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Un libro sula storia di Lapo e sulla sua famiglia, libro "visto e rivisto" poco entusiasmante, si legge il libro aspettando una svolta che non arriva mai. a tratti deprimente, da sconsigliare ad un adolescente con una famiglia simile. Sembra che a questo libro manchi un finale adeguato, nel bene e nel male.
Marieta Milcoveanu
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Qui si fa un salto nell’infanzia e poi nell’adolescenza di un ragazzo dei giorni nostri e, in parte, ci possiamo anche immedesimare. Per tutto il tempo le immagini proposte hanno colori freddi e tenui: inquietudini e curiosità accompagnano la prima parte del libro, la rabbia e gli interrogativi dell’adolescenza accompagnano invece la seconda parte. Lapo ci porta lentamente a scoprire la fragilità di sua sorella Emma, ci guida attraverso un percorso malinconico, rabbioso e schivo, verso la nuda realtà.
A tratti ricorda "Due di due" e a tratti ci porta semplicemente a ricordare qualche passaggio della nostra vita.
Martina Niccolucci
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Dolore intimistico esistenziale incorniciato in un dramma familiare, raccontato con stile personale e con tono di tragedia. Racconto di formazione padroneggiato con prosa fresca e leggera. Il lessico è adulto e consapevole, a volte scade in celate velleità giovanili. La struttura sembra solida e al contempo sinuosa, ma in alcuni punti sembra frenata da un incespicare di dettagli superficiali di taglio giovanile.
"Piperita" Francesco Mila
Tema 6,0
Trama 6,0
Personaggi 6,5
Voce narrante 7,0
Stile 5,5
Lessico 6,0
Grammatica 6,0
Sintassi 6,0
Struttura 6,0
Aggettivazione 6,0
Similitudini 5,0
Metafore 6,0
Giudizio complessivo 6,0
Voto finale 6,00
"Piperita" Francesco Mila
Punti di forza Freschezza
Punti di debolezza "Opera di formazione
con tema non nuovo"
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Mi è piaciuta la delicatezza di questo libro
RB
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Tema sensibile, troppe volte, ahimè, letto e vissuto, ma raccontato dagli occhi dei bambini. Carino.
Stefania Coco Scalisi
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Nell’ultimo lavoro di Eshkol Nevo, ‘Le vie dell’Eden’, ad un certo punto si legge: “nel primo romanzo gli autori raccontano la storia più forte che è accaduta in famiglia, per cui la vera prova per uno scrittore è il secondo libro”.
‘Però l’estate non è tutto’, ‘Piperita’, due esordi, due autori giovanissimi (rispettivamente classe ‘91 e ‘96).
Leggendo entrambi viene spontaneo rispondere alla domanda grossolana che molto spesso si sente indirizzare agli scrittori, ovvero quanto si autobiografico ci sia nelle loro storie.
Nel caso di Valentini, in particolare, la curiosità si acuisce laddove l’autore, per mano del protagonista, si abbandona in una chiara dichiarazione di intenti: ‘scrivere un romanzo come esercizio di espiazione’. Eppure, “il pentimento esige attesa e penitenza: macerare nel rimorso e fustigarsi, prima di implorare l’assoluzione”. Un tempo che pare non ci sia stato. Espiazione, dunque, ma non solo; “scrivere per sgravarmi la coscienza: una volta che non sarà più solo mia, questa storia mia non lo sarà per niente. Fossilizzato sulla carta questo passato perderà d’incanto ogni consistenza diverrà insondabile dallo scandaglio della memoria. Questo è l’auspicio: scrivere per liquidare e andare oltre”. Un espediente ben noto: una volta pubblicato un romanzo finisce per essere la storia autoriale, del singolo, per diventare oggetto comunitario, di chiunque lo legga. In quest’esercizio, in questo passaggio di consegna, diventa fondamentale rispettare un tacito accordo di ‘autenticità’, anche questo, concetto abusato. Valentini, tuttavia, non sembra tener fede al patto. Il romanzo manca di veridicità, in primis, dal punto di vista proprio narrativo. La storia d’amore di Vittorio e Silvia, ‘gonfi d’ormoni e di afflati rivoluzionari’, ricalca pedissequamente il cliché dell’amore adolescenziale, idilliaco, privo di spessore. “Volli imporre alla realtà la forma dello stereotipo e alla fine non capii più se fossi innamorato dell’una o dell’altro. Mi persi in una specie di gioco di specchi tra ciò che era e ciò che speravo fosse”. Ma non solo, la manchevolezza maggiore è proprio della scrittura, nel continuo alternarsi di due registri tra loro antitetici. Da un lato una lingua accademica, ridondante, irta di manierismi; dall’altro il parlato colloquiale, volgare nel senso più puro del termine. E, paradossalmente la scelta dialettale, che dovrebbe conferire genuinità e freschezza al testo (si pensi all’uso superbo che ne fa Rapino nel suo ‘Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio’) nel contrasto con l’artificio linguistico, che poco si addice allo spirito adolescenziale, finisce per produrre l’effetto contrario, un’incongruenza, una stonatura non solo idiomatica. Al contrario, irragionevole a dirsi, la penna di Mila risulta molto più matura. Senza lasciarsi trascinare da inutili formalità o velleità letterarie, il giovane autore capitolino adotta una lingua asciutta, misurata, pulita, perfettamente in linea con la caratterizzazione dei personaggi. A voler essere pedanti, la storia, in questo caso, è fin troppo ‘autentica’, volendone così rimarcare la natura ordinaria, persino banale che, alla lunga, finisce per lasciare un retrogusto scialbo, una piattezza soprattutto nel ritmo della narrazione.
Eppure, ciò che colpisce di più nella disamina delle due opere sono le eccezionali analogie. Entrambe, difatti, sono pervase da un comune senso del tragico. La lettura, nei due casi, è sempre accompagnata da una sensazione angosciosa, l’incombere di qualcosa di inquietante. Tutto ruota attorno ad una mancanza cui corrisponde un movimento tellurico e viceversa. In un paradossale chiasmo: laddove l’assenza è dichiarata, il sisma è sommesso (Piperita); altresì quando l’assenza è tacita, il terremoto è reso manifesto (Però l’estate non è tutto).
Due esordi, due romanzi di formazione. Crescere in fondo è misurarsi con il dolore, non il proprio ma, piuttosto, la sofferenza dell’Altro.
Si legge in Piperita: “se si sapesse, mentre si cresce, cosa comporta la solitudine - se ti avvisassero che è morte e disabilità affettiva - tutti ne avrebbero un po’ meno voglia e un po’ più paura. Per risparmiarmi un nuovo abbandono ero rimasto solo, e avevo creduto di conoscere il dolore in virtù di quel tanto che avevo provato. Non mi ero reso conto di fare con Greta lo stesso che a casa era stato fatto con me - e pensavo che i responsabili fossero sempre e a prescindere gli altri, e che il dolore che era toccato agli altri non fosse abbastanza per comprendere il mio”.
E, forse, anche in questo caso, Mila nel confronto risulta più convincente, meno compiacimento e un messaggio di speranza che, specie in questi tempi bui, non guasta… ”Devi smetterla di tormentarti per chi se ne va, concentrati su chi resta”.
Riccardo Lanferdini
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Anna Maria Agostino
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Maria Grazia Arpisella
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Famiglia disfunzionale e, come tale, infelice a modo suo: il padre è chiuso in un silenzio rancoroso, la madre, inquieta e capricciosa, sparisce per lunghi periodi.
Lapo ed Emma, silenziosi e incapaci di comprendere, assistono alle violente scenate dei genitori. Tra i due fratelli si instaura un legame solido e protettivo e per elaborare il dolore e lo smarrimento si proiettano in un mondo fantastico trovando rifugio nelle strisce dei Peanuts.
Durante l’adolescenza ognuno si chiude in se stesso ma l’affetto che li lega si rinsalda quando la situazione precipita.
Romanzo di formazione, tenero e fantasioso, attraverso i pensieri di Lapo siamo coinvolti nell’inquietudine e nell’insicurezza che provano i figli quando i matrimoni falliscono e si trovano ad affrontare le sfide della vita senza adulti di riferimento.
Luigia Sala