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Ciò che non uccide di Benedetta Blancato

Castelvecchi

 

Argomento di attualità, le ferite invisibili e permanenti dei sopravvissuti ad attentati, la curiosità le indagini e il calo di attenzione sulle vittime fino alla saturazione e all’oblio. La vita continua l’amore / gli amori, il tutto in una specie di discorso indiretto libero, quasi un dialogo interiore, scritto in un linguaggio pretenzioso, ammiccante e tuttavia non cattura l’attenzione di chi legge, sembra soprattutto costruito come per un saggio a un corso di scrittura. Il tema è banalizzato in una insistente e pervasiva focalizzazione sulle emozioni e sensazioni della protagonista, scontate, prevedibili, sprecando un’occasione di riflessione e di approfondimento su un tema interessante, annegato in tanti luoghi comuni.

Anna Grattarola Romano

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Mi ha interessato in quanto testimonianza diretta dell’attentato al Bataclàn del 2015 a Parigi. Il libro è risultato scorrevole e di facile lettura; quello che mi è mancato è il coinvolgimento emotivo. L’autrice scrive in seconda persona singolare e si rivolge a sé stessa, e questo mi è sembrato un effetto dello stress post-traumatico, come se volesse prendere le distanze da quella sé stessa del novembre 2015, ma l’effetto è che prende le distanze anche dal lettore e la narrazione appare un flusso di coscienza individuale difficilmente trasmissibile ad altri. Non a caso, la terza parte del libro, in cui la narrazione si sviluppa in prima persona, è quella che preferisco.

Patrizia Ferragina

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Ciò che non uccide: L'autrice non è riuscita nell'intento di trasmettermi in maniera emozionante la terribile " Notte" vissuta in prima persona. Tenendo conto che è una storia vera mi sarei aspettata un'elaborazione dei sentimenti più profonda. La descrizione delle sue storie d'amore sono fredde e prive di autenticità.

Rita Lopane

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Volendo riassumere in poche parole il senso di questa storia si può parlare di un percorso di rielaborazione di un trauma subito dall’io narrante nel corso dell’attacco terroristico al Bataclan a Parigi ad opera dei fondamentalisti islamici. Su questo evento determinante si innestano, oltre che la descrizione delle inevitabili reazioni emotive, le memorie personali recuperate sull’onda di analogie e differenze fra passato e presente. Attraverso questo gioco di rimandi il lettore può ricostruire il profilo biografico, ma anche psicologico, della protagonista. La quale, prima dell’evento decisivo che lei riassume nel termine “Notte”, sembra aver condotto una vita priva di interesse. Le diverse sfaccettature dell’esperienza vissuta sono consegnate ad uno stile comunicativo veloce e a tratti sorprendente, uno stile che forse ha come limite l’eccesso di elisioni e la sovrabbondanza di metafore nascoste, tanto che, paradossalmente, l’apparente asciuttezza delle frasi lascia trasparire un gusto quasi barocco per gli accostamenti stupefacenti.

Salvatore Pennisi

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Il racconto non scorre, risulta faticoso seguirlo, è spigoloso, un’autobiografia raccontata in seconda persona. Forse proprio per questo l’impressione che se ne ha è un giudizio della narratrice piuttosto che un racconto autobiografico. I sentimenti escono già con il timbro dell’accettazione o della negazione. Troppi dettagli nella descrizione, e ripetizioni. E poi quel “tu” “tu” “tu” narrante l’ho trovato odioso. Francamente ho fatto fatica a leggerlo fin dall’inizio, poi alla trentesima pagina mi sono arreso. Forse non è il libro per me, o forse sarebbe stato meglio raccontarlo in terza persona.

Pierangelo Vernizzi

 

 

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