< Prima che il dopo sia tardi di  Giorgio Bruzzone (IlRio)

Qui di seguito le recensioni di PrimaCheIlDopoSiaTardi raccolte col torneo 'nar' (tutte le fasi)

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Non sono riuscita a finirlo, l’ho trovato noioso e banale, anche lo stile di scrittura è semplice ai limiti dello scolastico, non c’è storia, non c’è trama…è difficile perfino definirlo un romanzo.

Marilisa Rodà

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Questo è un libro che vorrebbe raccontare qualcosa, ma che si perde invece nel giudizio della società contemporanea.
Il protagonista, un cinquantenne che ripercorre a ritroso la sua vita, è un nostalgico.
Tutto ciò che è passato è molto più bello, profondo, autentico, del presente. I giovani erano più motivati, le famiglie erano più unite, il divertimento più sincero e il lavoro più soddisfacente.
Leggendo la prefazione mi sono illusa di ritrovarmi davanti uno Stoner italiano, e invece mai delusione fu più cocente. La narrazione, già di per sé debole, viene continuamente interrotta da giudizi generazionali che condannano tutto ciò che è presente, provando ad avvalorare le proprie tesi con continue citazioni di autori, filosofi, Papi, e chi più ne ha più ne metta.
La scrittura è debole, superficiale, ricca di ripetizioni e ridondanze. I dialoghi surreali. I personaggi fittizi e tremendamente forzati.
I nipotini, gli amici, Simona, sua moglie, il nipote che compare alla fine del libro, rappresentano solo delle quinte, dei fondali, dei fantocci senza personalità messi lì per far emergere il protagonista e le sue prediche paternalistiche, che non risparmiano la famiglia - deve essere tradizionale, per carità- , la donna, l’identità sessuale.
Il libro è intriso di stereotipi e luoghi comuni. Tutti gli uomini sognano di fare il calciatore tutte le donne sognano di essere una principessa e - ovviamente - di essere mamma. A pag. 34 ritroviamo una pietosa descrizione di una zia non sposata e senza figli, che “a volte veniva in casa nostra e restava ore a osservarci in modo così discreto da non provocare imbarazzo. Così facendo probabilmente appagava temporaneamente il suo desiderio represso di maternità”.
Il Sessantotto è il periodo in cui “molti giovani subirono un vero e proprio lavaggio del cervello sulla base di quella ideologia che faceva sognare un mondo più uguale e giusto per tutti, ma soprattutto più libero dai retaggi culturali di una società intimamente cattolica. “Dio è morto”, “La religione è l’oppio del popolo”, ma anche “L’utero è mio e lo gestisco io” erano gli slogan in voga tra una parte dei giovani in quel funesto periodo”
La sensazione è quella di leggere il diario di un cinquantenne che esprime opinioni su una grande varietà di tematiche estremamente profonde, affrontate in maniera tremendamente superficiale.

Cristina Soldano

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Grandi lettori
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Testo scorrevole, quasi un taccuino in cui l’autore sembra aver annotato diverse riflessioni legate allo scorrere del tempo e ai cambiamenti sociali che inevitabilmente ne conseguono.
Riflettore puntato sulle nuove generazioni che, nella maggior parte dei casi,  si tratta di giovani cresciuti in una bolla, protetti e scortati costantemente dagli adulti, ma che allo stesso tempo si ritrovano fiondati in una società che li vuole perfetti, estremamente competitivi. Una forte contraddizione che finisce per destabilizzarli. Come possono essere i migliori se non li si lascia sbagliare?
Ricordi, personaggi come lo Zio Gusto, giochi in macchina, canzoni che fanno da sottofondo e da filo conduttore. Richiami e apprezzamenti a diversi autori come Alessandro D’Avenia, autore di romanzi di formazione, ma anche di testi come “L’arte di essere fragili”  citato anch’esso nel romanzo di Bruzzone.
Un libro in cui sicuramente molti cinquantenni ritroveranno una parte di se stessi.

Maria Pia Nocerino

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Le innumerevoli citazioni tratte da diversi ambiti rendono forse un po’ pesante l’andamento del racconto. La storia iniziale si interrompe a metà libro per lasciare poi spazio ad una seconda parte che si dondola tra narrativa e saggistica tanto da far pensare che le parti narrative siano state pensate in funzione degli altri interventi.

Aurora Passon

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mi sono sentita abbastanza vicina al protagonista del libro. Bilanci, nostalgia, malinconia. Un libro quieto, potrei dire, che invita ad apprezzare la cosa più preziosa, il tempo, troppo poco spesso ci pensiamo quando ci sembra di averne tanto, ma poi arriva un momento in cui davvero ti guardi indietro, controlli la strada percorsa e ti interroghi sul modo in cui sei arrivato dove sei arrivato, e dove vuoi andare ancora. Se rifaresti tutto uguale, se sei ancora in tempo a cambiare qualcosa. Insomma, prima che il dopo sia tardi è un libro che è un po’ una carezza e un po’ un consiglio.
"Poi non dire che non ti avevo avvertito".

Valeria Salerno

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L’idea di fondo non è male anche se abbastanza inflazionata: un tuffo nei ricordi di una vita, una serie bilanci del tempo ormai trascorso nati dell’espediente narrtivo del viaggio in auto con la generazione del futuro: i nipoti, in grado di dare quel tocco di sensibilità fanciullesca al tutto. Peccato che lo stile, le riflessioni, perfino le citazioni siano decisamente banali. La cosa più deludente e forse più penalizzante nel giudizio è stata la pochezza dello stile che applicata a concetti, immagini, riflessioni  piuttosto comuni rendono questo libro abbastanza impalpabile.

Manuela Montignani