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L’età della tigre di Ivan Carozzi

Saggiatore

 

Il libro parte dalla musica trap per mettere a confronto generazioni diverse che hanno aspettative di vita, gusti, sogni completamente differenti. Tutto ciò porta l'autore a fare un'analisi della società contemporanea e della direzione intrapresa, nonché a guardarsi dentro e interrogarsi sul senso delle sue scelte. È un continuo spostarsi da una visione esterna, realista e un po’ cinica, a quella interna più intima e introspettiva.

Stefania Cugnetto

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Milano bene e di periferia; Milano da bere. Milano trap di capelli fluorescenti e gigantografie; Milano di chi è riuscito a emergere e di chi ancora sta cercando la strada giusta. Milano di oggi e di ieri, di social network e di vecchie foto anni Settanta. Da Sfera Ebbasta a Jacques Lacan. La redazione di un articolo sulla trap – garbuglio di suoni e contrasti – diventa una scusa per girare la città lombarda, dai suoi spazi più conosciuti a quelli da scoprire. Raccontata nella sua storia e nelle sue contraddizioni. Il romanzo di Ivan Carozzi può leggersi come un saggio sociologico in cui con acume e scaltrezza vengono snocciolati i più complessi mutamenti sociali del nostro secolo.

Valentina Dattilo

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Col pretesto di scrivere un articolo sul genere musicale del momento, il trap, lo scrittore compie una indagine sociologica in cui lui stesso è uno dei protagonisti, pietra di paragone per comprendere il mondo giovanile, e quindi i valori, il senso estetico e il contesto relazionale di riferimento. È una ricerca ostinata che lo porta ad esplorare luoghi e personaggi e che gli impone, per fare il punto, di confrontarsi con i giovanissimi per testare le conclusioni cui è pervenuto.

La meticolosità dello scavo nel fenomeno musicale e nelle dinamiche giovanili di cui è lo specchio, è anche un raffronto generazionale; diventa un pretesto per comprendere la distanza – che sembra farsi sempre più ampia col procedere dell’analisi – tra due epoche che rilevano come sideralmente diverse, anche se poi non così lontane temporalmente. Appare più sullo sfondo, ma non meno importante, un altro parallelo, quello tra l’editoria di oggi e quella di ieri e, quindi, sull’attualità o meno di un certo approccio, diciamo così, d’inchiesta nell’affrontare tematiche culturali e sociali. La scrittura è bulimica, procede per associazioni di idee, frenetica, intima e fresca. Il genere prende dalla saggistica e dalla narrativa, con un taglio autobiografico.

Stefania Mantelli

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Un saggio pop, uno studio antropologico e musicale,  forse un genere che potremmo definire  narrative non fiction, sicuramente   ibrido e d'effetto quello utilizzato dall'ex capo redattore di Linus, Ivan Carozzi, scrittore e giornalista, per   il suo ultimo lavoro letterario  "L'età della tigre". Un aneddoto personale, la richiesta di scrivere  un articolo sul nuovo genere che spopola tra i giovani, diventa una indagine sulla trap. La musica della new generation con quegli eccentrici  cantanti Sferaebasta, Ghali, Young Signorino (per citarne solo alcuni) nasconde una estetica singolare e non banale: cela un fenomeno nuovo da studiare. Quei  corpi estranei,  la musica e chi la crea,  si trasformano nel saggio/non saggio di Carozzi in simboli per comprendere i motivi che spingono  i giovani a seguirli, imitarli e desiderarne la vita. Quegli idoli tanto acclamati sono ricchi, narcisisti, egocentrici, eccessivi. Quegli idoli hanno tanti soldi. Sono ricchi a tal punto da lanciare  'cash' durante i concerti: il gesto di chi 'ce l'ha fatta'. Sfera e basta, un ragazzo dal passato difficile, nato tra i sobborghi malfamati, trova nella musica il trampolino del proprio  riscatto sociale. Dalla popolarità, alla ricchezza, fino all'eccesso, il passo sembra davvero breve. L'esibizionismo dei simboli di quella ricchezza estrema, soldi, Rolex, auto costose, viaggi, donne, feste in piscina fanno da contorno all'estetica di quel fenomeno musicale  incomprensibile agli orecchi dei non più giovani che ora provano a comprenderla. La trap diventa quindi lo specchio di una generazione edonistica e egocentrica, desiderosa di quella vita che appare subito meritocratica: talento uguale ricchezza. L'estrema popolarità, la realizzazione dei sogni, i soldi  regalano il potere di svuotare quegli  oggetti e quelle occasioni  tanto desiderati in passato, del loro valore, forse anche dei ricordi di quando si guardavano con desiderio pensando  che sarebbero appartenuti sempre e  solo agli altri. Tuttavia  qualcosa in quella 'tigre' sembra destinata a restare insoddisfatta e infelice, e neppure i decibel di quella  musica tanto astratta, L'esibizionismo e gli oggetti simbolo di quel riscatto riescono a sfumarne i contorni, soprattutto agli occhi e agli  orecchi di  chi,  quel genere, lo studia restando fuori dai concerti.

Margherita Ingoglia

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Articolato con ammirevole maestria, questo romanzo riesce a tenere il lettore incollato alle sue digressioni, alle sue anse narrative, alle sue descrizioni postmoderne di spazi metropolitani, facendogli bere a piccoli sorsi leggeri riflessioni di non poco conto che investono il piano sociale e culturale di un’epoca, e che costituiscono il vero nerbo di una narrazione originale, avvincente e serrata.

Giulia De Sensi

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Un libro che all'apparenza vuole approfondire la musica trap ma è sicuramente anche un viaggio all'interno della generazione a cui appartiene l'autore, bruciata e annichilita dal lavoro precario. Alcuni passaggi sembravano un po' forzati, come quello dell'orologiaio che gli chiede a cosa serve scrivere. Il libro tuttavia scorre bene.

Federica Costabile

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De L'età della tigre di Ivan Carozzi mi colpisce particolarmente la milanesità! e, probabilmente, è proprio per questa caratteristica che ho preferito l'opera di Manzini. Non sono affetta da milanomalia! Troppa impersonalità negli incontri quotidiani, troppa superficialità nei giudizi! E,poi, non mi piace il trap! Sarà per questo che pur apprezzando lo stile dell'autore e la sua capacità di descrivere i luoghi fin nei particolari olfattivi, uditivi, visivi, ho finito per preferire la "disperazione letteraria diffusa" di Manzini.

Veronica Vaccaro

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Cooptato per scrivere un articolo su Sfera Ebbasta, il protagonista si avventura nelle periferie della Milano dei giorni nostri alla ricerca del senso della musica trap.

Cosa fa sentire a un quarantenne una distanza così forte con i giovani di oggi, ossessionati dai soldi e dal successo, incollati per ore al computer, incapaci di rincorrere con coraggio e ostinazione un sogno? Carozzi riflette sul significato del successo, da lui inteso come realizzazione del sé, mentre nella trap intravede solo un sentimento diffuso di noia e depressione. Felicità e leggerezza, amore ardente, grandi ideali cadono tutti miseramente, laddove l’intelligenza artificiale divora i pomeriggi dei ventenni di oggi.

Milano ci appare nella sua eterna ambivalenza, città della movida, città poliedrica per chi la ama davvero, luogo dell’accoglienza, della rinascita e della speranza, dal grande retroterra culturale e sociale.

Lo stile narrativo di Carozzi non ha pretese, ma parla, comunque, con semplicità ed efficacia di una realtà sociale attuale e importante.

Cristiana Vianelli

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Non saprei dire esattamente cosa ho letto.
Qualcosa tra il saggio musicale, ma di impianto più sociologico che musicologico; un racconto intorno alla Milano di questi anni; un diario; un romanzo in forma (fintamente?) auto(?)biografica...
Forse era qualcosa di diverso ancora.

Ma sarà perché a Milano ci vivo (e non ci sono nato), perché l'autore ha poco più della mia età, perché scrive di argomenti che mi incuriosiscono e lo fa in maniera competente -forse non sempre travolgente, comunque spesso convincente- resta il fatto che le varie componenti di questo libro mi hanno tenuto piacevolmente legato alla lettura.

Non sono affatto convinto che l'insieme sia del tutto compiuto: continuo ad avere il dubbio che, come in una ricetta composta di singoli ingredienti di buona qualità, il prodotto finale sia un po' inferiore alla somma dei singoli elementi.
Però proprio il fatto che tutti quei differenti livelli siano stati, a mio parere, ben scelti e condotti, mi convince a dare la preferenza a questo libro.

Marco Brutti

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 Comincio la lettura e resto disorientata. Ho l’impressione di essere entrata in ritardo in una sala conferenze a discorso già avviato. I soggetti i nomi mi sono estranei, potrei fare una ricerca sul web ma attendo, voglio seguire il procedere di quello che mi sembra – a tratti- un flusso di coscienza. Avverto la stanchezza ed il disincanto di fondo del giornalista, ma mi perdo nelle frequenti digressioni alle quali per associazione il narratore si lascia andare. Finalmente a pag. 59 “….. l’artista trap, al contrario, pur scrivendo e vivendo in un contesto di paura e declino socioeconomico, non mette in scena la crisi, non la trasforma in un vestito, ma somatizza il consumismo, la fissazione per la merce e il capitalismo nella sua forma più esacerbata, trumpiana e strafottente. Semmai è in questa logica psicosomatica che il fenomeno trap rivela un tratto in comune col fenomeno punk”. Confesso non ho mai letto sugli artisti trap, quante cose mi perdo, ma nella ripresa della lettura il filo dei pensieri si dipana e le citazioni ed i riferimenti trovano nel mio vissuto una corrispondenza geografica , Milano, e generazionale: la difficoltà nel definire il trapper (?!) un cantante “Fatico a scrivere «cantante». L’aggiunta di un filtro vocale per correggere l’intonazione rende un artista che usa l’Auto-Tune più simile a un ibrido che non a un corpo umano dotato di una particolare cassa armonica, al pari di un Beniamino Gigli o un’Anna Oxa. Forse l’Auto-Tune, oggi, nelle sue forme più rozze e abusate come in quelle più raffinate (Carl Brave x Franco 126 usano l’Auto-Tune come una sorta di glassa, di tecnica decorativa), ha successo e seduce perché evoca la realtà di un processo ancora oscuro, incerto, cioè il farsi digitale della nostra identità.” pag. 61, la ricerca della propria identità attraverso l’esibizione di un oggetto ed il binomio YouTuber/capitalista- “Vale a dire, se ho ben interpretato ciò che intendeva Lacan, che non ci s’innamora di una persona, ma del suo simbolico, di una storia, dei tanti modi in cui un soggetto esprime, costruisce e continua a cercare la propria identità e il proprio desiderio, il che può accadere anche attraverso l’utilizzo e l’esibizione di un accessorio; grazie a una camicia la cui forma del colletto, per qualche ragione, concorre a fare colpo su di noi, tanto che, se fossimo un pappagallo, proveremmo il desiderio di mordere quel colletto. Lacan – racconta la sua ultima compagna, Catherine Millot – era una specie di esteta, anzi lo era senz’altro, teneva alle apparenze, curava molto l’aspetto. Vestiva infatti abiti tagliati su misura, che faceva confezionare a una blasonata casa di moda fondata alla fine del xviii secolo. Amava le camicie con il colletto alla coreana e spesso, quando la camicia non era alla coreana, indossava un papillon. Ma che cosa succede quando l’identità non è più il gioco dell’identità, se l’abito non è più un gioco simbolico, ma un mezzo per rendicontare quanto si è speso e per certificare, tuttalpiù, la nostra competenza in materia di moda e brand? Esiste quindi una sorta di «discorso dello YouTuber», se vogliamo, che va a rimorchio del discorso del capitalista”pag.76 - ed il consumatore di storie di Instagram versus il pubblico del cinema - “…………...i l pubblico di Instagram, invece, nella quotidianità più contaminata, meridiana e profana, consuma storie di pochi secondi dal palmo della propria mano, raccontate da un autore incolto che non padroneggia nessuna tecnica narrativa ed è guidato da una coazione a promuovere se stesso presso gli altri, rafforzando così la capacità di contagio e il potere sociale della piattaforma.” pag.153

Eppure continuo ad avere voglia di sentirmi narrare una storia, il vocabolario curato nei termini colti rende il narratore ai miei occhi autorevole, ma resto perplessa nel proseguire degli eventi che descrivono la genesi dell’articolo che alla fine non verrà realizzato forse perché la natura dell’oggetto vedrebbe quale lettore ideale il lettore Instagram a cui la storia così narrata, nel lessico e nello stile narrativo, suonerebbe estranea e lontana da se - «Che noia, che cantilena» scrive Sfera Ebbasta in Tran Tran.” pag.217. Concludo la lettura e realizzo che la tigre della metafora è andata persa …….

Patrizia Rega

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Parte come un romanzo, prosegue come un saggio, si risolve in una interessante e gustosa passeggiata nella Milano contemporanea e nella biografia dell’autore, con uno sguardo al passato ma senza toni nostalgici. Uno sguardo contemporaneo, che sa vedere e interrogarsi. Tutto con la scusa di un'intervista a Sfera Ebbasta e un’inchiesta sulla trap. Una scrittura capace di dilatarsi e poi di ritornare in argomento, nessuna divagazione è superflua, ma ognuna aggiunge una tessera a un inedito ritratto della città e del nostro tempo. Un’idea nuova, un libro chi si fa leggere.

Voto: 1

Rita Pugliese

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Milano e le sue contraddizioni. Ragazzi provenienti dalla periferia povera e degradata che, diventati idoli musicali delle ragazzine, ostentano la loro nuova ricchezza acquistando abiti firmati, vistosi gioielli, e lussuose automobili. Anziani dal fiorente passato che si ritrovano, pieni di vergogna, a chiedere l’elemosina perché con la loro esigua pensione non riescono ad arrivare a fine mese. Quarantenni precari – e molto arrabbiati - dal futuro incerto. Il tutto in una città multietnica, dove però sembra mancare un vero dialogo costruttivo in quanto differenti sono i punti di partenza e reciprocamente incomprensibili quelli di arrivo. Simpatica l’idea, ma priva di filo logico, a mio parere.

Alessandra Chiappa

 

Il torneo letterario di Robinson è un'iniziativa curata da Giorgio Dell'Arti per conto di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.
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