< Piccolo elogio della non appartenenza di  Michele Zacchigna (Marietti)

Qui di seguito le recensioni di PiccoloElogioDINonAppartenenza raccolte col torneo 'sag' (sino alla fase T12. / finale)

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Questo libro racconta da una prospettiva individuale un’esperienza collettiva, dalla quale nasce la tentazione di identificazione e di fissare l’esperienza tramite le memorie dense di rimpianti e di rancore. Tuttavia l’autore, con un linguaggio molto poetico e delicato, mostra come si possa sfuggire a tale narrazione a senso unico. Viene messo coraggiosamente in atto, un tentativo di svincolarsi da una certa chiave di lettura che rischierebbe di cristallizzare quella storia senza permettere un’evoluzione. L’unica via possibile per l’autore è far emergere e valorizzare tramite l’esperienza vissuta un approdo diverso, rappresentato dall’”amore per la vita e la capacità di assaporarla, comunque, dovunque.”

Tania Pellegriti

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All’incrocio fra un romanzo e un saggio. Intenso, asciutto,  mai retorico mi ha coinvolto profondamente. La cura  nella scelta delle parole e  una prosa densissima  tracciano il senso di appartenenza  verso la propria identità  senza rancore o rivendicazione. Consigliato a tutti gli appassionati di memoir.


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Mi sembra una testimonianza vissuta e sentita di un periodo tragico della nostra storia recente, troppo spesso soggetto a strumentalizzazioni.

La "storia" di un profugo istriano che associa la sua fanciullezza all’esodo e che - se non ho capito male - da grande diventa (con scorno della passionale genitrice) anche comunista è veramente originale ed offre uno sguardo inedito su quel periodo.

Salvatore Gabrielli

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Che cos’è l’appartenenza? È questo il tema centrale intorno al quale ruota questo piccolo, ma prezioso, libricino di Zaccagni. E che nesso c’è tra appartenenza, identità, ambiente e società? Tematiche complesse, che l’A. affronta a partire dalla condizione dei profughi istriani nell’Italia degli anni Cinquanta. E lo fa, intrecciando autobiografia e riflessione culturale, e rigettando ogni teoria che lega l’appartenenza al sangue e alla terra, nella rivendicazione di una inesistente purezza razziale, come invece vorrebbe certa destra. Il che non vuol dire negare la storia, meno che mai la propria storia personale; ma comporta il saperla inserire nei giusti contesti, familiari e sociali, per raggiungere uno sguardo rasserenato su uomini ed eventi.
Cosa che Zaccagni, pensatore poliedrico venuto tragicamente a mancare ancor giovane, sa fare con leggerezza e profondità.

Nicola Colonna

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Un saggio particolare, al limite del poetico, un memoir che racconta il tentativo di non cadere per tutta una vita nella trappola al legame identitario e che troverà il suo epilogo nel confronto con il lutto, con il corpo della madre defunta

Eleonora Barsanti

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Questa volta la scelta è stata veramente difficile. La prosa molto elegante e mai stucchevole utilizzata dall’autore per trattare un argomento molto delicato dell’identità mi ha piacevolmente colpito e invitato a leggere il breve romanzo (o forse racconto lungo?) tutto d’un fiato.

Barbara Delfino

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Il Piccolo elogio di Michele Zacchigna è un breve scritto autobiografico situato storicamente nello sfondo dell’esodo dei cittadini di etnia italiana dai territori appartenenti al Regno d’Italia, prima occupati dall’esercito del maresciallo Tito e successivamente annessi alla Jugoslavia. Ma di questo e delle foibe il racconto non dice molto, piuttosto segue le vicende e i personaggi che più hanno inciso nella formazione dell’autore, e soprattutto descrive, in una sorta di bildungsroman, le atmosfere e le intuizioni che hanno contribuito allo sviluppo della sua visione del mondo: il suo spirito vagabondo e libertario, che pur appartenendo a una stirpe e una storia, vagheggia un affrancamento per non rimanerne prigioniero.

Brunello Filippo

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Un saggio che non è davvero un saggio, ma più un affresco: caratteri disegnati a costruire un disegno più grande.

Cecilia Preite Martinez

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Macchie di vita, molto intense e scritte in uno stile asciutto ma pieno di significato

Aida Iandolo

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Difficile capire dove volesse parare l’autore scrivendo quello che sembra un breve diario. Non l’ho trovato per nulla interessante. Non permette di farsi un’idea precisa dell’esodo istriano. E’ probabilmente un esercizio di stile per l’autore stesso, ma privo di interesse se non, forse, per i suoi conoscenti.

Maria Gabriella Giacinto

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Si coglie il sentimento di chi scrive ed in un libro breve
si riesce a trasmettere quanto voluto.
Ben fatto.

Gianluigi Ferrari

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MICHELE ZACCHIGNA: Piccolo elogio della non appartenenza. Una storia istriana - Marietti
L’autore, insegnante e ricercatore di storia medioevale del Friuli, è nato a Umago d’Istria nel 1953. Egli tratteggia con distacco, utilizzando argute e essenziali parole, quadretti di sé da giovane e dei suoi familiari, descrivendo così indirettamente la vita dei profughi istriani a Trieste negli anni ’50 e ’60. La seguente affermazione giustifica la scelta della locuzione nel titolo: “Non mi restava che elaborare l’idea… che la sostanza è l’individuo, mente le appartenenze di gruppo, di etnia, di nazionalità, soggiacciono ad uno statuto ontologico minore”. In sostanza nel breve testo, Zacchigna esprime la sua essenza di uomo di cultura a livello europeo: è significativo che voglia spogliare le sue origini dal richiamo delle ideologie, essendo la madre una figlia degli italiani dell’ Istria, mentre “dal versante paterno, le origini richiamavano una storia di trasmigrazione che risaliva al secolo XVI ed un legame di sangue con i popoli del Montenegro”. Ho scoperto poi che questo cameo, più a carattere di autobiografia che di saggio, è stato pubblicato postumo, dato che lo scrittore era morto in un incidente automobilistico nel 2008: nella rilettura di alcuni passi del testo ho colto pertanto una sorta di testamento spirituale. L’ho apprezzato questa prima proposta per lo stile asciutto e per l’onestà di pensiero. Ho ritenuto valido anche il secondo saggio proposto perché tratta di un tema per me fondamentale: il rifiuto della pena di morte. La prevalenza del primo a scapito del secondo è frutto di una scelta dettata più dall’istinto che dalla ragione.

STEFANIA FILIPPINI

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Molto poetico, ma non mi ha lasciato molto.

Ludovica Verde

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Il Piccolo elogio della non appartenenza è un breve testo narrativo in cui l’autore racconta la sua personale esperienza partendo dai ricordi di infanzia; quando con la sua famiglia approda in un campo profughi di Trieste. Nei vari capitoli ci racconta di ognuno dei componenti del nucleo famigliare ed emerge come il suo vivere curioso e vivace tipico dell’età della fanciullezza si discosti profondamente dai sentimenti di rancore e nostalgia rivangati dagli altri membri. In particolare il tema centrale della narrazione è il concetto di appartenenza. Nello specifico il protagonista non riesce a condividere il dolore che scaturisce dall’esperienza dell’esodo istriano e la consapevolezza maturata di una storia che gli appartiene solo in parte lo allontana dalle altre figure dirottandolo verso scelte personali totalmente diverse simbolo di una vita che ha il diritto di formarsi senza il peso dei retaggi del passato.

Silvia Moreschi

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Michele Zacchigna
Piccolo elogio della non appartenenza


Nell’estate in cui la Crusca ha accolto il neologismo "spatriato" questo Piccolo elogio della non appartenenza offre una riflessione da un altro punto di vista sulle "radici" e sul rapporto che intercorre con le "fronde". L’albero è segno di radicamento, un radicamento negato dall’autore, ma solo come ideologia. La continuità famigliare, il ritrovarsi nelle ossa della madre, i comuni tratti caratteriali sono il vero radicamento: un rispecchiarsi negli affetti, nulla togliendo alle tragedie (il nonno infoibato) ma con la forza, il coraggio e la lucidità di vivere e interpretare il presente lasciando decantare il passato. Sine ira ac studio.
Una scrittura lucida, essenziale e ironica ci restituisce episodi di una vita individuale che rifugge gli stereotipi e, hegelianamente, supera la contraddizione mantenendola. E sono proprio la comprensione della dialettica pasato-presente e l’inesistenza del bianco e del nero a rendere l’infinita gamma di grigi un più significativo strumento per evitare di cadere nella rete dell’odio demagogico e del nazionalismo sovranista.
Ben strutturata la conclusione: illumina l’intero scritto.

Natalìa Gaboardi

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Mi ha colpito l’incredibile sintesi e delicatezza con la quale l’autore, attraverso la sua esperienza, apre uno spiraglio su un esilio poco conosciuto e poco sbandierato al giorno d’oggi, ma che ha coinvolto migliaia di italiani. Fa riflettere, con un prospettiva originale, sul significato e su aspetti poco considerati anche delle moderne migrazioni, dal punto di vista di chi é costretto a muoversi.

Marina Rossi

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Piccolo elogio di non appartenenza

Questo libro è il racconto di una storia istriana. Di chi si è visto consegnare dalla storia il "peso quasi ingombrante" di una memoria e di un’appartenenza che affidavano al rimpianto e al rancore il significato della loro sopravvivenza. Le pagine di questo testo tracciano, citando Paolo Cammarosano nella postfazione, "il percorso per una liberazione dell’individuo che sfugga a tentazioni identitarie e ad appartenenze che risalgano ad esperienze altrui e non alle proprie".
Un percorso di emancipazione, un processo di sottrazioni successive che comporta un peso diverso, fatto di spezzature, abbandoni e divorzi. Un’appartenenza minima, non solo necessaria ma anche doverosa: "la sola appartenenza plausibile, fugace come la durata dei corpi". L’identità che l’autore ritrova nei tratti e nelle fattezze del cadavere della madre. È intorno al lutto per un corpo morto, più che per una terra perduta, che il senso di appartenenza trova la sua dimensione propria.
Racconto cupo e comunque di non trascurabile interesse, una scrittura nervosa, ma mai banale.
(Claudio Facco)

Claudio Facco

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Il titolo, una dichiarazione identitaria chiarita subito nel testo: ‘l’idea, di ascendenza aristotelica, che la sostanza è l’individuo, mentre le appartenenze di gruppo, di etnia, di nazionalità, soggiacciono ad uno statuto ontologico minore’. L’ultimo capitolo, una disposizione testamentaria: ‘il motivo di queste quattro pagine risiede semplicemente nel bisogno di accogliere un retaggio che ho vissuto come un ingombro necessariamente denso di valenze affettive. Profugo con piena certificazione, avverto il bisogno di chiudere i conti con la ‘memoria’ senza incappare nelle atmosfere mortifere che avvolge ancora il tema dell’esodo istriano’.
Non semplicemente un memoir, quella ‘memoria’, continua Zacchigna, ‘merita un approdo diverso, attraverso il quale si possa recuperare innanzi tutto, lungo i percorsi spezzati, l’amore per la vita e la capacità di assaporarla, comunque, dovunque’. Un percorso di liberazione dell’individuo che sfugge tassonomie, appartenenze se non legate al proprio vissuto. È la rivendicazione politica dell’identità, l’affermazione individuale su qualsiasi ideologia, la vittoria del presente, dell’essere giovani, sul passato, la maturità, l’adultitudine, la storia: ‘fra la nostra esuberanza infantile e la condizione evocata dalla parola profugo corre, nonostante tutto e per fortuna, una qualche distanza. Non riusciamo a condividere il rancore, la rabbia, il senso di perdita e di disordine che opprime ed incattivisce gli animi. Cerchiamo spazi di euforia fra il disagio degli adulti sfruttando la nostra vocazione girovaga e libertaria’. La congiunzione tra questi due mondi dissonanti è nel legame parentale, ‘la sola appartenenza plausibile, fugace come la durata dei corpi’, un’epifania resa manifesta nella vista della madre morta, ‘solo allora accettai senza riserve l’eredità di quella dolorosa disarmonia’, una delle pagine più commoventi del romanzo.
E su tutto una scrittura lenta, meditabonda, che procede lenta per spezzature, che scava nel passato il senso di perdita e di disordine, frammenti di vissuto e squarci di poesia. In definitiva, una scrittura che incanta: ‘ormai sapevo che oltre l’ultimo abbandono esiste uno squillo di felicità intenso come la vertigine’.

Riccardo Lanferdini

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Il peso della memoria attraverso un nuovo senso di appartenenza. Bellissimo.

Alessandra Allegritti

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Molto interessante, un momento storico sempre poco affrontato.

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Un memoriale originale e diverso dagli altri questo di Michele Zacchigna, e non solo per la lunghezza davvero esigua (poco più di 50 pagine arricchite dal successivo commento di Paolo Cammarosano). L’esodo di una famiglia istriana nel secondo dopoguerra viene narrato dal protagonista a sprazzi, con immagini vivide e un sapiente tocco letterario che lo pone in una sorta di limbo in cui convivono racconto e poesia.

Francesco Spurio

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Piccolo elogio della non appartenenza è un saggio molto particolare, intimo e personale. Nonostante la struttura dell’opera appaia leggera, le tematiche trattate non lo sono affatto. La condizione dei profughi istriani, l’esodo e l’appartenenza sono elementi elaborati e raccontati mediante un turbine di sentimenti ed emozioni che pervadono l’autore. Molto toccante in alcuni passi.

E.P.

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Poche pagine per un saggio che è poco più di un articolo lungo. Ma il racconto è incalzante, ci i immedesima e, proprio come si dice in questi casi, "si legge come un romanzo".

Pino Lombardi

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Piccolo elogio di non appartenenza
Una poesia in prosa per descrivere in modo essenziale situazioni vissute in prima persona. “Piccolo elogio della non appartenenza” di Michele Zacchigna è una piacevole lettura da centellinare e meditare con la dovuta concentrazione sia per i contenuti sia per la scrittura. A proposito dei primi emerge una descrizione molto personale dell’esodo istriano e per quanto riguarda la seconda a ragione, Paolo Cammarosano nella postfazione sottolinea come “L’attenzione alla lingua era in lui fondamentale, e concludeva nei suoi lavori scientifici su una prosa elegante, rara nella produzione accademica del nostro Paese”.

Giorgio Enrico Bena

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Testo brevissimo scritto in modo magistrale che ci apre una porta su un argomento, quello dell’esodo istriano, poco conosciuto e trattato di cui, personalmente, non sapevo nulla. In poche pagina l’autore ci presenta la vita e la quotidianità di chi ha vissuto quel momento

Vanna Girotto

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È un libro che cattura, ti prende dai primi capitoli e fa molto riflettere anche se è piccolo. L’autore con le sue parole racconta le vicende del popolo istriano per arrivare all’ultimo capitolo ovvero “un approdo diverso”. Mi è piaciuto il percorso che l’autore ha deciso di intraprendere per noi lettori perché sceglie di far raccontare la storia per prima ai “cuccioli istriani” ovvero i bambini. Un racconto partito dai loro occhi, il loro vissuto. Dai bambini si passa poi alla concezione e al pensiero degli adulti. Emoziona molto nella sua lettura e fa riflettere.

Chiara Malavolta

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Poetico ma dal significato alquanto ermetico. Bisogna aver sentito parlare di diaspora istriana, di foibe, di ideologia titina. Non è facile leggere tra le righe per avere un quadro più ampio e scorgere un’azione che coinvolga più persone e non solo l’ autore, la mamma, la fidanzatina. Si legge tuttavia in un fiato.

Maria Cacciavillani

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Un libro senza filtri che affronta, con un linguaggio ed un percorso erudito, il prezzo che dobbiamo pagare per entrare nel salotto della modernità: l’esposizione sui social senza filtri né pudori. L’esistenza liquida, come la definisce Bauman, che rappresenta l’anticamera del populismo, sovranismo, in una deriva dei processi sociologici e culturali, senza una ideologia consapevole. Un libro che merita anche se di non facile comprensione.
Gabriella Tiralongo

Gabriella Tiralongo, nata ad Avola, (Siracusa)

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Libro di uno scrittore morto nel 2008 ma sempre attuale. Una raccolta di piccole storie autobiografiche che raccontano della sua infanzia e della sua famiglia costretta a lasciare l’Istria dopo il passaggio alla Jugoslavia. Scritto con un linguaggio molto colto, ci fornisce un punto di vista diverso dal solito di questo episodio storico. Una lettura veloce, richiede meno di un’ora, ma è una lettura doverosa per comprendere meglio il passato. Mi è piaciuto molto.

Alessio Giavazzi

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Piccolo elogio della non appartenenza è un racconto autobiografico in cui l’autore attraversa la sua infanzia e la sua adolescenza di profugo istriano per cercare di liberarsi dalle appartenenze che non sono sue.
È un libro breve ma molto intenso in cui è necessario soffermarsi sulle singole parole. Lo stile colto ed il linguaggio estremamente ricercato rendono la lettura poco agevole

Maria Gabriella Maisto