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La danza dei veleni di Patrizia Rinaldi

Edizioni e/o

 

Questo libro è un giallo ricco di phatos, che si svolge ai nostri giorni nella terra della sirena partenope, napoli.

Tutto ha inizio con il ritrovamento di un cucciolo, ferito a morte, da parte di nina, la figlia adottiva della detective ipovedente blanca.

Blanca, con il suo infallibile sesto senso per la soluzione dei casi più complessi ed impenetrabili, viene affiancata da tutto il commissariato di capodichino, composto da uomini con il loro pesante bagaglio di debolezze.

In mezzo a questa tempesta di loschi traffici di animali esotici, contrabbando di cani per i combattimenti, uomini ridotti in schiavitù, persone disperate, ferite, derise, emarginate desiderose di un giusto riscatto, morti misteriose ed amori complicati che contribuiscono ad erigere muri insormontabili. Blanca riesce a mantenersi salda al timone, chiusa nel suo essere selvatica, verso la meta, mantenendo il rispetto di se stessa.

La scrittura di questo libro è sorprendente, raffinata e carica di suspense, ideale per una sceneggiatura di fiction televisiva.

La danza dei veleni mi ha veramente affascinata per il perpetuo movimento tra bellezza e degrado, che talvolta si rincorrono e qualche volta si toccano in questa antichissima danza della vita.

Sabrina Bertocci

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La coppia di libri che ho avuto in sorte ha certamente un denominatore comune: appartengono tutti e due al genere poliziesco. Entrambi, poi, sembrano essere stati concepiti con il remoto intento di essere trascritti nel copione di una serie TV.

 Antonio Fusco, con Alla fine del viaggio, contro Patrizia Rinaldi, con La danza dei veleni; il Commissario Tommaso Casabona contro la Commissaria non vedente Blanca Occhiuti. Il racconto di Fusco è ben costruito e accompagna il lettore, capitolo per capitolo, in un crescendo di suspense, senza altra ambizione che quella – che si rivela gratificante per il fruitore – di narrare la storia dalla parte del lettore, attirandolo dentro gli avvenimenti.

 La narrativa della Rinaldi è molto più complessa, non solo dal punto di vista della struttura narrativa – qui i capitoli saltano da un caso all’altro per poi convergere alla fine – ma anche lo stile è ricercato. La scrittrice adopera sistematicamente e ossessivamente la frase, la parola ad effetto, con un linguaggio sincopato e nervoso che ad alcuni può risultare sofisticato, ad altri semplicemente artefatto. Nel complesso, preferisco il libro di Fusco, più lineare, morbido e avvolgente.

Alberta Fabbricotti

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La trama è intrigante e ben risolta, tutto sommato, sia pur con la necessità di una lettura veramente accorta, obbligata anche dalla narrazione in parte un po' “sincopata”, in parte, a volte, un po' eccessiva nelle aggettivazioni e descrizioni degli stati d’animo, in ispecie (solo, forse per una precisa scelta) della protagonista Blanca.

L’aspetto più affascinante della scrittura è però la capacità dell’autrice di evocare atmosfere, quasi odori, di Napoli con scarne citazioni di luoghi o, addirittura eventi atmosferici (Varcaturo, una mareggiata, uno scroscio di pioggia), senza MAI cadere nella guida Baedeker, come nel caso del concorrente, “La confraternita della rosa nera” (più di metà libro?).

Forse bisogna essere napoletani o aver passato più di qualche tempo nella città per apprezzare veramente la mano assai felice della Rinaldi: certo è che, trama “hard boiled” a parte, si sente forte la voglia di sentire dal vivo gli odori evocati.

La galleria dei personaggi, pur vasta, è ben delineata.

Alcuni, Carità, Martusciello, il dolente Micheli, l’ambiguo Liguori, sono perfetti e ispirano facilmente l’identificazione.

Gli altri, gli importanti, inizialmente occulti, e il “coro” (tra cui l’appena evocata, ma non per questo meno vivida, descrizione della nefanda complessità del sistema del potere criminale: i soliloqui di Sua Signoria sono agghiaccianti nella loro perfetta spietata ferocia) non son da meno.

Blanca, complessa e affascinante, fa quasi venire voglia di essere ciechi.

Forse le sue emozioni, pur in pieno accordo con la complessità della psiche di una non vedente, potrebbero occupare uno spazio meno lirico. O forse no.

Veramente un bel lavoro, più di quanto non sembri alla prima lettura. Rimane nel naso e negli occhi.

Roberta Galterio

 

 

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