina, finiranno nel campo di
concentramento di Ferramonte in Calabria. Da qui ognuno di loro
approderà a destinazioni diverse, spesso non riuscirà a sopravvivere,
pochi raggiungeranno la mèta tanto agognata e per la quale
hanno
corso pericoli e provato paure immense. Molto particolare la scelta di
far raccontare ogni capitolo di questa storia dalla voce 24 passeggeri
del Pentcho: le singole narrazioni dello stesso fatto storico raccontate
secondo la personale esperienza evocano sentimenti e avvicinano al loro
vissuto:
e non possono far dimenticare chi, ancora oggi, affronta il
Mediterraneo con mezzi di fortuna, spesso senza arrivare a destinazione.
Marialuisa Bozzato
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Sullo sgangherato Pentcho un vecchio rimorchiatore fluviale inadatto
alla navigazione in mare, si incrociano le storie di 400 ebrei apolidi
di Bratislava che nel maggio del 1940 intraprendono un viaggio al limite
della disperazione, verso la Palestina, per sfuggire ai venti nazisti
che imperversano
sempre più pericolosamente in Europa. Percorrendo
l’intero corso del Danubio il vecchio battello, che in poche settimane
avrebbe dovuto raggiungere il Mar Nero, dopo cinque lunghissimi mesi
interrompe il suo viaggio e quello dei suoi occupanti in Calabria, nella
cittadina di Ferramonti, dove
sorgeva il più grande campo di internamento dell’Italia fascista.
Ferramonti,
per i naufraghi del Pentcho, divenne una salvezza, il luogo dove
ritrovarono un po’ di umanità e di dignità, nonostante il loro destino
assolutamente incerto.
Sul Pentcho si incontrano le vite e le storie
di numerose persone, intere famiglie, per le quali lo sgangherato
battello rappresenta la speranza verso la salvezza: racconti toccanti di
coloro che ce l’hanno fatta e di coloro che purtroppo sono morti: ed i
sopravvissuti, seppur vivi, sono morti dentro
pure loro.
Daria Morandi
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Ispirato ad una storia vera Pentcho racconta l’odissea attraverso il
Danubio di 400 ebrei partiti da Bratislava nel 1943 per sfuggire al
dominio nazista.
Salviati attraverso una narrazione estremamente
precisa ed attenta racconta attraverso le storie di uomini e donne
d’ogni età ed estrazione sociale il viaggio sul Pentcho nel tentativo di
raggiungere la Palestina.
Una romanzo carico di paura, sofferenza e
speranza che racconta il triste destino del popolo ebreo odiato e
respinto, invidiato e vilipeso, e finalmente sterminato nel progetto del
genocidio hitleriano.
Un racconto che purtroppo si ripete attraverso
i fatti di cronaca dei giorni nostri attraverso gli occhi dei milioni
di profughi che approdano sulle coste dei nostri mari per sfuggire alle
guerre dei loro paesi.
Profetico questo pezzo di Salviati all’interno del romanzo:
Ci
saranno ancora profughi che solcano mari e fiumi per trovare riparo
dalla violenza delle armi o delle leggi, a volte senza poter neppure
distinguere le une dalle altre; e uomini che si sentono in diritto
di
scacciare, di opprimere loro simili, solo perché diversi nel dio in cui
credono, o nel colore della pelle che ne ricopre i muscoli, o nella
lingua che parlano; e muri, e confini, e barriere di filo spinato a
fermare
le speranze di tanti per proteggere le certezze di pochi.
Ascolteremo
ancora dotti e scienziati costruire teorie sulla superiorità di un
popolo, di una cultura su di un altro, su tutti gli altri, soffiando
forte sul fuoco di uno sterile orgoglio di patria; e poeti, scrittori e
romanzieri
pronti a comporre versi e romanzi per dare loro ragione, inquinando
dopo le menti anche la fantasia e i sogni delle persone.
Da ultimo,
ci saranno sempre giornali pronti a divulgare notizie false, o ben
modificate, pur di andare incontro ai nuovi, famelici bisogni dei loro
incrudeliti lettori.
Tutto questo accadrà di nuovo, non dubitate: per quanto voi possiate raccontare, per quanto noi possiamo testimoniare.
È tutto inutile.
Presto, da qualche parte del mondo, un nuovo Pentcho salperà.
E io non voglio pensarci.
Non voglio parlarne.
Voglio solo scomparire in silenzio, per non esserne complice.
Un
romanzo che accantona gli aspetti più tragici e cruenti del genocidio
ebraico per dare voce alle persone e alle loro emozioni lasciando al
lettore sempre la speranza in un epilogo migliore.
Non amo molto i
libri su questo argomento in quanto particolarmente sensibile al tema
ma questo lo ho apprezzato particolarmente. Ho apprezzato l’originalità
del racconto attraverso le voci in prima persona dei protagonisti e la
profondità critica di Salvati.
Chiara Covi
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Il parallelismo con l’arca di Noè e con gli sbarchi degli immigrati del mare nostrum è fin troppo scontato.
Un
viaggio raccontato attraverso gli occhi di decine di personaggi saliti
su quel battello con la speranza umana di sopravvivere.
Un viaggio dove si sentono gli odori, si percepiscono i colori, il fastidio della fame e della sporcizia.
Un viaggio interminabile in un’Europa ancora molto simile, nonostante siano trascorsi più di sessant’anni.
Perché le storie restano, le chiamiamo memoria, ma non sempre sufficienemente ci insegnano.
Forse per questo senso di disagio preferisco perdermi nella razionalità irrazionale di Sibil.
Viviana Sbaraini
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Le memorie di un viaggio impossibile si susseguono una dopo l’altra per darti una visione oggettiva e da vari punti di vista.
La
storia, quella vera, si mescola con le storie di individui che si sono
ritrovati per scelta a condividere questa fuga da una morte che ormai
tutti pensavano certa, arrivando a rischiare comunque la vita.
Gli
Ebrei in fuga si imbattono e combattono contro l’indifferenza, la
cattiveria e la voglia di non immischiarsi dell’uomo in generale.
Il
sogno di arrivare nell’amato Israele in salvo si infrangerà contro uno
scoglio ma in realtà si era già infranto prima, durante il viaggio,
quando tutti ormai sfiniti dalla fame, dalla stanchezza, dalle malattie,
avevano scoperto essere presenti nell’altro e in sè stessi, quasi
contemporaneamente, i sentimenti dell’egoismo e della tolleranza, della
compassione e della paura.
Un racconto di un viaggio della speranza
che potrebbe non avere un tempo e un luogo definito e chiaro. Ma che lo
accomuna a tanti altri viaggi, o meglio fughe, da posti che qualcuno
chiamava "casa" verso altri luoghi, in cui si spera di ritrovare una
casa.
Emanuela Prandi
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Libro che ti fa pensare, sul quello che è successo in quel periodo, e che torna a farsi presente ai giorni nostri in continuazione e in diversi luoghi del mondo ma sempre molto simile a cose già provate e vissute ma mai assimilate tanto da riuscire ad evitarle. Libro scritto molto, bene lettura scorrevole.
Anna Maria Tavernini
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“Pentcho”, opera prima di Antonio Salvati e’ un racconto ispirato ad una
storia vera. Pentcho e’ il nome di di un battello piuttosto malconcio
che accoglie 400 ebrei in fuga da una Bratislava ormai dominata dai
nazisti e li accompagna lungo il Danubio fino a raggiungere il campo di
concentramento di Ferramonti, in Calabria.
Un “ viaggio di carta”,
come lo definisce l’autore stesso, dove le voci dei protagonisti e le
loro dolorose storie si dipanano una dopo l’altra in un racconto corale e
frammentario allo stesso tempo. Forse troppo frammentario
Claudia Prandi
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Mi è piaciuto leggere questa storia basata su un fatto vero di cui non conoscevo nulla. Lo scrittore ha descritto il racconto del viaggio del Pentcho attraverso capitoli sui vari personaggi / partecipanti del gruppo numeroso che ha fatto il lunghissimo percorso in mare. L’ho trovato molto esauriente nei particolari delle varie persone e coinvolgente. Ha reso l’idea riguardo le difficoltà della convivenza incontrate in uno spazio ristretto, delle relazioni sociali difficili che emergevano nel tempo. Mi ha incuriosita molto la sua ricerca storica personale tanto da portarlo a scrivere un romanzo. La lettura è stata piacevole, per niente scontata per il tema e la suggerirei ad altri lettori.
Cristiana Chesani
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Il libro è ben scritto e scorrevole. Si tratta di una storia vera, anche se romanzata.
Alcuni
dei passeggeri del Pentcho raccontano ciò che gli è accaduto prima,
durante e dopo la traversata. Ognuno di loro racconta l’esperienza dal
proprio punto di vista, ma tutti condividono le stesse tragiche
motivazioni che li hanno portati ad intraprendere il viaggio.
È un
libro commovente, che fa riflettere e rendere consapevoli di quanto la
storia in un certo senso continua a ripetersi in molte parti del mondo
ancora ai giorni nostri.
Giovanna Tarolli
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Ho capito subito che il libro mi sarebbe piaciuto già dalla lettura della prefazione di Paolo Rumiz.
La
storia struggente degli occupanti di questa grossa nave sgraziata, come
il corpo gracile di un ragazzino adolescente cresciuto troppo in
fretta, partita con tanti sogni e paure da Bratislava, raccontata da
loto stessi in successione cronologica e da diversi punti di vista...un
modo coinvolgente per descrivere un esodo che presenta tante affinità
purtroppo a tanti altri, non ultimo quello che sento più vicino, quello
degli istriani del 1947.
Tutte storie che hanno un comune
denominatore di struggimento, nostalgia e sofferenza ma anche di
aspettative, non sempre poi confermate, legami e sodalizi che rendono le
storie dei profughi uniche e irripetibili.
E’ una storia che vale la
pena conoscere. E come ha cercato di fare l’autore del libro, mi è
sembrato un ottimo modo; al di là della storia, credo che possa
insegnare tanto, il viaggio delle voci del Pentcho.
Chiara Marcozzi
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Viaggio di un gruppo di ebrei in fuga dalla persecuzione nazista. Prima di tutto scorrevole, originale nella trama. Viaggio visto da vari viaggiatori e vari punti di vista. Le difficoltà burocratiche che incontrano non solo loro ma anche i migranti attuali che vengono dirottati in un porto o nell’altro. Per cui un tema attuale anche se ambientato in un’altra epoca. La bagnarola di fortuna che dovrebbe portarli in salvo. La vita dura a bordo e le condizioni precarie in cui vivono. Al. telegiornale parlano di migranti ma spesso non ci rendiamo conto di quello che effettivamente vivono e affrontano. Anche se le motivazioni possomo essere simili.
Laura Baldessari
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Pentcho non è il solito romanzo sugli ebrei. E’ il racconto, attraverso le testimonianze dei protagonisti, di un viaggio della speranza. Uno di quei viaggi che ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, avvengono. Un barcone di disperati che scappa dalla guerra e dalle persecuzioni.
Ho apprezzato l’originalità della prosa. Tante voci si alternano portando avanti un racconto unico.
Semplice, lineare, commovente e purtroppo attuale.
Cristiana Bresciani
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Coinvolgente, emozionante, tragicamente attuale. Per me che da volontario mi occupo di immigrati, il libro è stato un incontro commovente.
Salviati dà vita ai suoi personaggi con poche pennellate precise e nella narrazione corale della tragica esperienza del Pentcho, ricama un piccolo cameo per ogni storia, un racconto dentro il racconto, dando ad ognuno la dignità dell’unicità. Una storia di guerra che in pochi conoscono diventa il pretesto per far riflettere sui tanti problemi sociali che ancor oggi rimangono irrisolti nell’indifferenza e nell’ignoranza collettive.
Rossana Landini
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Salvati ha trasformato in pagina scritta il drammatico e dimenticato periplo in acqua del Pentcho dandogli sostanza attraverso l’accavallarsi polifonico delle voci di personaggi che si muovono nell’evidenza di una realtà le cui cifre sono il tempo, il dolore, la morte, la paura. Con il meccanico Mittelmann, al termine del viaggio, possiamo dire di aver conosciuto l’umanità intera, di aver scoperto il volto, anzi la voce, di ogni possibile uomo sulla terra senza esserci mai allontanati dalle nostre “tiepide case”. Salvati fa infatti il catalogo di uomini e donne a bordo della carretta fluviale in fuga dalle persecuzioni naziste dando un’esistenza a quei nomi, donando loro gli occhi di persone. È un libro prezioso e necessario che ci consente di andare più in profondo nell’attualità perché “presto da qualche parte del mondo un nuovo Pentcho salperà”: a noi la scelta se essere eredi della cultura dei muri, dei confini, delle barriere di filo spinato o provare a difendere l’atto solidale.
Daniela Melone
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Io non conoscevo assolutamente la storia del Pentcho e devo dire che scoprirla è stato un viaggio incredibile che mi ha fatto provare un ventaglio di emozioni: il dolore, la speranza, lo stupore e anche la gioia (la nascita di una nuova vita).
Nel libro viene descritto il viaggio di circa quattrocento ebrei che da Bratislava cercano di raggiungere - percorrendo il danubio ed attraversando il mar nero ed il mar egeo- la Palestina, terra promessa di salvezza per essere di nuovo liberi di vivere una vita degna di essere vissuta. Purtroppo ci troviamo nel 1940 e quello che doveva essere un viaggio di poche settimane si rivelerà un esodo doloroso e pieno di ostacoli.
La narrazione appare da subito coinvolgente e scorrevole essendo impostata come fosse un’intervista ed ogni capitolo del libro è rappresentato dalla storia di una persona che ha viaggiato sulla nave.
Se dovessi dire cosa mi ha colpito di più nella storia è la presenza del silenzio ( caratteristica che apparirebbe contrastare con un numero così grande di persone protagoniste) : il silenzio composto nel salire sulla nave, il silenzio sommesso nel passare tempo l’interminabile all’interno della nave, il silenzio della vergogna dei propri corpi deformati dalla mancanza di cibo.
Il Pentcho viene descritto quasi come se anche lui fosse un vero e proprio personaggio del racconto, con le sue fragilità e infine come buono e generoso.
Questo libro, in questo momento storico (molto bella la prefazione di Paolo Rumiz) rappresenta un libro da DOVER leggere per non dimenticare e prendere consapevolezza di quello che purtroppo sta ancora accadendo nel nostro mediterraneo oggi.
Arianna Ughi
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Antonio Salvati propone nel suo romanzo la storia del Pentcho, il battello con bandiera bulgara su cui vengono imbarcati, nel 1943, nel porto di Bratislava, circa quattrocento ebrei in fuga per salvarsi dalla barbarie nazista. Si tratta di un lavoro che agli occhi del lettore attento sembra quasi una nuova Spoon River, apparentemente modello letterario di ispirazione. La storia, però, più che dell’evento è dei personaggi. Ventidue, per l’esattezza. Ventidue persone che descrivono perfettamente lo storico destino degli ebrei, quello dell’odio e della repellenza di cui sono stati sfortunati destinatari protagonisti. Tra tutti, colpisce il personaggio della dottoressa Lili Ickovic che si troverà nella posizione di scegliere chi far salire a bordo della nave e chi lasciare a terra. Lo farà? No. E a bordo saliranno oltre cento persone in più della capienza consentita. “Pentcho” è storia e tragica attualità, e la scrittura di Antonio Salvati, scrittore e magistrato, è limpida e diretta, chiara e necessaria.
Matteo D’Amico
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Incantevole, poetico e soprattutto vero. L’autore racconta una storia realmente accaduta, vera e a tratti drammatica attraverso i punti di vista dei diversi protagonisti. Il risultato è un romanzo che sorprende ed incanta ad ogni capitolo, offre numerosi spunti di riflessione sulle vicende della vita, riesce ad essere storico e attualissimo. Imperdibile e consigliato per tutti.
Elisabetta Zampiceni
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Una storia vera, ma ai più - me compresa - non nota ed incredibile, se non addirittura folle. Un’insieme di personaggi vari e variegati. Un romanzo che non ti aspetti, e che ti lascia a bocca aperta: nel 1940, un piroscafo fatiscente di nome Pentcho parte da Bratislava con direzione Palestina, con a bordo circa 500 persone da salvare dal mondo, dai nazisti, dalla cattiveria degli uomini.
Una storia zeppa di colpi di scena, condita dalle vite di personaggi diversi fra loro, con le storie più disparate, ma ora tutti accomunati dalla sofferenza, dal dolore, ma soprattutto dalla speranza oltre ogni cosa, speranza che in molti non abbandonano mai nonostante tutto.
Di quei 500 esuli, qui viene raccontata la storia di soli 22, ma tanto basterà a far vibrare il cuore e la memoria di ognuno di noi. In ogni capitolo rivestiremo i panni di ogni esule, passando da lettori ad attori in un batter d’ali e cosi saremo ancor più capaci di provare le loro paure e le loro emozioni.
Non c’è nessun vittimismo in questo libro, ma solo la nuda realtà, con tutti i pregi e i suoi difetti, che ci donai il potere di farci riflettere.
Cleo (sì, solo il nome, senza cognome, cosi come M
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Mi ricorda tanti libri che ho letto negli anni questo resoconto di un viaggio difficile, ho pensato al bel Fallen Angels di Tracy Chevalier che dava voce ai protagonisti che mostravano la propria versione dei fatti ma anche ai 99 esercizi di stile di Raymond Queneau per il cambio di linguaggio di ciascuno dei protagonisti: uno stile per ognuno di loro. Quando ho incrociato i racconti dei morti però ho rivisto le lapidi di Spoon River. La capacità di esprimere il proprio punto di vista, di aggiungere dettagli alle storie di parlare di una tragedia che non abbiamo mai smesso di vivere di andare dritto al cuore dell’emozione che muove il racconto, questo è solo di questo autore.
Molto bello in alcuni passaggi e talvolta contorto in altri. Parla una lingua antica per raccontare i drammi di sempre e colpisce il tempismo dei temi che affronta, mai risolti e dolorosamente attuali.
Mariantonia Grasso
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Polonia, 1940. Un gruppo di 400 ebrei si imbarca sulla nave Pentcho per percorrere il Danubio e raggiungere la Palestina per sfuggire alle persecuzioni razziali in patria.
Un libro estremamente coinvolgente e necessario, dal taglio originale. Ogni capitolo è il racconto in prima persona di un passeggero del Pentcho, e la narrazione avviene come fosse un discorso introdotto da una domanda dell’interlocutore. Questa scelta si rivela molto delicata, ma d’effetto, poiché dare un nome, un cognome e una storia ad ogni testimonianza permette un maggior livello di empatia e si contrappone alla convenzione nazista di eliminare i nomi dei prigionieri per privarli dell’identità.
È un libro da cui non si esce come si è entrati, getta sicuramente una luce differente sui fatti storici, ma anche sul modo in cui i profughi vengono ancora raccontati oggi dai media.
Non è una lettura che avrei scelto da sola, ma sono entusiasta di aver avuto l’occasione di leggerlo grazie a questa iniziativa.
Beatrice Marola
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Libro che trae spunto da una storia vera, peraltro poco conosciuta. L’autore, attingendo a fatti storici crea un romanzo corale con la presentazione di 25 personaggi fittizi, che, raccontando in parte la propria storia, ci narrano anche il dipanarsi della vicenda di questa specie di nave, né battello fluviale, né sommergibile (‘caricatura di sommergibile’ viene definito), che dovrebbe risalire il Danubio per arrivare al Mar nero, dove dovrebbe aspettare un’altra nave destinata a trasportare questa folla di Ebrei, di varie età e nazionalità, fino ad Israele. Purtroppo molte cose vanno storte ed a seguito di un naufragio, dopo essere stati respinti da molti, vengono soccorsi da in nave italiana, ma la salvezza è ancora lontana, anzi, non per tutti ci sarà un lieto epilogo. Alcuni imbarcati finiranno ad Auschwitz, uno di loro avrà come compagno di viaggio sul treno della morte Primo Levi; altri arriveranno fortunosamente a Roma, per essere infine trucidati alle Fosse Ardeatine.
Chi si salverà non sarà più lo stesso uomo/la stessa donna della partenza, rinascendo chi con un nuovo nome, chi con un nuovo atteggiamento nei confronti della vita, degli uomini e di Dio.
Mescolando storia e finzione, ci viene presentata una galleria di personaggi, che, nella loro umanità e nel loro dolore, mi hanno ricordato le storie dei morti dell’Antologia di Spoon River.
Questa triste storia richiama peraltro le attuali vicende dei barconi di disperati, che ancora attraversano il mar Mediterraneo alla ricerca di una salvezza, che spesso non trovano, bloccati alle frontiere o, ancor peggio, dispersi e deceduti in mare, nel loro disperato tentativo di fuga.
Dimostrando purtroppo che la storia è un continuo ripetersi di vicende tragiche, che spesso l’uomo non vuole impedire o bloccare per cecità, cattiveria o interessi economici.
Debora D’Ercole
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Racconto polifonico bellissimo. E’ difficile raccontare l’orrore tenendo fede alla sensibilità umana eppure l’autore ci riesce. Questo romanzo sembra la versione letteraria de “La vita è bella”. Infatti sia l’autore che Benigni ci permettono di comprendere pienamente l’assurdità e la follia dell’Olocausto costruendo però un racconto lieve, delicato, a cui tutti si possono avvicinare senza desiderare di allontanarsi, potendo così arrivare fino in fondo arrivando a capirne pienamente il messaggio. Conoscere l’Olocausto è un monito fondamentale per il presente e questo romanzo in tal senso acquista oggi un importante valore civile. E’ un invito commosso e intenso a riscoprire il valore delle differenze e della pace.
Barbara Fionda
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Ho messo fatica a farmi prendere da questo racconto/romanzo. La mia resistenza è dovuta certamente alla tragedia della Shoah che ha trovato la colta e civile Europa indifferente, distante, assente. La storia di questo gruppo di ebrei che capisce per tempo quali sono le intenzioni della Germania nazista e cerca di mettersi in salvo è un mosaico meraviglioso di storie di vite nelle quali si trascinano questioni non risolte, affetti non del tutto manifestati, amori vissuti nella desolazione più assoluta. Il libro parla della complessità del vivere insieme degli uomini e delle donne che anche in situazioni di tragedia sono gelosi, cattivi e aggressivi. Il romanzo ha utilizzato ricerche storiche su un fatto realmente accaduto ma l’autore è stato molto bravo nella scelta di far raccontare questo assurdo viaggio da “testimoni” in vita o morti.
Nicoletta Valente
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Quello che ritengo sia il migliore è il libro di Antonio Salvati edito da Castelvecchi "Pentcho" il nome di un battello utilizzato da uomini e donne ebrei per fuggire dai nazisti.
E’ la narrazione/romanzo di un viaggio diverso dai tanti viaggi, un viaggio che ti coinvolge, una narrazione che non ti fa essere lettore ma passeggero a bordo di Pentcho in un mare di umanità,
E’ la testimonianza di quanto sia difficile e semplice navigare per "l’essere", è un mettersi in viaggio attraverso luoghi, confini e paure.
E’ un racconto da sconsigliare a chi pensa che il male tocchi gli altri e mai noi, a chi crede che la storia incredibile di Pentcho non sia drammaticamente attuale. Un libro da sconsigliare a chi rimane indifferente di fronte a chi è costretto a fuggire per salvarsi, a chi crede e non vuole scoprire quanto disumano c’e nell’umanità.
Domenico Costa
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Giuseppe Riccio
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Salvatore Balsamo
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Antonella Folgheretti
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Mario Cottone
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Eliana calandra
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Rosella Balsamo
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Pentcho è il nome del battello, o meglio della carretta del mare, su cui nel 1943 vennero imbarcati più di quattrocento ebrei che per sfuggire alle persecuzioni naziste seguirono il visionario progetto di Alexander Citrom, salpando da Bratislava alla volta della Palestina. Salvati affida il compito di raccontare la vicenda a venticinque personaggi che narrano la sorte comune di questa “vulnerabile armata” destinata al naufragio, ma si troveranno a vivere epiloghi diversi in una sorta di antologia di masteriana memoria. Quella del Pentcho è una storia realmente accaduta, usata per raccontare il tema universale di un’umanità errante, l’umanità dei derelitti pronta a salpare verso l’ignoto seguendo l’impulso vivifico all’autodeterminazione. Libro dedicato alle anime salve perché hanno preso l’unica decisione possibile: andare incontro al proprio destino anziché attenderlo; storia dedicata anche ai salvatori, come il comandante Carlo Orlandi che ha accolto i quattrocento naufraghi nella sua nave “Camogli”, che hanno “sentito il bisogno, semplicemente, di fare la cosa giusta”.
Annalisa Cannata
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Marco Beccali
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Rosana Rizzo
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Viviana Conti
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Antonio Salvati, Pentcho Punti :0 Markevic, Ivan Markevic. Questo è il mio nome. Mi chiamo Simche Hauser, negoziante. Sono Karl Hoffmann, studente. Antonio Salvati si serve di una pluralità di voci per raccontare la vicenda realmente accaduta -e per la verità poco nota ai più- del “folle volo” del Pentcho, un battello fluviale piuttosto malmesso, con un nome che “rimanda ad uno starnuto, ad uno scherzo”, acquistato dall’ebreo Alexander Citrom per fuggire dai nazisti insieme ad altre quattrocento persone, attraverso un viaggio della speranza (o della disperazione) che da Bratislava ha come meta la terra promessa, la Palestina. E’ l’estate del 1940. La traversata si prospetta durissima e problematica fin da subito, l’epilogo sarà quello di una tragedia: dopo avere attraversato mezza Europa sul Danubio, la chiatta naufragherà in mare aperto di fronte allo scoglio deserto di Kamilanisi, in Grecia. I superstiti, in balia di sé stessi per giorni, verranno dunque recuperati da una nave italiana e deportati nel campo di internamento di Ferramonti, in Calabria. A metà tra l’atroce La zattera della Medusa di Jonathan Miles e l’Eneide di Virgilio (li lega la pervicace ossessione della ricerca di un nuovo mondo come la fuga dalla patria ormai in fiamme), Antonio Salvati ricostruisce con rigore quasi filologico il variegato microcosmo di umanità che si condensa all’interno del Pentcho: sono gli stessi passeggeri che, trasmettendosi il testimone di mano in mano, si propongono come narratori di singole sequenze di una storia del nostro tempo, lasciando intuire la drammaticità di una vicenda realmente accaduta che tuttavia non riesce ad essere pienamente convincente sotto il profilo della costruzione letteraria.
Neva Galioto
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Pentcho è il nome del battello che con a bordo 500ragazzi ebrei di nazionalità diversa attraversa l’Europa occupata dai nazisti per raggiungere la Palestina, allora sotto il controllo degli inglesi.Il piano di fuga ha l’assurdità del sogno:da Bratislava raggiungere il mar Nero e poi su un’imbarcazione diversa raggiungere la Palestina.Il sogno si scontra con la realtà, i cinque mesi della navigazione sono intrisi di disagi e pericoli fino al naufragio finale in un’isola greca disabitata dove i naufraghi restano per dieci giorni fino a quando sono salvati da una nave italiana e trasportati a Rodi, poi a Ferramonti, in Calabria per poi essere liberati nel1943. La vicenda poco conosciuta evidenzia l’umanità sofferta dei giovani ebrei e la generosità degli italiani, in modo specifico dei calabresi.la parte più bella è infatti il groviglio della ricostruzione, nel quale varie esperienze si intrecciano e dipanano.Stile asciutto, preciso e senza enfasi [Pagina di storia da ricordare e raccontare per capire il dramma attuale degli sbarchi forzati e delle vite da ricostruire
Gemma Alfano
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Caterina pietravalle
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Comincio col dire che è un libro che mi è piaciuto molto, anzi moltissimo soprattutto per l’escamotage di raccontare la storia di questa fuga (peraltro davvero accaduta) attraverso i personaggi che l’hanno vissuta. Una sorta di ricostruzione attraverso le voci dei protagonisti, come nelle inchieste. Una scrittura asciutta ed emozionante come le storie dei protagonisti, che raccontano, ancora una volta, l’orrore della seconda guerra mondiale, facendoci pensare al momento storico che stiamo vivendo che non è così diverso…Tante storie, tutte diverse, che riescono a tratteggiare ogni protagonista in maniera unica. Quella che più mi ha colpita però è quella dello studente Karl Hoffman, che paragona la loro condizione a quella delle cimici con una dissertazione magistrale.Quindi è un libro che perde, ma solo nel confronto con il suo antagonista, perché l’altro riesce ad emozionare in pelino di più.
Stefania Oliveri