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Canto della pianura di Kent Haruf
NNE

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Palmanova “LiberMente”
coordinato da Maria Renata Sasso:
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Canto della pianura mi ha incantata. Sopra ogni cosa mi ha colpita e conquistata la sua scrittura scarna, limpida ed efficacissima. I personaggi sono delineati in modo tale che si impara a conoscerli poco a poco. Allo stesso tempo si entra in punta di piedi nella comunità di Holt, fatta di persone sole, stanche ma mai vinte, sempre pronte, anzi, a ricominciare e a credere nel futuro, in un modo o nell’altro. Mirabile affresco dell’America rurale adagiata sui suoi ritmi lenti, distante dal resto del paese e del mondo. Ho trovato questo romanzo corale poetico e struggente.

Emilia De Santis

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Bella la narrazione di uno spaccato quotidiano. Scrittura essenziale con personaggi veri e crudi. Descrive la vita in una fattoria in modo semplice sullo sfondo della periferia americana. La figura più interessante per me quella di Victoria, giovane madre che va a vivere dagli anziani fratelli McPheron. Si percepisce solidarietà ed altruismo.

Luisa Del Zotto

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La prima cosa che balza agli occhi leggendo Il canto della pianura è che l’America descritta da Kent Haruf non incarna più il sogno americano che ha ispirato tanta cinematografia e tanta letteratura. Il romanzo infatti ci immerge in una piccola comunità rurale chiusa, maschilista, ostile nei confronti di chi osa uscire dai canoni del perbenismo, il paese di Holt, teatro di storie di vite ordinarie di uomini e donne, che a volte, grazie a un ritrovato coraggio, si possono trasformare in storie di solidarietà e di vicinanza. Quello che trovo più interessante di Kent Harouf è lo stile scarno, asciutto, essenziale, l’uso di parole semplici che hanno la capacità di metterci davanti agli occhi le scene come ci fossimo dentro. Importanti poi nell’economia del romanzo i dialoghi, che fanno il racconto. Scarni, scorrono liberi, senza punteggiatura e hanno la capacità di portare il lettore direttamente dentro la storia. Ma la caratteristica stilistica più evidente, che, a dir la verità, non sempre ho gradito, è l’assenza di qualsiasi nota introspettiva, in quanto Haruf cerca di farci entrare nel personaggio attraverso un minuzioso uso delle descrizioni, scelta che mi ha lasciata a volte insoddisfatta.

Daniela Galeazzi

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Leggere Haruf è stata una piacevole sorpresa. Una scoperta inaspettata. Canto della pianura ha dimostrato come l’ordinario diventi straordinario, come l’ovvio
non cada nel banale e nel prevedibile. Attraverso una scrittura semplice, pulita, che non concede sbavatura, lo scrittore ha rappresentato la vita di una cittadina immersa nella campagna americana e ne ha fatto un simbolo universale. I personaggi sembrano apparentemente normali, anonimi, piatti, ma vibrano di sentimenti, passioni ed emozioni e, pur nella loro banalità, sono stati in grado di appassionare il lettore sin dai loro primi passi. La semplicità risulta vincente.

Salvina Gentiluomo

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Quello che mi ha colpito subito del romanzo ‘Canto nella pianura’ di Kent Haruf è stata la descrizione minuziosa, particolareggiata di tutto - personaggi, ambienti, azioni - cosa che all’inizio mi distraeva, mi stancava, ma che poi, nel corso della lettura, non solo mi è piaciuta, ma è stata anche un elemento per me di grande interesse. Anche alcuni espedienti narrativi - come l’introduzione del discorso diretto, senza virgolette o altri segni di punteggiatura, o come l’intitolazione del capitolo con i nomi dei personaggi di cui il narratore avrebbe parlato - sono delle novità che hanno reso la lettura più scorrevole e la comprensione facilitata. Altro elemento per me degno di nota sono i personaggi ben caratterizzati. Quelli che mi hanno maggiormente emozionata sono stati i fratelli McPheron per la loro delicatezza, umanità e generosità. Tuttavia, nonostante la bellezza di questo libro, delle descrizioni e delle storie, si percepisce la mancanza di un’analisi psicologica più approfondita sui personaggi.

Emilia Grimaldi

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Holt è la città immaginaria americana dove sono ambientati i personaggi della storia ed insieme ai romanzi Crepuscolo e Benedizione forma una Trilogia. I personaggi sono molto diversi fra loro: Gouthrie è un insegnante, Victoria una studentessa con un dramma da affrontare, Ike e Bobby due adolescenti di campagna con la voglia di scoprire il mondo, i burberi fratelli McPheron dal cuore grande e Maggie. È un romanzo corale, le cui vite si intrecciano avendo come comune denominatore la solitudine. La vita di Holt è una vita crudele, beffarda, squarci di vita squallidi ma con bellissimi slanci di solidarietà. Sembrano luoghi e persone lontane, irraggiungibili e contemporaneamente mi sono resa conto che ciò che stavo leggendo potevano tuttora esistere in altre parti del mondo. La descrizione della semplicità della vita dei personaggi è minuziosa, molto reale, priva di fronzoli, quasi arida così come è arido il paesaggio di Holt.

Margherita Menapace

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È stato difficile classificarlo come secondo in ordine di preferenza. Anche perché, proprio come John Williams in Stoner, Kent Haruf rende straordinarie vite comuni di persone comuni. Ho ammirato la sua grande capacità di regalarci l’immagine della monotona e faticosa quotidianità di un piccolo centro rurale della provincia americana, della vita immobile e priva di orizzonti di chi lo abita. E soprattutto il modo in cui lo fa, attraverso descrizioni minuziose, estremamente dettagliate, quasi fotografiche; attraverso una non comune abilità di guardare con distacco la realtà e un uso sapiente dei registri linguistici che si alternano, ora tecnico, ora poetico, ora oggettivo. Aspetto peculiare e interessante della sua scrittura è poi la voluta assenza di segni autoriali, in particolare l’assenza di punteggiatura nei dialoghi, che ha l’effetto immediato di catturare il lettore e di precipitarlo dentro la storia. E infine, il messaggio: un inno alla speranza, alla fiducia nell’umanità.

Giuseppina Minchella

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Scrittura viva, semplice ed efficace, grande umanità e dolcezza, molta poesia. Carrellata di personaggi di un paese che potrebbe essere dovunque anche nostro: tutto il mondo è paese!

Lilli Mirachian

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Ho conosciuto Haruf leggendo “Le nostre anime di Notte” al quale sono giunta dopo aver visto il notissimo film di Ritedh Batra: sempre mi attira scoprire la sottile trama che si instaura tra scrittura e immagini, al di là delle vicende narrate.E’ così che sono entrata in Holt, l’immaginaria cittadina del Colorado, vicina a Denver, ove Kent Haruf ha ambientato i suoi romanzi. In breve tempo ho letto l’intera “Triologia della pianura”, pubblicata dall’Editore NN, iniziando proprio da “Canto della pianura” primo libro della serie e che tra i tre è quello che ha suscitato maggiormente il mio interesse.La storia si svolge principalmente a Holt, microcosmo di solitudini e speranze, incentrandosi sui suoi abitanti e sulle loro avventure, narrate con grande dovizia di particolari, rese soprattutto attraverso dialoghi serrati e uno stile narrativo estremamente visivo ed empatico. Haruf, molto abilmente, riesce a coinvolgere il lettore che alla fine si sente quasi parte in causa, abitante lui stesso di Holt: il professor Tom Guthrie e i suoi due giovani figli, la vecchia e gentile signora Stearns, la diciassettenne Victoria Roubideux, fatidicamente e inevitabilmente finita nei guai, la pragmatica Maggie Jones, i burberi e generosi fratelli McPheron, la famiglia Beckman, coacervo di vere canaglie...tutti quanti, lentamente, divengono vicini di casa, quei vicini di casa che anche i migliori di noi, a volte, hanno spiato un po’ da dietro le tende...secondo me, in fin dei conti, è questa l’essenza degli amabilissimi libri di Haruf e, forse, anche la chiave del loro successo.

Maria Grazia Pluchino

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Plainsong, il titolo originale, aderisce perfettamente sia allo stile che alle storie narrate. La scrittura è ridotta all’essenziale, tanto da eliminare perfino le virgolette nei discorsi diretti, via ogni orpello, nuda e semplice, “piana” e lineare. Anche le vite dei personaggi sono “piane”, emergono senza alcun accompagnamento introspettivo, è il loro agire, sono i loro gesti quotidiani a dar loro un contorno esistenziale. Certo, alcune scelte sono impegnative e coraggiose, come quella di Victoria, fragile studentessa di 17 anni, di tenere il bambino, o quella dei fratelli McPheron, solitari allevatori di vacche e giumente, di accoglierla nella loro fattoria, e alcuni episodi particolarmente violenti, come quello del sequestro di Bobby e Ike, ma tutto avviene apparentemente senza scomodare sentimenti, turbamenti, emozioni, in un’atmosfera di soffusa desolazione. Viscerali invece i momenti di contatto con gli animali, descritti sia nell’operazione della selezione delle vacche gravide che nell’autopsia del cavallo, lo scorrere ordinario della vita a Holt prende colore in questi momenti rurali. Neppure il quadro finale di convivialità, che vede riuniti alla fattoria dei McPheron i protagonisti della storia per una cena, è riuscito a togliere quella patina di solitudine, di incertezza, di sospensione che aleggia su Holt e che mi ha suggestionato (e un po’ ammorbato) per tutta la lettura.

Angela Ripamonti

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Leggendo Canto della pianura ci troviamo di fronte a storie di ordinaria umanità. I vari personaggi che affrontano la loro vita attraverso esperienze di solitudine e di sofferenza danno vita a questo malinconico romanzo che comunque porta, con il risveglio della primavera, alla vita che nasce che si trasforma e che alla fine trova solidarietà appartenenza e vicinanza. Luoghi e personaggi sono descritti con linguaggio semplice ma che cattura l’interesse del lettore e che lo immerge in questa America profonda e lontana dalla nostra immaginazione.

Laura Romano

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Ti senti parte del coro che Haruf dirige con maestria nella grande sala della pianura di Holt. La struttura del testo, la scelta di titolare i capitoli con i nomi dei pochi personaggi, fa sì che ognuno di loro sia protagonista della propria storia, del proprio racconto di vita così come accade del resto nella realtà. Le storie si intrecciano nella narrazione, tutti gli spartiti, tutti i cantori sono importanti e il direttore del coro conduce l’esecuzione del canto con uno stile che segue anch’esso una propria modulazione, accrescendo la varietà dei registri: a volte è asciutto, essenziale, altre si dilunga con ricchezza di particolari e di termini, come nelle tre scene che riguardano gli animali. È un mondo di personaggi in cui ogni parola viene centellinata, a volte parlano gli occhi, altre piccoli gesti, piccole attenzioni. I sentimenti che animano i personaggi sono sommessi, pudichi nella loro intensità. Haruf non nasconde la violenza, la protervia, il bullismo di alcuni personaggi di sfondo che evidenziano le piaghe di quella e di altre comunità, la loro presenza mette in evidenza, esalta l’umanità dei protagonisti principali. Illuminante il rapporto degli uomini con la natura, animali soprattutto, servitori muti ma con giustificabili scatti di ribellione (mucca dalle zampe rosse) che li accomunano agli umani. Ho notato una simmetria generazionale fra le due copie di fratelli, i giovani diventeranno probabilmente come gli anziani, la donna matura si prende cura della giovane ragazza madre, il vecchio padre con demenza e la vecchia signora sola, canto e controcanto. Non mancano pennellate sulla condizione della donna, sulla vecchiaia, sul bullismo, sull’ignoranza.

Maria Renata Sasso

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Holt, immaginario piccolo centro rurale del Midwest americano, con le sue pianure monotone e polverose è lo sfondo di questo racconto. Un libro che intreccia speranze, delusioni e progetti di vita di persone diverse per età e carattere. Il lettore stesso è quello che per primo si meraviglia dell’interesse e della curiosità che suscitano le loro vicende. Non ci sono storie particolarmente originali: la scuola e gli insegnanti che cercano di fare del loro meglio per gli studenti bisognosi d’aiuto, l’adolescente che rimane incinta e viene cacciata di casa da sua madre, una famiglia in crisi, la solitudine di una signora anziana. Conquista il candore dei due fratelli McPheron (imperdibili le pagine che li descrivono) e la generosità della professoressa Maggie Jones che aiutano Victoria nel difficile periodo della gravidanza. La solidarietà è molto presente e, benché non manchi la descrizione di personaggi negativi, nell’insieme prevalgono le figure rassicuranti. L’autore, con un tocco delicato, ha il dono di rappresentare la comunità così vividamente che sembra quasi di incontrare davvero i numerosi protagonisti.Il libro fa parte della «Trilogia della pianura» tutta ambientata ad Holt, che comprende altri due volumi: Benedizione e Crepuscolo. Li ho letti tutti d’un fiato.

Miria Turcato

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Il libro di Haruf si legge d’un fiato. L’abilità dell’autore è stato per me rendermi familiari sia i personaggi sia gli ambienti scrivendo con uno stile diretto, quasi scarno, ma efficace normali vicende umane che accadono nel mondo rurale americano. Si intuisce una certa dimestichezza di Haruf con lavori, luoghi e personaggi della vita in fattoria.

 

Diego Virgilio

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Farra di Soligo “Quelli di LLC”
coordinato da Annalisa Tomadini:

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Avevo letto questo libro poco dopo la sua uscita in Italia, senza scriverne nulla se non un appunto: “sopraffatta dalla bellezza di questo libro”.

Una bellezza fatta non di grandiosità e pathos, non di eroi e brividi, ma di delicatezza e non detti, fatta di sguardi e non detti, fatta di persone normali, che vivono i loro drammi e le loro felicità come facciamo noi, con un po’ di rassegnazione, qualche sospiro, molti silenzi.

Si tratta di un romanzo corale, ogni capitolo è dedicato a uno dei personaggi (indimenticabili) e alle loro storie intrecciate, ma la vera protagonista è senz’altro Holt, questa cittadina immaginaria così uguale a tante altre perdute in mezzo agli Stati Uniti: un posto dove sono tornata ogni volta che ho potuto, un posto che è un po’ casa, grazie a Kent Haruf e alla straordinaria arte della letteratura.

Annalisa Tomadini

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Continuo a non essere una fan di Haruf ma tra le varie storie che si intrecciano in questo romanzo, quella di Victoria e dei fratelli Mcpheron, vale la lettura del libro, nella sua delicatezza seppur poco realistica, riesce a dare un senso di timida speranza sul concetto più intenso di famiglia e legami.

Non amo il suo stile piatto, ondivago e dove la lentezza non è un valore aggiunto.

Elena Raspanti

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Riprendo in mano questo libro dopo alcuni anni dalla prima lettura, e ancora una volta rimango stupita dalla sua quieta grazia. E da come il titolo, Plainsong, “canto piano”, aderisca così bene al contenuto. Una cantata continua, corale, da cui a tratti emergono le voci ora dell’uno, ora dell’altro, dei protagonisti, legati fra loro da intrecci rimandi e corrispondenze, per poi immergersi di nuovo in un fluire continuo. Ci sono voci singole, Maggie sopra gli altri, oppure duetti come le due coppie di fratelli, i bambini e gli anziani. E gli anziani, dovrei essere grata a questo libro solo per aver conosciuto i fratelli McPheron, tra i più bei personaggi incontrati negli ultimi anni. La scena nella cucina, in cui per intavolare una conversazione con Victoria si mettono a spiegare il mercato del bestiame, anche a una rilettura continua a risultare di una dolcezza infinita, una scena praticamente perfetta. Ci sono dei frammenti di storia che non rientrano nel racconto principale, e di cui vorremmo sapere di più, io almeno vorrei sapere di più, ad esempio, della mamma dei bambini, del suo dolore, vorrei che nello spartito fosse prevista per lei una parte più lunga. Ma è normale che ci siano voci destinate a rimanere di sottofondo, nella musica come nella vita.

Ecco, la vita. Direi che ho detto tutto. Anzi, che ha detto tutto Haruf, e come lo dice bene.

Alessandra Fineschi

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Romanzo che fa parte della trilogia della pianura e che mi è piaciuto meno rispetto a “Benedizione” (secondo me il migliore dei tre). Romanzo corale, ambientato nella cittadina immaginaria di Holt. Scritto bene, ma l’ho trovato un po’ noioso.

Nicola Feo

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Questo libro racconta le vite degli abitanti di una piccola comunità rurale, esistenze ordinarie, scandite da una scontata quotidianità, eppure segnate da piccoli e grandi dolori, percorse da inquietudini nascoste. La storia centrale ruota attorno alla gravidanza dell’adolescente Victoria, della sua scelta di mettere al mondo un bambino tra mille difficoltà materiali ed emotive. In questo mondo i giovani sono problematici, insicuri, aggressivi, prodotti di famiglie spezzate e ambienti malsani. Gli adulti sono individui esitanti, bisognosi di conferme, che non riescono a essere una vera guida per se stessi e per gli altri.

Lo stile è scarno, la struttura esclude l’introspezione e la contestualizzazione e procede per episodi e mera esposizione dei fatti. Questo modo di narrare, per quanto raffinato nel suo genere, porta il lettore ad attribuire alla storia significati e interpretazioni che non trovano effettiva rispondenza nel testo, lasciando un alone di incompiutezza. Dovrebbe nelle intenzioni prevalere la mistica di Holt, il canto corale dello spirito di comunità che prevale su solitudine e abbandono: al lettore poco incline alla narrativa consolatoria però arrivano solo luoghi comuni da serie televisiva, personaggi stereotipati, scene grottesche e lieto fine in extremis.

Laura Del Ben

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Fa sorridere il fatto che Fabio Cremonesi, traduttore di Haruf (e quindi anche di questo “Canto della pianura”) sostenga di aver trascorso, durante il lavoro sul romanzo, molto tempo a navigare su siti che parlano del parto delle mucche e delle autopsie dei cavalli. Ma l’aneddoto rivela ciò che c’è nella scrittura di Haruf: ai personaggi del libro, apparentemente, non succede nulla di eclatante, ma si limitano a vivere. In realtà (ed è quasi banale scriverlo) l'unico personaggio che sembra fare qualcosa (fosse anche solo “in passivo” o anche solo diventando metafora) è il paesaggio di Holt, con le foglie a forma di cuore piene di polvere o un vagone verde del latte, abbandonato. Le figure umane sono marionette quasi inanimate: in Haruf non c'è proprio spazio per gli eroi, ma c'è comunque la potenza di pochi gesti di cortese normalità. Viene in mente ciò che scrisse Calvino per le narrazioni di pianura di Celati (e, in fondo, si sa che fra la via Emilia e il West non c'è questa grande differenza): «un’accettazione interiore del paesaggio quotidiano in ciò che meno sembrerebbe stimolare l’immaginazione».

Marcello Bardini

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Tom Guthrie, insegnante a Holt, cittadina americana nel niente. Ike e Bobby sono i figli di Tom. Victoria Robideaux è una ragazzina incinta, con madre severa e problematica, non molto intenzionata a prendersi cura dei “problemi della figlia”. Dwayne probabilmente è il padre del figlio di Victoria e vive fuori città. Maggie Jones, Harold e Raymond McPheron: brave persone un po’ burbere, in un posto dimenticato da Dio e dagli uomini, in cui fare buone azioni non necessariamente viene visto come cosa giusta.

A poco più di un quarto del libro non sembra ancora essere successo nulla che possa realmente attrarre l'attenzione. Lo stile con cui è scritto il libro è piuttosto semplice anche se talvolta ci si imbatte nel dialogo diretto senza punteggiatura che complica un po’ la lettura. La narrazione scorre invariata: a metà del libro non sembra essere successo ancora molto, tuttavia, a Avevo mano a mano, si dipinge un ambiente, un'epoca, una società con una certa efficacia.

Scorrendo nella lettura non è chiaro in quale periodo sia ambientato il libro, potrebbe essere l’ottocento oppure oggi perché quello che accade ha un che di universale. Cercando qualche indizio, le persone fumano all'interno dei locali e ad un certo punto la madre del ragazzo che ha messo incinta Victoria ha un'espressione simile a “per me potresti essere anche Nancy Reagan”. Potrebbero essere gli anni Ottanta.

A tre quarti del libro, la storia ormai si comprende svilupparsi così, senza colpi di scena, lentamente, un passo dopo l’altro: si segue la vicenda, senza aspettarsi cambi di registro.

A questo punto del libro si riflette sul fatto che anche questa è America, un luogo e una società al confine tra la modernità e l'arretratezza soprattutto culturale; i personaggi si delineano con una propria personalità che non è parte di un insieme o di un coro, ma una piccola realtà indipendente, separata, che fa fatica ad incontrarsi con le altre (quando accade è più facile che si scontrino), eppure queste realtà coesistono.

Il libro alla fine conserva il suo carattere. Si ha la sensazione che potrebbe continuare così ancora, raccontando le vicende dei personaggi narrati. Poi si scopre che è parte di un trittico (non una trilogia) ed effettivamente Haruf può raccontare ancora molto.

Marzia Pavanin

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Conoscevo ed apprezzavo già Kent Haruf, infatti Canto della Pianura era, fatalità, l’unico suo libro che mi mancava da leggere, eppure è riuscito comunque a sorprendermi. Siamo distanti dallo stile e dalle atmosfere quasi rarefatti di Benedizione o Le nostre anime di notte: il periodare è più esteso e largo, così come si indugia di più nelle descrizioni dei luoghi e dei paesaggi, non solo fisici ma pure dell’anima dei protagonisti dell’osservazione harufiana di vite minime. Quello che non cambia è la felicità di tale sguardo, che riesce ad andare oltre i veli protettivi di ogni persona di cui racconta la storia, e riesce a restituircene il nocciolo primigenio, quello che spesso viene chiamato “anima”. E così, al chiudere del libro, ci sembra - come le altre volte - di conoscere veramente coloro di cui abbiamo appena letto uno scorcio di vita, partecipandone in modo vero e sentito, al punto tale da considerare noi stessi cittadini dell’immaginaria cittadina di Holt.

Matteo Polo

 

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Canto della pianura, ambientato nuovamente nella cittadina di Holt, Colorado, narra le vicende di alcuni personaggi che intrecciano le loro esistenze per motivi apparentemente diversi ma che ad uno sguardo più ampio, si possono ricondurre alla capacità e alla necessità di prendersi cura dell’altro. Per una semplice chiacchierata o per dare ospitalità, per accudire nella vecchiaia o per far crescere, per rincorrere o per proiezione in ogni rapporto c’è il tentativo di fare del bene. I personaggi sono indimenticabili, anche quando si tratta di figure comprimarie, colte in un veloce momento narrativo; soprattutto, in un ritmo generalmente lento (plainsong), rimangono indelebili alcune scene di estrema crudezza e realismo, in cui la voce e le parole di Haruf penetrano nell’anima e incidono in profondità.

Alberto Trentin

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Canto della pianura è uno di quei libri che, senza apparire un capolavoro, “fanno bene all’anima”, perché racconta una storia che si ha voglia di sentire e lo fa con uno stile sobrio, pacato, lineare che, nel raccontare, lenisce la pena, rasserena l’animo, fa volare l’immaginazione.

Non c’è nulla di eccezionale in questo libro, eppure la trama, anche se non originalissima, tiene incollati alla pagina; anche lo stile è un po’ ordinario eppure le parole scivolano come un balsamo dando vita a personaggi, sentimenti ed emozioni; le descrizioni non evocano paesaggi drammatici o sconvolti ma nella loro quotidianità, nella loro normalità, abbracciano ed avvolgono storie e vite, rendendole più vere.

Haruf torna a Holt per raccontarci storie di ragazzi e ragazze che diventano adulti, conoscendo la vita, la nascita e la morte, l’abbandono e nuovi inizi, i silenzi e le stelle.

Canto della pianura è l’ideale inizio della Trilogia (tant’è che negli USA è stato pubblicato prima di Benedizione) ed apre il racconto, eterno eppure sempre diverso, del ciclo della vita.

Canto della pianura è un libro che sarebbe un peccato non leggere.

Sonia Marchioro

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Grande affresco corale che coinvolge tutti i personaggi della cittadina di Holt, che tornano in qualche modo anche negli altri volumi della trilogia. Sicuramente un grande affresco degli Stati Uniti “campagnoli”, lontani dalle grandi città e persi in quelle pianure immense in cui le distanze diventano relative perché tutto è fisicamente lontano. Un romanzo del genere avrebbe tutti gli ingredienti per essere coinvolgente, per raccogliere gli uditori come nelle storie davanti ad un fuoco e cullarli con narrazioni che diventano archetipiche per quanto sono umane. Purtroppo Holt non ha questo effetto su di me; anzi, la scrittura di Haruf così minimalista, scevra da ogni dettaglio che sia superfluo rispetto al narratore esterno che mostra solo quel che vede, mi rimanda una percezione raggelante, mi distanzia dai personaggi e dalle loro storie tanto da non riuscire mai a empatizzare con loro. E se viene meno questa dimensione di percezione dei sentimenti, credo si perda completamente la dimensione di Holt, come è accaduto a me.

Marta Masotti

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Una rilettura faticosissima per un romanzo a mio parere banalotto e poco credibile, che pare la tesina da presentare a fine anno per alzare il voto finale. Belloccio senz’anima, abbonda di aggettivi, similitudini, metafore, analogie (talvolta al limite del seriamente banale) che appesantiscono il tutto.

A Holt vivono le persone tra le più depresse (e deprimenti) d’America! Tom, il professore con una moglie a cui manca qualche venerdì che se ne sta chiusa al buio, e due figli (Bobby e Ike) preadolescenti e legatissimi tra loro; ha anche qualche storiella con colleghe di scuola dopo essere stato definitivamente mollato dalla moglie. Victoria 17enne incinta, buttata fuori di casa dalla madre che trova riparo e protezione negli improbabili fratelli McPheron, Harold e Raymond, vecchi (ma non è dato sapere quanto) burberi e solitari, allevatori di vacche da riproduzione, ma teneroni, impacciati e dal cuore di panna che non aspettavano altro che l'ingresso di un'adolescente problematica ed incinta nella loro vita e nella loro casa.

Ovviamente, siamo in America, dovrà essere una grande produzione e dunque, tutto è bene quel che finisce bene! I fratelli McPheron, figure scontatissime e un po' povere di spessore, coi loro dialoghi surreali salvano dalla noia assoluta il romanzo. Ma è francamente troppo poco.

Arianna Bressan

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Romanzo corale ambientato a Holt, piccola cittadina vicino a Denver. I protagonisti di questo romanzo sono tutti accomunati da un profondo senso di solitudine. Il matrimonio di Tom e Ella è ormai in crisi. Ella soffre di depressione e decide di lasciare marito e figli e trasferirsi a Denver. Tom sta dedicando tutte sue energie alla scuola nella quale insegna e uno screzio con i genitori di un suo alunno farà sì che i propri figli, Ike e Bobby, siano esposti a una crudele vendetta.

Victoria ha diciassette anni ed è rimasta incinta. Il suo ragazzo non ne vuole vigliaccamente sapere e la madre la caccia di casa. I due fratelli McPheron, contadini solitari dall’aspetto burbero, sono i due giganti buoni che offriranno ospitalità a Victoria e questo cambio radicale travolgerà la loro esistenza. Questa è la storia di un’umanità sofferente, dove i personaggi però cercano di riscattarsi nonostante il dolore che li attanaglia. Lo stile è scarno, senza fronzoli, ma incisivo e icastico. Una vera perla.

Carlo Mattioli

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Di Kent Haruf ho letto tutti e sei i romanzi, e negli anni mi sono affezionato a questo scrittore dalla voce delicata, all'umanità che rappresenta, agli ambienti che dipinge. “Canto della pianura” è uno dei romanzi della trilogia di Holt, e mi pare quello dove i buoni sentimenti prevalgono rispetto agli altri, e forse sarà per questo che, pur essendomi piaciuto molto, il mio preferito è un altro: “Benedizione”. Mi è piaciuta la vividezza della narrazione e il carattere corale di una storia che fa incrociare tanti personaggi rappresentati in passaggi importanti della vita: una ragazza madre cacciata da casa che viene accolta da due anziani e solitari fratelli, due ragazzini che scoprono la vita, il padre che li cresce da solo, una ragazza che prova a aiutare la collettività dove vive. Il tono è compassionevole, Haruf empatizza fino al mieloso, e per me è stato impossibile sottrarmi al ricatto emotivo che sa costruire attorno a Victoria, i fratelli McPheron, i ragazzini.

Giuseppe Bruno

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Il titolo originale di questo romanzo è “Plainsong”. Letteralmente un “canto piano”, monodico, eseguito a cappella e diffuso nel Medioevo. Un canto semplice, sobrio, spoglio di ogni sovrastruttura.

Mitigato.

Un canto corale anche quello di Haruf. Un insieme di voci che si fondono in maniera armonica e raccontano una realtà affatto edulcorata.

Voci che si inseriscono in una musica lenta, cadenzata, lineare. Una musica senza picchi, ma con crescendo di intensità.

Voci che trovano spazio nelle crepe della quotidianità, nelle pieghe stesse della vita.

Voci che si fondono, ma che non si confondono. Che non rinunciano alla propria individualità anche a dispetto della dimensione plurale.

Un incontro di storie più che un racconto unitario, il cui personaggio aggiunto risulta essere proprio Holt. Cittadina

immaginaria del Colorado, eppure così palpabile, così ricca di colori, di sfumature.

È questa la potenza di Haruf: la capacità di risultare incisivo rimanendo essenziale. Di dire tanto usando poche parole. Di rendere spettatore il lettore, di portarlo sulla scena e fare in modo che vi resti senza essere visto.

Perché la sua scrittura trasfigura visioni in sensazioni; dagli occhi passa alla pelle e lì attecchisce.

Ce la si sente addosso e con questa anche ogni singolo personaggio: da Victoria Roubidoux a Maggie Jones; da Tom Guthrie a Ike e Bobby; da Harold a Raymond McPheron, fratelli in apparenza burberi, ma dal cuore che è una noce di burro.

“Canto della pianura” è il racconto delle vite ordinarie di personaggio straordinari. La bellezza di questo libro è tutta in questa contraddizione.

Nella celebrazione della vita, del coraggio, della rinascita.

Danilo De Rossi

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
 di Torino 1 “Circolo dei lettori di Torino”
coordinato da Francesca Alessandria:

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Io credo che tutti dovrebbero leggere questo romanzo, perché arriva direttamente al cuore, scuote l’anima, specialmente in un periodo strano e difficile come quello che stiamo vivendo, ormai, da un anno a questa parte. La prosa di Haruf, mai roboante, è sempre serena e descrittiva nel presentarci i personaggi, la natura circostante, i fatti, quasi in modo distaccato, ma preciso e penetrante. Questa serenità di fondo non viene intaccata nemmeno nei passaggi duri, come l’autopsia del cavallo morto e la violenza del bullo stupido e criminale  contro i due ragazzini. Come non innamorarsi dei due fratelli McPpheron? I rudi allevatori, che nonostante una vita solitaria, circondati dalla natura, impegnati ad accudire il loro allevamento, (o forse proprio per questo), non hanno esitazioni ad offrire una casa ad una ragazzina sconosciuta in difficoltà. Ma anche tutti gli altri personaggi, nella loro umanità non priva di difetti, sono dei piccoli eroi che non si fanno travolgere dalle avversità della vita, ma senza recriminare, continuando  nelle loro solite incombenze. E così dovrebbe essere per tutti noi. Un romanzo che commuove e sprona e infonde speranza nella vita che continua e nell’intrinseca bontà del genere umano. Sullo sfondo, la natura è l’altra grande coprotagonista che, ad onta dei travagli interiori degli umani, continua, rassicurante e incessante, nel suo ciclo eterno.

Cinzia Sfolcini

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Ilaria Maggi

Kent Haruf non è certo il primo novellino che si mette davanti alla pagina bianca, sa come mostrare al lettore quello che vuole, e la cosa bella è che non lo fa mai con cattive intenzioni, bensì per raccontare una storia, per condividere i pensieri, i suoi e quelli dei personaggi. Ho riconosciuto molte descrizioni, molti impulsi, molte cose, e forse non mi è piaciuto vedermi così scoperta da uno sconosciuto, e allo stesso tempo mi è piaciuto, è come sentirsi compresi anche se cose che poco ci si confessa a se stessi.

Ilaria Maggi

 

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Grazia Bodo

Il romanzo narra le vicende di un gruppo di persone che vivono a Holt, cittadina immaginaria, e, dopo un inizio monotono e insignificante, acquista via via attrattiva man mano che la storia si sviluppa. I personaggi si mostrano tutti interessanti, benché assolutamente normali; ancor più interessante, e in questo caso invece originale, la rete di relazioni che si instaura fra loro, all’interno della quale la famiglia tradizionale si rivela un fallimento, favorendo un nuovo concetto di “famiglia” basato su legami non biologici. Il quadro finale, come in un film, riunisce tutti i protagonisti, presentandoli in un momento di particolare serenità. Va forse citato un altro aspetto, ben inserito a documentare la cultura agricola della cittadina: le scene in cui si fa protagonista il bestiame, scene veterinarie di grande precisione che sembrano assorbire la violenza su di sé, “salvando” così le persone (per le quali invece la violenza è spesso prevista e annunciata, ma mai troppo duramente rappresentata). Dal punto di vista della forma, semplice e “piana” come il canto del titolo, appare particolarmente interessante la strutturazione intimistica dei dialoghi, sottolineata dall’assenza di virgolette.

Grazia Bodo

 

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Guido Bianchi

Il primo volume di una trilogia che ha come filo conduttore Holt, un’immaginaria e polverosa cittadina del Colorado e le vite dei suoi abitanti. Vite apparentemente tutte uguali, che scorrono lente e monotone mentre si trascinano, ancorate al passato, verso un futuro sempre lontano. Ma dietro l’apparente durezza e malinconia di questo romanzo corale si scoprono delle piccole gemme, fatte di dignità e amore che lo rendono unico e ci portano ad apprezzare la banalità della vita.

Guido Bianchi

 

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Giovanna Bozuffi

Il canto delle pianure fa parte di una trilogia ambientata nell’immaginaria cittadina di Holt in Colorado, dove Tom Guthrie insegna storia al liceo locale e da solo si occupa dei figli piccoli mentre la moglie passa le sue giornate chiusa in una stanza. Le vite dei personaggi s’intrecciano fra loro in un racconto carico di rimpianti e ordinaria umanità. La cittadina di Holt e i suoi abitanti rappresentato l’America profonda, più rurale, lontano dalla nostra immaginazione e i personaggi sono gli esponenti di questa comunità un po’ sfilacciata, senza tradizioni, senza valori forti, ognuno chiuso nella sua propria solitudine fino a quando qualcosa di profondamente umano e inaspettato da un volto alla speranza.

Giovanna Bozuffi

 

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Antonella Frontani

Ho apprezzato la scrittura di Kent che rende questo romanzo tenue e potente nel contempo.

Bella la costruzione dei personaggi che avviene attraverso una descrizione efficace, seppur priva di dettagli. È E’ un bellissimo esempio di narrativa che lavora per sottrazione e il risultato è delizioso.

Bello il contrasto tra l’assenza di orizzonte in uno scenario privo di possibilità e il trionfo della vita, nonostante tutto.

Antonella Frontani

 

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Angela Palmieri

Considero vincente questo romanzo per la sensibilità, la delicatezza e l'umanità disarmanti, per quanto contrapposte al crudo “verismo” della descrizione di certe scene. È E' il racconto di una realtà americana di provincia, rurale, legata alle cose semplici, ma anche difficile, un po' chiusa. I problemi del vivere quotidiano emergono in una descrizione assai efficace. Sono rimasta affascinata dal modo di scrivere dell'autore, come se narrasse fatti di famiglia, in modo semplice e autentico, nella sua descrizione ed analisi  dei vari  personaggi  del libro, tutti protagonisti in un modo o in un altro, e tutti fondamentali nel quadro  di insieme della vicenda. E' È geniale l'idea di porre due anziani fratelli che hanno sempre vissuto insieme, e da soli, di fronte all'unica opportunità di dare una svolta ed un senso alla loro vita, fino a quel momento dedicata esclusivamente al loro ranch ed ai loro animali: accogliere una ragazza rimasta incinta per ospitarla ed occuparsi di lei e della creatura che nascerà. C'è un modo di interagire tra i due burbero e contemporaneamente ironico. Infine, ritengo originale l'accorgimento stilistico di non usare le virgolette o  i trattini per distinguere i dialoghi, che sono un tutt'uno con il racconto di chi  scrive.

Angela Palmieri

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Emanuela Pallitto Martoglio

Il romanzo ha una struttura semplice, ogni capitolo descrive i protagonisti del titolo con tratti ordinari e lineari. Le azioni si svolgono nella provincia rurale americana e le storie dei protagonisti, inizialmente indipendenti, a poco a poco si incontrano e proseguono legandosi fra loro per giungere ad un finale corale. Nel panorama triste e grigio di Holt, località immaginaria che rappresenta la campagna americana, si distinguono eventi semplici, magari banali, che catturano e commuovono il lettore: come un semplice asciugamano rosa ancora con l’etichetta del negozio che due allevatori anziani fanno trovare ad una ragazza in difficoltà; è questo il modo in cui gli abitanti della comunità di Holt esprimono i loro sentimenti, attraverso i gesti e le azioni, non sono le parole pronunciate a spiegare l’affetto o la devozione ma l’attenzione alla cura dell’altro.

Emanuela Pallitto Martoglio

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Cindy Prado

Il libro perdente di questa settimana per me è Canto della pianura di Kent Haruf. Racconta la storia della quotidianità della vita di diversi personaggi della città di Holt: un padre con i due figli, due scapoli anziani, una giovane studentessa e una donna che la vuole aiutare. Le loro vite finiranno per intrecciarsi inevitabilmente le une alle altre per diventare un unico racconto. La prosa dell’autore è molto asciutta e semplice ma la storia in generale non mi ha particolarmente coinvolta, ho avuto difficoltà ad entrare nella storia. La mancanza anche di azione e la semplicità delle vite dei personaggi mi ha un po’ annoiata nel complesso.

Cindy Prado

 

 

 

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Irene Cambriglia

Con Canto della pianura, Kent Haruf è riuscito ancora ad incantarmi sin da subito con il suo stile asciutto, privo di fronzoli, capace di andare dritto al punto. Di quest’autore avevo già letto tempo fa Le nostre anime di notte che mi commosse profondamente per le sue atmosfere delicate e il modo in cui seppe raccontare l’amore. In Canto della pianura mi sono sentita subito parte della comunità di questa piccola cittadina immaginaria chiamata Holt: i personaggi sembrano vivere davvero la scena, quasi come se qualcuno mi avesse descritto ad alta voce una fotografia nei minimi dettagli. Ho apprezzato le lunghe descrizioni legate alla vita quotidiana dei personaggi, mi ha donato una certa pace interiore. Posso affermare senza alcuna esitazione che si tratta di un libro che consiglierei assolutamente, penso sia davvero in grado di rappresentare a pieno titolo il senso di cosa significhi Letteratura americana.

Irene Cambriglia

 

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Gisella Marcellino

Questo romanzo fa parte di una trilogia, di cui questo è il secondo libro. Siamo a Holt, un’immaginaria cittadina del Colorado dove la vita segue il ritmo delle stagioni. All’interno di un contesto in cui dominano la solitudine, il maschilismo, il bullismo, la provocazione, dove le questioni si risolvono a cazzotti e le minacce sono all’ordine del giorno viene presentata una carrellata di personaggi che si alternano nella narrazione raccontando come riescono a cavarsela. L’autore fornisce una serie di piccoli quadri di vita quotidiana con una serie di piccole storie di vite complicate e tristi che finiscono con l’intrecciarsi, in cui il vero protagonista è “l’uomo - antieroe”. Ogni personaggio ha le sue sfide da affrontare, ma i fratelli Mc.Pheron, Harold e Raymond, mi sono arrivati e rimasti nel cuore. Ogni pagina è intrisa di una sua dimensione dove le difficoltà delle relazioni umane sono le protagoniste indiscusse. Denominatore comune, la solitudine. Il periodo è ampio e elegante, ricco. La parola è attenta, scelta con cura tanto per raccontare i sentimenti quanto nell’uso del linguaggio tecnico più specifico. Se da una parte l’assenza di punteggiatura che differenzia un discorso diretto da uno indiretto può disorientare il lettore, dall’altra mi sono resa conto che mi ha spinto ancor di più a prestare massima attenzione. L’autore non segue i personaggi nel loro iter psicologico, sceglie il dettaglio, il frammento, circoscrive la storia lasciando al lettore la facoltà di interpretare i pensieri e i sentimenti, lo sforzo di immaginare ciò che resta sotto la superficie, interpretare i silenzi e le pause, lo spazio infinito oltre la pagina, conferendogli così un ruolo attivo nel romanzo. È E’ la stessa tecnica già usata nella grande letteratura americana da Hemingway: al lettore tutto ciò che rimane sottinteso. Oltre alla malinconia e all’isolamento, sono presenti l’altruismo, l’accudimento, la generosità, l’aiuto. Queste vite spezzate trovano conforto nelle piccole azioni. C’è la volontà di darsi una mano, un’umanità gratuita, senza tornaconto e l’uomo può sempre redimersi,  imparare dai propri errori, rinascere. La presenza dei personaggi negativi, dello studente strafottente, del fidanzato viziato e irritante, della gente che pensa male dei due  fratelli che ospitano una ragazza incinta serve a far capire al lettore come il male sia mediocre e come non ci si possa rassegnare al male, alla meschinità e alla miseria quando basta un po’ di solidarietà e di generosità per rendere luminosa ogni esistenza. In questa ricerca di condivisione e sentimento ci sono anche gli animali. Tre sono i momenti che li vedono protagonisti: la cernita delle mucche  “vuote”, il parto della giovenca, l’autopsia del cavallo, attimi narrati, nella loro violenza, con inquietante accuratezza. “CANTO DELLA PIANURA” è un inno alla vita, riflessione sui rapporti famigliari, è canto della vita che inizia (nella venuta al mondo, nelle nuove strade da prendere, nei cambiamenti necessari). È E’ un libro che fa riflettere, indignare e arrabbiare, ma anche sperare. L’autore con lo stile delicato e sincero racconta quanto può esser dura la vita, ma che insieme alle persone giuste, quello che è una difficile montagna da scalare, può diventare una dolce collina su cui passeggiare. A malincuore mi vedo dare la sconfitta a questo libro: perde solo sul filo di lana. Purtroppo un vincitore deve esserci tra i due e la scelta sull’altro libro è dovuta all’originalità e genialità dello scrittore mentre questa storia con la sua delicatezza e il suo “vivere in grigio” ha toccato le mie corde.  

 “ … C’è una lezione in ogni cosa che fai, basta avere gli occhi per vederla …”

Gisella Marcellino

 

 

 

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Elena Mai

Ammetto di aver fatto inizialmente la conoscenza di “"Tony & Susan"“ solo su pellicola, tramite il film di Tom Ford del  2016 “"Animali Notturni”": la mia passione per i drammi borghesi aveva vinto sulle resistenze che  d'abitudine provo di fronte ai thriller, e la storia mi aveva conquistata. Rispetto alla versione cinematografica, la lettura del romanzo di Austin Wright (che ho letto nella più recente traduzione di Adelphi) ha  aggiunto il piacere di trovare una struttura narrativa perfetta e l'amplificazione della tensione creata dal libro-nel-libro. E anche il lettore, insieme alla protagonista, finisce con l'avere paura del romanzo che ha tra le mani.

Elena Mai

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13 Lorenzo Bardia

Canto della pianura di Kent Haruf è, volendo giocare a tracciare le fila che uniscono opere e autori apparentemente molto lontani tra loro, una versione malinconica, sommessa ( ma non inerme ) e elegiaca degli orrori nascosti dietro le mura e i volti di provincia dei romanzi e dei racconti del miglior Stephen King. Lì c'è il profondo e gelido Maine, qui siamo a Holt, immaginaria e più che verosimile cittadina del profondo Colorado, popolata di quei “"tipi”" statunitensi che tante volte abbiamo incontrato in film, libri, graphic novel e canzoni e dove emergono maschilismo, solitudini, violenze, regolamenti di conti, chiusure mentali e, soprattutto, un'accentuazione dell'individualismo tipicamente americano che diventa disgregazione. C'è C’è però la speranza, rappresentata da chi è meno conforme e conformista al panorama di fondo; in qualche modo, dalle vittime e da chi è isolato. La forza del rurale Canto della pianura, romanzo dallo stile placido, talvolta elegiaco ed evocativo, e dalla durezza di sguardo, trova il suo principale punto di forza nel suo essere duro e non fare sconti senza però essere privo della speranza.

Lorenzo Bardia

 

 

 

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Arco di Trento “LibriCitando”
coordinato da Cristiana Bresciani:
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Romanzo ambientato nella provincia americana e nel quale le vite dei diversi personaggi si intrecciano e compongono un’unica storia. Ogni personaggio, apparentemente ordinario, diventa straordinario per la le scelte compiute in nome di valori importanti quali correttezza, giustizia, buonsenso, amore per gli altri. Si ha la sensazione che ognuno di loro non parli mai a caso o sprechi inutilmente energie. Scene di vita quotidiana, spesso crudele e che genera sofferenza, ma che con il contributo degli altri la rende degna di essere vissuta.

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L’alternarsi delle storie e il loro intreccio generano un buon ritmo: la scrittura, ricca di dialoghi spesso essenziali e con punteggiatura scarsa, riesce a generare emozioni e lascia una sensazione piacevole che invoglia a proseguire ma senza troppa fretta.

Ho molto apprezzato il libro e ne consiglierei sicuramente la lettura, mi ha invogliato a leggere anche gli altri due che compongono la trilogia.

Luisa Bozzato

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Titolo molto evocativo, suggerisce subito un’immagine che trasmette pace e silenziosa quiete.

Dopo una prima parte di narrazione descrittiva, il ritmo diventa incalzante e stimolante per la continua presenza di dialoghi, che riempiono poi praticamente i capitoli e rendono anche l’idea dell’azione (pur mancando la parti narrative classiche).

Due storie che sembrano correre parallele; i due fratelli Ike e Robby e i loro genitori (la madre depressa che ha lasciato casa) e la giovane Victoria con Maggie Jones, che la aiuta nel suo percorso di ragazza madre.

Accurata descrizione degli eventi principali, fanno apparire la scena davanti ai nostri occhi (es: la vita in fattoria con i controlli fatti alle vacche, la visita ginecologica di Victoria, le scorribande di Ike e Robby).

È un racconto di scelte, i personaggi si trovano tutti a dover prendere una decisione che cambierà la loro vita: Victoria è la scelta di tenere il figlio, i fratelli Harold e Raymond che stravolgono la loro vita da single per accogliere Victoria col bambino, Emma che lascia i figli Ike e Robby per ritrovarsi.

Romanzo intriso di tenerezza, l’ho trovato anche molto delicato in alcuni punti: nei dialoghi tra Ike e Robby e i genitori, tra i burberi Harold e Raymond che accolgono Victoria e la creatura che tiene in grembo e fanno di tutto per vincere la loro timidezza atavica per darle il meglio.

Stefania Fenner

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Vite essenziali, in una natura semplice, dura e senza orpelli inutili. È un mondo cadenzato dalle stagioni, dalla natura, dalla vita e morte degli animali.

I personaggi vivono le loro sofferenze, a volte tragedie, in solitudine, quasi non rendendosene conto o come se fossero una naturale conseguenza del loro essere vivi.

I due fratelli McPheron rimangono nella tua mente come due diamanti grezzi, sporchi ma puri e colmi di dignità. Abituati ad una vita semplice che non dava spazio alla felicità, si adattano molto velocemente alla novità e alla scintilla di vita che entra nella loro casa e che inconsapevolmente li rende per la prima volta nella loro lunga esistenza vivi e felici.

Tutti gli altri personaggi non sono altro che una cornice alla loro rinascita. Un po’ lento proprio come la vita nelle immense pianure americane deve essere ma permeato di solidarietà e di aiuto reciproco, sentimenti che non ti aspetti di ritrovare in questo ambiente così scarno, asciutto e sintetico.

Emanuela Prandi

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Canto della pianura, si legge molto bene, mi ha preso molto, buona la descrizione, scorrevole, buona e bella la storia, mi è piaciuto molto.

Anna Maria Tavernini

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Una favola moderna, che trasmette una grande dolcezza pur nel contesto a volte crudo.

Valeria Gallini

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Canto della pianura: libro decisamente piacevole, scritto bene, scorrevole, ambientato in una piccola cittadina a carattere prettamente rurale degli Stati Uniti, dove la vita scorre tranquilla. Mi è piaciuta la scelta stilistica dell’autore, che non usa mai il virgolettato per i dialoghi, ma riesce comunque a trasmettere al lettore la potenza e l’autenticità delle “voci” dei protagonisti. La descrizione dei personaggi è minuziosa, delicata e approfondita anche da un punto di vista psicologico, ognuno di loro ha un ruolo fondamentale all’interno della narrazione. Mi sono affezionata in modo particolare ai vecchi fratelli McPheron: Raymond e Harold, che nonostante abbiano passato gran parte della vita in solitudine, da scapoli incalliti, circondati solo dai campi a dagli animali della fattoria in cui vivono, lontani dal mondo “civile”, non ci pensano due volte ad aiutare un’adolescente 17enne rimasta incinta e allontanata dalla madre, anzi se ne occupano in modo esemplare, circondandola di mille premure e attenzioni, preoccupandosi anche di tutti gli aspetti pratici, dimostrando, pur nella loro semplicità, acume e vivace intelligenza. Mi è piaciuto il messaggio forte di speranza che Haruf trasmette in questo libro: spesso l’aiuto arriva da chi meno immaginiamo, un aiuto sincero, puro, che sa donarsi senza chiedere nulla in cambio.

Ceccaroni Lorena Ceccaroni

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un libro molto attuale con situazioni che si trovano nella società contemporanea. Due fratelli Bobby e Ike che si trovano tra due genitori che non vanno più d’accordo e si dividono e si trovano a vivere con uno solo e andare a trovare l’altro loro malgrado. Due ragazzini che nmonostante la loro età sono comunque responsabili sembrano più grandi della loro età e quando sono dalla mamma chiusi un casa sembrano due bambini della loro effettiva età che fanno giochi da bambini e buttano cose da terrazzo.  I due fratelli McPheronkperson abituati a vivere da soli in campagna hanno accettato di ospitare Victoria in attesa di un bambino. Due persone abituate a lavorare ma che accettano di ospitare una persona in difficoltà e per di più in attesa di un bambino. Impreparati e buffi i confronti che fanno tra persona o mucca incinta. L’ingenuità di Victoria dovuta alla sua giovane età ma probabilmente anche la sua situazione familiare che non la ha aiutata. Molti sono i giovani che se lasciati soli commettono errori non per cattiveria ma per inesperienza. Anche il ruolo del genitore ê determinante e difficile.

Laura Baldessari

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Devo dire che questo è il libro che non avrei letto se avessi potuto fare come al solito quando scelgo un libro ovvero: leggere la prima pagina e vedere se mi prende. L’ho però preferito all’altro, perché la scorrevolezza della narrazione è un grande e apprezzato pregio che l’autore porta nel volume. Devo dire che non amo né le descrizioni cruente (leggi autopsia del cavallo che perdura oltre ogni ragionevolezza e di cui si scusa perfino il traduttore al termine del volume) né l’eccessiva descrizione dei luoghi. Facendo parte di una trilogia il traduttore specifica che in questo secondo libro l’autore differisce nella sua scrittura, perché nel primo libro più essenziale e asciutta. io non l’ho letto. A questo punto però ne sono un po’ incuriosita, perché mi piace di più quel tipo di scrittura e penso che l’autore sia una persona intelligente se riesce a differenziare così il suo modo di scrivere. Comunque mi ha interessata abbastanza per voler sapere come proseguiranno le avventure dei due anziani agricoltori e che fine faranno i due ragazzini figli dell’insegnante.

Viviana Parisi

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Canto della Pianura: quello che mi è piaciuto meno, comunque ottiene un 6+!

Racconto ambientato nell’America rurale povera ed ignorante; le vicende dei personaggi sono raccontate in modo molto frammentato e fanno perdere il filo del racconto... c’è inoltre un uso esagerato dei dettagli che rendono lenta la lettura. Migliora nella seconda parte con un finale buonista.

Barbara Tamburini

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Canto della pianura: le pagine scorrono come note di una melodia che alterna alti e bassi, pause e incalzanti motivi. Le note sono le persone, ma anche gli animali, descritte in modo minimalista ma che alla mente affiorano come dipinte nelle minime sfumature. Le vite sono ordinarie ma nel racconto diventano straordinarie, uomini e donne di campagna delle grandi pianure americane. Non succede nulla di eccezionale ma rimane il desiderio di continuare la lettura della trilogia.

Chiara Bertolini

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Il libro di Kent Haruf l’avevo già letto ma lo ricordavo bene. È un romanzo di grande umanità ambientato a Holt una cittadina americana immaginaria. Lo scrittore con le sue descrizioni delicate dei personaggi che ho incontrato nella lettura del romanzo mi ha trasmesso la vita reale delle famiglie delle comunità rurali, talvolta in modo molto commovente come per i due fratelli anziani.

Cristiana Chesani

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Questo romanzo, il primo della Trilogia della Pianura, fin da subito accompagna il lettore per le strade di Holt, cittadina immaginaria in Colorado. Percorrendo Railroad Street fino a raggiungere la stazione di Main Street si ha l’impressione di poter seguire con lo sguardo i protagonisti del racconto e, sbirciando dalla finestra, osservarli mentre al mattino spalmano di marmellata i toast imburrati o, al calar della sera, si riposano in cucina scorrendo le pagine di un quotidiano. Ecco, possiamo vederli proprio lì davanti a noi: sono i giovani figli di Tom Gurthie, Ike e Bobby, con i loro identici occhi blu, pronti ad inforcare la bici ed iniziare a consegnare i giornali, subito prima di andare a scuola. In seguito, ad alcune miglia dalla città, in una vecchia fattoria malandata conosciamo invece i due fratelli McPheron, con i volti segnati dal tempo e dalla fatica, la cui esistenza, ben presto, verrà stravolta dall’incontro insperato con la giovane sfortunata Victoria. Haruf riesce a dare vita ad un sapiente intreccio di storie dolorose e delicate allo stesso tempo, grazie ad una narrazione fluida e realistica, che consente al lettore di affezionarsi ai personaggi tanto da sentirne la mancanza non appena terminata la lettura, come fossero degli amici dai quali non ci si vuole più staccare.

Claudia Prandi

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Conoscevo già Kent Haruf avendo letto “Le nostre anime di notte” e avevo già molto apprezzato la delicatezza e l’armonia del suo stile; anche in questo romanzo non mi ha deluso. Di fondamentale importanza la premessa del traduttore all’inizio del romanzo che fornisce una chiave di lettura importante per comprendere meglio non solo le ambientazioni del romanzo ma anche lo stile di Haruf.

Il titolo originale del romanzo Plainsong - canto piano rappresenta una tipologia di canto a cappella diffusa nel Medioevo e composta da un insieme di voci ed è la metafora perfetta per questo romanzo corale ove le vicissitudini dei diversi personaggi si fondono e concordano tra loro a rappresentare ognuna una determinata fase della vita.

Assistiamo ad amori, solitudini, separazioni, rifiuti, addii, partenze e ritorni, silenzi - ogni singolo personaggio ci offre uno spaccato di vita reale, talvolta molto crudo e carico di dolore. Canto della piana è un inno alla vita, nonostante gli ostacoli e le difficoltà ogni singolo personaggio non si lascia sopraffare dagli eventi e con coraggio e dignità combatte per raggiungere quel briciolo di felicità che gli spetta.

Chiara Covi

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Ho trovato questo libro davvero incantevole, con un’atmosfera di calma che lo pervade nonostante le vicende difficili dei personaggi.

Ho amato la descrizione dei personaggi, ed ho amato particolarmente i personaggi di Victoria.

Ho molto apprezzato anche la descrizione poetica della vita che si conduce nella piccola comunità che vede vivere i personaggi.

Tiziana Betta

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Lettura scorrevole e trama abbastanza avvincente. È stato naturale trovare empatia per i giovani protagonisti... tutto sommato un libro piacevole che però non sono riuscita a terminare. E in verità credo che non terminerò perché non è scattata la curiosità di sapere “come va ad finire”.

Chiara Marcozzi

 

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Milano 23 “Libri sotto al piumone”
coordinato da Nicola Piuminini
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Purtroppo non sono arrivate recensioni per questo libro

 

 

Il torneo letterario di Robinson è un'iniziativa curata da Giorgio Dell'Arti per conto di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.
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