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A via della Mercede c’era un razzista di Giampiero Mughini

Marsilio

 

Questo libro che come dice l’autore nella prefazione non si può considerare né un saggio né un romanzo (terzium datur…) in realtà è, a mio avviso, un testo storiografico di una particolare genìa di personaggi che hanno popolato questo paese durante e dopo la 2 ^ guerra mondiale e poi a divenire tutto il 20 ° secolo. Incontriamo tutti e tutto in un crescendo di opera tragica che, come quasi sempre, finisce in operetta tutta italica e delle sue italiche genti, specie delle sue cosiddette classi dirigenti. Un misto di opportunismo, di scaltrezza e di superficialità accompagna questi personaggi. Nessuno di loro si pone delle domande su etica e morale ancorché laica, su società e pensiero politico, sul bene o sul male che accompagna le nostre azioni e il nostro fare. Bene o male che si identifica e concretizza sulla vita reale fisica, mentale e affettiva di chi ci circonda. Questi personaggi del ventennio fascista non hanno, così pare, compiuto direttamente atti spregevoli, ma forse peggio hanno indirizzato, veicolato e contribuito alla barbarie fascista fino alle leggi razziali del ‘38 e ancora dopo, non contenti, alla Repubblica di Salò. E’ vero ci troviamo in questo testo personaggi di destra principalmente, ma anche personaggi di sinistra, accomunati da vicende di amicizia (?) e di conoscenza personale. Questo libro è un testo di una “storia intimistica” di una generazione disgraziata e sfortunata che non ha forse potuto scegliere tra il bene e il male, ma comunque che a questo “male” del ventennio si è aggrappata e dal quale ne ha tratto profitto personale. Non sta a me giudicare le persone né stabilire quale sia il bene e il male. Ma sta a tutti noi considerare i fatti concreti e reali e quali conseguenze sulla carne, nei cuori e nelle menti questi fatti lasciano tracce. Quindi il mio modesto parere sul libro di Mughini è positivo in sintesi. Libro scritto da chi sa cos’è una penna per scrivere e come si maneggia. Libro che consiglio perché attraverso il suo tramite si comprende bene il carattere delle italiche genti di leopardiana memoria.

Sergio Gonella

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Confesso che Giampiero Mughini non mi è mai stato particolarmente simpatico, quando talvolta mi capita di vederlo ospite di qualche sciagurato talk show, mi urta un poco il suo modo di parlare, logorroico e sempre un po’ sdegnato. Ma leggendo il suo romanzo mi sono ritrovata ad apprezzarlo e a trovarlo, ovviamente, più simpatico. Intanto gli riconosco una buona dose di onestà intellettuale e poi mi piace la sua inclinazione per le “cause vinte”, come lui stesso ammette. Non sarà stato facile (nemmeno trent’anni fa quando è stato pubblicato il libro, poi ristampato lo scorso anno) scrivere di quello che fu la cultura durante il ventennio fascista, senza pregiudizi e facili condanne. Si arriva così a scoprire che fu un periodo comunque fiorente e che tanti giornalisti (che poi hanno continuato a scrivere anche nel dopoguerra) erano approdati, giovani di buone speranze, al “Tevere”. E che, come pare, la linea divisoria tra fascista e antifascista non fosse poi così netta, nella redazione del giornale. Il romanzo, vivacissimo, ripercorre quegli anni difficili attraverso il lavoro di questo particolare siciliano devoto a Mussolini, sino ad arrivare alla “Difesa della razza”, (che, a parte gli ovvi giudizi esecrabili, mi appare un titolo quasi comico). Chissà, se alla fine, da giornalista di razza, quale pare, fosse, avrà capito che si trattava di una scempiaggine? Una fake news, come diremmo noi, ai nostri giorni. E per fortuna che possiamo permetterci di dirlo.

Cinzia Sfolcini

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Due storie, due protagonisti e stili completamente diversi. Vince il Mughini per il notevole virtuosismo linguistico che lo porta a descrivere un intero spaccato del momento storico e del protagonista in tutte le sue sfaccettature. Non è facile il racconto, in cui Mughini sciorina la storia di Telesio Interlandi, sostenitore incallito del Mussolini ed allo stesso tempo nobile intellettuale del “Tevere”. Una scrittura forbita che si trascina di paragrafo in paragrafo attraverso aneddoti su aneddoti che oscillano tra la storia del Dopoguerra e della fine del Fascismo e che ti fa comprendere il tutto, solo alla fine. Non solo un saggio storico biografico in sé ma qualcosa che va oltre.

Consuelo Agnesi

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Libro che suscita sentimenti contrastanti. Si nota immediatamente la preparazione dell’autore su quel periodo nel quale si muove abilmente attraverso le azioni e il pensiero del protagonista, figura realmente esistita. Infatti Telesio Interlandi, un personaggio che percepisco come “ingombrante”, fu un audace estimatore del fascismo e delle leggi razziali; solo a immaginarlo mi si accappona la pelle! La narrazione, con stile dettagliato e preciso, offre ai lettori uno spaccato sociale e culturale dell’epoca che potrebbe essere anche piacevole se non fosse per l’amara constatazione di una storia già successa e della quale ancora portiamo le ferite. Il racconto fa riflettere, il che, per me, è sempre positivo e la storia, pur se controversa, può essere piacevole tuttavia non in questo caso: il ritmo di lettura non è fluido ed è irto di interferenze per gli affacci su un passato ancora doloroso. Motivi, questi, per cui non posso eleggerlo come libro vincitore. 20.Irene Cambriglia Mi chiamo Irene Cambriglia, ho 27 anni e attualmente vivo a Torino per amore e lavoro, sono originaria di Salerno e amo moltissimo i libri. Sono laureata in Archeologia Orientale e da alcuni anni ho intrapreso la strada dell’insegnamento di materie umanistiche.

Violante Nonno

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Giampiero Mughini racconta la storia di Telesio Interlandi, giornalista italiano ricordato soprattutto per il ruolo che ebbe nella diffusione di idee razziste e antisemite. Fondatore e direttore del Tevere e della rivista La difesa della razza, pubblicata tra il 1938 e il 1943 per sostenere e promuovere le leggi razziali. Nel ripercorrere la storia di Interlandi, lo scrittore racconta la città di Roma immersa nell'atmosfera creata dal nuovo regime al potere durante l'era fascista con una scrittura saporosa e ritmica.

Checa

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A via della Mercede c’era un razzista e si chiamava Telesio Interlandi; giornalista, intellettuale e fascista oltranzista. Un uomo contraddittorio e controverso, come le cornici romane in cui si muove. Mughini riesce in questa difficile impresa di restituirci la voce dell’altro, di quell’altro che siamo abituati a rimuovere dimenticando che le stesse contraddizioni che animavano l’Italia del Ventennio sono vive tutt’ora. Eliminando le monolitiche dicotomie tra eroi e condannati l’autore ci restituisce un periodo storico nel modo più autentico possibile, lasciando a noi lettori l’unico metro di giudizio possibile: l’uomo e le sue azioni. In questo sta il pregio dell’opera, ma si insinua anche il suo peggior difetto. La narrazione non riesce a smarcarsi totalmente dallo stile saggistico, che in molti casi interrompe e smorza i periodi. Sovrapporre narrazione e spiegazione lascia la palla al centro. Era necessaria una scelta di campo più netta.

Guido Bianchi

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A metà tra un saggio e un romanzo, il libro narra la storia di Telesio Interlandi, intellettuale di stampo fascista vicino a Mussolini e direttore della rivista “Difesa della razza”. Un nome che per molti anni, e per ovvie ragioni, è rimasto nell’oblio. Riscoperto da Sciascia, che voleva farne un libro poco prima della sua morte, la storia di Interlandi è stata ripresa così da Mughini, che in queste pagine dipinge uno splendido affresco del contesto culturale degli anni ’30 e ’40. Mughini racconta il panorama culturale e giornalistico della Roma di quegli anni, narrando la storia di diversi personaggi storici che in vari momenti della loro vita hanno beneficiato della personalità del direttore, un fascista intransigente ugualmente in grado però di dar luce e spazio nelle sue pubblicazioni alle migliori firme dell’epoca. Più che una biografia di Interlandi, A Via della Mercede c’era un razzista è il tentativo di smontare l’idea sviluppatasi negli anni dell’aridità del contesto culturale nel periodo fascista e che la dittatura avesse paralizzato ogni manifestazione creativa, mostrando la grande varietà di grigi che caratterizza la vita e ogni periodo storico.

Elisa R.

 

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