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Gli ultimi giorni di quiete di Antonio Manzini
Sellerio

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario
di Robinson di Vicenza “Sentieri di Lettura”
coordinato da Marianna Repele:

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Il titolo parla di quiete, ma nella vita di questi genitori, la quiete non è più tornata dopo la morte che non può trovare un motivo consolatorio, del figlio.

Un libro, già dall'inizio, senza speranza. Non c'è voglia di ricominciare, non c'è voglia di vendetta, non rassegnazione: si percepisce solo un angosciante senso di vuoto. Un vuoto incolmabile, che sfocia in un mai manifesto, ma ben presente desiderio di morte. Non è quindi la trama, seppur ben congegnata e apprezzata, a rendere indimenticabile questo romanzo, ma la ben chiara coscienza che dopo la perdita di un figlio si può solo parlare di sopravvivenza,

Infine, la DOMANDA: quanto è giusto che l'omicida sia libero? Difficile giudicare da quale parte penda l'ago della bilancia.

Giliola Mecenero  

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Il libro di Manzini mi è piaciuto. 

La storia è semplice ma avvincente ed ha catturato la mia attenzione fin dalle prime pagine, pagine che si fanno leggere con piacevolezza, perché il libro è scritto bene, e allo stesso tempo  con un po' di amarezza ( per il tema che sta al centro della vicenda).

Il focus  della storia infatti  non è il dolore per la perdita di un figlio, ma  le vite spezzate dei protagonisti: di Corrado, che muore assassinato durante un tentativo di rapina,  di Nora e Pasquale,  che dal giorno dell' omicidio non riescono più ad andare avanti e cercano a loro modo di trovare uno scopo alla loro esistenza, vendicandosi, trovando giustizia da soli. Ma la vita spezzata è anche quella di Paolo Dainese che, rivendicando il diritto ad una vita nuova, si sforza di tenersi a galla , annaspando, cercando in tutti i modi di rifarsi una vita normale, con un lavoro, una fidanzata, una casa.

I sentimenti dei protagonisti sono ben descritti; il dolore dei genitori diventa così reale attraverso le parole di Manzini da risultare quasi palpabile, così come palpabile è anche la rabbia e la frustrazione di Paolo Dainese per i suoi continui ma inutili tentativi di redenzione.

È una storia in cui alla fine escono tutti sconfitti; inevitabile chiedersi " cosa avrei fatto io al posto di...."perché il dolore per la perdita di un figlio è qualcosa di devastante, di innaturale, nessuno di noi sa veramente come potrebbe reagire di fronte ad un dolore così grande. 

Bel libro, apparentemente semplice, ma in realtà molto introspettivo.

Romina Vicentin  

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Come superare la perdita di un figlio, avvenuta in modo così tragico? La storia di 2 genitori che si separano per amore. Il loro unico figli assassinato.

La soluzione? Secondo il padre perdonare, secondo la madre vendetta, anche a costo di sacrificare la sua vita la vita.

Dall’altra parte, dopo anni di galera, si può tornare ad uccidere? Si.

Ho adorato la parte del padre che riesce a voltare pagina e cerca di riassaporare la libertà e la freschezza della vita.

Una storia triste ma piena…

Silvia Galiotto  

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Un romanzo molto triste che parla della perdita, inaccettabile, di un figlio a causa di una rapina.

Un dolore devastante, mai superato da parte dei genitori, che si riacutizza quando per caso la madre scopre che l’assassino di suo figlio, dopo pochi anni, è già uscito di prigione.

“Portare i fiori sulla tomba di un figlio è contro natura. Piangere sulla tomba di un figlio è contro natura. Vivere al posto di tuo figlio è anche peggio.”

Il modo diverso di reagire a questo dramma porterà ad un epilogo inquietante che lascia completamente spiazzati.

Un libro scritto benissimo, in particolar modo sorprende l’accuratezza psicologica nella costruzione dei personaggi sia principali che secondari.

Un libro dolorosamente coinvolgente e sconvolgente che ti entra dentro e non riesci a dimenticare.

Elide Vicentin  

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E’ un libro che prende spunto da una storia vera e descrive l’epilogo di un dramma familiare: l’uccisione di un figlio. Questo noir ci pone di fronte a tanti interrogativi ai quali i tre personaggi principali: padre e

madre di Corrado, il ragazzo ucciso, e Dainese, l’assassino, danno ognuno una risposta diversa, attraverso le rispettive scelte. Nello stesso tempo, lascia a noi, spettatori attoniti e impotenti, un quesito altrettanto

gravoso: che cos’è giusto e cosa non lo è? Difficile dirlo. In questa vicenda solo papà Pasquale sembra ritrovare un barlume di lucidità, pur nella devastazione del suo dolore, mentre mamma Nora e l’assassino si fanno fagocitare dalle loro pulsioni fino a distruggersi.

“Un genitore non dovrebbe mai sopravvivere al proprio figlio”, questa frase, forse un po’ abusata,  racchiude in sé lo strazio di una perdita inconsolabile e fa sorgere l’atavica domanda: quanto vale una vita

umana?

Maria Lorella Posenato  

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