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Falconer di John Cheever

Feltrinelli

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Vigevano “Circolo Bibliosofia della La biblioteca di Mastronardi”
coordinato da Raffaella Barbero

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Il carcere trasforma l’uomo che vi abita e così Farragut e tutti i personaggi, guardie e detenuti, sono modificati dagli spazi e dai tempi alienanti della prigionia.

Cheever non giudica ma descrive piuttosto la vita e i rapporti umani nel campo di detenzione di Falconer dove i personaggi non fanno orrore per i crimini commessi, ma sono in un certo senso compresi dal lettore per il loro bisogno di affetto e di calore umano che incanalano nel desiderio sessuale, indifferentemente rivolto a mogli, compagni, amanti.

Già prigioniero della dipendenza dalla droga, di un matrimonio senza amore e di legami familiari difficili, all’origine del fratricidio, il protagonista si riscatta nel finale catartico e liberatorio.

Raffaella Barbero

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Falconer fu scritto nel 1977 dallo scrittore statunitense William John Cheever. Ezekiel Farragut è un professore che, sotto l’effetto di droghe, uccide il fratello con un attizzatoio; viene quindi rinchiuso nel Carcere di Falconer, un luogo “squallido, sporco e maleodorante”. In carcere, il protagonista incontra un altro detenuto, Jody, al quale piace raccontare ed ascoltare e che diventerà per un certo periodo il suo amante. Soltanto alla fine del romanzo conosciamo la famiglia del fratello dal racconto dello stesso protagonista. Si tratta di una famiglia allo sbando: la moglie parla con la televisione, una figlia pazza che tenta di suicidarsi e un figlio in galera. Farragut capisce che non vuole essere identificato con il fratello; preferisce diventare un drogato piuttosto che essere scambiato per Eben. Quando Eben rivela ad Ezekiel che il loro padre non lo voleva e che fece venire a casa un abortista affinché non nascesse, allora il protagonista colpisce il fratello con un attizzatoio. Per sopravvivere in carcere ci vuole astuzia e il coraggio di prendere il giusto posto nelle cose. Ed ecco che, quando un detenuto muore in cella, Farragut prende il suo posto all’interno del sacco funebre e così si ritrova all’esterno e ricomincia a vivere come resuscitato. Inizialmente ho trovato il romanzo troppo crudo e volgare per i miei gusti letterari, ma poi la scrittura di Cheever è riuscita a coinvolgermi nelle vicende del protagonista e a farmi appassionare al romanzo.

Alessia Chierico

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Falconer rappresenta un’anomalia nella produzione letteraria di Cheever sia dal punto di vista stilistico che tematico, eppure è il romanzo da cui consiglierei di partire per scoprire questo grande Scrittore americano del secolo scorso. Nonostante la trama possa apparire inizialmente scontata, si scopre velocemente che non siamo di fronte al solito romanzo carcerario in cui il protagonista compie un percorso di pentimento e di presa di coscienza dell’accaduto, che infatti è quasi ininfluente e rimane non analizzato. L’autore con uno stile asciutto, scarno e affilato descrive la condizione umana rinchiusa dentro alle mura carcerarie creando in modo sapiente un’affascinante galleria di ritratti umani tutti simili, tagliati fuori dalla vita reale e costretti a vivere in un limbo, isolati e reclusi, senza più percezione di tempo e spazio.

Edoardo Mornacchi

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734-508-32 o Ezekiel Farragut, chi è il vero protagonista di Falconer? La risposta può essere entrambi e nessuno. Cheever ha scritto un breve romanzo pregno di piani di lettura: una critica alla noia medio borghese; la vita quotidiana all’interno di un carcere; il dualismo dell’essere umani; la ricerca, anche inconscia, di sé e della propria libertà ad essa strettamente connessa. Durante la lettura è possibile sentire sgretolarsi convinzioni, convenzioni e i propri pregiudizi, se si vuole cogliere il fatto che: sia che ci si senta 734-508-32 o Farragut, tutti possiamo essere un numero o un nome; uno, nessuno o centomila, dipende se vediamo davvero chi siamo.

Simone Satta

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J. Cheever riesce stupendamente a fondere i vari piani temporali del romanzo, quelli che si riferiscono alla prigionia del protagonista, Farragut, e quelli che egli stesso rievoca, quasi ossessivamente in cella. È stato scritto che è la storia di una discesa all’inferno, ma secondo me il vero inferno è quello interiore del protagonista che in fondo non ha mai scelto nella vita ma è stato in balia delle circostanze, della famiglia e di un suo travaglio interiore che poi lo porterà ad essere un tossicomane. Non sembra però condannare la sua dipendenza dalla droga se definisce “i drogati” la crema della generazione post-freudiana. È per questo che non credo nel finale liberatorio della fuga di Farragut dalla prigione: non potrà liberarsi facilmente da sé stesso e dalla sua sensazione di essere attorniato da un “nulla osceno”. Anche per questo, e non solo per il crudo realismo della descrizione della vita in cella, il libro è un pugno nello stomaco.

Nives Trombotto

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Falconer è il nome di una prigione. Una volta al suo interno, l’uomo viene snaturato, diventa un mero riferimento burocratico governato da irrazionalismo e repressione di ogni tipo. Cheever descrive con grande durezza e in dettaglio l’internamento di Farragut, un uomo segnato dal suo crimine, dalla sua punizione e dalla sua stessa lotta. Sin dalla sua ammissione, il protagonista, un omosessuale sposato, un eroinomane che è stato imprigionato per la morte del fratello, è stato mosso da codici di comportamento che alterano la stessa natura umana. La sua unica vita sociale è quella dei reclusi, i suoi contatti con la realtà esterna sono scarsi e dovrà lottare per rimanere un uomo. Attraverso la memoria, entriamo nelle profondità della sua mente in modo tale da arrivare a comprendere le motivazioni e le ragioni che guidano la sua vita.

Chiara Ghilardi

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L’autore descrive un protagonista che convive fin da giovanissimo con una grave dipendenza dalla droga, di cui parla come di una condizione normale. Quando viene condannato all’ergastolo, reo di fratricidio, si trova quindi doppiamente prigioniero e dipendente sia dal metadone che dall’organizzazione carceraria, ciononostante riesce ad adeguarsi facilmente alla nuova condizione. Con una prosa sobria e misurata, il racconto descrive i ritmi, i caratteri, l’amicizia, l’omosessualità, e anche la solidarietà di quel microcosmo, dove si vive senza nessun progetto, come in un tempo sospeso. Colpisce il forte grado di alienazione di tutti i personaggi del romanzo, resi con grande maestria.

Angela Bertelegni

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Falconer parla di un uomo, Farragut, professore universitario, accusato di aver ucciso il fratello. E la descrizione di una discesa all’inferno, di un uomo che viene strappato dalla sua vita tranquilla, dalla famiglia, dalla moglie e di come si può imparare a sopravvivere in condizioni terribili. Il protagonista avvolto nella sua solitudine, trova compagnia nell’eroina e intreccia perfino una relazione omosessuale con un altro detenuto.

 L’ho trovato un romanzo crudo, dal linguaggio forte. L’autore è molto bravo nel descrivere sia la situazione emotiva dei protagonisti, lo spirito di sopravvivenza che trova l’uomo nella sua anima, sia gli ambienti e lo squallore della prigione Falconer chiudendoci anche il lettore, che cercherà di giungere al più presto alla conclusione della storia.

Maria Basiricò

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Farragut viene condannato alla reclusione nella prigione di Falconer per l’omicidio del fratello. la vita carceraria, dove tutto sembra andare in modo diverso al punto da far dimenticare ai detenuti i loro contatti con l’esterno, lo trasforma inesorabilmente in un altro uomo. L’autore racconta la vita carceraria con l’intento di analizzare i meccanismi che lentamente ma implacabilmente, trasformano la psiche umana fino a modificare la sua percezione di tempo e dello spazio, nel momento in cui si trova confinata senza alcuna possibilità di uscita. Non si sofferma a indagare l’effettiva colpevolezza o meno del protagonista e non vi viene fatto altro che qualche accenno, ugualmente vengono sommariamente raccontate le vicissitudini degli altri detenuti che ora appaiono tagliati fuori dalla vita reale e condannati a vivere in un limbo nel quel ogni cosa appare irrimediabilmente lontana, incoerente come la sequenza di un sogno.

La narrazione è priva di pietismi o melodrammi, e questo paradossalmente da al racconto una certa potenza. “Accettazione” è la parola che mi viene da usare per descrivere questa storia, che non mi ha stupito ne deluso. Accettazione della vita e delle sue delusioni e vicissitudini. E forse è questa la sua parte peculiare.

Mauro Rizzo

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La lettura di Falconer mi è risultata impegnativa dal punto di vista emotivo: talora mi ha provocato malessere o addirittura nausea con le scene più crude e/o cruente. Probabilmente avrei abbandonato se non avessi dovuto onorare un impegno, ma ce l’ho fatta ad arrivare in fondo e sono contenta. Mi è sembrato di entrarci veramente nel desolato braccio F di quel carcere americano, tutto sommato forse meno violento di quanto si immagini in quei luoghi, ma comunque gravido di sofferenze fisiche e soprattutto psicologiche; un luogo in cui Ezekiel Farragut, il protagonista, professore universitario fratricida e da sempre tossicomane, tenta di non farsi sopraffare dalla alienazione totale. Cheever ci presenta, insieme al protagonista, una galleria di personaggi reietti. La conclusione giunge quasi inaspettata e alla fine si tira un sospiro di sollievo per la riconquistata libertà di Zeke, o meglio per la liberazione non solo dalle sbarre della prigione, ma anche, ci piace presumere, dai vincoli della vita precedente non proprio esaltante.

Antonia Ricciuti

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Un uomo comune, una famiglia, ottima istruzione, bel lavoro. Condannato per aver ucciso il fratello e spedito in una delle peggiori prigioni d’America, Falconer, sembra destinato ad essere una vittima sacrificale degli altri detenuti e dei secondini.

Scopriremo insieme a lui che, nonostante atti feroci, causati anche dalla paura reciproca tra detenuti e guardie, la vera violenza è “fuori” del carcere e che è fatta di falso amore, quello delle persone più vicine, dei familiari. Nel silenzioso ri-azzeramento della vita, che avviene nel penitenziario, il protagonista scopre una nuova umanità, non “buona”, non pienamente solidale, menzognera, eppure verace, che si può amare e di cui si può anche avere compassione (forse proprio perché sono i primi a non credere di essere innocenti, anche quando lo affermano a pieni polmoni). Lo stile della narrazione è spiazzante: a fronte di tematiche forti, la scrittura rimane lieve, forse con un sardonico sorriso qua e là, così che le cose sembrano accadere semplicemente, facilmente, inesorabilmente, come lo scorrere dell’acqua.

Denuncia delle dure condizioni di vita carcerarie ecc. ecc? Non direi. Metafora - a tratti anche psicanalitica - della rinascita attraverso la caduta e il Purgatorio? Non saprei.

Andrea Feoli

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Quella di Ezekiel Farragut è una vera e propria discesa all’inferno, quando arriva nel carcere di Farragut, accusato di aver ucciso il fratello. Farragut in prigione subisce una forte spersonalizzazione, viene annullato come uomo, e di lui resta solo lo stigma e la vergogna della colpa. Sin dalla prima pagina, il personaggio che ci si trova davanti non è infatti il “vero” Ezekiel, ma un sempre meno consistente - eppure sempre più doloroso e tangibile - prigioniero 734-508-32.

John Cheever porta avanti una narrazione claustrofobica e traumatica, mostrando una condizione umana alienata e nuda, che deve tanto alle riflessioni sulla condizione carceraria di Michel Foucault.

Giulia Rizzato

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Un viaggio incredibile attraverso l’inferno, lo stravolgimento di quella che sembrava una vita normale. Ezekiel Farragut ha quarantotto anni e insegna all’università. Per lui le porte di Falconer si spalancano in seguito alla condanna per l’omicidio del fratello.

Da quel momento non sarà più un padre affettuoso ed un marito mansueto, ma il prigioniero 734-508-32; cosi si lascerà trasportare nel ciclone delle dipendenze: l’eroina e una peccaminosa relazione che intreccia con un compagno di sventure lo rinchiuderanno in una solitudine invincibile ancor più di quanto non sappiano fare le sbarre del carcere. Un romanzo concentrato e potente, la lotta di un uomo per mantenere la sua umanità in un abisso popolato dai fantasmi della propria interiorità e dei propri vizi.

Martina Azzolari

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Il romanzo é duro, doloroso e scava nella fragilità dell’esistenza di esseri umani esplorando gli angusti corridoi della prigione di Falconer.

All’interno di questo carcere, conosceremo il protagonista Farragut il quale, dopo una vita tranquilla, diventa un prigioniero per aver ucciso il fratello.

Si apre l’abisso per Farragut, una discesa nell’inferno verso la solitudine più profonda.

Nel carcere di Falconer, tutti gli estremi collimano, quindi non si distinguono più verità e torto o il bene dal male.

Anche in una condizione così estrema, l’autore conduce il protagonista a lottare con le sue sole forze per non perdere la propria umanità.

Giudizio: buono

Libro consigliato, ma non per tutti

Franca Ottoboni

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Piacenza 2 “Festivaltrebbia”
coordinato da Irina Turcanu:
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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Livorno “L’avventura di un lettore”
coordinato da Valeria Cioni:
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Farragut è un uomo come tanti, finché si spalancano per lui le porte del carcere di Falconer. La tossicodipendenza e la relazione con un compagno di prigionia lo chiuderanno sempre di più in se stesso e nella sua solitudine. Un romanzo crudo e potente che racconta i disperati tentativi di Farragut di mantenere la sua umanità nonostante l’abisso in cui è caduto non solo a causa delle sue azioni ma anche per il sistema di correzione a cui è condannato. Cheever non risparmia al lettore gli aspetti più squallidi dell’esistenza ma ci dà anche una via di salvezza, il nostro ingegno, proprio come fu per Edmond Dantes.

Giulia Bertolini

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Tanti personaggi memorabili a dimostrazione che tutto ciò che è umano ci appartiene. Tutti ruotano, con le loro storie, attorno a Farragut. Più che un inventario di degradazioni e violenze, è una descrizione dei possibili percorsi di redenzione. Non un resoconto giornalistico, ma un romanzo spirituale, di cuore, che descrive con attenzione i rapporti umani tra tutti i soggetti presentati come colpevoli, per mettere al centro il concetto di innocenza. Cheever ci fa respirare un clima cameratesco in cui tutti ricercano affetto e calore con un atteggiamento che è proprio di bambini più che di delinquenti. Compare così anche la tenerezza che ci fa sperare in una catarsi: l’evasione può essere vista come possibile assoluzione

Paola Palumbo

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Dramma carcerario raccontato bene, anche se non molto scorrevolmente, da John Cheever. Ezekiel Farragut è in galera, è un tossicodipendente ed è in galera per aver ucciso suo fratello, Eben. Di fatto Farragut ha un rapporto difficile e contorto con la sua sessualità, tanto che le sue storie sono tragiche e grottesche insieme, sia con la moglie (che lui definisce troppo bella), sia con i suoi amanti maschi. Da riconoscere, nell’autore, la dovizia di particolari nel descrivere tutte le situazioni, anche le più crude, dalle rivolte in carcere, alla soppressione di gatti nel penitenziario, fino alle foto dei detenuti vicino all’albero di Natale. Molto ben delineati i compagni di sventura del protagonista, che, data la situazione passano dal cinico al disilluso (tra tutti il Cornuto). Fa riflettere il finale. Lo consiglierei.

Stefano Franceschi

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Il libro mi ha ricordato molto lo stile di “Opinioni di un clown” di H. Boll. Il protagonista è solo e viene abbandonato in tutte le fasi della sua vita da tutte le persone per lui significative: la madre, la moglie e l’amante Jody. Non ho apprezzato la descrizione del rapporto omosessuale: l’ho trovata troppo volgare e fine a se stessa, non ha aggiunto valore al romanzo né allo stato d’animo del protagonista.

L’argomento più interessante del romanzo è stato, per me, la perdita di identità del detenuto.

Giulia Campi

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Il racconto Falconer narra la storia di un tossico dipendente che viene arrestato per aver ucciso suo fratello. È un libro complesso perché l’uomo in carcere ripercorre la sua drammatica vita nei difficili rapporti che ha avuto con i suoi familiari. Ho trovato difficoltà nella lettura e la storia non mi ha appassionato.

Barbara Migliacci

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La vita carceraria viene raccontata con l’intento di analizzare i meccanismi che tendono a trasformare la psiche umana, fino a modificare la percezione del tempo e dello spazio.

L’autore non ha né la voglia né la necessità di indagare sulla colpevolezza del protagonista, in quanto non influente. Ed il concetto di carcere viene presentato come condizione alienate e disperata.

In definitiva, “Falconer” è un romanzo crudo, asfissiante, claustrofobico, di una bellezza lancinante.

Michele Vitale

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“Farragut, (fratricida, zero a dieci, numero 734-508-32) era stato portato in questo antico luogo ferrigno in un giorno di fine estate”. È con queste parole che J. Cheever ci presenta il protagonista di questo romanzo con finale aperto. La prigione è Falconer e l’opera fu ispirata dall’esperienza di Cheever come insegnante di scrittura in un penitenziario. Il degrado fisico e le aberrazioni morali dei detenuti sono quelle del mondo intero, a partire dalla vita dell’autore, della sua famiglia e costituiscono un microcosmo delle dipendenze, frustrazioni, alienazioni dell’umanità, con echi del vuoto e dell’attesa del teatro di Beckett. Farragut è un eroe, seppure alla rovescia, ed anche una vittima. Attraggono fortemente il linguaggio forte, originale e talora poetico ed il ritmo accidentato che tiene il lettore in spasmodica attesa di un significato compiuto.

Paola Bosio

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Libro duro. La vita nella prigione ci scorre davanti senza sconti, con episodi più o meno cruenti senza che venga dato alcun giudizio morale su di essi. Il protagonista Farragut è un uomo senza ideali né rimorsi; gli avvenimenti della vita gli cadono addosso senza che lui ne resti in qualche modo coinvolto emotivamente. La vita all’interno della prigione si svolge con una routine che ricorda altri romanzi dello stesso genere. Finale un po’ banale. Scrittura asciutta ma efficace.

Patrizia Belcari

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Ezekiel Farragut, tossicodipendente, professore universitario di buona famiglia che ha dissipato il proprio patrimonio, viene condannato per avere ucciso il fratello durante una lite Si spalancano per lui le pesanti porte del carcere di Falconer. Cheever descrive la vita carceraria con una narrazione priva di pietismi o scene melodrammatiche, offrendo una galleria di ritratti umani, attraverso i quali emerge la trama del romanzo.

Gabriella Merchianti

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Un libro feroce, schietto, delicato. Che mostra le tante anime degli Stati Uniti, dove un uomo, un qualsiasi uomo, può essere un santo e un peccatore, o anche, come nel caso di Ezekiel Farragut, tutte queste cose insieme. Un uomo dei giorni nostri, un americano dei giorni nostri. L’autore scava nelle profondità dell’animo umano, e non risparmia niente. Una storia scritta benissimo, che porta a interrogarsi sulla natura umana e allo stesso tempo lascia una domanda (e qualche risposta): è sempre possibile una “rinascita” o “redenzione”? Non conoscevo John Cheever. Sono felice di averlo incontrato.

Silvia Cilliano

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Protagonista del romanzo è Ezekiel Farragut, quarantotto anni, insegnante all’università, marito e padre amorevole. Suo fratello viene ucciso e lui condannato all’ergastolo: da qui inizia un viaggio che toccherà note forti e crude, all’interno del mondo carcerario e di una nuova scoperta di sé. Niente sarà più come prima. Falconer, il carcere che lo accoglierà, lo farà diventare un semplice numero e sarà per lui luogo di esperienze, spesso portate all’eccesso. Avrà modo di conoscere la prigione e i suoi abitanti, le rivolte dei detenuti, la droga, l’omosessualità, il desiderio di libertà. La dipendenza dall’eroina e le sbarre tra cui è contenuto porteranno Farragut in una solitudine e in un isolamento quasi assoluto. Un libro da leggere anche se duro e potente, per accorgersi che cosa può accadere all’essere umano quando la libertà viene meno e le regole sono altre da quelle del mondo in cui viviamo. Consigliato a chi non ha paura di tuffarsi in abissi scuri.

Cecilia Caleo

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Falconer è un romanzo crudo e doloroso. Ezekiel Farragut, insegnante, uccide suo fratello Eben colpendolo con un attizzatoio e finisce nella casa di correzione di Falconer. La sua vita medio borghese viene spazzata via dalla condanna per omicidio che lo trasforma nel prigioniero 734-508-32. All’interno del braccio F inizierà il suo viaggio nell’abisso, spinto verso la solitudine più profonda, con la sola compagnia dell’eroina e della relazione sessuale con un compagno di sventura.

All’interno del carcere, dove i cattivi non si distinguono dai buoni, né la verità dal torto, Farragut cerca con tutte le sue forze di non perdere la propria umanità e che il proprio vuoto interiore lo annienti.

Michela Carlotti

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Ezekiel Farragut, accusato dell’omicidio di sapore biblico del fratello Ebel, è figlio di una società alto borghese priva di scrupoli, nella quale gli affetti marciscono in narcisistici rapporti annoiati, governati dal denaro e dalle apparenze. Una narrazione claustrofobica e cruda ci costringe a seguirlo nella sua prigionia, ponendo sotto la lente le nefandezze dell’ambiente carcerario e l’estrema solitudine di chi lo abita e si aggrappa, per sopravvivere, alle briciole di una quotidianità annaspante. Chi legge non può volgere lo sguardo da un’intimità illuminata a giorno, anche se in principio la tentazione è forte. Tuttavia, procediamo coinvolti e commossi nella scoperta di una generosità reietta che scalda il limbo osceno di un carcere che non riabilita ma consuma e che nasconde proprio nella solidarietà degli ultimi, l’unico guizzo di umanità.

Camilla Del Corona

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La scrittura è estremamente scarna, quasi priva di emozioni. Falconer racconta spezzoni di vita carceraria, racconta il degrado, la perdita di dignità, la spersonalizzazione che subisce chi entra in carcere e lo fa senza una parola di troppo, senza un aggettivo in più, senza indulgere all’eccesso. Anche la vita fuori dal carcere non sembra questa gran cosa in fondo: il protagonista, Farragut, ha vissuto fuori una vita segnata dalla droga, ben poco amato sia dai genitori che dal fratello che dalla moglie. Bella e vera la descrizione dell’amore omosessuale che nasce tra Farragut e un compagno di prigionia. Toccante il finale, con la morte di Cocco che regala a Farragut una improvvisa libertà e con l’incontro con il generoso viandante che regala a Farragut l’impermeabile con cui può coprire i suoi abiti carcerari. E finalmente in piedi, a schiena dritta, Farragut può abbandonare quello che è stato, per andare a vedere quello che sarà.

Valeria Cioni

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È un romanzo che ti prende immediatamente allo stomaco. Farragut, il protagonista, proveniente da una famiglia della buona borghesia americana, insegnante e tossicodipendente, lo troviamo al suo ingresso a Falconer dove deve scontare una lunga pena per l’omicidio del fratello. La prigione è un tetro edificio che sembra evocare un girone infernale, e Farragut finisce nel settore degli ultimi tra gli ultimi. La storia si dipana tra flash back che rivelano, man mano, le vicende della vita di Farragut, inserite nell’ambiente della tipica borghesia americana, e la quotidianità carceraria, tra degrado e tentativi di mantenere un minimo di dignità in un sistema che contempla una riabilitazione del tutto avulsa da qualsiasi efficacia. Un romanzo crudo e claustrofobico, dove la dimensione umana del protagonista emerge pian piano, sia nei rapporti con gli altri carcerati, ed in particolare nella struggente storia d’amore con uno di essi, sia nel suo disperato aggrapparsi ai ricordi della vita “fuori” che, tuttavia, appaiono in tutta la loro dimensione tragica, fino all’epilogo del fratricidio. Una storia permeata di cupezza, che mantiene una tensione emotiva per tutte le pagine, ma che sorprende con un finale che lascia spazio alla speranza e alla voglia di vivere nonostante tutto.

Silvia Motroni

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Sassari “Passavamo sulla terra leggendo”
coordinato da Veronica Monti
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Purtroppo non sono arrivate recensioni per questo libro

 

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