La scimmia e il caporale di Caterina Emili
e/o
Un romanzo
che si legge tutto d’un fiato, sullo sfondo la Puglia, quella fatta di ulivi,
olio, straduzze tappezzate di bianco e profumo di
cibo tipico.
A Ceglie Messapica
Vittore vi abita da un po’, dopo essersi trasferito dalla sua Umbria, si
troverà ad affiancare il maresciallo Tamurri in
un’indagine che porterà alla luce una vicenda che rispecchia le pagine,
purtroppo amare, del lavoro italiano: il caporalato.
Una
scrittura semplice rende la lettura di questo libro piacevole e scorrevole.
Celeste Furco
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La scelta dell’impianto narrativo potrebbe
essere anche interessante non fosse che per un aspetto che dall’inizio colpisce
il lettore, la voce narrante, che ne è anche il protagonista, sembra una voce
senza corpo. Parla, scopa, guarda, dorme come se non avesse uno spessore; nella
narrazione personale alterna momenti geograficamente collocati in un altrove
che si connette in maniera giustapposta con il presente fatto di olii, di vini
e di donne alla mercé di un caporale che del caporale è una imitazione grottesca.
Se volesse essere cinico e disincantato come vuole apparire, gli direi di
rileggersi Lermontov. Le braccianti articolano con
disinvoltura il loro malessere, sono piegate in modo nevrotico su attività di
contenimento come il cucito ma in realtà hanno poco del profilo del personaggio
prono e supino al ricatto e non si capisce perché finiscano a letto serialmente
con un satiro un po’ fesso come il caporale. L’epilogo della vicenda è forse la
parte più interessante tuttavia sempre giocata sul registro di una soggettiva
priva di pathos.
Claudia Rosanova
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La scimmia e il caporale offre uno spaccato su un mondo
di fatica e di soprusi oltre le foglie e tra le foglie dei campi in cui vi si
trovano persone che lavorano con grande sacrificio, patendo costantemente un
inadeguato trattamento, fatto di violenza e sfruttamento. A un certo punto
qualcuno scompare. Si indaga, si cerca. Il coraggio di parlare delle donne è
più forte e più sonoro. La matassa ingarbugliata si dipana tra nomi e rimandi -
forse troppo velocemente, per essere un romanzo. La scrittura risente un po'
della professione di chi lo ha scritto: si avverte uno sguardo sulle cose più
asciutto e razionale, informativo. Esistono però sprazzi di descrizioni
particolareggiate che inducono a vedere e immaginare, a entrare meglio nella
storia e nella vicenda seguita (quasi) suo malgrado da Vittore Guerrieri.
Eugenio Patanè
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