La cicatrice di Graziano Versace
Castelvecchi
Questo libro è riuscito a
trasportarmi, l’ho letto in un solo giorno e non riuscivo più a staccarmi. In
un contesto culturale difficile e povero con delle tradizioni ancorate,
viaggiamo insieme a questo bambino, amiamo e odiamo suo padre, ammiriamo suo
zio e il suo insegnante di italiano, cerchiamo di proteggere sua madre e sua
sorella. Grazie allo stile di scrittura molto scorrevole e al racconto in prima
persona mi sono immedesimata in Mauro e ho sofferto per lui e con lui, un
bambino che vorrebbe avere una vita diversa da quella di suo padre ma che non
ha gli strumenti materiali per farlo. Ho amato la sua determinazione nel voler
proteggere sua madre e sua sorella nonostante abbia solo 11 anni, ma ha già
capito tante cose dal mondo adulto. Infine, mi ha fatto molta tenerezza il
perdono di Mauro nei confronti del padre prima che morisse, perché nonostante
tutto quello che ha sopportato, l’amore ha vinto sull’odio.
Cindy Prado
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La cicatrice di Graziano Versace.
È una storia molto
semplice che ci riporta agli anni '70 nella "profonda" campagna della
Calabria dove ignoranza e tradizioni assurde unitamente a prevaricazioni e
violenze di un padre padrone hanno come vittime un figlio e sua madre. Il tema
è trattato con realismo e con un buon stile non privo di poetica. La narrazione
è coinvolgente anche se avrebbe meritato maggior approfondimento per meglio motivare
le relazioni tra i vari personaggi. Meritevole comunque il tentativo di
affrontare un tema purtroppo ancora presente in alcune realtà territoriali e
culturali del nostro paese, dove le prevaricazioni di genere, di forza, di
avidità impediscono ai soggetti più deboli e fragili di emergere nella società
con il dovuto diritto di conquistarsi la propria libertà di esistere. Adatto a
giovani lettori o a letture scolastiche.
Alfredo
Maria Simonetti
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Una lettura che ti colpisce l’anima,
e non solo per le angherie del padre-padrone, finanche mafioso e folle, ma
soprattutto per la bontà e la saggezza di Mauro, ragazzino tenace e
compassionevole del padre, a cui non fa mancare l’affetto e le premure quando
si ritrova invalido, senza prestare il fianco ad una facile vendetta, il cui
pensiero non lo sfiora nemmeno, anzi sino alla fine cerca un contatto con il
padre, in un rapporto finalmente amorevole. Sentimenti condivisi dal resto
della famigliola, che sempre si ritrova unita nel tentativo di scorgere un
barlume di bontà nel marito/padre. Ma, nonostante i risvolti anche sociali - la
malavita con cui il padre si accompagna e l’omertà che condiziona le loro vite,
i patimenti della mamma, segnata non solo fisicamente dalle percosse, ma che,
indomita, cerca comunque una salvezza – è un romanzo che rimane ancorato ad uno
spazio e un luogo, e, soprattutto la conclusione mi sembra un po’ affrettata e
non esaustiva, oltretutto considerando che si tratta di un racconto non molto
lungo.
Cinzia Sfolcini
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Il libro racconta la storia di un
fanciullo del meridione, interpretandone i sentimenti e gli atteggiamenti con
la consapevolezza del radicamento delle origini, vissuti “come segni
d’appartenenza” ma NON come dipendenza. Storie senza storia di amara
infelicità, disprezzo che non conosce più amore, miseria e crudeltà, legami che
non è possibile sciogliere, cicatrici invisibili che segnano indelebilmente
come, appunto, “la cicatrice”, un marchio impresso nel corpo ma NON “nella
testa”, che “allontanava, che… educava alla libertà, a un senso del
futuro che, fino a quel momento... era stato precluso”. L’autore affronta
il tema della consapevolezza di sè, esponendo la
narrazione nella sua totale crudezza, affrontando le situazioni con amara
tristezza ma con la ferma volontà di dare motivazioni alla vita. Attraverso la
sofferenza, il protagonista coglie l’importanza delle parole, il loro spirito,
la loro potenza, con cui combattere l’ignoranza e la sua stessa brutalità; nel
suo percorso di crescita, matura la propensione a voler aiutare gli altri con
la giustizia e la cicatrice diventa “un diritto acquisito a dire ciò che
penso”, come il “dolore che diventa sollievo; è così che impari
che sei vivo”: segni di rinnovamento e di speranza
Mara Taddei
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Il romanzo di Graziano Versace è
violento, crudo, duro, di una sincerità talvolta lancinante, ma non è crudele;
non lo è verso il lettore perché non indugia in maniera ricattatoria su ciò che
racconta, e non lo è verso il suo personaggio "peggiore". Nei suoi
confronti, è come se partisse dal presupposto che, tanto quanto è rarissimo che
il bianco sia davvero totalmente privo di macchie, non esista un nero senza
qualche sfumatura perlomeno di grigio. Così, il roccioso padre-padrone che in
qualche modo è il vero protagonista del romanzo, forse ancor di più del giovane
narratore di cui assistiamo ad un drammatico, sfaccettato e sofferto coming of age ( non
a caso, molte delle pagine migliori, anche con uno stile di scrittura meno
cronachistico, sono quelle in cui il genitore è in scena ), appare come una
persona altrettanto sofferta, lacerata e in qualche modo inerme, vittima delle
incrostazioni di una vita, incapace di rispondere, ma tutt'altro che
indifferente, alla sfida lanciata dal figlio, e sofferta testimonianza di una
cultura e di una mentalità arcaica.
Edoardo Peretti
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