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Il lamento di Portnoy di Philip Roth
Einaudi

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Treviso “5 del 42”
coordinato da Laura Pegorer

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Tutto il romanzo è un urlo liberatorio per lo scrittore, ma non per il lettore, contro un’educazione bigotta e frustrante e una visione religiosa ottusa e discriminante. Il protagonista sembra sviluppare un odio non
dissimulato verso il genere femminile ed un disprezzo profondo per quello maschile.

Laura Mosele

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Nel “Lamento di Portnoy” c’è l’euforica ricerca del sesso sognato, provato, vissuto come unico obiettivo della vita. Di contro la paura di viverlo appieno liberamente e senza sensi di colpa. L’ironia ebraica rende il testo leggero e il povero Portnoy la personificazione di un perenne scontento.

Natalina Mungari

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Ha raccontato di una guerra in modo ineguagliabile. Roth descrive una guerra senza fine, atroce. Il protagonista è indubbiamente prigioniero di se stesso e dell’ ‘‘educazione’’ ricevuta. Libro terribile.

Secondo me entrambi i libri parlano di guerra. Anche se Vonnegut ha raccontato LA guerra usando toni e modi inconsueti quanto davvero interessanti, mi ha colpito di più Roth che ha descritto un dramma personale con toni così forti, tanto da farlo percepire come un’altra guerra, senza fine.

Roberta Zanatta

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Due importanti romanzi americani degli anni 60/70, entrambi capaci di catturare il lettore/lettrice con scrittura brillante, intelligente, scorrevole, intrigante. Capaci di indagare la realtà con espedienti narrativi che coinvolgono la dimensione comica, fantastica, grottesca, tragica, crudele. Li apprezzo molto entrambi ma scelgo Vonnegut preferendo il suo romanzo non rinchiuso dentro le mura di una casa, fosse pure quella di una famiglia del ceto medio ebraico nell’America del dopoguerra!

Tiziana Niero

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divertente questo Roth, penso di assomigliargli e non so se è altrettanto divertente

Ottavia Franceschini

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Brillante e coinvolgente all’inizio, poi da metà libro una certa ripetitività …

Enrico Franceschini

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Apriamo Il Lamento di Portnoy e diventiamo improvvisamente il dott. Spielvogel, ascoltiamo e immaginiamo tutto quello che questo paziente ci vomita addosso. Siamo dei privilegiati voyeur. Non abbiamo la laurea in medicina, specialistica in psichiatria, ma possiamo assistere alla lunga inebriante vorticosa seduta. Non diremo niente. Da bravi terapeuti. Però sentiremo vibrare sensazioni simili: i sensi di colpa, l’idiosincrasia per genitori fagocitatori, la reazione ai dogmi religiosi, i momenti che hanno forgiato il nostro carattere. E ci staremo divertendo da morire, a partire dalle descrizioni: “e quei denti, che passano tutta la notte in un bicchiere del bagno sorridendo al water,” “Alex, tirare su il telefono è una cosa cosí semplice... d’altronde ancora per quanto ti saremo di peso?” (ecco la tipica recriminazione della madre di Alex, madre di tutti).

L’estremo messaggio di Ronald, suicida, alla sua mamma, è il seguente: “Ha telefonato la signora Blumenthal. Per favore porta il regolamento del mah-jong alla partita di stasera. Ronald”. «Con tutte le lezioni che gli abbiano fatto prendere!», piange la signora Nimkin, (la reazione al suicidio del figlio).

La contrapposizione tra ebrei e gentili è continua ed esilarante: nella scena del bagno della famiglia goy di cui è ospite, Alex si chiede se dovrà ricoprire la tazza con della carta o venire a contatto con il nemico, per giunta nelle parti più intime. Tutto il romanzo è un balletto di supposizioni e contrapposizioni tra lui e gli altri, “quegli” altri. Fino a giustificare il suo rapporto famelico, turbolento e insaziabile con le shikse come conseguenza di qualcos’altro:” Il succo del mio ragionamento, Dottore, è che non mi par tanto di ficcare il mio uccello in queste ragazze, quanto di ficcarlo nei loro ambienti sociali... come se scopando volessi scoprire l’America. Conquistare l’America, è forse più corretto. Colombo, il capitano Smith, il governatore Winthrop, il generale Washington... e ora Portnoy”.

E così via… in uno sfogo vitale e torrenziale, osceno. Con un montaggio che è un continuo passare da passato a presente, scandito da un ritmo disordinato, caotico, ma poi ripreso, mai perso, da star svegli e continuare fino alla fine. Con le parole parlate, perché è una conversazione no? quindi lo stile paratattico non cede mai, le descrizioni sono brevissime, caustiche, taglienti.

Che spasso questo libro, me l’ero goduta a 16 anni, e mi diverte uguale a 60! Grande Philip!

Laura Pegorer

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson

di Milano 2 “Lettori Temerari 2”
coordinato da Patrizia Ferragina:

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Grande, grandissimo Roth. Amo moltissimo il fatto che sia feroce e caustico, oltre che divertente. In questo libro sferza le sue origini, la famiglia e la cultura ebraica che gli va senza dubbio stretta, essendo lui un autore dal grande respiro. Il suo personaggio utilizza l’auto-erotismo come ultima fuga da tutto quello che lo stringe ai fianchi, ma allo stesso tempo anela il ritorno al seno materno, alla sicurezza e calore di quella madre ebraica così castrante. È inevitabile che finisca da uno strizzacervelli. Ma intanto ci ha fatto molto pensare e molto ridere.     

Barbara Monteverdi

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In questa gara è il libro sconfitto, ma per me non c’è stata gara. Alex Portnoy, ebreo 30enne newyorkese, masturbatore seriale, erotomane ecc. ecc., recita sul lettino dell’analista un monologo dirompente. Un flusso di coscienza senza freni. Complessato oltre ogni dire, Portnoy diventa anche simpatico. Il ritratto dei genitori tossici è divertente ma fa pensare… Roth è sempre magistralmente Roth, ma il suo antieroe questa volta combatte in questa sfida letteraria con un eroe/vittima di una guerra vera.

Bernadetta Pazielli

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Alexander Portnoy riassume il dramma dell’esistenza di intere generazioni di ebrei della diaspora lacerati fra l’appartenenza alle radici ebraiche e una visione del mondo che le nega totalmente. Egli nella sua incessante ricerca di un’autenticità che gli sfugge, attraversa l’abiezione e tutta la gamma di sentimenti che lo collocano a metà strada fra l’eroe umanitario e la bestia. P. Roth mostra con grande efficacia quella che chiamerei la “conciliazione degli opposti”: tragedia e commedia si richiamano con grande naturalezza, come si implicano vicendevolmente dolore e gioia, piacere e sofferenza, direi anche vita e morte. È l’ebraismo, a ben guardare il tema di fondo del romanzo, un ebraismo amato e allo stesso tempo odiato, fonte delle piacevolezze che si concretizzano nei rassicuranti riti famigliari e allo stesso tempo di profondo disagio esistenziale. L’arma dell’ironia, quando non del sarcasmo, è un tentativo di prendere le distanze da ciò che al protagonista riesce inaccettabile come fondamento del proprio carattere, l’educazione ebraica.

            Salvatore Pennisi

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Impegnativo dover giudicare un romanzo di Roth, questo in particolare. Libro “ “terribile” “ ( e lo scrivo volutamente con quattro virgolette!), terribile perché sfuggente, ambiguo, a tratti mi conquista e a tratti mi respinge. Mi conquista per la sua capacità di spiazzare, di infrangere perbenismo e luoghi comuni sociali e religiosi, di essere trasgressivo e oltraggioso, ma utilizzando un linguaggio brillante, frizzante, a tratti esilarante. Mi conquista la sua capacità di costruire personaggi riuscitissimi, la madre in primis, guardata con sguardo acuto ma anche succube, impietoso e velenoso ma sempre intriso di affetto e di rimorso; così da farne una figura vitale, piena di forza. Mi respinge invece, di questa narrazione, il suo essere torrenziale, il suo indulgere e insistere sulla rappresentazione del sesso in modo strabordante e alla fine ripetitivo, inutile, controproducente.      

Patrizia Romano

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“Il lamento di Portnoy” mi è piaciuto però l’ho trovato “più leggero” diciamo così in termini di sostanza del racconto e conoscendo Roth per altre letture mi aspettavo qualcosa di più.

Pierangelo Vernizzi

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Aprilia “Le Bucoliche”
coordinato da Antonella Proietto
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Questo amore è una camera a gas/ è un palazzo che brucia in città/questo amore è una lama sottile/è una scena al rallentatore: si perdoni l’ardito accostamento ma la scrittura di Roth, ancora una volta, colpisce duro. Soffoca, brucia, affonda la sua lama affilata nelle nostre coscienze, mostra senza reticenze ciò che nessuno vuole vedere, nessuno vuole ammettere. Questa sorta di monologo, che può sembrare tutto interiore, è lo scavo di una coscienza collettiva che scoperchia le tombe del perbenismo, delle granitiche certezze, della parvenza di vita che ognuno si costruisce attorno.

Ecco a voi, signori, l’uomo del secondo Novecento.

Lidia Romagnoli

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Sarebbe interessante far conversare Bukowski ed Alex Portnoy, protagonista del romanzo di Roth e personaggio emblematico del bipolarismo dell’esistenza. Alex, questo maniaco, si divide tra altruismo e pulsioni fervide e sregolate che lo inglobano bene nella tipica dinamica della colpa. Il lamento di Portnoy non va tanto descritto nella sua trama quanto per la caratterizzazione finissima del suo personaggio principale. Ci troverete la violenza e l’ingiustizia della vita declinate in delitti e vendette. In effetti un caso c’è, tuttavia le descrizioni e le digressioni sono tutte psicologiche, duali, ancora una volta tra sporcizia e sogno. Oltre a domande ed esclamazioni è peculiare a livello stilistico trovare le numerose citazioni disseminate senza echi boriosi. Il testo è un celebrare l’umano: gli odori, i sensi, la ferocia e la volontà di possesso e l’estraneità del cuore. Parliamo con le tinte di un giallo di pulsioni perverse e di vicende del corpo, di virtù e di vizi, di radici d’ombra nell’essere. Ma ne Il Lamento di Portnoy non mancano toni ironici ed un’immediatezza di linguaggio unica. La storia e lo scavo antropologico sono disseminati come fiori sulla via del romanzo. Il lettore è messo di fronte ad infinite sfumature di risentimento e di disprezzo perché in fin dei conti Roth è maestro indiscusso di scrittura e si evince da un monologo che diviene riflessione sociale e culturale. Un tema denso come quello del condizionamento in famiglia è svelato in un flusso di coscienza folle ed essenzialmente geniale.

Lucia Nardi

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Esilarante, comico ma allo stesso tempo profondo ed interrogativo. Alexander Portnoy si trova da un analista e comincia a raccontare la sua vita, tutta d’un fiato e senza peli sulla lingua, mentre lo psicologo rimarrà una figura silenziosa per tutto il romanzo. Portnoy comincia dal principio, dalla sua infanzia e dalla sua famiglia; ne illustra pregi, difetti e assurdità che faranno di quel nido un luogo dal quale il protagonista non riuscirà mai a staccarsi, pur provandoci e volendolo nel profondo. Il giovane Alex comincerà ad aprirsi per quello che è, parlando della sua ossessione nel masturbarsi e del desiderio che prova per ogni essere femminile, senza però mostrare mai alcun segno di amore. Se nella sfera lavorativa Portnoy riuscirà a realizzarsi divenendo un avvocato affermato e dalla parte dei deboli, sul lato personale troverà rifugio solamente nel sesso. Il giovane si chiede spesso perché non si sposi e non metta su famiglia, ma allo stesso tempo si risponde da solo: non è fatto così, che male ci sarebbe nel rimanere scapolo? I suoi dubbi sono per lo più causati dall’universo ebraico nel quale è cresciuto e dalla figura della madre, la quale ha fatto si che il protagonista si sia sempre sentito fuori luogo e rinchiuso in un circolo vizioso: crede di fare un torto alla sua famiglia e alla sua stirpe non seguendo certi dogmi, ma allo stesso tempo pensa che non ci sia nulla di male in sé, in quello che fa, perché nella vita ci sono ben altri mali.

Ilaria Sabbatini

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Roth sintetizza abilmente la tradizione memorialistica di matrice rousseauaniana e le moderne tecniche narrative post-freudiane, esasperando il genere della confessione nello sfogo spudorato, ai limiti del patetismo. Ebreo americano in carriera, Alexander Portnoy, liberatosi da reticenze e pudori, inizia infatti un irrefrenabile pseudo-monologo (in realtà parla davanti a uno psicoterapeuta assente e invisibile, funzionalmente al gioco narrativo) in cui passa in rassegna una raffica di aneddoti segnanti della sua vita, esternando tutti quei pensieri repressi contrari alla morale ebraica e ai valori borghesi con cui è stato cresciuto, e mettendoli in rapporto allo svilupparsi di una sessualità convulsa e perversa, inappagante perché vissuta come colpa. In uno spasmo di rabbia e patetismo, tra ironia e oscenità, Alexander riesce ad esplodere infine nell’urlo liberatorio che noi lettori, intrappolati nelle rispettabili convenzioni dell’educazione religiosa e sociale, non riusciamo

a concederci.

Letizia Antico

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La sintesi de “Il lamento di Portnoy” è a pag. 175

“... se fossi stato capace di liberarmi di questa ossessione per la fellatio e la fornicazione, delle fantasie romanzesche e vendicative... della smania di pareggiare i conti!

Dell’inseguimento dei sogni di questa fedeltà disperata e insensata al passato...” Importante, da tenere in considerazione, l’anno di pubblicazione del romanzo,1969. Sesso, sesso, sesso, sesso. Il libro sembra non parli di altro ma, in questo lungo monologo con lo psicanalista, emergono aspetti importanti, la critica all’educazione stringente, la descrizione della famiglia e della madre, la relazione madre-figlio, il ritratto della comunità ebraica, la politica, il pregiudizio antisemita diffuso in America.

Oltre al sesso in questo romanzo ho trovato anche tanta rabbia.

Alexander Portnoy, non dimentichiamolo, e penso sia un aspetto importante, è sul lettino dello psicanalista e racconta e la caratteristica di ogni seduta è la libertà di narrare i propri pensieri. E Roth lo fa... con ironia, comicità, irriverenza e leggerezza che unite ad uno stile alto e una grande capacità narrativa saranno la cifra distintiva di tutta produzione di Roth, del Roth che amo.

Silvana Petrelli

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“Il lamento di Portnoy” è un monologo, un fiume di parole che il protagonista rivolge allo psicanalista e che descrivono il suo microcosmo. Uno psicanalista invisibile, che lo ascolta silenzioso dall’altra parte del lettino e in cui potremmo identificarci noi lettori, dall’altra parte delle parole stampate. Ripercorriamo così la vita dell’ebreo americano Portnoy, incastrata tra la presenza iperprotettiva e asfissiante della madre, un’insaziabile ricerca di erotismo e un continuo senso di colpa. Una lettura tragicomica, per certi versi grottesca, che ci porta a percepire le complessità dell’America del ‘69.

Ilaria Francioni

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È il libro della confusione, di un flusso di coscienza ininterrotto che il protagonista Alexander Portnoy fa al suo psicanalista prima di iniziare la terapia. Nella narrazione il terapista rimane sullo sfondo mentre raccoglie il racconto torrenziale dell’uomo come un testimone, suo malgrado, dei problemi che Portnoy ha anche con la sua ingombrante madre e dei disastri che lei ha inconsapevolmente causato.

Strettamente legato al rapporto con la madre è il rapporto con sé stesso e la sua voglia di ribellarsi alle tradizioni familiari e religiose

Teresa Catenaro

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Non è da tutti poter vestire i panni di uno psicanalista e avere come cliente nientemeno che uno scrittore di fama mondiale. Roth infatti, nei panni del personaggio Alex Portnoy, con un lungo flusso ininterrotto sembra raccontare tutta la sua vita dall’infanzia ai trentatré anni. Lo psicanalista, il dottor Spielvogel, (cioè noi che leggiamo) è con ogni probabilità un lacaniano, uno di quelli che non parla mai e non interrompe. Bene: il punto è che ora, da lacaniani, ci tocca ricevere in studio un nevrotico che ci vomita addosso senza particolari remore e censure il suo disturbo, e senza nemmeno una pausa. Nel protagonista si rivela una profonda contraddizione tra la sua etica altruistica e l’impossibilità di provare piacere all’interno di quell’etica. È lo stesso autore a dirci che, secondo lui, il conflitto interiore ha origine nell’educazione colpevolizzante, tipicamente ebraica, ricevuta dalla madre, con il contorno importante di un padre stitico. Come si risolve il conflitto? Non si risolve. È interessante però, psicanaliticamente, osservare come esso si trasferisca in ogni aspetto della vita di Portnoy, specialmente nella sua sessualità, sempre mal vissuta, sempre castrata o eccessiva e comunque piena di rimorsi. È un romanzo disperatamente in cerca di espiazione, da non leggere per chi già odia i suoi genitori, da leggere per chi ingenuamente li ama.

Andrea Ferroni

 

il romanzo di Roth, si caratterizza per la struttura del tutto particolare e inusuale, pubblicato nel 1969, “ Il Lamento di Portnoy” non è altro che un monologo del narratore Alex Portnoy, che si rivolge al suo psicanalista, la sua narrazione è del tutto frastagliata e i ricordi si susseguono senza un vero e proprio arco temporale; si passa: dall’infanzia difficile per via di un rapporto complicato con una madre troppo oppressiva sotto certi versi e un padre frustrato; al “presente” tormentato da un conflitto interiore di natura etica che si scontra con i conflitti e le rivolte derivanti dal fatto che sa di provenire da una razza (quella ebraica) che si scontra con il contesto sociale più disinibito che fa parte in un certo senso della cultura americana.

Il conflitto di natura etica e morale sfocia in vere e proprie perversioni che porteranno Portnoy a non raggiungere mai un vero e proprio equilibrio.

È stato un bel romanzo a tratti confuso ma molto bello.

Roberta Bucci

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Cimentarsi in una piccola recensione di questo libro è davvero difficile, è stato detto tantissimo, anzi troppo.

È stato da alcuni osannato, da altri criticato.

Il protagonista Portnoy suscita rabbia, ma anche un po’ di tenerezza. Il linguaggio è crudo e spietato, la dimensione sessuale troppo predominante, ma nello stesso tempo è una lettura avvincente ed a volte esilarante.

Questo romanzo (originale), è una confessione di un uomo sul divano del suo psicanalista ( ha davanti una sedia vuota).

Alex Portnoy è cresciuto in una tipica famiglia ebraica-americana, ossessionato da una madre insopportabile ed incalzante e da un padre inetto e mediocre. L’educazione sbagliata, le troppe aspettative che in lui sono riposte dai genitori, provocano una insofferenza ed una ribellione nei loro confronti.

Non riesce a liberarsi dal mondo ebraico in cui è cresciuto e non sa adeguarsi appieno alla società americana, è un eterno conflitto che lo rende infelice ed inadeguato. Ha un buon lavoro ed è un uomo di successo, ma sembra chela sua vita sin dalla pubertà sia incentrata sul suo organo sessuale.

Mi è piaciuto molto di più Pastorale Americana.

Francesca Patuelli

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Sesso, sensi di colpa e ancora sesso: Lamento di Portnoy è un flusso di coscienza, un fiume in piena che ci porta sul lettino dello psicanalista insieme ad Alexander, un giovane ebreo alla ricerca della propria indipendenza e allo stesso tempo morbosamente attaccato a famiglia e tradizione. Degno del miglior Woody Allen d’annata, il protagonista di questo monologo alterna

racconti da passato e presente, episodi esilaranti e imbarazzanti della sua vita in un libro che si fa leggere tutto d’un fiato. Pagina dopo pagina ci viene da chiederci insistentemente: riuscirà Alexander a trovare la tanto agognata normalità?

Teresa Iannotta

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Sfrontato, divertente, accattivante, ironico e blasfemo. Un romanzo impregnato di intelligente cinismo e sadico sarcasmo, in cui Roth lancia un’accusa alle componenti reazionarie dell’ebraismo e al tempo stesso ad una società soffocante in cui ogni individuo vive, fin dalla nascita, asfissiato dal senso di colpa. Un senso di colpa dovuto ad una mancata libertà di espressione personale, una repressione dovuta ad un retaggio sociale e culturale castrante e bigotto, una frustrazione causata dalla mancata possibilità di esprimere una sessualità che l’autore mette a nudo con un linguaggio esplicito e provocatorio. Un romanzo introspettivo e psicologico, in cui Alexander Portnoy ripercorre la sua esistenza segnata da una famiglia ebraica, un’adolescenza turbata ed un’eterna contrapposizione tra la sua più profonda coscienza ed i suoi più perversi desideri. Rivolgendosi al suo analista, Alex Portnoy si rivolge al lettore stesso, il quale si trova faccia a faccia con i pensieri più intimi di un animo scosso dai traumi della sua inquieta esistenza.

Maria Chiara Recchi

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