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I racconti dell’Ohio di Sherwood Anderson
Newton Compton

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Fermo “Villa Vitali”
coordinato da Cinzia Centanni
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Faticosi nello stile e troppo veri nelle storie. La dimensione dei racconti è troppo lunga per entrare nel cuore come fanno invece le poesie di Spoon River.

Giorgio Ripani

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Questo libro è come la pioggia in agosto: necessario e fastidioso. Necessario lo stile vischioso con cui Anderson descrive la povertà d’animo, fastidiosa la noncuranza con la quale affida completamente al lettore il compito di trovare un posto nel proprio animo per questi personaggi grotteschi dai quali il mio unico desiderio è quello di allontanarmi velocemente.

Laura Stopponi

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Testo consigliatissimo per l’originalità della costruzione. Composto da ventidue storie legate ad altrettanti personaggi della cittadina di Winesburg, costituisce, nell’insieme, un ritratto preciso dell’America profonda degli anni venti del secolo scorso. L’Ohio non è uno stato “intellettuale” della east coast, non è uno stato progressista della west coast. Diventa caratteristico per la sua assenza di particolarità. In questo contesto viene fuori dai diversi capitoli il ritratto di una cittadina ed il ritratto di un personaggio presente in ventuno dei ventidue racconti. Si tratta di George Wilson, giovane redattore del giornale locale. Sarà lui che lascerà Winesburg per affrontare il mondo al di fuori della piccola realtà locale e compiere così il suo rito di iniziazione. Gli aspetti che ho apprezzato di più? La descrizione della solitudine in cui sono costretti i personaggi e la descrizione della ferrovia. Si, la ferrovia: treni e viaggiatori che saranno l’asse portante dello sviluppo nel  secolo americano.

Paolo Antolini

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Libro che non mi ha appassionato perché tutti racconti brevi. Mi ha colpito il tema ricorrente: la solitudine. Tutti i personaggi vivono in uno stato di solitudine emotiva che li porta sempre più ad isolarsi socialmente.

Morena Pelosi

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Ho letto con molto interesse la prima parte del libro poiché è scritto molto bene man mano che andavo avanti mi ha attenzionato meno. Durante la lettura ho paragonato questi racconti di vita di una cittadina di provincia Americana in prosa all’antologia di Spoon River in versi.

 Natarella Giuseppe

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Leggere I racconti dell’Ohio è stato come visitare una mostra, una lunga galleria di dipinti raffiguranti la vita ambientata nella provincia americana a Winesburg; le parole di Willard descrivono storie, delineano personaggi dalla vita originale e al tempo stesso semplice, quasi noiosa, colorano emozioni, permettono al lettore di entrare in punta di piedi e osservare da vicino il fluire della vita. Lo stile è lineare ed essenziale ma al tempo stesso poetico in un equilibrio davvero unico che non può lasciare indifferenti.

Monelli Alma

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George Willard, giornalista, racconta le storie degli abitanti di un immaginario villaggio, Winesburg, nell’Ohio, alla fine del XIX secolo. Si tratta di personaggi all’apparenza rispettabili, ma che in sostanza conducono una doppia vita, perché tormentati nell’intimità da desideri inconfessabili e repressi, che rappresentano la doppiezza dell’umanità che Anderson ha conosciuto e che rispecchiano il passaggio degli Stati Uniti da paese agricolo a paese industrializzato, con un forte impatto sulla vita delle persone, soprattutto di coloro che vivevano in paesi di provincia.

Primula Rosa Focaracci

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Nella provincia rurale americana del secolo scorso, si muovono personaggi in lotta con abbandoni, delusioni, paure e desideri, sospinti da passioni tumultuose e sentimenti a volte dirompenti. Le storie dei protagonisti, raccontate individualmente, fanno emergere la fragilità di un’umanità senza tempo e, insieme, compongono la quotidianità di una intera comunità, quella di Winesburg: l’oste, i proprietari dell’albergo, la maestra, il cronista (George Willard, il personaggio filo conduttore tra i racconti), il medico. La vita scorre tra le vie e le case del paese, ma Anderson ci svela anche le anime dei protagonisti, la vita “sdoppiata” tra esteriore e interiore. Ed è quest’ultima dimensione quella a cui il lettore si affeziona e a cui partecipa emotivamente, aiutato da un linguaggio essenziale (ma tutt'altro che spoglio) e alla scelta di parole che “pesano”, quanto il destino dei personaggi. Una dimensione che rivela anche qual è secondo Anderson il ruolo del narratore: lo spiega a George Willard la maestra: “Non devi diventare un venditore ambulante di parole. L’importante è imparare a conoscere cosa la gente ha in mente, non quello che dice”.

Carla Chiaramoni

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Tanti volti, tante storie, sentimenti potenti: un mosaico di personaggi svelati nel loro quotidiano ma anche nella loro dimensione più intima. Anderson racconta in singoli ritratti, capitolo dopo capitolo, la vita dei cittadini di Winesburg mentre si dibattono tra sconfitte e aspirazioni e, attraverso i loro vissuti, la quotidianità di un paese della provincia americana. Così che l’impressione finale del lettore non è quella di trovarsi di fronte a una raccolta di racconti ma a un romanzo organico e ben costruito. Un elemento di forza è certamente il linguaggio, asciutto ma partecipato, che con precise pennellate fa emergere tutta la forza dei sentimenti che muovono i protagonisti.

Carlo Pagliacci

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Piacenza 3 “Perino”
coordinato da Irina Turcanu
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George Willard è il cronista locale che ci accompagna, turisti per caso, in una cittadina in cui nemmeno lunico albergo locale è decoroso. Una cittadina di provincia come tante, dove la gente vive perché ci è capitata, senza aver conquistato nulla e senza avere nulla da conquistare.  Personaggi senza colore, senza storia se non quella asfissiante dei parenti a carico, senza nessuna pretesa di cambiare la Storia con la S maiuscola. Donne che non possono essere rese felici, uomini che sanno solo coltivare campi, troppo stanchi per leggere, troppo ubriachi per credere in Dio. Isaia Bentley è “vivo in tutto il corpo”, il primo illuminato dal sacro fuoco, con “gli occhi illuminati che fiammeggiano”, che sa che tutte le speranze delle generazioni a venire sono nella cultura, non nella terra. E' nel limbo tra società agricola e mondo industriale che giacciono i personaggi di Anderson,  statici in attesa di essere traghettati nel mondo che Isaia sogna, che non sono capaci di immaginare e che forse non vedranno mai. L’America scintillante e  l'America coraggiosa sono lontane ma sarà la forza dei vinti a trascinare il Paese verso una nuova epoca.

Laura Derata

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Scorrevole, coinvolgente, restituisce la fotografia di un’America insolita.

Mia Hudici

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Sorprendono I racconti dell’Ohio, per stile, per tema, per visione; e questo è il senso ultimo di un libro, qualsiasi tema esso tratti.

Irina Turcanu

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Ho letto con interesse quindi il suo libro. Per prima cosa mi ha colpito la brevità delle storie in cui sono suddivisi vari capitoli del libro. Considerando il periodo storico in cui ha vissuto l’autore e nel quale è stato scritto nel libro sono rimasta sorpresa dalla curiosità con la quale vengono indagati i personaggi. Le descrizioni infatti non si limitano a quelle della facciata, come tipico del periodo soprattutto in cittadine rurali, Ma indagano i lati nascosti e a volte pruriginosi dei personaggi non so se è penalizzato dalla traduzione, non avendo gli strumenti per giudicarla, ma la lettura non è stata alla fine per me fluida e piacevole. Certamente leggerò qualche altro romanzo di quest’autore ma il mio giudizio su questa prima lettura e non pienamente positivo.

Isabella Silenzi

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I racconti dell’Ohio li ho trovati poco interessanti, forse per la scrittura così lontana da quella attuale. A tratti anche difficile, non ho saputo cogliere le sfumature.

Roberta  Sbolli

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Farra di Soligo “Quelli di LLC”
coordinato da Annalisa Tomadini
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Questi racconti, tutti ambientati a Winesburg, Ohio, sono stati scritti tra il 1915 e il 1916.

Ma, leggendoli, mi sono stupita dell’estrema modernità dello stile. Una sorta di crudeltà di fondo, una spinta vitale forte e dirompente, nascosta sotto la polvere e i silenzi. Ecco quello che si sente, aggirandosi per questo paesino del Midwest.

La letteratura americana successiva (Hemingway, Steinbeck, e sicuramente anche Haruf), riecheggia di questo autore.

Sarà che amo il genere racconto (anche se qui poi c’è un filo conduttore e la raccolta si legge come un romanzo) e anche la letteratura americana, ma per me questo libro è imperdibile.

Annalisa Tomadini

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Questo è un romanzo corale travestivo da racconti, la narrazione delle storie del paese è affidata a Willard, che diventa la voce e il cuore delle persone di cui riporta le gesta. Libro dal profondo respiro universale, prende in esame la cittadina di Winesburg per parlare delluomo e di ciò che lo muove attraverso le parole senza tempo di Anderson, un capolavoro del Novecento americano che non risente del trascorrere del tempo.

Elena Raspanti

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La forma del racconto è da sempre una delle mie preferite, tra queste ho un debole per il cosiddetto “romanzo di racconti”. Bella scoperta, dunque, questa raccolta che scopro più o meno coeva dell’Antologia di Spoon River, e di cui critici più titolati di me parlano come il corrispettivo in prosa. Non lo avrei letto senza questa sfida, quest’opera corale, e moderna per struttura e per stile, privandomi di uno dei miei futuri libri da regalare e consigliare. Promosso senza esitazioni al turno successivo.

Alessandra Fineschi

 

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Una raccolta di racconti che si legge un po come un romanzo, stile ripreso anni dopo da Jennifer Egan, Elisabeth Strout o Kent Aruf.

I racconti sono un po impolverati, tutto è ricoperto dalla polvere così come i protagonisti dei racconti che sembrano fossilizzati nelle loro vite, il contesto è rurale, sembra di entrare in un film western senza le sparatorie tra i cattivi e lo sceriffo, ma tolta la polvere i racconti sono davvero belli. A me hanno ricordato molto quelli di  Trilobiti di Breece DJ Pancake.

Nicola Feo

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Si tratta di una raccolta di racconti che sconfina nel romanzo corale, ma è anche un testo in prosa che sembra una lunga poesia sul senso dell’esistenza nella cittadina rurale di Winesburg, raggiungendo vette stilistiche e ideali con un linguaggio essenziale, preciso e cristallino.

È una narrazione soffusa di malinconia, la rappresentazione di un’umanità che vive una condizione di alienazione, uomini e donne intrappolati in se stessi, vittime dei desideri frustrati e dell’incapacità di diventare ciò che desiderano. Sono persone che cercano di comunicare ed essere comprese, mentre si tengono aggrappate  a scenari familiari e occupazioni banali, come foglie portate dal vento, nell’incertezza della meta, senza una motivazione. È un libro breve e struggente sulla solitudine e le ferite dell’anima, che esprime il bisogno di un ponte verso l’altro, verso un assoluto, verso l’amore o verso il prossimo treno. 

Laura Del Ben

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Non è un caso che, in una delle scene chiave de “La meglio gioventù”, Matteo (Alessio Boni) prenda in prestito in una biblioteca proprio “I racconti dellOhio”: questi piccoli affreschi sono, insieme, un elogio e un rifiuto della solitudine, della paura della morte e della voglia di scappare da una vita vuota, esattamente come accade al personaggio del film di Giordana. Anderson è spesso narratore che sembra assente, che con falsissima modestia sembra ammettere la propria incapacità di raccontare tutti i dettagli di queste vite (E, tuttavia, ciò è detto in maniera molto sbrigativa. Ci vorrebbe il “poeta”). In questi racconti c’è una quiete apparente, dimora un senso di “calma” strano: spesso pare non succedere nulla, ma si intuisce che ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo dei personaggi è frutto di azioni pesanti del passato, o anticipa uninevitabile e imminente rottura. Una quiete dopo la tempesta o, soprattutto, un  momento di veglia prima di addormentarsi e abbandonarsi agli incubi. E, in settimane (queste, di inizio 2021) in cui tutti, o quasi, sembriamo dubitare di continuo di chi ci sta vicino e, soprattutto, siamo pronti a puntare il dito, immergersi nei racconti di Winesburg potrebbe ricordarci il più antico degli adagi: prima di giudicare il prossimo tuo, sarebbe meglio che tu ne conoscessi la storia.

Marcello Bardini

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La data di scrittura è importante da citare (1914-15) per contestualizzare lo stile dei racconti che, qualche anno dopo, sono stati assommati in una raccolta.

In Europa c’è la guerra, il clima generale del periodo è cupo, il mondo sta cambiando, i personaggi si trovano con un piede ben piantato nelle vecchie solide abitudini e l’altro sospeso con la testa chi rivolta indietro, chi rivolta avanti, chi rivolta ai propri piedi…

Di racconti si tratta, a se stanti ma legati assieme dal fatto di essere ambientati nello stesso periodo (fine Ottocento), con un comune osservatore (George Willard, di professione giornalista), nello stesso paese (Winesburg, Ohio), da cui il titolo.

I racconti sono piuttosto brevi e scritti in modo essenziale, se non addirittura scarno, ma delicati e a volte poetici.

È un insieme di tessere che assieme vengono a creare l’immagine sfumata di un paese e di un momento storico, ma allo stesso tempo anche dell’umanità in genere.

Lo stile è piano e la narrazione, sempre molto focalizzata, seppur nel brusio di sottofondo operoso appare avvolta nel silenzio. Mi è molto piaciuto l’avere per filo conduttore un personaggio discreto, un accompagnatore silenzioso per un insieme che viene via via scoperto (è proprio come se venisse scostata la coperta che copre ogni finestra oltre la quale il singolo racconto si snoda). 

Per quanto leggera e impalpabile, in molti casi mi è parso di aver percepito chiara la presenza di Willard e così il suo umore, con un retrogusto di ruvidezza e di solitudine, nonostante non ci sia giudizio e i suoi pensieri rimangano inespressi (nota: non sarà sempre così, anche Willard apparirà come protagonista, in particolare dell’ultimo racconto).

Marzia Pavanin

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Finta raccolta di racconti, in quanto i vari capitoli del libro sono legati fra di loro in primis dal filo rosso del personaggio del giovane aspirante giornalista George Willard, presente in gran parte di essi. Ancora prima, sono tutti ambientati nell’immaginaria cittadina di Winesburg, Ohio e qui la mente non può andare ad altri celebri e fittizi microcosmi, dalla contea di Yoknapatawpha di Faulkner alla Spoon River di Masters alla recentemente riscoperta Holt di Haruf. E Winesburg ci appare come una sorta di purgatorio, in cui vi aleggiano tutti i personaggi che Anderson va a raccontare, schegge di vite minime. Donne e uomini che aspiravano a qualcosa di più, o semplicemente di diverso, e che invece vengono risucchiati indietro da una sorta di ragnatela vischiosa, dove si camuffa una apparente innocenza propria dei piccoli paesi di campagna, e dove invece si nascondono kinghiani orrori della solitudine quotidiana. Ma anche al  dolore, per quanto ben mistificato, ci si affeziona e lo si esorcizza con la poetica delle piccole cose e dei momenti solo apparentemente leggeri, che alla fine sono ciò che viene in mente al giovane Willard quando riesce a lasciare Winesburg, Ohio.

Matteo Polo

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I racconti dell’Ohio (o, più correttamente, come nella traduzione Einaudi: Winesburg, Ohio) è una raccolta di testi scritti da Sherwood Anderson tra il 1915 e il 1916 e pubblicati su rivista prima della pubblicazione come libro nel 1919. Sono una sorta di romanzo disgregato, i cui fuochi principali, e i motivi che impediscono alla disgregazione di essere totale, sono tre: l’ambientazione, cioè il paese fittizio di Winesburg che rappresenta narrativamente quello reale in cui lautore è cresciuto; i personaggi, che gravitano attorno alle strade e ai luoghi principali di questo paese e che intersecano le proprie esistenze, generando piccoli o grandi fatti, suggerendo modeste o profonde riflessioni, intessendo forti o labili relazioni; e infine George Willard, vago alter ego dello scrittore, che pur essendo personaggio tra gli altri, può ambire a punto di vista prevalente al cui livello si focalizza il narratore. L’opera è un canto rurale che mette in scena il lento e inarrestabile declino di alcuni valori tradizionali rispetto alla nascente e pervasiva società industriale e meccanizzata; nel libro il passaggio è solo accennato e trova la sua metafora nella decisione finale di Willard di lasciar Winesburg per migrare in città.

Alberto Trentin

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Racconti ambientati a Winesburg, cittadina di fantasia dell’Ohio, con un protagonista ricorrente che incarna la voglia di evasione da una provincia claustrofobica. Una scrittura che più che descrivere ombreggia focalizzandosi sui dettagli, in particolare sulle mani dei personaggi. Un fil rouge che percorre tutti i racconti: “lunghe mani bianche”, “mani rosse”, “grandi mani forti”, mani “sprofondate nelle tasche”, “deformate”, “che giocherellano”, “che tremano” lasciano intuire ragioni e sentimenti dei protagonisti proiettando il lettore in un tempo e uno spazio riecheggiante i quadri di Hopper.

Un classico del primo Novecento, seminale per stile e temi che poi verranno compiutamente sviluppati da narratori come Carver o Haruf.

Alessandro Cino

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In questa raccolta di racconti l’autore focalizza lattenzione su una cittadina del Midwest, uguale a molte altre, andando a scandagliare le storie di alcuni suoi abitanti. Ne emerge un ritratto di persone nevrotiche e normalissime, con segreti che si celano dietro la facciata del perbenismo e una morale portata in alto come una bandiera. Se da un lato ho trovato interessante il filo rosso che collega e tiene unita tutta la raccolta, dallaltro non sono stata catturata nel profondo né dalle vicende dei personaggi, che mi sono sempre rimasti un poestranei, né dalla scrittura, chiara e limpida, ma a tratti monotona.

Marta Masotti

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Raccolta di racconti che sembrano tratti dal diario di George Willard, il figlio dell’albergatore di Winesburg e presente in tutte le storie narrate. Storie delicate e poetiche ambientate in un tempo ormai sparito (qualche anno dopo la guerra civile americana), figlie una scrittura ormai desueta che tratteggia più che sottolineare eppure così descrittive e dettagliate da trasportarti in quel tempo e in quel luogo.

Non nasconde gli angoli bui eppure non li giudica e non li legge attraverso la lente del finto perbenismo e del finto moralismo che permea la letteratura americana successiva: semplicemente ciò che viene narrato è parte dell’animo umano e un sentimento di speranza e di innocenza permea le vicende che si susseguono a Winesburg.

Arianna Bressan

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Il protagonista della raccolta di racconti è George Willard, aspirante scrittore, che il lettore segue dalla sua tenera età fino alla sua maturità, quando lascerà la cittadina di Winesburg per andare a Cleveland. 

I racconti, indipendenti ma connessi, descrivono i diversi abitanti della città con le loro storie di solitudine, di incomunicabilità, le loro lotte e l’anelito a scappare dall’isolamento della cittadina di provincia. I personaggi appaiono schizofrenici, menando una vita pubblica morigerata e rispettabile e una vita intima ambigua e inconfessabile.   

Più che racconti sembrano tessere di un mosaico e, una volta finito il libro, si riesce a gustare l’opera nella sua interezza. Lo stile è secco, ma altamente evocativo. Profondo e anche ironico. 

Carlo Mattioli

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Tra “Winesburgh, Ohio” di Sherwood Anderson e “La giungla” di Upton Sinclair, ho dato la preferenza al primo, pur rimanendo molto colpito dal secondo. Nei racconti di Anderson, tenuti insieme dalla comune ambientazione e da trame e personaggi che si intersecano, ho ritrovato l’umano e toccante coro di piccole storie di piccola e perdente gente di Winesburgh, dopo averla incontrata e salutata tanto tempo fa (nel libro, lo scontrino risaliva al 1992, ed era di una libreria che non c’è più). Nella rilettura, mi pare di avere amato questo libro ancora di più oggi. Mi conquista la delicatezza della voce di Anderson, la capacità di rappresentare un affresco di una intera comunità, l’ispirazione nel rievocare ambientazioni e situazioni con poche e fulminanti annotazioni, la forza di una prosa piana ma implacabile, che mi pare abbia dato un modello per tanti narratori a venire.

Giuseppe Bruno

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Non pervenuta

Massimo Montesi

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Ascoli Piceno “Rinascita”
coordinato da Nora Tassoni
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Non avevo mai letto niente di Sherwood Anderson - mea culpa - forse per questo Winesburg Ohio è stata una piacevole scoperta.

Sarà per la coincidenza cronologica, sarà per il tono e la tipologia dei racconti, durante la lettura ho spesso pensato a Dubliners. L’atmosfera di Winesburg è altrettanto invischiante della Dublino descritta da Joyce e i personaggi di entrambi i libri tentano e stentano invano di liberarsene.

In termini di letteratura americana, invece, mi è sembrato di cogliere un filo che collega Winesburg Ohio a The heart is a lonely hunter di Carson McCullers, pubblicato nel 1940 e alla Trilogia di Holt di Kent Haruf, uscita all’inizio di questo secolo.

Tutti questi libri raccontano persone comuni in crisi esistenziale, in quell’l’America profonda che è lontana dalle grandi metropoli e dai grandi cambiamenti - nel caso di Winesburg Ohio siamo addirittura prima dell’industrializzazione –  quello speciale ambiente che è una via di mezzo tra rurale e urbano, tipico degli Stati del Midwest o del Sud. 

Un elemento che mi ha colpito in Winesburg Ohio è il fatto che tutti i personaggi hanno un problema di linguaggio. Molti di loro non trovano le parole per esprimere quello che sentono e soprattutto non sanno come dirlo a coloro cui tengono maggiormente. Allora trovano un interlocutore di comodo - spesso il reporter George Willard che ascolta suo malgrado – con lui le parole debordano, vanno per conto loro, diventano un fiume in piena e perdono ogni senso.

I personaggi di Winesburg Ohio sono quasi tutti colti nel momento in cui si rendono conto della finitezza e dell’insignificanza delle proprie vite e cercano di comprendere questo stato di cose e venire a patti con la propria impotenza e senso di smarrimento.

Una delle funzioni della letteratura è quella di rendere tale percezione e senso di smarrimento sopportabile per noi lettori.  Winesburg Ohio, a mio avviso, svolge egregiamente tale funzione. Quindi questo è il testo che preferisco.

Maria Teresa Ciaffaroni

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Winesburg, Ohio. Leggendo – e gustando – l’opera di Anderson, sono inevitabili i parallelismi con Steinbeck ma soprattutto con l’Antologia di Spoon River. Conosco bene l’opera di Edagar Lee Masters più volte utilizzata in teatro come fonte pressoché inesauribile di scene studio o come testo prediletto per i saggi di fine corso. “Winesburg, Ohio” è, al confronto, un testo drammaturgico già formato che sa regalare passaggi ugualmente poetici come il racconto del Dottor Parcival, ne “Il filosofo”, dal quale se ne può trarre, senza troppa difficoltà, un bellissimo monologo teatrale.

È stata una “doppia lettura simultanea” fatta di continue comparazioni, riscoperte e stimolanti giochi di rimando: dalla prosa alla poesia e viceversa il cui apice è stato la struggente storia, narrata in “Rispettabilità”, e in particolare il racconto dei neosposi Wash impegnati gioiosamente nella semina del loro orto. Quest’ultimo passaggio in particolare mi ha subitaneamente riportato alla memoria alcuni dei più bei versi di Spoon River tratti da “Mrs Sibley”: “...Il segreto del suolo, ricevere il seme. Il segreto del seme, il germoglio. Il segreto dell’uomo, il seme. Il segreto della donna, il suolo. Il mio segreto: sotto un tumulo che voi non scoprirete mai”.

Cristiana Castelli

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Mia preferenza: “Il club dei parenticidi” di Ambrose Bierce

Crepita il fuoco mentre scorrono le pagine de “Il club dei parenticidi” e poi di “Racconti dell’Ohio”.

È il fuoco attorno al quale si raccontano le strane storie di un’America a cavallo tra due secoli, sospesa tra la quieta vita della provincia ed il tentativo di esplorare la diversità, di andare oltre la frontiera delle vite e della narrazione.

Anderson e Bierce hanno in comune lo stile asciutto e quasi cronachistico del racconto: come in un puzzle di esistenze comuni, ogni pezzo trova la giusta collocazione senza sbavature, che si tratti della attesa partenza in treno di George Willard o della incredibile produzione di olio di cane della famiglia di Boiler Bings.

A Bierce va il merito di aver osato. Non è da tutti, all’alba del nuovo secolo, percorrere la strada che capovolge buonsenso, morale e religione. Non è da tutti neppure farlo mantenendo la narrazione lineare anche nell’iperbole di un pulp d’altri tempi.

Lanfranco Norcini Pala

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Il libro I racconti dell’Ohio (Winesburg, Ohio – 1919) di Sherwood Anderson, curato nell’edizione italiana da Massimo Bacigalupo per Newton&Compton (2012) si configura come un mosaico di narrazioni, apparentemente slegate tra loro, ma in realtà tutte collegate ad un comune denominatore rappresentato da un giovane aspirante giornalista di una piccola cittadina dell’Ohio, George Willard. Attorno alla sua insolita e spesso casuale capacità di ascolto e dialogo coi personaggi di Winesburg, la città del vino, già turbata in sé, nel nome stesso, dall’ebbrezza delle vite vissute, passate o immaginate dei suoi protagonisti, prendono vigore le storie angosciose, velatamente misteriose e turbate dei suoi concittadini. Alla base di ogni rivelazione narrativa esiste un evento traumatico a carico di personaggi (uomini e donne) dissociati, dall’esistenza doppia e specchiata in un danzante gioco disarmonico di verità e immaginazione. In uno stile piano e lineare, ma avvincente Anderson descrive passioni e inquietudini, esistenze vissute e da interpretare nella loro semplice complessità in un paesino del West, un mondo disorientato, in divenire e in rapida trasformazione, in cui la brama di restare si alterna al desiderio di fuga verso nuovi orizzonti. Notevoli le descrizioni dei paesaggi rurali dell’Ohio, cornice narrativa suggestiva.

Laura Balestra

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Con questi racconti l’autore ci immerge nello spaccato di vita americano degli abitanti di Winesburg, Ohio. Una città piena di solitudine e di persone incapaci di esprimere adeguatamente le proprie emozioni, ciechi di fronte ai propri impulsi ma maestri nel prendere decisioni sbagliate; persone apparentemente normali e insulse si riveleranno figure grottesche o possessori di “verità” grottesche. Anderson racconta la vita nella sua forma grezza, senza abbellimenti sottolineando come molti dei nostri problemi e difetti siano forgiati dalle nostre stesse mani.

Ho trovato entrambe le raccolte di racconti molto interessanti ma assegno la vittoria a I racconti dell’Ohio.

Annalisa Caioni

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La lettura è stata meno faticosa. Ho apprezzato lo stile di Andersen e il filo rosso da seguire che ha

reso un po’ più entusiasmante lo scorrere delle pagine. Alcuni racconti, più di altri, però sono stati

toccanti e hanno reso possibile l’immedesimazione; ho apprezzato tanto “Le mani” - “La maestra” -

“Solitudine”.

Non è difficile, ad un certo punto, sentirsi l’ombra di Willard e sentire nitidamente i suoi pensieri.

Maria Luisa Titi

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La forma “racconti” è una formula vincente anche se questi racconti sono legati da un filo conduttore: la meravigliosa descrizione della provincia americana, di un suo paese e dei suoi abitanti.

La descrizione dei personaggi, dei luoghi, delle case e delle stanze sono gli elementi che fanno entrare i lettori nell’ambiente e li rendono partecipi e desiderosi di passare da un racconto all’altro, ma quello che impressiona è la descrizione delle parti più nascoste degli esseri umani, viventi in una “normalità” di azioni, di gesti e di rapporti.

Teresa Mita

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I Racconti dell’Ohio è una serie di ventiquattro racconti scritti da Sherwood Anderson che ritraggono le avventure degli abitanti di questa cittadina immaginaria di Winesburg, Ohio nell’epoca preindustriale.

Anderson si serve di un narratore fittizio per collegare i racconti, si tratta dell’unico reporter di Winesburg, George Willard, che in quanto tale ha il privilegio di godere delle confidenze dei concittadini e cerca di riportare tutte le loro vicende.

I personaggi sono inusuali e soffrono tutti di questo senso di solitudine (vivendo in un villaggio preindustriale lontano dalle città) che li porta a tendere verso un contatto umano che possa riempire quel vuoto nelle loro vite, possa esso venire da un amico o un amante. Anderson è molto capace di rendere le vite interiori dei personaggi che spesso non hanno altro da fare se non pensare/riflettere.

In questa piccola città viene ritratto magnificamente il dolore, i desideri e le incertezze e gli aspetti inevitabili di cosa significa essere umano, e l’importanza di amare e godere della vita in quanto unica.

Stefano Spinelli

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Milano 11 “Viandanti”
coordinato da Giuliana Romano
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Nel libro si colgono descrizioni aperte che lasciano all’immaginario del lettore la possibilità di interpretare “l’oltre”. L’uso di figure retoriche poetiche consente di penetrare nel profondo di luoghi e di sguardi. I racconti hanno il ritmo del quotidiano e propongono anche spiazzanti, inediti e talvolta inquietanti aspetti dell’intimo dei protagonisti. La presenza del giovane George Willard in ogni storia accompagna in una famigliarità narrativa, dà continuità ai luoghi: è come una memoria presente che crea confidenza con il contesto e ricama e connette il tessuto delle relazioni.

Giuliana Romano

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Recensione due   Come in un quadro che grazie a molti dettagli compone un insieme, l’autore presenta ventun ritratti di persone osservate nei loro comportamenti visibili e invisibili. Ciò che più colpisce è questo aspetto dell’interiorità e dell’esteriorità dei personaggi, descritti con brevi e incisivi tratti che colgono movimenti, andature, fattezze per poi passare allo svelamento dei loro pensieri, dei sogni , delle ossessioni proprie di ognuno di loro. Alcuni ritratti sono più “leggeri” e a volte ironici, altri affondano lo sguardo su sofferenze intime nascoste e inquietanti.

ChiaraDominioni

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In una cittadina del Midwest i protagonisti  di questi racconti conducono le loro  vite fatte di illusioni, solitudine, ma anche di  volontà di evadere.

Ed è George, un giovane cronista aspirante scrittore che salirà sul treno per del mattino con la speranza di evadere dal provincialismo, cancellando tutta la sua precedente.

Attraverso le vite dei vari personaggi, l’autore ci immerge in una atmosfera ed in un momento particolare: quello in cui gli Stati Uniti passano da paese agricolo e patriarcale a nazione moderna e industriale. Una trasformazione che richiede però di pagare un prezzo: l’ipocrisia che consente la convivenza dei vecchi valori con i nuovi I racconti, brevi caratterizzati da una scrittura secca ed incisiva, concorrono a creare un mosaico che il lettore può ricostruire affidandosi alla sua immaginazione.

Mano a mano che il lettore conosce la vita e la storia degli abitanti di questa cittadina, sente l’eco di altre vite e di altre storie: quelli della antologia di Spoon River.

Luigia Centurelli

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Il libro, propone una serie di “quadretti” della vita degli abitanti di una piccola città, Winesburg, nell’Ohio. Le vicende narrate, che potrebbero essere lette indipendentemente le une dalle altre, sono tra loro accomunate da un filo conduttore che racconta la realtà tipica del periodo e pone in luce, vizi, virtù e “ipocrisie” della quotidianità così come si svolge nelle piccole nella comunità del tempo, in una cittadina con una caratteristica  attività rurale non ancora industrializzata.

Racconta di personaggi diversi, di cui svela la solitudine, la paura della morte, le illusioni e le disillusioni sentimentali, il provincialismo e il desiderio di a abbandonare la città alla ricerca di una vita diversa.  Personaggi che spesso, pubblicamente mostrano di sé aspetti rispettabili, di “facciata “moralmente corretti, cui corrisponde un privato “ambiguo” caratterizzato da angosce, solitudini e desideri repressi.

Ad unire tra loro i racconti, la figura di George Willard, giovane cronista e aspirante scrittore che, in quanto tale si muove nel piccolo villaggio in ascolto di tutti quelli che hanno qualcosa che gli consenta di raccogliere informazioni da far pubblicare.

I personaggi sono tratteggiati e caratterizzati con pochi ma efficaci elementi che li rende identificabili, lo stile e la narrazione, forse in linea con la scrittura del periodo in cui sono stati pubblicati, mi sono sembrati però un po’ “freddi”.

Silvia Temporiti

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Una serie di racconti quelli di Anderson che si dipanano come un’unica storia, intrecciando il vissuto dei personaggi attraverso la figura del giovane George Willard, cronista del quotidiano locale e lui stesso abitante della piccola cittadina di Winesburg.

Siamo sulla soglia del Novecento e premono già le inquietudini del nuovo secolo in questo piccolo popolo dell’Ohio schiacciato tra dimensione rurale e tensioni di aperture ad un mondo industriale che si preannuncia.

L’autore utilizza una scrittura cronachistica, del quotidiano, quasi a porre una certa ironia e distacco dai personaggi, ma la tristezza e la desolazione di un popolo smarrito che non ha più presa sul reale conosciuto dilaga tra le pagine in un affresco drammatico e grottesco al tempo stesso.

Ornella Budetta

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Uomini perlopiù soli, senza amici, logorati e vinti dalla vita e donne grigie, smunti, tristi e dure affollano la piccola cittadina di Winesburg.

Milleottocento abitanti irrequieti, desiderosi di cambiare la propria vita senza mai riuscirci per paura che il cambiamento potrebbe alterare il loro già precario equilibrio.

Un solo personaggio ritorna in più racconti facendo da filo conduttore: è il giovane George Willard, unico cronista del giornaletto locale, aspirante scrittore. È con lui che i protagonisti dei racconti si confidano, si misurano, si scontrano, forse perché, come sostiene Elmer Cowley, lo “svitato”, “George Willard apparteneva al paese, personificava il paese, rappresentava, con la sua presenza, lo spirito del paese”. Un libro su uno spaccato della provincia americana a cavallo tra Ottocento e Novecento, raccontata con realismo, senza sconti di sorta; un libro da leggere.

Letizia Fossati

 

 

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