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Di chi è questo cuore di Mauro Covacich

La Nave di Teseo

 

La scoperta di una problematica cardiaca sarà per il protagonista occasione e pretesto per offrire una intensa carrellata di ricordi della sua vita e per condurre il lettore, quasi mano nella mano, in un viaggio di introspezione, attraverso la visitazione di luoghi vecchi e nuovi, con riflessioni sulla vita, sui rapporti affettivi e familiari, sulle fragilità e paure di tutti gli esseri umani, prime fra tutte la malattia e la solitudine.

Ivana Paganelli

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Romanzo autobiografico di uno scrittore che parla di se stesso ma anche di ciò che scrive, come giornalista e romanziere. La continua alternanza dei due piani di scrittura specie all'inizio rende alquanto difficoltosa la lettura almeno fino a quando non si riesce a comprendere il meccanismo attraverso cui lo scrittore intende farci entrare nel suo mondo. La comprensione del testo è talvolta resa ancora più difficoltosa dall'utilizzo che fa il protagonista dei "suggerimenti" che gli arrivano da amici o da altre persone che a vario titolo entrano nel suo mondo. Di questi spunti oltre ad altri da lui stesso osservati nella vita di tutti i giorni lo scrittore ne fa l'argomento degli articoli che scrive sul giornale a cui collabora. In altre parole, nel romanzo si succedono narrazioni sul suo io, alle prese con seri problemi di salute e narrazioni invece di vari eventi che attorno a lui si svolgono o che sono comunque contemporanei. Tra i vari c'è la dolorosa storia di un ragazzo che cade da una finestra di un albergo durante una gita scolastica e che è lo spunto per lo scrittore per riflettere sulle pulsioni degli adolescenti in questa difficile società. C'è inoltre un altro personaggio, di cui non si sa altro che è obeso, che fa parte della vita privata del protagonista e che da quel che poco che si capisce fa parte della sua sfera sessuale, insieme e/o in alternanza con la compagna di cui pure si sa pochissimo. Il testo è ambientato a Roma, vista prevalentemente attraverso le descrizioni delle corse sugli argini del Tevere, corse altamente sconsigliabili per il rischio di sincope ma apparentemente irrinunciabili, una Roma poco partecipe, distante e fredda.

Lo scrittore ha una bella scrittura fluida, scorrevole e moderna ma i contenuti non riescono ad arrivare al lettore come certamente da lui auspicato.

Gilda Caruso

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L’incipit focalizza l’attimo in cui il protagonista si sottopone ad un ecocardiogramma che segna l’inizio di un periodo di forzato riposo. Il senso del limite, del rischio, stimola un flusso di emozioni e pensieri. L’autore intraprende una cavalcata “senza riposo” in cui passa ininterrottamente dall’esterno all’interno. Ci mostra una Roma maestosa e decadente che osserva con cura, i suoi abitanti, compreso chi vive ai margini come gli “uomini albero”, ma anche i suoi pensieri, la sua vita, persino ciò che gli appare inconfessabile ma che è costretto a mettere sulla pagina da un individuo volgare che ha la funzione di un implacabile alter ego. Il tono è leggero, ma al tempo stesso profondo, i registri si intersecano e l’ironia accompagna piacevolmente questa cavalcata di pensieri e immagini.

Giovanna Albenzio

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Il cuore menzionato nel titolo di questo libro, non c’è dubbio, è proprio quello dell’autore perché la narrazione è chiaramente autobiografica. L’immagine che Mauro vede sul monitor durante l’ecocardiogramma rivelatore di un’anomalia, e che sembra fargli percepire il suo cuore addirittura estraneo da sé, in realtà è un organo che gli appartiene, “non è un pianeta sconosciuto” come egli stesso afferma.

La diagnosi di ipertrofia cardiaca lo ha costretto ad abbandonare l’attività agonistica e soprattutto ha modificato la prospettiva della sua vita: il timore di una sincope, di una morte improvvisa - “non sono morto neanche oggi …” - lo costringe a soffermarsi di più sul presente come unico ‘tempo’ che valga la pena di analizzare.  Ecco dunque che Covacich basandosi su appunti presi giorno per giorno guardandosi intorno, nell’ambito dei suoi affetti famigliari e della città in cui vive, la Roma del Villaggio Olimpico ma non solo quella, raccoglie in questo libro le sue riflessioni sulla vita di ogni giorno fatta spesso di solitudine, disperazione, emarginazione. Fissando alcuni temi sotto forma di titoli di paragrafo – I cattivi, Facebook, Bambini, Anne (Frank), Soldi bucati, Soli soletti, Il cuore e i denti, Padova, Lettori, Un’intervista, Acidosi, I topi, Gli uomini albero – ma al tempo stesso divagando rispetto ad essi, l’autore compie il suo excursus narrativo.

In questo suo ‘diario’, che è osservazione del mondo circostante ma al tempo stesso osservazione di sé, l’autore non esita a smascherare la solitudine dilagante che attanaglia le persone, “autentiche monadi senza porte né finestre” fino a dire di se stesso “non ci sarà una sola traccia di me nelle vite che ho attraversato”.

Anche il suo alter ego, l’apparizione di un uomo grasso, nudo e osceno che si manifesta solo ai suoi occhi, è grottesco ed esprime chiaramente con la sua ingombrante e ripugnante fisicità, tutto il malessere dell’io narrante. 

Le riflessioni di Covacich sono interessanti, ma purtroppo la narrazione è inevitabilmente molto frammentaria e slegata. Del resto nelle Note finali lo stesso Covacich precisa che “alcuni brani sono usciti in una prima versione e con titoli redazionali sull’inserto ‘La Lettura’ del ‘Corriere della Sera’”. È evidente, quindi, che questo libro è il risultato di una scaltra operazione editoriale studiata a tavolino.

Carla Ortona

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“Tu non vedi persone”: è l’alter ego che parla. Lui, il protagonista, di fatto, non le vede; piuttosto si muove frettolosamente tra persone che si ignorano, indaffarate a gestire una vita convulsa sullo sfondo di una Roma che nasconde le sue bellezze sotto una coltre di disagio e alienazione.

Con una sensibilità alterata e un’immagine del proprio sé instabile, lui cerca sempre e solo di trovarsi e ritrovarsi nella voragine della sua solitudine, incapace di stabilire relazioni di senso.

La sincope che lui si aspetta, che forse teme e forse desidera, è la risposta del suo cuore malato ad un’esistenza ignorata dallo stesso protagonista: “Non ci sarà una sola traccia di me nella vita che ho attraversato. E viceversa” Il “viceversa” sono gli altri che lui non “vede”: la scrittura è allora il solo modo per darsi esistente. Il ritmo narrativo accelerato e la costante tensione comunicativa trasportano il lettore nella velocità immobile del protagonista.

Angela Campa

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Definire questo libro un romanzo o una cronaca quotidiana di emozioni, sentimenti, pensieri evocativi, non è semplice perché l’autore assume di volta in volta, il ruolo di protagonista del racconto o di scrittore e narratore di eventi e storie di vita tristi, e di scelte poco edificanti per combattere le solitudini, le mancanze di affetto, di vicinanza della famiglia, degli amici, dei vicini di casa …

Mauro Covacich ambienta le sue storie nella capitale d’Italia, dove vive in compagnia di Susanna, con cui alterna momenti di vicinanza ma anche di lontananza, di incomprensione, di assenza di dialogo che, intrecciate alla sua salute precaria, cardiopatia, si ripercuotono negativamente sulla personalità dello scrittore, e quindi il testo, pur notevole nelle descrizioni, risulta triste, malinconico, anche se ricco di riflessioni sulla vita e sulla morte.

Le vite e le anime dei personaggi incontrati per strada durante il suo footing mattutino, sono sempre fragili e tristi, senza progettualità, inermi, ma anche bruti e cattivi, i personaggi evocati. ( Gli amici del ragazzo caduto dal balcone dell’albergo a Milano, che negano di aver visto il compagno schiantarsi sul pavimento del giardino).

La concezione dell’uomo e della vita, secondo lo scrittore, sembrano essere decisamente negative, fin a quando Arcimboldo, ubriacone clochard, gli parla raccontandogli della volontà di ritornare al suo paese di origine per il matrimonio di una sua figlia. I sentimenti positivi sembrano riaffiorare: l’affetto per i figli, il dispiacere per “un uomo albero” che va via….

 

Giulia Fazio

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Il cuore è quello che si è ammalato del protagonista, sportivo che deve fare i conti con questa nuova condizione, che gli cambia non solo le pratiche quotidiane, ma soprattutto lo sguardo su se stesso e sul suo rapporto con gli altri e col mondo. La sua corsa diventa sempre più un camminare, la sua nuotata un immergersi nelle vite degli altri e attraverso quelle vite in se stesso, nella sua. Le barriere e i confini, visuali, culturali, fisici, si sfumano e gli altri irrompono.

Il romanzo di Covacich è esso stesso una camminata che conduce con se chi legge, facendogli/le incontrare un’antropologia in cui le specie, umane, animali, vegetali si contamino e si mischiano. Uomini e donne che si fanno alberi, topi o gatti cui si accolla l’onere di portare nel lontano futuro la leggibilità delle scorie radioattive, umanità invisibile ai più che si palesa, spazzando via, nello spazio di una panchina e nel tempo breve, stereotipi e scontato.

E si, la meta è il viaggio in questo bel libro di Covacich

Giusi Giannelli

 

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