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9 mesi per un figlio senza identità di Paola SavadorDeganello
Serra Tarantola

 

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Circolo dei lettori
di Milano 2 “Lettori Temerari”
coordinato da Patrizia Ferragina:
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Il libro racconta l’esperienza di Laura, un’insegnante in pensione, coinvolta in un’iniziativa di volontariato per l’insegnamento dell’italiano a un gruppo di ragazzi migranti, ospitati in un campo di accoglienza nel padovano. La donna, moglie, madre e nonna soddisfatta, di saldi principi cristiani, inizia questa esperienza in modo timido e con molte perplessità ma viene sempre più coinvolta fino ad arrivare ad accogliere in casa sua, per lungo tempo, Abdel, ragazzo del Camerun. La trama del libro è un intreccio tra la narrazione dell’esperienza di Laura e quelle tragiche, violente e dolorose di tre ragazzi africani: Abdel e Ansou e Amara provenienti dalla Liberia. Il libro racconta anche il sistema di “accoglienza” dei migranti, le peripezie burocratiche e amministrative che non conoscono fine, lo sfruttamento delle varie cooperative. Le poche esperienze positive, dare un lavoro dignitoso, una casa decente, un minimo di integrazione sono frutto dell’impegno di singoli e indefessi volontari. Il libro nasce da un’esperienza personale molto forte ma non sempre riesce a offrire le profonde sensazioni vissute dai protagonisti.

Maria Luisa Albizzati

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L’intenzione dell’Autrice sembra essere quella di raccontare alternativamente l’esperienza di Laura, impegnata in un gruppo di volontari che si occupano di alfabetizzazione per migranti africani, e le drammatiche traversie vissute da questi nel loro peregrinare prima di arrivare in Italia. L’esito è confuso, l’impressione è che unico protagonista sia il narratore stesso il quale, non modificando linguaggio e stile per raccontare esperienze profondamente diverse (l’una, quella di Laura, connotata da riluttanza e luoghi comuni intorno ai migranti, l’altra, quella dei giovani africani, connotata da sofferta coralità), appiattisce tutta la narrazione con lo stesso procedere di frasi e vocabolario. Grande ridondanza ed eccesso descrittivo svuotano da una parte la drammaticità delle esperienze dei migranti e dall’altra la messa in risalto del vero problema dell’incontro tra due culture e della loro possibile integrazione. Il generale atteggiamento paternalistico (accanto al troppo buonismo) che si respira induce a dubitare fortemente la possibilità di una vera inclusione. Si rintraccia, in grande abbondanza, una sorta di profonda inconsapevolezza dei pregiudizi che permangono in Laura (anche dopo il suo percorso di avvicinamento alle vicende dei migranti) e che inquinano tutta la storia (esempio emblematico a pag 181, dove Laura dopo essersi data un gran da fare per conoscere le sorti di alcuni dei suoi allievi spostati dal campo dove vivevano, se ne esce dicendo tra le altre cose: “…Christian e Ibrahim gli hanno scritto che sono in un paese vicino a Matera. Beh, la capitale culturale del 2019, non è mica l’Africa…”. E anche ad es a pag 220 dove il ramadan è considerato da Laura una tortura…). Personalmente lo trovo un libro “rischioso” per la modalità di approccio al problema che non aiuta a ritrovare i pregiudizi dentro di noi, ma li legittima.       

Carla Boglioni

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Il racconto si articola in due storie che si intrecciano: da una parte c’è una famiglia di un paese vicino a Padova la cui madre, Laura, insegnante in pensione, insegna lingua italiana a migranti che fanno capo a un’organizzazione cattolica; dall’altra c’è il dramma di chi scappa da condizioni di vita indicibili, in particolare in Africa, specialmente di Abdel e dei suoi compagni di dolore e di viaggio. Le due storie inizialmente vanno parallele, ma fin dall’inizio è chiaro che son destinate a incontrarsi: Laura non solo insegnerà ad Abdel la lingua italiana, ma gli offrirà la propria casa è un solido affetto. La storia è interessante e significativa, ma non sempre l’intreccio è chiaro, specialmente dal punto di vista temporale. La conclusione è un po’ sospesa, come lo è per tanti migranti, ma sembra propendere per il lieto fine.       

Anna Maria Ciniselli

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La scrittura è chiara, sciolta e scorrevole. “Laura ripensa ai volti dei ragazzi e si rende conto che per la prima volta in vita sua li ha finalmente guardati in faccia con attenzione e interesse, forse qualche pregiudizio che la rendeva cauta, se non addirittura timorosa e diffidente, comincia a scemare”. Insieme a Laura la scrittrice ci guida a scoprire le storie tragiche e spietate di Abdel, Ansou e Amara senza mai cadere nel sentimentalismo, ma con partecipazione emotiva e uno sguardo critico. Il viaggio e il movimento che trasformano e anno crescere i personaggi appassionano il lettore e lo conducono alla conoscenza e all’incontro con i “volti” mettendo in discussione i pregiudizi acquisiti.

Marina Landi

 

Il torneo letterario di Robinson è un'iniziativa curata da Giorgio Dell'Arti per conto di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.
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