< Vipere a San Marco di  Paolo Forcellini (Marsilio)

Qui di seguito le recensioni di VipereASanMarco raccolte col torneo 'nar' (tutte le fasi)

* * *

 

È un gioco di echi e di rimandi quello che accompagna sin dall’inizio la lettura del romanzo Vipere a San Marco e, devo confessare, all’inizio può sembrare tanto ridondante da risultare alquanto fastidioso ma, procedendo nella lettura e lasciandosi andare alla suggestione dei deja vu e al gioco della loro riconoscibilità, si entra in una dinamica intrigante, leggera ma mai scontata.
La redazione dell’Istrice descritta in partenza è fantozziana, descrizioni caricaturali e lombrosiane allo stesso tempo, nomi “parlanti”, epiteti fulminanti, una gerarchia aziendale che schiaccia un Fracchia/Alvise finalmente titanico che sopravvive, si adegua, non si piega e vince. Alvise sembra una macchietta a tratti, nella relazione con Possamai e in alcune pose sembra di intravedere Corrado Guzzanti e il capo della polizia nei Delitti del Barlume. Uomo di mezz’età, decadente nel fisico che teme di mostrare negandosi avventure pur sognate con la maravegia Gaspara, sorprendentemente appassionato di enigmi matematici con cui duella nei momenti liberi.
Dal tour dei bar-bistrot e dai Calvados e le birre ghiacciate di Maigret a Parigi ai bacari-osterie e agli spritz e alle ombre di Alvise (o meglio di Possamai) a Venezia; la mappa riconoscibile dei luoghi come nella Parigi di Simenon, la Barcellona di Montalban, la Los Angeles di Chandler, passando dalla Roma del Pasticciaccio e dalla Sicilia di Camilleri.
“Dio ti vede, ma mi sicuramente te scolto”, l’ambiente ecclesiastico in cui si svolge e si risolve il mistero/delitto funziona da ulteriore elemento che conferisce interesse solleticando/vellicando tutte le illazioni e dicerie a cui di solito si presta nella fantasia popolare e nella cronaca.
Ma è nella lingua usata il dato più interessante, la proporzione degli inserti dialettali, anzi della lingua veneziana, è tanto evidente da distrarre, rimandando a immediati modelli goldoniani o del Meneghello di Libera nos a Malo, in realtà è l’autore stesso a dirsi debitore del modello “alto” del Gran Lombardo, Pag.69 “puoi essere bravo come Carlo Emilio Gadda”, nel suo pastiche linguistico si toccano vette insolite (il poco usato pascoliano “Vellicare”) e discese vertiginose (“pischello” e, direttamente dallo Zecchino d’Oro, la topogigiana “Ciribiricoccole”), debiti manzoniani (“La sventurata risponda”), termini settoriali (“Fuga psicogena” “Identikit manipolati” “Horror vacui” “deadline”), giochi rodariani (“garga-nega/garga-nella”)….

Antonietta Grassi

* * *

 

Nonostante l’ambientazione originale (Venezia e il mondo degli alti prelati), ho trovato il libro noioso e pedante. I protagonisti non hanno nessun appeal, sono abbozzati in pochi elementi stereotipati, e i dialoghi sono al limite del grottesco, al punto che sospetto che chi lo ha scritto lo abbia fatto apposta. Le digressioni di storia dell’arte connessa a Venezia sono interessanti, ma incorporate nella trama in modo posticcio. A volte appare un’intenzione di satira di costume sul mondo del giornalismo, anche quella però poco coerente con la trama e con i personaggi. Il problema principale è comunque l’assenza totale di carisma del protagonista, che non si sviluppa mai nel corso di quasi 400 pagine.

angela sirago

* * *

 

Indubbiamente l’autore ama Venezia e la conosce anche molto bene. Peccato che il libro, proprio per questo, sembri più una guida turistica che un giallo. Troppe descrizioni, troppo dettagliate, di luoghi e persone e le eccessive spiegazioni lasciano poco se non alcuno spazio all’immaginazione dei lettori e alla suspence, del tutto assente.

Marta Ceccarelli

* * *

 

Ammetto di non essere riuscita ad andare oltre l prime pagine, abbandonando la lettura quasi immediatamente.
Magari mi sono persa in gran romanzo, ma lo stile non mi ha colpito da subito, trovando le inserzioni dialettali quasi di disturbo.

Marika Armento

* * *

 

La trama è semplice ma coinvolgente, lo stile è la vera punta di diamante, per la scelta dell’uso del dialetto, per le descrizioni e per i racconti artistici e della toponomastica locale. È un thriller che coinvolge per le sue particolarità, nonostante alcuni personaggi femminili trattati con eccessiva superficialità.

Roberta Ciccarelli

* * *

 

Libro simpatico con i personaggi delineati da nomignoli e soprannomi. Storia che però non è riuscita acoinvogermi.

Laura Cappellari