Alla
vita bisogna cedere... ma non sono ancora morta di Raffaella Lattanzi
Ventura
Una raccolta di poesie e brevi
racconti, piacevoli ma letterariamente piuttosto acerbi. La mancanza di filo
conduttore è voluta, come spiega l'introduzione (curiosamente inserita verso la
fine del libro) ma suscita comunque perplessità e il risultato non convince.
Qualche momento interessante lascia sperare per il futuro dell'autrice.
Beatrice Parisi
***
Racconti deliziosi, sintetici e ironici
allo stesso tempo. La lettura ti immerge nelle situazioni descritte ti diverte
e ti commuove.
Poesie che accompagnano e confermano
emozioni, passioni, ironia e dolore,
Interessante la commistione dei due
generi!
Anna Gradenigo
***
Sono stata a
lungo indecisa nella scelta tra il testo di Vittorino Andreoli,
in cui egli esamina 4 parole: Democrazia, Assurdo, Bellezza e Vecchiaia, a
volte utilizzando la chiave di lettura di scuole filosofiche, a volte con
riflessioni del tutto personali e il volumetto di Raffaella Lattanzi, che alla
fine ho preferito, perché, pur nella sua semplicità, fa intravvedere a tratti
un’esposizione di sentimenti vissuti, che scaldano, come l’incontro con
un’amica
Gabriella Grandinetti
***
L’opera è strutturata all’interno
di una cornice metaforica, evidente ma non dichiarata, che consiste in una
sorta di meditazione sulla morte, riottosamente e parzialmente accettata come
inevitabile aspetto dell’inevitabile vivere. Entro tale ambito si alternano
squarci di vita, vissuta o immaginata, elaborati in versi, riflessioni e brevi racconti tra il realistico e
il fantastico, espressioni tutte di memoria dolorosa o di volontà di adesione
al semplice esistere, con una reazione vitale spesso frustrata. Ne deriva un tono complessivo amaro, pur se
velato da istanti di tenerezza fugace, come in alcune liriche apprezzabili, e,
in più punti, forzatamente ironico e sarcastico, pervaso da un sentire negativo
che testimonia una elaborazione parziale, anche a livello espressivo, dei lutti
e delle esperienze personali, dalla morte del padre agli amori traditi alle
brevi avventure. In un intermezzo l’Autrice, sotto lo schermo della (finta)
prefazione di un (finto) vilipeso critico letterario, dichiara la sua poetica
del ‘sentire ciò che finge’, ovvero della ricerca della ‘spontaneità creativa’
in un’opera che vuole essere d’avanguardia.
Benissimo. Spiace rilevare che
obiettivi quali ‘spontaneità’ , ‘sincerità’, ‘semplicità’ nella scrittura siano
da conseguire, specialmente in poesia,
attraverso un accurato e faticoso ‘labor limae’, più che estremizzando una ricerca della naturalezza
espressiva, la quale finisce per risultare poco naturale, e talora
inappropriata o dissonante; che la ricerca dei toni umoristico, ironico o
sarcastico, qualora siano eccessivamente personalizzati e non filtrati, diano
vita a situazioni e personaggi solo sbozzati, senza una dimensione che non sia
quella del sentire soggettivo di chi scrive, e finiscano quindi per peccare di
inautenticità.
Angela Caputi
***
Si tratta di una raccolta di brevi
racconti e poesie. Il linguaggio è spontaneo e diretto soprattutto nei
componimenti poetici dove l'autrice riesce a 'fotografare' in maniera intensa
le sensazioni di un momento.
Non mi ha colpito in modo particolare ma
nel complesso è stata una lettura piacevole.
Claudia Paielli