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La ragazza di Roma nord di Federico Moccia

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La ragazza di Roma nord mi è parso un tentativo di narrare una storia di coraggioso perseguimento di un obiettivo oltre gli schemi - tematica peraltro talmente neutra da apparire impalpabile - ma calato in un romanzo privo di una qualsiasi maturità letteraria. Il contesto virtuale nel quale si muove parte del romanzo è poi fin troppo prevedibile. 

Alessia Giampietro

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La ragazza di Roma nord è l’ultimo romanzo di Federico Moccia, una storia semplice e familiare.

 Il protagonista è il giovane Simone che come molti giovani vive un’esperienza deludente in amore, tradito da Sara, ricerca l’affascinante ragazza che ha conosciuto sul treno Roma-Firenze, senza conoscerne neppure il nome. Riuscirà a trovarla?

Moccia ci regala una storia d’amore, scritta con un linguaggio semplice e capace di coinvolgere i giovani lettori e gli adulti a caccia di storie poco impegnative da affrontare sotto l’ombrellone.

Antonina Barraco

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La storia social in una dimensione social intrecciata dalla visione superficiale dei social!

L'illusione di rappresentare una favola moderna falsa, finta troppo scontata!

Augusta Troccoli

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Romanzo troppo adolescenziale, con dialoghi senza spessore. Personaggi poco delineati o comunque non troppo interessanti. Per me, poco coinvolgente e per niente originale.

I protagonisti sembrano vivere una storia alla "Serendipity" partendo da una situazione molto abusata nel cinema, quello dell'incontro casuale tra un uomo e una donna su un treno, il raccontarsi senza svelare i nomi o dettagli che potrebbero identificarli troppo e poi, il fatidico dubbio del "e se fosse andata diversamente?". Il protagonista, dopo una cocente delusione, tenterà di ritrovare la ragazza incontrata per caso andando ogni giorno alla stazione di Santa Maria Novella, dove lei era scesa.

Sembra un romanzo costruito solo per i ragazzi, sulla scia dei precedenti lavori di Moccia.

Anche l'idea di inserire otto racconti opera dei lettori non migliora il romanzo, lo rende ancora di più frammentario.

Claudia Casano

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Federico Moccia torna a descrivere Con la consueta efficacia i sentimenti di adolescenti in cerca e in fuga da qualcosa. Tutto ha inizio con l’incontro tra Simone e la ragazza di Roma Nord, che sarà gravido di conseguenze in termini di scelte e dell’inevitabile, dati i tempi, ribalta sui social.

La lettura, facile e scorrevole, è arricchita dall’ambizioso e riuscito progetto letterario che coinvolge i lettori nella scrittura del romanzo stesso.

Ermanno Lombardo

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Federico Moccia vuole forse rappresentarci la realtà sociale di una parte della gioventù romana, geograficamente posizionata nei quartieri a nord della città,

La sensazione che rimane nel lettore è invece quella di una pura operazione commerciale. Infatti la storia, all’inizio banale e assolutamente prevedibile, è infarcita di pubblicità con specifiche citazioni dei nomi di pub e ristoranti (quasi una guida gastronomica), griffe di moda, note capsule di caffè e case vinicole.

Nella seconda parte del libro, l’escamotage dello striscione alla stazione di Firenze e il suo divenire virale sui social risulta assolutamente inefficace così come l’epilogo melenso e privo di una pur minima dose di suspense. Da notare, inoltre, che i vari racconti dei followers, che contribuiscono ad aumentare il numero delle pagine, sono effettivamente frutto di collaborazioni esterne.

 Infine il confronto tra questi protagonisti, che appaiono superficiali e immaturi, con i ragazzi marchigiani della Caminito è impari e non consente una scelta diversa.

Francesca Messina

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Avrei avuto di meglio da fare che leggere un libro di Federico Moccia. Ma sono scrupolosa e il mio dovere da giurata è quello di affrontarne la lettura senza pregiudizi. A pagina 20 ho immaginato uno sviluppo della trama molto banale e prevedibile e mi sono imposta un limite: se davvero fosse andata come avevo prefigurato, avrei ceduto al mio preconcetto. Ho dovuto sorbirmi altre 100 pagine: a pagina 118 eccoli lì: la sorpresa (sic!), il tradimento (ma va?), la disperazione del protagonista (non mi dire!). Una scrittura che vorrebbe imitare e riprodurre lo slang giovanile: purtroppo, un totale sfasamento di registro, frasi di persone adulte (peraltro banali, superficiali e scontate) in bocca a dei ragazzi, situazioni che ambiscono ad essere emotivamente forti affrontate con una sciatteria che risulta indisponente e intollerabile (quando si parla di malati terminali si dovrebbe entrare in punta di piedi…). Pre-giudizio confermato, Federico Moccia per me non dovrebbe neanche essere inserito in una competizione tra scrittori.

Valeria Balsano

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Non si giudica mai un libro dalla copertina, e non lo si dovrebbe fare nemmeno dall'autore. A volte anche i romanzieri più sottovalutati possono invece sorprenderci tirando fuori delle vere chicche letterarie, ma ovviamente non è questo il caso. Federico Moccia riesce ancora una volta a deluderci, inserendo nel panorama letterario italiano l'ennesimo libro che ripropone un copione degno dei peggiori blockbuster americani, inondandolo di cliché pietisti a lui ben noti seppur rivisitati in chiave moderna. Il tono piatto e lo stile decisamente impersonale e privo di ogni possibile originalità impediscono di salvare una storia già di per sé fallimentare. 

Laura Piricò

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La trama è accattivante. Geniale l'invenzione dell'attesa in stazione..sine die.

Palcoscenico di incontri umani di ogni tipo.

L' autore è un maestro nel conoscere il mondo dei giovani.

Molto suggestiva la descrizione degli incontri con la madre malata.

Leonardo De Giacomo

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Davvero non importa cosa, purché si legga?! Mah, forse si, magari l’appetito vien mangiando e il palato, affinandosi, si preparerà a gusti più complessi e raffinati. Però Moccia, uno sforzo in più nell’intreccio della trama, potrebbe farlo. Mi chiedo: ma non sia annoia pure lui?

Paola Ardizzone

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Serra, teatro di una storia vera. Protagonista è l'anarchia d'inizio '900 e la voce di chi non l'ha mai avuta, di chi non ha avuto niente, mai primo sempre ultimo. Da una parte Lupo, forte, e dall'altra Nicola, debole, figli, si fa per dire, del fornaio Luigi Ceresa. Protagonista è la povertà e la cecità, soprattutto di chi si ostina a non voler vedere, a non credere, a non amare. Muoiono tutti figli e speranze: sopravvivono Lupo e Nicola alla loro famiglia e alle vicende storiche. In cima a tutto campeggia il monastero con suor Clara, la Moretta, la cui vita si intreccerà con quella dei due ragazzi, e sullo sfondo la Settimana Rossa, la Prima Guerra Mondiale, ecc. Lupo e Nicola due ragazzi complementari, destinati a ritrovare se stessi. Nicola è un ragazzo di mollica, senza crosta che sta bene solo all'ombra di se stesso; Lupo era ciò che non era Nicola. La terra rimane, gli uomini vanno via. La Grande Guerra era arrivata anche a Serra de' Conti, terra, solo terra. Luigi, fornaio, e Violante sua moglie e la sua famiglia disgraziata, compreso Nicola che imparava le parole difficili. In chiesa l'odore di letame cozzava con quello dell'incenso, la volontà di un prete di illuminare i suoi parrocchiani e la cecità di questi. Lupo crede negli uomini e non in Dio: è anarchico lui. Per Nicola invece ogni passo è una caduta. Lupo lavora e fa studiare il fratello. Poi c'è Zari, rapita in Sudan; e adesso in convento. Lupo e Cane: un'amicizia tra un ragazzo e un lupo, tra lupo e lupo, e Nicola il principe. Nicola e Lupo non erano fratelli e basta, erano molto di più. La guerra era finita, ma Dio non aveva finito con loro. Un giorno sarebbe arrivato il giudizio di Dio. Resta la statua della Moretta a vegliare su tutto.

Rosalba Marfia

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            La lettura del romanzo di Moccia è semplice, fluida e veloce, dal momento che sai già quello che succederà nelle pagine successive a quella che stai leggendo. Puoi prevedere tutto già dalla prima pagina, e i personaggi li hai già visti cento volte nei telefilm o nelle serie TV che seguivi da adolescente in TV. È proprio un romanzo dedicato ad una nicchia di lettori di una precisa fascia di età. Ci si chiede, però, cosa resti a questi giovani lettori, di queste letture. O forse è solo svago, evasione, e va bene così, ed è una deformazione cercare sempre e per forza una traccia, un solco, lasciato dentro di noi dalle pagine lette.

Tiziana Pupillo

 

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