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Il pallone di stoffa di Walter Pedullà
Rizzoli

 

 

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Circolo dei lettori del torneo di Robinson
di Roma2  “Passaparola”
coordinato da Giulia Alberico
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L’autobiografia di Walter Pedullà ci mostra la determinatezza di una personalità intransigente. Nato in Calabria, dove la necessaria svolta sociale comporta sempre il timore di una rivoluzione fatta dai mafiosi, ha vissuto a stretto contatto con i meno fortunati, quelli che giocano con il pallone di stoffa. Se questa cruda realtà e l’imprinting familiare lo avvicinano ai valori del socialismo, cui resterà sempre fedele, l’incontro con G. Debenedetti gli svela una dimensione sconosciuta della letteratura con la scoperta di nuovi modelli di sapere. Le pagine dedicate alle neo-avanguardie, un lavoro di nicchia che intriga vecchi studenti di lettere, descrivono il vivace dibattito culturale del periodo. Delusione e isolamento caratterizzano la vita di Pedullà docente universitario, critico letterario, presidente della Rai e del Teatro di Roma. Emergono l’ostinazione intelligente e la parola tagliente di chi non arretra di fronte alle sopraffazioni del potere, ma anche una vena umoristica che nasconde l’amarezza di fondo. Memorie caustiche di un intellettuale scomodo che, con la dovuta riserva del dubbio, aprono squarci sulla vita politico-culturale degli ultimi cinquant’anni del Novecento.

Livia Tucceri

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Ho letto con piacere "Il pallone di stoffa " - Memorie di un nonagenario di Walter Pedullà (2020) per diversi motivi. Quello fondamentale è stato che sono stata una sua studentessa nei primissimi anni Settanta all' Università "La Sapienza" di Roma, che poi, allora, era l'unica Università a Roma. Un altro motivo è quello che, avendo venti anni meno di lui, mi sono ritrovata in tanta parte di quello che racconta. Del Professore ho apprezzato i tanti riferimenti ad incontri ed amicizie con narratori, giornalisti, professori e la narrazione di tanti aspetti "dietro le quinte", cioè prima o dopo le pubblicazioni delle loro opere. Nello studente meritevole emigrato a Roma dalla Calabria (il bambino che giocava con il pallone di stoffa), emigrato dalle lezioni private date in quantità spropositata, dalla povertà e dalla fame fino all'insegnamento all'Università ho ritrovato i racconti di tante persone nate prima della Seconda Guerra   che la rinascita del Dopoguerra ha poi giustamente premiato. Erano anni in cui spesso chi valeva riusciva a farsi avanti. Grazie al militante socialista approdato poi in RAI dal 1976 ho rivissuto tanta storia di quegli anni, storia ricca di vicende e personaggi che ruotavano intorno alla TV di Stato. Il testone pieno di capelli neri del "Professore" faceva tenerezza a noi studenti. Non so se i tantissimi riferimenti culturali e politici della sua Autobiografia (Novanta anni sono tanti) risulteranno di facile lettura a tutti, ma il libro - nonostante le oltre 500 pagine - si legge velocemente e con piacere.

Maria Rossi

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Dopo aver scritto tanto sul Novecento, Pedullà veste i panni del Grande Vecchio e ne parla da un punto di vista molto personale, infatti scrive la sua autobiografia per indagare, attraverso i ricordi, il proprio io. La prima parte del libro ci fa conoscere questo   grande   personaggio   bambino   e   poi   ragazzo   con   la   sua   bella   famiglia nell’amata Calabria, con la sua tenacia e la voglia di sapere. E qui il linguaggio è poetico, ma anche tra il serio e faceto, e anche goloso, quando nomina le succulente specialità calabresi. Successivamente conosciamo l’autore nel suo ruolo pubblico e quanto è stato presente nella vita culturale, politica, sociale e soprattutto letteraria dell’Italia del secondo ‘900 e ci fa rivivere i radicali cambiamenti che ha cavalcato e condizionato, svelando spesso i “dietro le quinte”. Ha conosciuto ed è stato amico di tutta l’élite intellettuale italiana, descrivendone i personaggi in maniera puntuale e arguta, riconoscendone di quasi tutti la grandezza e la genialità, con un linguaggio colto e direi con molta eleganza. Ma si è anche tolto qualche sassolino dalla scarpa. Tuttavia, nonostante i vertici raggiunti, con l’umiltà di cui può essere capace solo un grande uomo, non ha mai smesso di rendere omaggio ai suoi maestri: Debenedetti e Della Volpe.

Amina Vocaturo

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L'occasione per scrivere le proprie memorie l'ha fornita a Pedullà un arresto cardiaco, che gli ha fatto intravedere, ma per fortuna allontanare, la morte: e allora, ormai novantenne, egli ha deciso di narrare la sua vita, affollata di studio, lavoro, impegno, incontri, politica e soprattutto fedeltà al socialismo. Nato in Calabria da una famiglia piccolo borghese, dotato di grande curiosità e di formidabile memoria, lo scrittore studiò all'Università di Messina con Giacomo Debenedetti, a cui è restato per sempre fedele e che cita frequentemente in tutto il romanzo. Resosi conto che a Siderno non avrebbe avuto futuro, verso la fine degli anni '50 Pedullà approdò a Roma. Molteplici sono gli episodi che illustrano non soltanto la sua vita di giornalista, critico letterario, saggista, dirigente di importanti istituzioni tra cui la RAI, ma anche quel mondo universitario, intellettuale, politico che ha improntato gran parte del Novecento italiano. Al lettore vengono svelati gli accordi e i disaccordi tra gli esponenti dei maggiori partiti di allora (socialista, comunista, democristiano) per nominare professori universitari o alti dirigenti, spesso scelti più per appartenenza politica che per meriti propri. Nel libro, illustrati con brio e ironia, troviamo una gran mole di racconti e di aneddoti, di eventi del Partito socialista, di escursioni filosofiche, che aiutano, soprattutto coloro che quel periodo lo hanno vissuto, a ricostruire la storia di un'epoca ormai tramontata.

Simonetta Rossi

 

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