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La sartoria di via Chiatamone di Marinella Savino

Nutrimenti

 

Sono due le protagoniste di questo romanzo: Carolina e Napoli. Una donna caparbia, ambiziosa e pragmatica; una città materna, stoica e ferita. Carolina regge sulle proprie spalle un’intera famiglia, allargata come erano tutte le famiglie fino ai tempi della guerra, non perde tempo a farsi domande sulla propria emancipazione perché agisce, si rimbocca le maniche, avvia una fiorente attività sartoriale che cura meticolosamente i dettagli per garantire un risultato di qualità ai propri clienti, da qualsiasi parte arrivi, si preoccupa che ciascuno dei suoi cari non debba mai patire la fame, perciò riempie la cantina di generi alimentari ben prima che il razionamento costringa la popolazione ad accettare ciò che il governo assegna. Napoli si prepara al disastro con il consueto fatalismo: il clima di distratta attesa pervade i vicoli del centro storico, si arrampica dai piani bassi a quelli più alti dei palazzi, e con l’attesa giunge ben più concreta l’ombra della povertà. Le pagine più intense sono senz’altro quelle che raccontano la pioggia di bombe che si abbatte sulla città. Il linguaggio del romanzo mescola agilmente italiano ed espressioni dialettali, senza risultarne rallentato, ma per quanto la narrazione sia quasi una presa diretta degli avvenimenti resta un’ultima sensazione di freddezza, le emozioni non toccano vertici o abissi, come se il controllo della protagonista impregnasse a tal punto il racconto da impedirci di penetrare davvero la carne viva del dolore che pure l’ha segnata.

Giuliana Zimucci

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La Napoli di Savino è autentica, fa sorridere dal primo capoverso, fa piangere ad ogni fine capitolo e manca come un amico vero al termine del romanzo. Carolina, la tellurica, sanguigna sarta di Via Chiatamone è il centro magnetico di dozzine di vite, quella di suo marito, dei suoi figli, delle sorelle e dei vicini che hanno avuto la fortuna di conoscerla durante l’atroce stagione della seconda guerra mondiale. Raggelata dallo spauracchio di poter, un giorno, patire la fame, organizza, lavora, risparmia, lavora fino al collasso ma non smette ma di essere una donna e una madre piena di vita. I continui bombardamenti, la sorella sul limite della follia, case distrutte, vite spezzate sono i colori originali, mai artifici retorici, con cui l’autrice restituisce la vita di una città che, più di altre, è innanzitutto uno stato d’animo e una predisposizione del cuore.

Marco Vaccher

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Un pezzo di storia italiana, nella Napoli in guerra, con caratteri forti, non solo quello della protagonista donna Carolina, e non ultimo la descrizione di tante belle usanze ormai perse. L'appartamento di via Chiatamone richiama scenografie eduardiane, dalla casa di donna Rosa Priore a quella di Filumena Marturano. Nella storia della Savino le persone sono vere, la fatica di vivere è autentica, le relazioni tralucono una pietas che nell'altro romanzo non emerge. E la scrittura è molto curata, specie con gli innesti in dialetto. Mi è piaciuto, pur non essendo un capolavoro della letteratura, perché è l'ultima testimonianza diretta di una generazione che ha vissuto la guerra. È come se fosse il romanzo che ogni famiglia italiana, con tutte le dovute differenze di latitudine e quindi di vissuto tra guerra, occupazione e resistenza, custodisce nella memoria dei nonni. Una testimonianza storica, un ritratto corale di umanità. 

Paola Procaccini

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Il breve romanzo “la sartoria di via Chiatamonte” di Marinella Savino è una storia ambientata nella Napoli della fine degli anni 30, fino al dopoguerra. Il personaggio principale, l’unico che sia ben caratterizzato e abbia un reale spessore, è quello di Carolina, sarta e donna estremamente intraprendente ed energica, una sorta di matriarca che finisce con il prendere sotto la propria ala protettiva una intera famiglia allargata. Nel locali della sua abitazione, che ha adibito a sartoria dopo il matrimonio, porta avanti la sua attività di sarta, coadiuvata da alcune dipendenti, finché le condizioni lo permettono. Poi, dall’inasprimento della guerra e dei bombardamenti, la sua mission principale diventa assicurare la sopravvivenza a sé stessa, alla propria famiglia, e ai congiunti che ne frattempo hanno trovato riparo in casa sua. La ricerca di cibo, in una città sempre più decimata ed impoverita, è il motivo che muove le sue giornate. Gli eventi tragici della guerra rimangono sullo sfondo. Sebbene l’autrice descriva i bombardamenti, le battaglie di strada fra i tedeschi in ritirata e la popolazione civile, ciò che di veramente grave avviene a Napoli, in quel momento storico, sembra lambire appena Carolina e la sua famiglia, che, seppure con difficoltà, non appare colpita in modo davvero tragico dagli eventi. La trama sembra a tratti edulcorata, privata di svolte veramente tragiche, i pochi incidenti che accadono, si concludono sempre con un lieto fine, al punto che la piccola comunità di via Chiatamonte, non deve affrontare nemmeno il problema dei pidocchi. Questa mancanza di tensione tragica purtroppo penalizza la storia, nella sua capacità di emozionare davvero, e la rende simile ad un aneddoto a lieto fine. Una personalità forte e tenace come quella di Carolina sarebbe venuta fuori in modo più originale e significativo, in caso si fosse dovuta misurare con vicende più toccanti.

Anna Porchetti

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Savino al contrario produce un romanzo per molti aspetti meno profondo e più prevedibile: parte dalla visita di Hitler a Napoli, il 5 maggio 1938 per zoommare sulla sarta Carolina, la quale dell’evento cosmico-storico avrebbe presagito gli esiti infausti, e che avrebbe utilizzato il proprio tempo e il proprio lavoro per accumulare beni che si sarebbero rivelati provvidenziali nella sopravvivenza ai grandi mali della guerra mondiale. Il solito intreccio fra universale e particolare, condito di personaggi minori a comparsa e di episodi accessori non sempre compenetrati nella trama centrale. Si direbbe la sceneggiatura di una buona fiction italiana (ricorda il primo “La guerra è finita”): nessuna regia memorabile, qualche snodo fin troppo prevedibile ma la sensazione alla fine è di aver trascorso qualche ora seguendo una storia piacevole.

Giovanni Marcotullio

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Il coraggio del romanzo, senza stratagemmi narrativi particolari, molteplicità di voci narranti e storie parallele o variamente intersecate: l’autrice lo ha avuto. E ha avuto anche quello di raccontare una storia in cui il lettore (di primo livello, ma anche di altri) può semplicemente e sinceramente affezionarsi (e di fatto si affeziona) ai personaggi e seguirne le vicende con partecipazione emotiva. Qualche caduta: il dialetto e la sua resa grafica non appaiono sempre convincenti; il registro linguistico sembra essere in genere quello popolare napoletano di un’epoca di poco successiva ai fatti narrati, ma, se questo è vero, quanto è appropriato “realizzare” nel senso dell’inglese “to realize”? e perché l’uso ripetuto di locuzioni come “talmente tanti” e simili, invalse nell’italiano colloquiale più recente a partire dalle regioni settentrionali? Sul piano dell’impianto, poi, l’accenno a Matilde Serao nelle prime pagine fa presagire nuovi incontri con il personaggio e / o incontri con altri rappresentanti della vita culturale dell’epoca di ambientazione nel prosieguo, e invece resta vagamente sospeso e solitario inducendo qualche perplessità, come certi edifici inizialmente progettati con maggiore sfarzo e in seguito rifiniti più poveramente per mancanza di risorse.

Anna Maria Giannella

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La storia si apre con il resoconto di una giornata: è il 5 maggio del 1938° Napoli. In piazza del Plebiscito sventolano maestosi stendardi nazisti e i napoletani accolgono festosamente Hitler. Nell’entusiasmo generale, Carolina, la protagonista, è l’unica a presagire la catastrofe. Carolina è un personaggio a cui ci si affeziona immediatamente, anche per quel suo essere assolutamente libera e moderna “nella sua testa” in un ambiente e in un periodo storico che di libertà alle donne ne hanno dati pochissimi. Lei invece, sarta, è una ragazza intraprendente, con una vocazione da single incrinata solo a 35 anni, quando, come dice l’autrice “pensava di aver scampato” il matrimonio. Riga dopo riga, giorno dopo giorno, la figura di Carolina, con la sua personalità, riempie le pagine della storia, creando un personaggio che si caratterizza subito per vividezza e autenticità, una donna tenace, spigolosa ma generosa, capace di accogliere in casa propria, durante la guerra, familiari e amici, trasformando la sartoria in una comunità di “diciotto anime” e molto rumore. La guerra scorre fra molte peripezie, in quella famiglia allargata, con Carolina sempre in prima linea, a procurare cibo, risolvere i problemi, preoccuparsi degli aspetti paratici, in una città ridotta al collasso e impoverita completamente, ma non piegata nell’animo. Arriva l’armistizio, e con esso, un po’ alla volta, il ritorno quasi alla normalità. Si tratta di una storia piacevole, condita qua e là da incisi in dialetto napoletano, con una prosa colorita, adatta al contesto. Pur raccontando eventi tragici, la storia non riesce mai veramente a commuovere, forse perché, pur sfiorati dalla tragedia, è chiaro sin da subito che ai protagonisti spetta il lieto fine.

Alice Fumei

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Che storia vintage, da sceneggiato di Rai1 - pure ben fatto, con tutti i crismi, come gli sceneggiati di una volta - che sana, prevedibile, noiosa storia nazionalpopolare è questa. Si lascia leggere, indubbiamente, ed è possibile (perché no, forse persino auspicabile) che sappia raggranellare un suo affezionato pubblico in cerca di storie sane, prevedibili, noiose e nazionalpopolari, fino a trovare trasposizione televisiva in un bello sceneggiato, appunto, dove il personaggio di Carolina, così caricaturalmente partenopeo, potrebbe essere interpretato da un'altra Savino: Lunetta. È una storia pure scritta con un certo nitore stilistico; con l'uso espressivo, nei dialoghi, del dialetto napoletano; con il piglio delle buone saghe familiari di una volta in cui imperversa la guerra (e la guerra va da sé è sempre la guerra fascista, la guerra malvagia per antonomasia come e più delle altre guerre), la famiglia si arrangia per sbarcare il lunario, qualcuno parte per il fronte ed è disperso, ma poi fatalmente ritorna, perché il finale dev'essere consolante, la tragedia si deve ricomporre e su tutto gli affetti familiari hanno da trionfare. Molto edificante, senonché stucchevole. Ora, di fronte a tanto cinismo programmatico della narrativa attuale, non è che questo romanzo della Savino risulti del tutto improponibile: anzi, potrebbe sembrare una sorta di contravveleno. Sembrare, ma non essere, perché tra cattivismo e buonismo non c'è che un passo, quando entrambi sono quadretti oleografici senza presa sul reale.

Elisabetta Cipriani

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Napoli, il fascismo e l’imminente guerra mondiale ci introducono nella vita di Carolina, la protagonista di La sartoria di via Chiatamone.

Carolina è una donna piena di energia, di voglia di essere e di fare. Essere innanzitutto una donna libera che sa ragionare con concretezza ed agire con efficienza, praticità e lavoro instancabile; del resto l’etimo di Carolina è “donna libera” come ci ricorda l’autrice.

Imprenditrice di sé stessa crea e fa progredire la sua sartoria diventando una creatrice di moda che accontenta anche i clienti più esigenti e raffinati, ricavandone elogi, soddisfazioni e buoni guadagni.

Con spirito indomito prevede le ristrettezze della guerra imminente, organizza una dispensa fornitissima e riesce a mettere al riparo dalle privazioni e dalla fame la sua famiglia, i suoi parenti ed amici.

Negli anni bui della guerra, nell’imperversare dei bombardamenti e delle disgrazie non si lascia mai vincere dalla paura, ma con coraggio e istintiva semplicità affronta ogni cosa trovando sempre la soluzione più appropriata.

Nella sua casa, nella sua vita, nel suo cuore c’è sempre posto per tutti.

Accanto alla sua grande disponibilità noi leggiamo anche la solidarietà degli altri napoletani, di tutti gli altri personaggi attorno a lei. Sempre pronti a darsi una mano, a capire le difficoltà, i dolori, a immedesimarsi nelle sventure del parente, dell’amico, del vicino.

La simpatia e il calore della Napoli più autentica trapelano tra le righe del lavoro della Savino.

Non è solo un popolo che porge un suggerimento, un aiuto efficace, è anche un mondo unito nella disgrazia che reagisce, che combatte come può.

L’uso continuo di espressioni e frasi del dialetto napoletano rendano ancora più autentico e vivo nella sua napoletanità questo lavoro che piace e seduce fin dal primo momento, così che, catturati dalla storia, leggiamo il libro tutto di un fiato seguendo i personaggi con simpatia e traendone un grande piacere.

Rita Busetto

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Napoli 5 maggio 1938: “La dichiarazione di guerra non la fece Hitler invadendo la Polonia. La fece Caterina quando si convinse che una guerra ci sarebbe stata e lei doveva attaccare prima ancora di tutti gli altri, per difendersi e per difendere la sua famiglia”. Caterina, bambina insofferente nei banchi di scuola, impara presto a cucire e crea la sua sartoria che sarà sostentamento suo e di tutta la sua famiglia nei giorni duri della guerra. Seguiamo la vita di Caterina: donna creativa, tenace e generosa, governa come un generale la sartoria e la casa, inventa soluzioni per affrontare la fame e inventa spazi, tra lavoranti, figli e stoffe, per ospitare sempre più amici e parenti, profughi della guerra. Napoli e i Napoletani sono nello sfondo con la resistenza ai Tedeschi sconfitti e con il loro dialetto che infarcisce il racconto. Una storia famigliare, affettuosa; come eroina, una donna comune che affronta la grande storia.

Valeria Boscolo

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Che bello! Questo piccolo, grande libro trasuda amore e forza.

L'amore tra Carolina donna forte, libera, non alta e “sprucida” come Matilde Serao e Don Arturo bello, elegante, “un metro e ottanta di buone maniere e cultura.” Diversi esteticamente e superficialmente, ma in perfetta sintonia nel profondo.

Il punto più intenso e commovente della descrizione del loro amore l'ho trovato quando Don Arturo,

tornato a casa senza una gamba, per la prima volta si deve coricare nel letto accanto a Carolina. La descrizione è molto tenera, amorevole, sensibile e alla fine l'incontro di quei due mignoli è poesia.

L'amore di Carolina per il suo lavoro e per la sartoria, che con tanto impegno e fantasia è riuscita a creare, percorre tutto il racconto ed è ben descritto. L'amore dei cittadini di Napoli per la loro città. Particolarmente efficace l'ultima parte dedicata alle quattro giornate di Napoli.

La cornice storica è accurata e puntuale.

Questo romanzo in cui si intrecciano storia universale e personale è scritto con un linguaggio pieno di sfumature e di inserimenti dialettali che lo rendono vivace, coinvolgente, intenso e ricco di potente umanità.

Sarebbe bello se ne fosse tratto un film.

Rita Luparelli

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Racconto originale, scrittura spigliata e scorrevole.

Il romanzo ha come fulcro la vita quotidiana di una famiglia napoletana, che non perde mai, nemmeno nei momenti più drammatici della guerra, lo spirito ironico e la forza vitale caratteristici di quel popolo. Bellissima la figura della protagonista, una donna indomita, l’elemento essenziale di riferimento per tutta la famiglia; bellissime tutte le figure di contorno: il marito, le sorelle, i cognati che con la loro presenza mettono in evidenza il forte senso dei legami familiari e la grande capacità organizzativa della protagonista.

Interessante l'ambientazione: il quartiere del centro cittadino con la sua gente energica e generosa, le signore dei vari ceti sociali che via via vengono sollecitate a frequentare la sartoria, le devastazioni dei bombardamenti, la ribellione finale degli abitanti di quella città, esasperati ma non distrutti dopo anni di lutti e di sacrifici.

Non facilmente accettabile l'uso frequentissimo del dialetto, dato che lo sforzo notevole, talvolta vano, del lettore per capire le battute “dal vivo” fa perdere la tensione della lettura e la comprensione del racconto.

Marcella Mazzoni Toninato

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Nella storia di Carolina interprete verace dello spirito napoletano, l'uso del dialetto acquista un grande rilievo: tuttavia esso è un pregio ma anche un limite. Il grande Eduardo citato dall'autrice per la complessità della sua opera seppe trasformare il dialetto di   Napoli in un idioma universale transnazionale.

Anna Rosa Sartori

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È stata una scossa...... di colpo mi sono ritrovata bambina (sono nata nel 1935). Ho rivissuto in un lampo la guerra, lo sfollamento, ho risentito il suono delle sirene, la paura di rimanere sola in un mondo completamente diverso, senza papà e mamma, ho ritrovato i morsi della fame, riconosciuto il profumo e la gioia di un pezzo di pane abbrustolito sulla stufa economica che annunciava l’inizio della giornata.
Grazie a Marinella Savino per questo bellissimo, vero, accorato, generoso libro che consiglio a tutti i ragazzi di questo secolo per poter prendere coscienza di un mondo che è stato molto diverso da questo attuale.
La Savino usa un linguaggio apparentemente semplice ma in realtà molto accurato e sapiente. L’uso del gergo dialettale può essere rapido e comprensibile nel linguaggio, con l’aiuto del gesto e della mimica ma nello scritto è molto complesso pieno di apostrofi, elisioni, troncature di parole. Insomma ci vuole impegno per riuscire ad apprezzare questo sforzo.
Straordinaria ed imperdibile l’invenzione della concretizzazione del “Vuoto” come alimento che man mano cresce nella catasta di cibi nella cantina. Il “Vuoto” che terrorizza si fa padrone e pericolo mortale nella strenua e angosciosa lotta contro la fame.
Disperata la reazione più animalesca e spontanea nella difesa della vita... “Correre-correre,correre Nient altro. Pagine queste degne delle migliori scene del nostro importante e invidiato cinema neo realistico.
Un applauso a Carolina da tutte noi donne che ci sforziamo di seguire solo i consigli delle nostre teste.

Anna Maria Longoni

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Ancora una volta la Storia recente, che ha posto le basi di ciò che siamo, raccontata da una di noi.

La protagonista ha vissuto un'epoca intrisa di difficoltà e situazioni che possiamo trovare in qualsiasi famiglia della nostra bella nazione, durante la Seconda Guerra Mondiale. Anche la mia bisnonna era sarta di professione, in casa andavano le “lavoranti” e lei riceveva le clienti e confezionava abiti su misura. Anche lei ha accolto in casa amiche e parenti, non solo nel periodo bellico, le famose “figlie d'anima”. Un lontano modo di instaurare relazioni forti e importanti, dove l'aiutarsi era una cosa naturale e sensata. Mia nonna, che ho conosciuto, è stata spettatrice e allieva di questo mondo, imparò il mestiere, ma anche la caparbietà, la generosità, l'amore, la riservatezza...tutte qualità che ho ritrovato in Carolina, la nostra protagonista.

Il romanzo si snoda in fatti e aneddoti descritti in uno stile molto semplice e anche se caratterizzato da un dialetto non sempre di facile comprensione per noi “del nord”, l'ho trovato divertente, diretto e soprattutto ricco di sentimenti positivi. Un prezioso messaggio per tutti.

Giuliana Rioda

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Carolina, attiva, sveglia, determinata, attenta ai dettagli, attraversa la seconda guerra mondiale assieme alla sua famiglia ed agli amici più cari. Tutti legami che aiutano a superare le difficoltà con solidarietà e amore.

La storia la facciamo noi, dentro casa nostra, questa è l’unica storia nostra; condizionata dalla Storia e, durante la guerra, solo se ci aiutiamo ce la facciamo. E’ un racconto del quotidiano, dell’ovvio, del prevedibile, dello sbalordimento per gli eventi che ci travolgono, della propria battaglia.

E’ capitato, sta capitando anche a noi, adesso, lo stravolgimento quotidiano.

Il lavoro delle donne, la forza dell’amore e dell’amicizia possono risolvere quasi tutto; anche durante la guerra.

C’è la resistenza di Napoli nello spirito di Edoardo, “Ha da passà a nuttata”; molti brevi dialoghi in napoletano, il racconto in italiano, brevi scene di momenti importanti fissati in un particolare italiano/napoletano; come fotografie.

Il romanzo è scritto a pennellate brevi, c’è l’essenziale della storia, il resto possiamo metterlo noi lettrici e lettori, perché ci si può rispecchiare. Mi è sembrato di essere seduta con altre lettrici intorno al tavolo e una racconta i propri ricordi, del resto il libro è breve e la lettura svelta.

Silvana Gasperi

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Carolina è l’indomita protagonista del romanzo. E’ lei il personaggio femminile potente, la donna libera che assume un ruolo determinante in una serie di situazioni difficili, al limite della sopravvivenza.

Carolina vive nella Napoli della seconda guerra mondiale: i fatti si svolgono negli anni dal 1938 al primo dopoguerra. Dotata di grande generosità, intraprendente, attenta ai bisogni della sua numerosa famiglia, delle dipendenti della sartoria e dei conoscenti in difficoltà, tenera nei confronti del marito, che chiama sempre don Arturo.

La trama è coinvolgente, la narrazione è appassionata, resa ancora più viva grazie all’uso del dialetto in alcune situazioni. L’atmosfera della casa e della sartoria viene descritta con attenzione ed affetto nello sviluppo della narrazione. Tutto ruota intorno a Carolina, che nonostante la guerra e le ristrettezze, trova sempre una soluzione ai problemi e riesce a tenere unita la sua numerosa famiglia allargata. Il suo personaggio è definito con chiarezza fin dalle prime pagine, bambina, sarta capace, moglie affettuosa e madre attenta.

La prosa della Savino è ricca e vivace, tutti i personaggi anche se descritti con pochi dettagli sono reali e fanno percepire l’affetto che li lega.

Silvia Marri

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Una scrittura rapida, fresca, quasi impressionistica; personaggi miniati e personaggi abbozzati che comunque si rappresentano perfettamente. L’ambiente napoletano magnificamente descritto anche attraverso la “sua lingua” che punteggia i passaggi importanti. Una protagonista amata dalla sua creatrice, una donna reale, combattente, collocata nel suo tempo. Un esordio veramente notevole!

Cristina Celegon

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Un romanzo familiare dove predomina la figura di Carolina, sarta e madre di famiglia, sullo sfondo delle vicende della città di Napoli, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Carolina è l’unico personaggio disegnato a tutto tondo, tutti gli altri protagonisti del racconto vivono solo di luce riflessa, in realtà più comparse che personaggi. L’uso del dialetto in alcune parti del libro, mi ha lasciato perplessa perché non sempre l’ho trovato immediatamente intellegibile. Anche la fine del libro non mi ha convinta: troppo sbrigativa e affrettata.

Patrizia Bravetti

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L’architettrice di Melania Mazzucco e La sartoria di via Chiatamone della Savino, l’elefante e il topolino, sono state quest’anno … il mio compito per le vacanze. Li ho letti con interesse e foga, godendone ogni stimolo e suggestione, quasi guidata dalle due scrittrici. Scegliere fra un lungo, lento fiume in piena e un torrente fresco e zampillante non è stato né facile, né immediato; anche perché, al di là delle differenze di mole, impianto, personalità e stile, entrambi i romanzi presentano, a mio avviso, evidenti affinità: innanzi tutto l’amore sconfinato delle autrici per le loro due protagoniste, Plautilla e Carolina, forti, libere, creative; poi la loro ferrea convinzione che la storia dei potenti (papi, re, dittatori che siano) condizioni, fino a schiacciarli, co-protagonisti, co-primari, comparse.

E ancora le brillanti, efficaci coloriture dialettali (un romano remoto, un napoletano attuale) a vivacizzare prose tanto diverse.

L’incertezza nella scelta è, dunque, rimasta, emotivamente, fino all’ultimo.

Poi però il respiro delle pagine della Mazzucco, la sua scrittura fluente e immaginifica, la sua capacità di rendere vivo il mondo degli artisti del ‘600 romano (e le artiste!), mi ha portata a preferire L’Architettrice, anzi le architettrici, Melania e Plautilla, capaci di erigere entrambe, a Roma sotto i cieli di Pietro da Cortona, un “palazzo meraviglioso e strano”.

Patrizia Ongaro D'Este

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La trama è ben costruita così come i personaggi di rilievo che sono caratterizzati con cura sia nell’aspetto sia nel carattere. E’ un libro vivace nella scrittura come la città in cui è ambientata la storia, seppure lo stile resti asciutto ed essenziale e capace di diventare duro e amaro nei tratti più cupi della vicenda storica che fa da cornice al romanzo. La protagonista è una super-eroina di un’altra epoca, dotata di poteri quali l’arguzia, la previdenza e un infaticabile senso del dovere e amore per il proprio lavoro che sono anche salvezza e consolazione nei momenti peggiori. L’ho letto tutto d’un fiato e lo ritengo vincitore rispetto all’Architettrice.

Elisa Alessi

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Il romanzo usa come cornice della storia personale e familiare il dramma vissuto dalla città di Napoli durante la seconda guerra mondiale. E crea la curiosità di saperne di più, ma sceglie decisamente il taglio della "piccola storia", a dispetto della dimensione collettiva. Al mio orecchio di veneta, per giunta con scarso orecchio linguistico, è risultata difficoltosa la comprensione della lingua napoletana, con il conseguente effetto di spezzare e rallentare il flusso della lettura.

Cristiana Cagnin

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Poteva essere l’ennesimo libro che racconta di una delle pagine buie della nostra Storia. Le vicissitudini di una donna e della sua famiglia negli anni della Napoli occupata e in guerra. Ne è uscito invece un romanzo che racconta una storia per certi versi semplice, ma che appassiona e coinvolge il lettore. Lo trascina tra le vie di Napoli, all’interno della stessa casa di Via Chiatamone. Con le vivide descrizioni e l’uso misto di italiano e dialetto sembra quasi di essere nelle stesse stanze con Carolina, vivendo nel manicomio del sovraffollamento, bevendo ‘a tazzulell’ ‘e cafè insieme a tutta la sua famiglia allargata. Ma è soprattutto la tenacia, la caparbietà e la generosità della protagonista a colpire. Il suo mettere tutto a disposizione della sua famiglia e delle persone a lei più care, dalla sua casa, cantina inclusa alla sua forza fisica e lavorativa. Un libro che si fa leggere tutto d’un fiato.

Cristina Lattanzi

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Carolina donna dotata di rara intelligenza e creatività attraverso lo strumento delle "forbice" ha tagliato e cucito la sua vita facendone un capolavoro. Carolina donna indomita è andata sempre alla ricerca della " bellezza " da donare insieme all'amore al marito Arturo. Alle sorelle. La bellezza nell'amicizia per Irene . La bellezza di praticare i principi di accoglienza e solidarietà in una Napoli devastata dalla guerra dal fascismo dai tedeschi. E comunque Stupenda. La sua libertà l'ha vissuta attraverso la sartoria fucina di idee e stratagemmi per sbarcare il lunario. Stupenda e risoluta dal cuore d'oro e grande Carolina resterà impressa nella memoria e nell'anima del lettore. A lei va il mio voto.

Marialisa Raccosta

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Nella Napoli oppressa dalla guerra e dai bombardamenti, dove fascisti e tedeschi prima e gli alleati poi, se ne contendono il controllo, è il popolo a vincere la più grande delle battaglie. Carolina, la protagonista, rappresenta l'essenza del popolo napoletano: donna di polso, concreta, diretta, dedita (a modo suo) al bene della famiglia; è lei l'uomo di casa, quella "con i pantaloni". La sua cultura è fatta di aghi e fili, di grandissime capacità sartoriali, di una manualità unica e di una grande esperienza. La sua lingua è il dialetto, schietto e senza veli, un dialetto che compare vivido in ogni capitolo, che riesce a coinvolgere il lettore e a farlo sentire parte integrante della storia. Al centro c'è una donna forte, insieme alla sua numerosa "famiglia", fatta di congiunti e non; c'è la solidarietà che, nonostante i tempi così bui, riesce a prevalere su tutto; c'è anche l'amore tra moglie e marito, tra sorelle, tra genitori e figli. Sebbene si tratti di un romanzo piuttosto breve, è intriso di grandi tematiche, affrontate raccontando la vita intensa di persone semplici.

Sara Giardini

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Libera, donna libera, Carolina lo era davvero! Tutta la forza e la determinazione in una donna appassionata e amante della vita e della sua famiglia. Una donna capa’tosta che con a disposizione solo le sue mani e la sua cantina colma di cibo è riuscita a mettere al riparo la sua vita e i suoi affetti dalla guerra. Con gli occhi di Carolina viviamo la guerra della povera gente, quando si razionava la fame già esistente, quando si cercava di ritornare alla normalità dopo un bombardamento, quando non ci si arrendeva neanche alla paura di un figlio disperso. Carolina ha saputo interpretare ed apprezzare la vita che le era stata donata. Ha vissuto a piene mani i suoi affetti e il suo lavoro. Una donna tutta d’un pezzo, libera fino alla fine. Per sempre!!!

È il racconto, accorato ma con nostalgia, che richiama alla memoria le storie dei nostri nonni. La forza di una piccola sarta è traino della solidarietà di parenti ed amici, rendendoli famiglia nella stessa casa e condividendo con spontaneità beni e sentimenti riescono a sublimare preoccupazioni, rinunce e sofferenze in speranza. Forse sotto i bombardamenti del benessere stiamo dimenticando tanta ricchezza...?

Manuela Franchellucci

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La vita di Carolina ne "La sartoria di via Chiatamone" potrebbe essere quella di ognuna di noi. Una donna del popolo che non conosce passioni politiche o nazionaliste. Non aspira ad atti eroici. L'eroismo è quello di portare la sua famiglia e chi ha vicino il più possibile lontano dalla tragedia. Ho rivisto nella narrazione i racconti dei miei parenti e di altri amici degli sforzi che hanno fatto durante la guerra per sopravvivere. La necessità e la solidarietà che genera il coraggio. Con la speranza che 'a da a passa' a nuttata'.

Anna Silenzi

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La sartoria di via Chiatamone mi è piaciuto molto, ha il respiro del cinema neorealista non sono in grado di stabilire se è un capolavoro, ma l’autrice è riuscita a creare un clima e a metterci dentro ad una commedia di Eduardo (Napoli milionaria) Carolina come Filomena...donna tenace. Pur scrivendo in italiano si sente la musicalità della lingua napoletana e a tratti riecheggia Elena Ferrante.

Luciana Picozzi

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La Sartoria di via Chiatamone è una storia emozionante, poetica e commovente. L'autrice racconta quegli anni drammatici di guerra con geniale leggerezza. Storia di Carolina, bambina irrequieta che diventerà una sarta capace. fantasiosa e generosa (ospiterà fino a 18 persone) È una donna amorevole ma anche determinata: nessuno osa opporsi alle sue decisioni). Sempre con lo stimolo di andare avanti. Partecipa attivamente alla liberazione di Napoli. Non odia ma disprezza per "chilli fetient' 'e Itler' e Musullin'

Donna Caroli' è di esempio per tutte le donne

Luigina Santini

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Carolina, donna intelligente, dalla volontà ferrea e abilissima sarta napoletana, incontra tardi l’amore insieme alla dolcezza racchiusa nella sua anima; nel 1938 presagisce la guerra e accumula provviste di nascosto in cantina. Lotta indomita, durante il conflitto, per salvare il suo mondo, supera prove terribili e lavora sempre nella sartoria. Tutti i suoi cari sono sopravvissuti alla guerra ma, nell’apparente serenità, Carolina si arrende alla morte improvvisa del marito: privata dell’energia vitale capisce che niente sarà più come prima e chiude la sartoria. Una storia indimenticabile, vera e profonda che cattura il lettore sin dalle prime pagine.

Annamaria Quinzi

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Marinella Savino ha dipinto uno dei più bei personaggi della nostra narrativa.

A Carolina va l'oscar come migliore personaggio protagonista di questo magnifico libro scritto con maestria e passione.

Carolina incarna la mamma coraggio, la donna resiliente, indipendente, che non si fa abbattere neppure dai bombardamenti.

Le espressioni dialettali napoletane presenti nel testo rendono il tutto più vero; ci sono passaggi nei quali sembra davvero di essere in casa di Carolina e godere dell'aroma del caffè e dei profumi delle conserve.

Un libro gradevole che ti fa innamorare di tutti i suoi protagonisti e l’ho votato.

Jessica Bracalente

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Gradevole, letto in fretta, perché i romanzi non sono per me, tranne qualche rara eccezione, questo non l’ha fatta.

Roberto Gennari

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Il libro della Savino ti cattura con una prosa semplice ma d’effetto e soprattutto quello che ti conquista è la protagonista. Dalle parole dell’autrice si ha proprio l’impressione di averla davanti agli occhi. Io me la sono immaginata alta, dallo sguardo fiero, deciso e determinato. È una donna che ha aggredito la vita e la guerra, che non è stata ad aspettare che la tragedia la travolgesse ma che ha fatto di tutto per tenere al sicuro la sua grande famiglia, fatta di parenti ma anche di amici e conoscenti. Anche il resto dei personaggi è molto interessante e mi ha incuriosito in particolare il marito, un uomo che non si è mai sentito sminuito da questa compagna forte che in casa contava molto più di lui, ma ha cercato in ogni modo di contribuire al mantenimento della famiglia per quel che poteva.

Loriana Lattanzi

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Decisamente il migliore dei libri che ho letto.

La forma mista di napoletano e italiano ricorda molto l'intercalare degli aristocratici meridionali che in un ragionamento dotto inserivano elementi dialettali stretti.

Le descrizioni mi riportano alla mente le storie che mi venivano raccontate da mia madre di una nonna che non ho conosciuto, ma che attraversò la guerra proprio come Carolina.

La ricerca dei personaggi che prendono forma attraverso i loro nomi:

"ultimogenita dal nome non pervenuto, perché sempre Taccanera fu chiamata e il vero nome di battesimo si perse dalla memoria di tutti quanti, tanto da non giungere più a nessuno."

Oppure attraverso l'immagine fisica:

 "Donna Rosa era 'nu piezz' 'e femmenon', una specie di mobile da centro..."

ed ancora attraverso i contesti ci racconta chi era Carolina, una libera donna che vive per un mondo libero, con una innata passione antifascista:

"Che poi, al buio delle candele, mentre cuciva pure di notte, per finire tutto il lavoro e non rimandare mai nulla indietro, sputava, come Luisella, su ogni vestito, era un’altra cosa.

e poi l'amore e la ragione di coppia, dove il taciuto diventa la forza vera, e la complicità viene raccontata con una semplicità autentica:

"Come per un nascosto segno d’intesa, quando il problema era davvero grande, importante… loro lo riducevano alla normalità."

Ritmo del racconto veloce ed intenso. Rimane sempre scorrevole e coerente.

La guerra viene presentata sporca e crudele, dando un messaggio forte che si completa nel finale positivo. La protagonista è una donna vera in tutte le sue sfaccettature, come ogni componente della famiglia tende a rappresentare le diverse sfaccettature della complessa società meridionale.

In alcuni tratti riesce ad essere così toccante da commuovere il lettore.

Giuseppe Riccio

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Da anni non leggevo un racconto così bello! Ben scritto, storia avvincente, emozionante dall'inizio alla fine. Siamo a Napoli durante la seconda guerra mondiale e la protagonista Carolina – brutto carattere e puro teatro – apre la sua sartoria, la casa e la cantina per aiutare, proteggere e sfamare. È con ago e filo e un irriducibile attaccamento alla vita che Carolina combatte ogni giorno il nemico: paura, dolore, terrore, miseria, fame, disperazione, bombardamenti, macerie, dispiaceri, lutti. Il racconto è impreziosito dalla bellezza di Napoli, dal suo dialetto e la sua immediatezza: ed è già teatro. Si ride e ci si commuove, come nella migliore tradizione napoletana. Credo che sarebbe piaciuto tanto a Eduardo De Filippo. Lo consiglio.

Salvatore Volturno Gaglio

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"La sartoria di via Chiatamone". Cucire e scucire, filo su filo, giorno per giorno. Una storia che appartiene ai napoletani e agli uomini che vivono nonostante gli imprevisti, gli ordini impartiti, le angosce e le bombe che cadono sulla vita senza mai distruggerla del tutto. La forza di una Donna, la lungimiranza, la furbizia, il lavoro e la fatica, l'affetto, la famiglia, la solidarietà e l'impegno di non arrendersi e continuare a vivere con coraggio perché "A  paura s'ava piglià pè fess!" Vivere, nonostante la bruttezza del momento, cercando e trovando la bellezza. Faticando, anche con una gamba sola, con l'unico  pensiero di riuscire a "portare tutta la famiglia dall'altra parte di quel tempo". La bellezza di un racconto che è teatro di vita antica con i suoi personaggi e la sua lingua. 

Angela Falcone

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Il libro è ambientato a Napoli, in un arco di tempo che va dai primi del 1900 a dopo la seconda guerra mondiale.

La protagonista è Carolina “ la sarta” una donna forte e risoluta ma capace di forti slanci di umanità e generosità.

Attorno a lei la sua famiglia, marito e figli e quella delle sorelle e di amici, personaggi diversi che non hanno mai

Un ruolo da comparse ma contribuiscono a creare una atmosfera di coralità tipica di Napoli.

Molte pagine sono dedicate al conflitto bellico ma più che le atrocità della guerra, vengono messe in evidenza

L’ ansia, la paura, l’angoscia e l incredulità della gente che non riesce a trovare un solo motivo che possa giustificare

Tanto orrore. La storia narrata è molto coinvolgente di quelle che ti spingono ad andare avanti e che ti dispiace

Alla fine dover abbandonare, specialmente Carolina, perché sicuramente ognuno di noi vorrebbe avere una

Amica come lei.

 Olinda Orlando

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Romanzo piacevole, di lettura scorrevole. La Napoli della guerra un po’ scontata come pure i personaggi. Nell’insieme la trama narrativa regge anche se quel periodo viene associato a giganti della letteratura come la Ortese e Rea. Buono per lettura sotto l’ombrellone.

Fulvia Rizzo

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Il libro è avvincente fin dalle prime righe. Scorrevole, emozionante, variegato. I personaggi sembrano amici di vecchia data che tu conosci personalmente, conoscendo altresì pregi e difetti. Mi ha fatto vivere la storia di questa famiglia, ma anche della guerra, seppur non è un libro di guerra. L'orrore seppur mai descritto, l'amore seppur mai accennato. Mi ha emozionato dall'inizio alla fine, mi sono sentita una di loro e (mi vergogno un po' a dirlo, ma è proprio così che è andata) ho pianto di commozione soprattutto alla fine. Mai melenso, mai scontato, seppure una storia di per sé banale. Ma la grandezza di un libro, non sempre dipende dalla storia che si racconta, ma da come la si racconta. Applausi a scena aperta per questo libro.

Stefania Oliveri

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l fascismo, la guerra, la resistenza narrate con stile e grazia come un acquerello napoletano con un uso sapiente di un mix tra lingua e dialetto. La storia è avvincente e l’ho letta come contraltare alla Pelle di Curzio Malaparte che si svolge praticamente nello stesso periodo , alla crudezza a alla brutalità di questo si contrappone la levità della Savino. La lettura è scorrevole e la trama ben messa.

Ernesto Melluso

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Un racconto in cui, come in un film, si intrecciano storia universale e personale, una vicenda resa vivida dalla commistione sapiente di italiano e dialetto. La Grande Storia è  uno sfondo presente ma poco importante, "donna Carulì" appare fin dalle prime pagine un personaggio potente che mette in luce il ruolo fondamentale della donna nelle pratiche di cura e di sopravvivenza. Così la presenta l’autrice: “L’avevano chiamata Carolina. Carolina Esposito. L’etimo di Carolina è “donna libera” e, lei, con la sua testa, fu libera per tutta la vita.
La guerra è il nemico di Carolina e della gente di Napoli. È la guerra che li assedia giorno e notte, bomba su bomba, fino al culmine con le quattro giornate di Napoli. Tutti i personaggi rimangono profondamente traumatizzati dal conflitto che ha scompaginato il loro vivere quotidiano, il senso di fine e distruzione sono la costante del romanzo e il laboratorio della sarta e la sua cantina diventano una specie di arca della salvezza. Voto 1

Mariangela Federico

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Il primo romanzo decente tra quelli che mi sono toccati in sorte

Bel romanzo dalla trama ben "cucita" in cui storia universale e storia personale si intrecciano in modo coinvolgente, i personaggi risultano convincenti soprattutto la protagonista che mostra tutta la forza di una donna libera, volitiva e perseverante

Interessante anche il linguaggio sapiente alternanza di dialetto e italiano.

Cinzia Plaia

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Nonostante sia un romanzo con una presenza prevalentemente femminile, non riporta al suo interno delle rivendicazioni di genere. Questo è evidente già dall’introduzione del personaggio di Carolina, lei non pretende di andar fuori dal suo ruolo di “femmina” che le è stato imposto dalla società dell’epoca anche se appare anticonformista e inadeguata alla sua epoca. Per via della vicenda narrata si può notare che la vita personale di Carolina è poco presente, si nota anche dal fatto che i personaggi sono accennati da pochi dettagli, tuttavia penso che sia una lettura piacevole per ogni lettrice o lettore. 

Beatrice Hurdyal

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La sartoria di via Chiatamone racconta una microstoria italiana, costruita attorno a un archetipo di donna meridionale, l’indimenticabile Carolina. Attorno a questa virago che svolge uno dei mestieri più tradizionalmente ‘femminili’, si muove una coralità di personaggi grandi e piccoli anch’essi ben caratterizzati, nelle loro parole e nei loro silenzi: uomini e donne, bambini e soldati, principesse e popolani, in un affresco a tinte forti che è familiare a chiunque viva nel meridione d’Italia. Insieme a Carolina, protagonista di questo romanzo è il lavoro, che non solo scandisce l’esistenza e procura il sostentamento, ma rappresenta in certi frangenti l’unico appiglio di dignità personale ad una normalità ormai sconvolta dalla guerra. L’uso del dialetto è discreto e misurato, a collocare in una cornice geografica, sociale e antropologica la vicenda di una famiglia allargata nel sud dell’Europa devastata dal conflitto. Eppure, nonostante la sua intima “meridionalità”, il romanzo mi ha fatto pensare più volte a un bellissimo film olandese del 1995, l’Albero di Antonia (Antonia’s line), che consiglio a tutti di vedere.

Pietro Giammellaro

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La storia di Carolina e le sue “pezze” sullo sfondo di una Napoli dilaniata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Una donna libera “nella sua testa”, sottomessa solo agli eventi storici e alla necessità. Ricca di fascino e di carattere, autonoma, artista del cucito. Imprenditrice e pragmatica quando occorre, di poche parole e di grande profondità. Intuisce, previene, non domanda ma agisce. La sua determinazione è tale che le si perdona anche qualche atto di crudezza. La sua storia e quella dei personaggi che le ruotano attorno è dinamica, drammatica a volte, ma guidata dalla forza inesauribile della protagonista, che affronta la vita sempre in termini di soluzioni, mai di problemi. La lettura è scorrevole e coinvolgente, pagina dopo pagina. L’uso del dialetto napoletano è sempre pacato, opportuno, sottolinea l’evento, non lo stravolge. Il romanzo si legge d’un fiato!

Caterina Pietravalle

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Mi è piaciuto molto questo racconto di donne, famiglia e guerra. Carolina, (donna libera, nomen omen), napoletana, e questo non è un dato superfluo, è l’indomita sarta che con piglio deciso governa la famiglia e la conduce fino al termine della seconda guerra mondiale, facendo della sua sartoria una piccola roccaforte di resistenza agli orrori e alla desolazione del conflitto. È una donna pratica, Carolina, e all’inizio della guerra decide di stipare in cantina quanti più generi di prima necessità si possano racimolare, creando un tesoro segreto a cui poter attingere nei momenti più difficili del conflitto, per nutrire le pance e le speranze di una famiglia che, nel corso della storia, andrà annoverando sempre più componenti. Leggendo queste pagine scorrevoli il mio pensiero è andato alla storia di mia nonna e dei suoi tre figli che con la stessa disperata ostinazione riuscirono a superare quel “focu ranni” e l’altrettanto durissimo periodo del dopo guerra, e alle molte storie di coraggio, forza e solidarietà che tanti di noi potrebbero raccontare sulla propria famiglia. Care Carolina, Irene, Luisella, vi ho “viste” -come sempre capita quando si legge un racconto scritto da una penna felice-intrecciare fili, paure, sguardi e speranze e vi ringrazio per avermi ricordato quanta forza possa esprimere una donna quando esercita quell’istinto semplice e primordiale che è il prendersi cura di chi ami.

Annalisa Cannata

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Sullo sfondo della seconda guerra mondiale la vicenda personale della protagonista, una valente sarta che cerca in tutti i modi di proteggere i suoi cari  dalla devastazione della guerra.

La storia in se non è così speciale ma la simpatia suscitata dal personaggio la rende godibile quindi nel complesso  una lettera gradevole.

Silvana Bonomolo

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“Ha da passà a nuttata” è la celeberrima citazione iniziale del libro, tratta dalla commedia “Napoli milionaria” di Eduardo De Filippo, che certamente apprezzerebbe l’omaggio. È una storia avvincente, la cui protagonista è una donna forte e determinata. Il lavoro è inteso non solo come mezzo di sostentamento, ma come mezzo per affrontare la crisi, difendere ideali, rimuovere o aggirare ostacoli fattuali e culturali. Questo valore universale del lavoro, che ci appartiene come ideale, ma stenta ad affermarsi nel reale, viene vissuto attraverso l’esempio di storie come questa, vere o di fantasia. Forse è per questo che, nel momento storico che viviamo, leggere questo libro mi ha emozionato e iniettato fiducia per ricostruire.

Laura mollica

 

 

 

 

 

 

 

 

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Romanzo leggero e godibile, quasi una favola: una famiglia che supera indenne la tragedia della seconda guerra mondiale e ne esce rinsaldata nei legami, mentre Napoli, protagonista con le sue strade, quartieri e scorci, si sgretola sotto le bombe.

La lingua e il dialetto sono il punto di forza del testo, un alternarsi di livelli linguistici mai pesante o estraniante, bensì equilibrato e profondo. Un libro che ci trasporta in una quotidianità che si rafforza con dettagli e modi di dire.

Roberta Bruno

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Ho apprezzato l'ambientazione storica: Il libro comincia con la visita a Napoli del Fuhrer del 5 maggio 1938, e finisce con la rivolta delle 4 giornate. L'intreccio fra il particolare e l'universale è la caratteristica del romanzo. Libro interessante e coinvolgente, ne consiglio la lettura.

Carlo Guida

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Il libro inizia timidamente in punta di piedi poi piano piano si colora con tinte vivaci e calde. L'autrice tratteggia dei personaggi che si animano, si agitano, è facile sentirli discutere, vederli agire nella scena. Tuttavia il disegno rimane sempre appena abbozzato, mai marcato. Il romanzo è piacevole alla lettura, ma non entusiasma né coinvolge completamente chi legge. Infine, l'autrice volutamente alterna lunghi colloqui in napoletano al testo in italiano. Se la scelta può essere vincente per brevi frasi, affidare invece come in questo caso al dialetto lunghi discorsi affatica la lettura di chi non pratica il napoletano. 

Slavica Zec

 

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Un mondo prettamente femminile che ruota intorno alla protagonista che tiene le redini di tutte le vite delle persone care durante la guerra. Una bella storia coraggio e forza d'animo, che mostrano come l'amore possa far fronte anche alle più terribili situazioni.

Paolo Costa

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Bel romanzo familiare, colorito seppur nell'ambientazione drammatica di Napoli durante la seconda guerra mondiale e relative difficoltà di sopravvivenza. Lessico di gradevole lettura, intervallato di frasi in napoletano molto colorite che ben illustrano l'ambientazione. Una storia al femminile ispirata a personaggi reali che rendono più gradevole il messaggio di positività che si sprigiona dalla grande carica, difetti, industriosità e forza d'animo della protagonista.

Filippo Sevini

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È una bella storia, quella che si svolge a Napoli negli anni dell’ultima guerra. Tutte le vicende ruotano attorno al personaggio formidabile di Carolina, donna intelligente, coraggiosa, dalle mille risorse, che governa con polso fermo e idee chiare la sua sartoria, dove cuce abiti per la migliore società napoletana, senza perdere il controllo sulla sua grande famiglia. Ed è la storia della sua vita in quegli anni così difficili, dove dominano la fame e la paura dei bombardamenti, la necessità di trovare sempre nuove fonti di sostentamento, anche cedendo al compromesso di cucire abiti per le mogli dei gerarchi, sostenendo la sorella che ha il figlio disperso, ospitando chi ha avuto la casa bombardata, fino ad essere in diciotto in un solo appartamento. E troviamo anche la tenerezza per “Don Arturo suo” ed i loro legame profondo. Il libro celebra le donne, che con le loro risorse apparentemente inesauribili, la loro fiducia nella vita, l’istinto primario di protezione e di cura sono la vera forza di una società. La scrittura utilizza continuamente espressioni del dialetto napoletano, che qualche volta possono risultare un pochino faticose al lettore nordico e richiedono spesso una rilettura del testo per afferrarne pienamente il significato.

Silvia Anglesio

 

Il torneo letterario di Robinson è un'iniziativa curata da Giorgio Dell'Arti per conto di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.
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