Il
catechismo della pecora Gesuino Némus
Elliot
Proprio
come scritto nella prefazione questo libro è una medicina per la mente che viaggia
in una terra, la Sardegna, alla quale non si appartiene, ma si sente subito
propria. Due diversi spiriti di collaborazione si contrappongono, quello dello
stato e il sentito popolare, che poi si uniscono per il “giusto” fine comune.
Le indagini del brigadiere Tigassu sulla morte
dell’anziano maestro del paese e la ricerca di una pentita, s’incrociano
all’intuizione che il maestro aveva avuto in gioventù, verso le infinite
possibilità di una sua alunna, pastorella, che segnerà anche la sua vita.
Ottimo esempio di come la tenacia e la caparbietà vincano sul pregiudizio e i
luoghi comuni delle piccole realtà. Ogni capitolo è introdotto da curiose
citazioni che si ritroveranno nel testo, la perfetta commistione di due lingue,
l’italiano e il sardo, non ti fanno sentire straniero nella “propria terra”. La
fine del libro è un arrivederci al brigadiere Tigassu
e alla sua prossima indagine.
Shirin
Dabbag
***
Telévras, Sardegna, prima metà anni Sessanta
del ’900. Il libro fa uso abbondante del dialetto sardo che aiuta a proiettare
il lettore in una terra folkloristica, quasi mistica. Quel “ai miei tempi…”,
detto dagli avventori del bar del paese, è la dimostrazione che il tempo, persino
qui, ha saputo scorrere. Nel posto in cui Mariàca,
una ragazzina intelligente e indomita, ha scosso la monotonia di giornate fatte
di routine e Cannonau. Lei, giovanissima, ha sbloccato gli schemi del destino che
la volevano ferma in quel suo mondo. Serviranno cinquant’anni, una morte dai
contorni misteriosi, e un brigadiere, Tigàssu, per
conoscere davvero la storia della ragazzina, Mariàca,
che ora è una donna. Una storia fatta di piccole comunità governate da regole
non scritte, in cui l’omertà assurge a strumento di difesa. Dalle giornate
scandite da episodi tristi, o incredibilmente divertenti, e dove la
determinazione dei singoli ha saputo cambiare il corso degli eventi in un
contesto che sembrava immobile.
Claudio Berardi
***
Forte,
intenso, passionale, struggente, vero. Questi i motivi per leggere un libro
capace di rievocare gli ideali di anni lontani, un'onestà intellettuale sempre
più rara, e la Sardegna e i sardi come unici protagonisti. Chi conosce l'isola
e i suoi nobili abitanti, riconosce subito l'autenticità dei dialoghi, dei
silenzi e degli sguardi che sono a volte sferzate a volte carezze, come i venti
o le stagioni di quelle terre. Sembra quasi un pretesto, il soggetto del
volume, che fa da sfondo a quello che emerge dalla lettura: l'orgoglio di un
popolo neolitico che si è dovuto piegare a un sistema e a uno Stato che li ha
privati della libertà e dall'identità etnica. Gente aspra e gentile proprio
come la ginestra, raccontata dalla protagonista in ultimo atto d'amore per la
sua terra.
Rosetta Tenti