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Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig
Adelphi

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Messina 2 “La Gilda dei Narratori”
coordinato da Roberta D’Amico
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In questo romanzo accompagniamo l’autore e il figlio in un viaggio in motocicletta, ma questo libro non è solo questo. Spunta la figura di Fedro, una sorta di alter ego dell’autore che è vissuto anni prima e che si interroga sulla definizione di “Qualità”. La scena ad un certo punto si divide tra il viaggio in motocicletta e una digressione su Fedro. Mi è piaciuto come concetto, sebbene a volte l’abbia trovato lento, come se non arrivasse mai ad un punto. Punto di forza, secondo me, è l’ambientazione, ti immergi proprio nelle strade che percorrono. Tra l’altro ci si immerge proprio nei ragionamenti filosofici di Fedro e dell’autore stesso, che sebbene un po’ contorti, si seguono abbastanza. In definitiva, mi è molto piaciuto il concetto, ma forse si dilunga troppo!

Giulia Cavallaro

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L’arte dello zen e la manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig è un’autobiografia che mi ha deluso su cui forse avevo troppe aspettative. Pensavo che fosse una via di mezzo tra Omoo di Melville e Sulla strada di Kerouac e invece è l’autobiografia di uno schizofrenico appassionato di motociclette e di filosofia che scrive malissimo.

Il libro ha degli spunti interessanti sulla pazzia, sul rapporto tra padre e figlio e sul concetto di Qualità ma l’autore, pur facendo comprendere al lettore il suo pensiero, si esprime male e senza stile. Personalmente quando ho terminato la lettura ho tirato un sospiro di sollievo nel vedermi allontanare Pirsig davanti agli occhi come il passato per i Greci.

Francamente la Qualità è resa molto meglio da gruppi rock psichedelici come Jefferson Airplane e Grateful Dead che da Pirsig.

Roberto Cavallaro

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Il racconto di Pirsig ha indubbiamente il pregio di essere accattivante e stimolante, dal momento che apre molti dibattiti sulla tecnologia, la gentilezza, la passione. È un viaggio, fatto con il figlio undicenne e -almeno per una prima parte- con una coppia di amici, in sella ad una moto, attraverso stradoni immensi, spesso anche sterrati dell’America. Quell’ America che nell’immaginario comune è sconfinatamente grande e ricca di opportunità. Le descrizioni dei paesaggi e della cura della motocicletta sono minuziose e quasi sembra di essere in viaggio con loro. Mi ha stupita un termine spesso usato dal protagonista, “Chautauqua” che rievoca una certa appartenenza a un gruppo a qualcosa che ha a che fare con la tradizione e anche la presenza di una parte “oscura”, Fedro. Sembra un libro fatto per rievocare ricordi e mischiarli col presente: i dubbi sulla tecnologia, sulla passione e sull’impegno che ci si mette per ottenere le cose, fa riflettere il lettore. La manutenzione della motocicletta diventa dunque metafora: riparare manualmente i guasti della moto, forse, significa anche riparare le ferite o dissipare i dubbi che ci portiamo dietro. Bel libro, anche se ad una prima lettura mi ha spesso lasciata interdetta dai numerosi termini meccanici e lontani del mio gusto personale.

Giada Costa

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Un viaggio in moto nelle profondità del West diventa l’occasione per intraprendere un viaggio all’interno di sé stesso, alla ricerca del proprio io dimenticato, perduto attraverso la dolorosa esperienza dell’ospedale psichiatrico e della pratica dell’elettroshock.

La mia valutazione di questo libro è viziata: non sono riuscita a completarne la lettura. Vista la corposità, ma soprattutto considerata la densità dei concetti espressi, ritengo debba essere affrontato con molta calma e molta concentrazione. Quest’opera la definirei in prima battuta un saggio filosofico, e solo secondariamente un’autobiografia connotata come un romanzo. Per definirla prettamente romanzesca, avrei voluto vedere sviluppate alcune dinamiche, soprattutto quella con il figlio Chris. Invece tutti i personaggi divengono pretesto per portare avanti la propria ricerca introspettiva. Accanto al fulgido e selvaggio splendore del paesaggio americano, accanto alla ricostruzione dell’alter-ego dell’autore (suggestivamente chiamato Fedro, come l’allievo di Socrate) e delle speculazioni che lo hanno portato alla follia, scopriamo pian piano una complessa metafisica, la ricerca di una sintesi tra tecnologia e arte, ragione e sentimento, la definizione della qualità.

Non ho dubbi che questa sia una grande opera e non mi stupisce che sia diventato un must-have del mondo radical-chic anni ‘80, ma la trattazione assai frammentata e l’eccessivo dilungarsi su certi dettagli mi portano a dire che non è un libro adatto a me.

Valentina Costa

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Conoscevo di fama Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, e armata davvero delle migliori intenzioni e delle più grandi speranze mi ci sono avvicinata, ma l’incontro non è andato come previsto: la scintilla con un libro così di culto per tanti non è scattata. Ne ho apprezzato molti aspetti, da una parte, è vero (l’idea del viaggio, ad esempio, descritto attraverso paesaggi che cambiano progressivamente, dalle praterie agli altipiani alle vallate alle rocce all’oceano, o il non conformismo nello scegliere strade secondarie e non battute dalla massa, o ancora il pensiero di mettere attenzione e cura in tutto quello che si fa, anche nell’apparente manutenzione pratica di un motore, perché non si tratta soltanto di un semplice aggiustare), ma dall’altra mi è risultato tutto “troppo”: troppa filosofia, troppi concetti, troppe teorie e troppe rielaborazioni, che a fine lettura mi hanno lasciata smarrita e anche un po’ stremata. A sorpresa, dentro tutto questo “troppo”, l’ultimo capitolo, ecco, se il libro fosse stato tutto così comprensibile come quelle pagine conclusive, sarebbe stato sicuramente diverso. Però, si sa, noi non siamo gli scrittori.

Roberta D’Amico

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Benché si vesta di un’aurea enigmaticamente filosofica e benché di filosofia e studio della comprensione dei massimi sistemi dell’universo ci sia davvero molto in questo libro, esso è sorprendentemente aderente alla realtà. I problemi che pone, sebbene in chiave teorica, rispecchiano intimamente quelle che sono le incertezze e le perplessità della vita di ogni giorno. I dubbi che assillano l’autore sino ad ossessionarlo e renderlo vittima di pratiche psichiatriche piuttosto opinabili se non al limite del violento, come l’elettroshock, sono in realtà gli stessi dubbi che ognuno di noi si pone nell’intimità della propria realtà. Ed è appunto questa inaspettata corrispondenza di mondi che me lo ha fatto straordinariamente apprezzare. E dico straordinariamente perché ogni singola cellula del mio corpo rigetta con ferocia la materia della filosofia ed aborre ogni pensiero contorto che vuole inerpicarsi su vette del pensiero inabitate: ed è quello che, appunto, fa Pirsig con la sua prosa fluida sebbene fortemente improntata al teoricità; non a caso, la metafora della montagna – spesso ricorrente – rappresenta proprio il suo arduo cammino verso le cime della conoscenza umana, un cammino intrapreso con passione ma anche con fatica e dolore come un vero scalatore farebbe. Forse è proprio l’eccessiva astrazione del discorso che distrae il lettore ed esercita su di lui una certa refrattarietà. È innegabile che quest’astrazione ci sia e che il testo non possa propriamente essere definito narrativo: la narrazione strictu sensu si riduce praticamente a nulla ed è solo un pretesto per introdurre il lettore alle riflessioni che si snodano per tutto il volume praticamente senza soluzione di continuità. Al contempo, tuttavia, l’inattesa ricostruzione del reale attraverso il ragionamento è illuminante. Tra tutti, infinitamente realistica e vivida la paura della tecnologia spesso vista come allontanamento da una primitività più genuina o anche il sistema scolastico che sovente, con le costrizioni ed i famigerati “voti” su cui è fondato, offusca il vero obiettivo dello studente, lo allontana dalla curiosità e dalla vera passione per ciò che apprende rendendolo schiavo di imposizioni che gli sottraggono il vero piacere del sentirsi istruito.

Sara Faraci

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Un lungo viaggio estivo col figlio in motocicletta inizia come il volontario abbandono della routine e delle convenzioni quotidiane, alla riscoperta della libertà e del gusto perduto delle cose, e diventa progressivamente un’indagine del protagonista sulla relazione tra uomo e tecnologia - a partire da una dedizione consapevole e quasi maniacale alla manutenzione della motocicletta - e, quindi, sul rapporto tra la razionalità e l’emozione, alla ricerca di un senso; ricerca che, si scopre, una volta era stata la ragione stessa della sua vita e causa della sua follia, incarnata da Fedro, ovvero l’immagine di quello che era un tempo e che si è perso. La narrazione del viaggio si fa rarefatta e quasi di sfondo, via via che le elucubrazioni di Fedro prendono a occupare il pensiero del protagonista e la pagina, degenerando in una dissertazione di filosofia e di storia del pensiero filosofico greco che sembra allontanare il padre dal figlio, oltre che l’autore dal lettore. Il ritorno alla narrazione sul finale, con uno sguardo più aperto al figlio e al futuro, non restituisce equilibrio a un libro che non mantiene le promesse iniziali.

Dorotea Fazio

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Scritto dal filosofo e scrittore Robert M. Pirsig nel 1974, edito in Italia dalla casa editrice Adelphi, narra di un viaggio fisico e metafisico di un padre e di un figlio in America, in Minnesota, sulla sella di una motocicletta. La storia, con forti riferimenti autobiografici alla vita dell’autore, è tutto fuorché lineare. Il viaggio diventa solo un pretesto per narrare e filosofare su molti elementi e tutto il romanzo è un continuo mescolarsi di filosofia e narrazione. Se da un lato vi sono sicuramente dei tratti in cui l’opera ci riesce a ben trasportare in un tempo e in uno spazio facendoci suggestionare con le descrizioni dei paesaggi e delle avventure del gruppo che accompagna l’autore e il figlio Chris, dall’altro vi sono lunghe trattazioni filosofiche incentrate su diversi concetti primo fra tutti quello della Qualità, di cui la motocicletta diviene una grande metafora. Questo intento narrativo seppur notevole blocca e rende la lettura spesso macchinosa instillando più confusione che altro. L’autore ha la grande capacità di aprire numerosi temi, tuttavia diviene difficile seguirne il corso all’interno delle pagine.

Anche per quanto riguarda il registro linguistico utilizzato si passa da un linguaggio semplice e diretto, che va anche nel manualistico-molti sono, difatti, i passaggi dedicati alla descrizione sul come manutenere la motocicletta-a parti in cui il linguaggio diviene quasi sibillino e molto filosofico finendo talvolta per scoraggiare anche il lettore più allenato. È come se vi fossero tanti brillanti tasselli di un puzzle che alla fine non riescono a incastrarsi fra loro. Sicuramente la lettura dell’opera di Pirsig per essere pienamente compresa deve essere fatta in modo consapevole e attento. Non è il libro da leggere se si è alla ricerca di un qualcosa per evadere, non ci si faccia illudere dalla tematica del viaggio. Siamo molto lontani da un’epopea alla Kerouac, nonostante in alcuni passaggi l’abilità dell’autore nel trasmettere l’amore per l’andare, per la strada sia molto evocativa arrivando a chi lo legge. Il finale del libro è sicuramente la parte più umana e che più avvicina il lettore all’autore che resta per tutta la narrazione come distante in un suo mondo da scrutare con attenzione e pazienza. Quando lo si chiude si ha come la sensazione che Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta sia più un’opera che Pirsig ha scritto per sé, un grande flusso di coscienza per riflettere sulla sua vita, sul suo lavoro e sul suo essere genitore, tuttavia non sembra che vi sia un grande sforzo da parte dell’autore di avvicinarsi al lettore. È quest’ ultimo che deve volere entrare nel suo mondo.

Federica Fusco

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Un viaggio fisico e mentale tra le strade, le montagne, i boschi e i canyon degli Stati Uniti, ma anche tra gli ingranaggi di una motocicletta e del pensiero, dell’agire umano. Robert M. Pirsig scrive il manifesto di un’epoca, un saggio filosofico travestito da romanzo, e con l’espediente narrativo illustra uno schema di pensiero complesso, maturato attraverso quella riflessione che porta quasi alla follia, attraverso lo studio e il ragionamento. Un po’ troppo lontano dalle mie solite letture, è stata comunque un’esperienza interessante sebbene forse non compresa appieno. Meriterebbe uno sguardo più attento, sicuramente più tempo e concentrazione. Magari una seconda lettura e un po’ di tempo in più per immagazzinare e riflettere tra un capitolo e l’altro non sarebbe guastato.

Gabriella Fiorentino

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Il primo approccio con questo libro è stato entusiasmante perché adoro le motociclette, i viaggi on the road e gli sconfinati paesaggi americani. Il viaggio del protagonista insieme a suo figlio non è semplicemente il racconto di un’esperienza di divagazione ma diventa un viaggio interiore, la metafora della vita: la manutenzione della motocicletta rappresenta la cura con cui ci approcciamo a noi stessi e al nostro mondo. Purtroppo le dissertazioni filosofiche che comprendono gran parte del libro hanno appesantito molto il testo, sebbene le avessi trovate interessanti, richiedono l’impegno tipico della saggistica. Nonostante ciò, ho riscontrato uno stile abbastanza fluido che non ostacola la lettura che, per essere apprezzata fino in fondo, deve essere affrontata nel periodo giusto per coglierne l’intensità abbandonandosi agli spunti di riflessione suggeriti.

Maria Giovanna Mancuso

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Il romanzo è complesso. Pirsig affidandosi alla memoria dell’uso dei Chautauqua segue un ragionamento finalizzato, in fondo, a rintracciare e dialogare con Fedro, quell’io lontano e scomparso dopo l’esperienza dell’elettroshock.

La lettura è un viaggio. Un travagliato, tortuoso viaggio alla scoperta del significato soggettivo dell’essere; un viaggio per le strade secondarie dell’America a cavallo di una motocicletta; un viaggio attraverso i cortocircuiti dei pensieri quando non hanno risposte chiare. Pirsig intreccia argomentazioni e suggestioni filosofiche, spirituali e tecniche esprimendo il perenne bisogno di trovare una mediazione e un significato al concetto di Qualità. La scrittura di Pirsig non è del tutto scorrevole certamente. Credo che sia uno di quei romanzi che leggi perché ne hai bisogno oppure lo abbandoni a metà. Per me è stata una rilettura e continuo ad amarlo.

Rossana Mangiapane

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È un libro autobiografico dalle molteplici sfumature che narra del viaggio, intrapreso dall’autore insieme al figlio undicenne, on the road attraverso le strade secondarie statunitensi, intervallato da frequenti digressioni filosofiche non sempre di immediata comprensione.

L’autore usa il viaggio come classica metafora della vita, il libro rappresenta l’unione tra il racconto, le memorie e il saggio filosofico, a volte forzatamente affastellate, nella ricerca dell’autore di chiarire la sua visione del mondo così tanto colta, profonda e apparentemente semplice.

La motocicletta, il prendersene cura attraverso la sua manutenzione, è metafora del viaggio catartico intrapreso dall’autore, un genio precoce con disturbi psichiatrici e una storia di terapie di elettroshock, che si riflette sul personaggio principale.

Lo stile rispecchia una fluidità di scrittura, con passaggi molto scorrevoli e vividamente descrittivi, e un’intensità di pensiero.

Caterina Manzella

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Un libro fortemente piscologico e meditativo che accompagna, fin dalle prime pagine, il lettore in un viaggio reale e “retrospettivo” allo stesso tempo. Il ritmo è lento, per la presenza di sequenze descrittive volte a creare con il paesaggio una forma di simbiosi dove le difficoltà fisiche si fondono con quelle intellettive, stimolandoci a cogliere l’essenza che si cela dietro l’apparenza. Periodi semplici e osservazioni argute che sottendono l’atavica scissione tra correnti di pensiero opposte: Illuminismo-Romanticismo, pensiero tecnologico e pensiero umanistico, un bipolarismo che racchiude la storia del popolo americano, dove gli hippy o i punk sono le nuove categorie sociali sovversive ad uno status quo predefinito. Dietro il tangibile divario si cela il substrato che sottende ed armonizza gli opposti. Un saggio “camuffato” in romanzo che per la peculiarità della tematica trattata si presta ad un alto livello di lettura e comprensione.

Rosa Martelli

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Un titolo che incuriosisce e allo stesso tempo indirizza verso un genere diverso da quello che ti ritrovi a leggere. Un inizio che potrebbe farti pensare al tipico libro americano ‘on the road’, che già dopo poche pagine, sembra invece un manuale di manutenzione per motociclette e infine, è una raccolta di pensieri che hanno alla base la filosofia, antica e moderna. Un racconto autobiografico che ti fa vivere le sensazioni di un viaggio in moto e il menage di un rapporto padre- figlio. Un’opera filosofica che grazie ai Chautauqua ci propone riflessioni sulla differenza tra l’intelletto classico e romantico, sulla qualità, sul divino. Tutto questo è lo Zen, un libro che ho trovato impegnativo ma allo stesso tempo molto interessante e da assaporare pagina per pagina.

Daniela Platania

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Tra digressioni tecniche e dottrinali, Pirsig muove dallo spunto narrativo di un viaggio su due ruote in compagnia del figlio Chris, per tracciare un compiuto (per quanto consentito dalla oggettiva brevità del testo), benché forse poco originale, sistema filosofico della Qualità. Il fine, moderatamente ambizioso: risolvere l’eterno contrasto tra ragione e sentimento, tra tecnica e arte, tra Narciso e Boccadoro.

Indiscutibile merito del romanzo, scritto a cavallo tra il decennio della rivoluzione culturale e l’era dei grandi avanzamenti tecnologici, è di spingere il lettore ad una riflessione sistematica sull’approccio alla realtà, offrendo peraltro diverse “esche” di approfondimento. Lo stile risulta tuttavia eccessivamente farraginoso e la narrazione spesso ambigua.

Alfea Trimarchi

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Il torneo letterario di Robinson è un'iniziativa curata da Giorgio Dell'Arti per conto di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.
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