Il
condominio di Enrica Bonaccorti
Baldini+Castoldi
Coppie stantie,
resistenti o in disfacimento, coppie nascenti, personaggi pittoreschi tra cui
un “sollevatore di libri” calcano la scena di questo teatrino condominiale,
territorio di condivisione di spazi e vita, deputato allo scontro quotidiano
mimetizzato che si palesa nel rito iniziatico della temibile riunione di
Condominio. Scrittura semplice, condita da rare simpatiche trovate lessicali in
tema che spaziano dagli spifferi di tensioni a quelli di invadenza, alla
scivolosa soglia dei15 anni, al potere dei millesimi e financo dell’umanizzato
ascensore che rifiuterebbe l’imbarco a condomini da “cassonetto casual style”.
Il
protagonista nullafacente privo di empatia per qualsivoglia figura umana, vive
di rendita in uno spazio abitativo minimo eletto dai più a confessionale
condominiale. Lettura facile spensierata, balneare praticamente inutile.
Maria Lucia Caruso
***
Con tanta ironia e spunti divertenti Enrica Bonaccorti ci
mostra un piccolo mondo con tutte le sue storie, i suoi drammi, i suoi problemi
attraverso gli occhi di Francesco Maria von Altenberger,
detto Cico, che vive con la sola compagnia della
tartaruga Ada, in un monolocale sul terrazzo di questo composito condominio. Cico è andato via dal palazzo di famiglia per allontanarsi
dai parenti e non vuole essere coinvolto in nuove amicizie e frequentazioni.
Non sarà però così perché i suoi silenzi e la sua educazione saranno intesi
come una grande disponibilità alle confidenze, alle richieste di consigli e
aiuto.
Cico
è un misantropo, o piuttosto è un individuo assolutamente autosufficiente. Non
si è mai innamorato, non ha amici, non mostra empatia verso gli altri, vuole
soltanto essere lasciato in pace e quando i coinquilini vanno a trovarlo non si
accorgono di come egli si estranei ai loro discorsi.
Ti verrebbe voglia di scuoterlo, di dirgliene quattro ma lui
non ti ascolterebbe continuando a guardare le sue babouches.
Grazia Tucci
***
Cronaca
semiseria dall’alto di un terrazzo condominiale. Il narratore–protagonista è un
aristocratico misogino in cache–col e babouches
marocchine. Vorrebbe osservare la vita a distanza, con distacco, tenendosi
lontano dall’empatia, semmai coltivando la noia. Ma il condominio lo coinvolge,
suo malgrado, nelle vite dei suoi abitanti, in una girandola di amori,
tradimenti, sospetti, pettegolezzi, tensioni e segreti. Scopre che sono tutti
felici di trovare qualcuno che li ascolti perché “ il
silenzio viene sempre preso per assenso, un confessionale con l’assoluzione
incorporata, perché rinunciarvi?”. Lettura gradevole e leggera, riflessione
ironica sulle contraddizioni delle nostre vite. Significativa e solenne la
presenza della tartaruga Ada, la sua rassegnata saggezza propria di chi sa che
“non c’è niente di nuovo da vedere”.
Giovanna Albenzio
***
Un libro caratterizzato da una scrittura
fluida e scorrevole. L’impianto del romanzo è identico alle Le luci nelle case
degli altri di Chiara Gamberale e ne differisce solo per il protagonista. La
scrittrice delinea bene e con umorismo le caratteristiche fisiche e
psicologiche dei diversi inquilini del condominio. Incontriamo quindi diverse
condizioni umane che costellano la nostra società: la solitudine psicologica
pur abitando in un nucleo familiare; la solitudine e le difficoltà
organizzative di una famiglia con figlio disabile; la incomunicabilità di una
coppia e l’armonia di un’altra; il tradizionalismo e il perbenismo che abitano
in alcuni interni; la normalità frizzante di una coppia omosessuale e infine il
protagonista. Cico, il protagonista, nella sua
“diversità” relazionale ha trovato un equilibrio ricorrendo ad una serie di
strategie: ascoltare senza parlare, ascoltare apparentemente seguendo in realtà
i propri pensieri, evitare incontri, cercare di essere sé stesso anche se
questo crea stupore negli astanti. Sono strategie nelle quali ci si può
riconoscere e alle quali anche noi ricorriamo quando nel quotidiano navighiamo
nel nostro mondo incontrando tradimenti, miserie e nevrosi.
Angela
La Neve
***
Il romanzo
racconta l’esperienza di Cico, un tipo solitario. Il
protagonista dice di sé: «mi è difficile esprimere i miei sentimenti ... non mi
succede mai di provare empatia»; prova addirittura invidia per il guscio della
sua tartaruga, l’unica con cui riesce a convivere.
Per trovare
un po’ di pace, Cico lascia il suo appartamento nel
palazzo di famiglia per trasferirsi in un piccolissimo appartamento di un
anonimo condominio.
Spera così
di preservarsi dall’ invadenza del mondo. Ciò, invece, non accade: la sua
educazione e la sua riservatezza gli impediscono di sottrarsi alle confidenze e
alle intromissioni degli altri condomini; ciascuno di essi lo coinvolge nelle
proprie vicende. La sua buona educazione viene scambiata per piena
disponibilità.
Egli stesso,
poi, coinvolge in una sua personale vicenda un condomino, che lo aiuterà a
risolverla.
La
scrittura è fluida, veloce e la lettura piacevole ma non coinvolge
particolarmente se non per l’ironia che spesso accompagna il racconto.
Ketty Costantino
***
La vita è
imprevedibile alle volte: cambia improvvisamente direzione e si è costretti a
seguirla, anche se questo significa rinunciare alle abitudini che fanno parte
della propria routine quotidiana. È ciò che accade a Cico
(nome di battesimo: Francesco Maria von Altemberger),
protagonista dell’ultimo romanzo di Enrica Bonaccorti, “Il condominio”, edito
da Baldini e Castoldi nel 2019. Con stile mai
scontato, la Bonaccorti racconta lo schema di vita monotono e ripetitivo di un
uomo privo di empatia, incapace di provare emozioni e sentimenti. Di nobili
origini, Cico vive di rendita in un semplice
monolocale sulla terrazza di un condominio di tre piani. A scandire la sua
giornata le visite dei condomini, che approfittano della sua riservatezza e
imparzialità per confidarsi senza alcun timore. Un giorno interviene ciò che
potremmo definire il “caso” pirandelliano: una perdita d’acqua costringe Cico a trasferirsi per qualche giorno, compromettendo il
suo quieto e abitudinario modus vivendi. Il condominio in cui il romanzo è
ambientato diventa “speculum mundi”, dove i problemi sono analizzati con fredda
e impassibile razionalità da Cico, voce narrante
dell’ipocrisia della nostra società. Un romanzo che ci aiuta a riflettere sulla
differenza tra esistenza e vita. La paura di Cico per
la sofferenza, che fa inevitabilmente parte della vita, lo porta a evitare di
vivere. In fondo, però, la vita prevale sempre, l’esperienza del Covid-19 ce lo
dimostra. Per dirla con una bellissima poesia di Karol Wojtyla, “La vita è un
onda di stupore, un’onda più alta della morte”, per questo vale sempre la pena
di viverla.
Sebastiano Coletta
***
Lo confesso subito:
difficilmente avrei comprato il libro di Enrica Bonaccorti e forse nemmeno mi
sarei soffermata sui banchi della libreria a leggerne la prima di copertina.
Credo solo per pregiudizio! poiché ignoravo questa attività narrativa da parte
della nota conduttrice televisiva (non è il suo primo romanzo) e avrei pensato
a quelle operazioni commerciali dalle quali è difficile trarre un qualche
interesse.
E avrei sbagliato! come
sempre, quando si fa o non si fa qualcosa per puro pregiudizio!
Il racconto della
Bonaccorti si fa leggere divertendo, come una commedia brillante che già vedi
messa in scena per il buon teatro di prosa: tanti acquerelli dipinti a colori
pastello le tante figure umane che abitano il condominio ed entrano in
relazione con il narratore! È lui che, in prima persona, ne racconta il via vai
verso la sua abitazione, l’unica che sta “sopra
il cielo” ossia in un vecchio locale lavanderia divenuto un delizioso 28
metri quadri, sul grande terrazzo condominiale che ti regala la vista
sull’infinito.
Su ciascuno di essi, e sulle vicende di alcuni
in particolare, il nostro narratore si sofferma con sguardo disincantato e
ironico, raccontando tipi umani che tipicamente si rivelano nell’esperienza del
condominio, come del resto in tutte le esperienze umane di tipo
collettivo. Ma è lui, il narratore, il
vero protagonista di questo romanzo corale; lui che conosce suo malgrado le
vicende di molti suoi coinquilini, per esserne stato eletto, e non a caso,
quale confidente ideale. Ed infatti è
proprio lui il polo attrattivo nel vorticoso dispiegarsi delle vicende; di lui
l’autrice fa emergere magistralmente la psicologia: il giovane
Von Altemberger detto Cico,
di estrazione sociale altolocata (la sua è una aristocratica famiglia di
origini austriache), pur non essendo afflitto dal problema di lavorare per
vivere grazie alle risorse reddituali
che gli rinvengono dalla famiglia, ha anche lui i suoi problemi, Primi tra
tutti quelli con la “con la noia e
l’empatia”, non ama mettersi in relazione con chiunque, preferisce tacere
quando è investito dai logorroici o petulanti coinquilini, ma il suo senso dell’educazione e
dell’estetica gli impediscono di reagire se non con prolungati silenzi, sempre scambiati (o contrabbandati volutamente)
per approvazione, comprensione, solidarietà. Un tipo umano anaffettivo,
incapace, almeno all’apparenza, di emozioni e veri sentimenti, che l’autrice
adombra essere il probabile frutto di un
contesto familiare immerso in una grande ricchezza materiale e una grande
povertà affettiva, che lo ha sin da bambino classificato come un tipo strambo
(forse autistico!?), in cui l’unica parvenza di
calore umano gli è venuta dalla nonna Ghia, i cui ricordi lo soccorrono nel mare di solitudine in cui
naviga, al pari di quanto fanno i diamanti che l’aristocratica vecchietta gli
ha lasciato in eredità. Ma – è questa la novità - l’autore ha abbastanza
autocoscienza di sé e riserva a sé, come agli altri, giudizi non sempre
lusinghieri eppur privi di quell’astio aggressivo che sembra essere la cifra
dei rapporti umani di questo nostro tempo.
Divertente e malinconico,
dolce e amaro sono i toni sui quali il racconto si dipana, non senza stimolare
dubbi e riflessioni su quel che siamo, perché lo siamo, quanto ci conosciamo,
quanto siamo capaci di guardare a noi stessi senza il velo dell’ipocrisia che
occorre per l’autoassoluzione sempre e comunque.
Patrizia
Rautiis