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Nelle mie vene di Flavio Soriga

Bompiani

 

 

 

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Mi piacciono le descrizioni, leggere ed immaginare posti che non ho mai visto ed poi appuntarli nella mia lista dei prossimi viaggi. Mi piace come lo scrittore ti fa entrare nelle sue scene di vita passata e presente. Come il crescere in un piccolo paese ti possa condizionare nel vivere alcune cerimonie/festività ma non limitarti a poter essere/diventare ciò che da piccoli si sognava.

Lucrezia Liberatore

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Il romanzo di Flavio Soriga è stata una lettura interessante, soprattutto per il modo di restituire la realtà della malattia.

Valentina Aversano

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Qual è la storia di un quarantaquattrenne la cui aspettativa di vita, alla nascita, era di 10 anni? Andando a ridurre fino all'osso, le 288 pagine di Nelle mie vene parlano di questo.

È una vita gradualmente lanciata in corsa, partita con tutti gli ostacoli di chi ha una malattia che “condanna” alla diversità, all'attenzione, alla costanza nella cura - quando non a una fine in giovane età - e che poi, man mano, prende sicurezza in sé, nelle proprie possibilità e aspettative. Prende velocità, aumenta in consapevolezza, cresce, si riproduce. Non esiste la sindrome del sopravvissuto qui, Aurelio Cossu, il protagonista (che è Flavio Soriga, almeno in parte) è troppo impegnato a fare tutto quel che deve per raggiungere i diversi obiettivi che si è posto, il primo: andare via (per poi tornare, dopo anni) da quella terra così totalizzante, così lontana da tutto, così idealizzata e mai capita da chi la frequenta e forse anche da chi la vive. Sogna e progetta, Cossu. Inciampa in situazioni bizzarre, in familiari sui generis, in proposte di lavoro surreali e coltiva amicizie profonde, legami che diventano intensi, ama una donna, diventa padre e cresce una figlia, ci prova.

Aurelio, il denutrito, come lo chiama una presentatrice con cui lavora, è sardo, talassemico e però lui quasi se ne dimentica ed è vero, in parte. La malattia c'è, relegata a uno sfondo, striscia tra le pagine come nel suo corpo e subito torna indietro relegata all'unico compito che il protagonista accetta di dare a questa convivente fastidiosa: acceleratore. La malattia è il motivo di tanta corsa perché “per un talassemico ogni anno vale per sette, come per i gatti” e quindi Aurelio corre attraverso episodi a volte esilaranti, a volte drammatici. Corre anche Soriga, con la sua lingua cadenzata, il ritmo sardo messo per iscritto, gli incisi perché – ehi – qui si va veloce, le cose si dicono rapidamente e si dicono come un sardo le direbbe, con quel tono lì... e per me funziona. Funziona perfettamente, questo lungo viaggio cadenzato, questa favola lunga una vita che riporta a casa, a una nuova e adulta concezione di casa.

Agnese Porto

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Il libro di Soriga deve aver saltato la fase di editing! Le ripetizioni, forse volute ma certamente eccessive, lo rendono illeggibile. La storia non è assolutamente interessante e manca di qualsiasi forma di pathos scendendo, anzi, in un pietismo fastidioso.

Marta Arenaccio

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Il libro di Soriga l'ho apprezzato. È molto interessante il punto di vista della malattia (sebbene sia un espediente già utilizzato in Sardinia Blues); nella settimana complicata di un lavoratore, padre di una bimba piccola, c'è l'obbligo di fermarsi per sottoporsi a una trasfusione in giorni stabiliti. Un tempo vuoto che viene colmato dalla riflessione. Ho apprezzato anche le riflessioni sulla vita dell'intellettuale contemporaneo, che nel pieno della sua maturità ancora si domanda che farà da grande. La cosa che mi è piaciuta di meno è questo continuo affacciarsi dell'autofiction. Non è del tutto un romanzo e manco del tutto un'autobiografia, e io ultimamente sono un po' insofferente a questi ibridi.

Carola Moscatelli

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Nostalgia per la propria terra, la Sardegna, un lavoro in televisione e una malattia, l'anemia mediterranea, che richiede costanti trasfusioni del sangue altrui "nelle sue vene" sono gli elementi della storia di Flavio Soriga. Una condizione in bilico tra il dare e l'avere, non solo perché la sua vita dipende dalla generosità delle persone (anzi, di sconosciuti) ma anche perché il protagonista, Aurelio, si trova a tirare le somme: tornare nella sua Sardegna, da cui in fondo ha deciso di scappare appena ha potuto, o rimanere sulla "terraferma", con la costante sensazione che gli manchi qualcosa. Carino, ma non appassionante, troppi luoghi comuni per i miei gusti.

Rosaria Imparato

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È una storia multiforme, un bilancio, un tirare le somme delle tante vite di Aurelio Cossu, che è nato e cresciuto in un paesino vicino a Cagliari, che ha una compagna, una figlia, un lavoro in televisione, che non si ferma un istante, che è legato alla sua terra ma vuole sfuggirle, che aspira all’autoaffermazione (personale, professionale) ma dipende dalla generosità dei donatori di sangue per poter vivere con la sua malattia. Attraverso la riflessione di Aurelio, Flavio Soriga racconta una Sardegna lontana dall’immaginario comune, racconta degli intellettuali in un mondo distratto, ma a mio avviso perde un'occasione importante: la narrazione risulta appesantita da uno stile troppo involuto, un ritmo immotivato rispetto alla trama: ne deriva una lettura ingiustamente difficile che penalizza una storia per certi aspetti interessante.

Mafalda D’Onofrio

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Il protagonista del libro è Aurelio Cossu, quarantaquattrenne di Uta, un paesino nell’entroterra sardo, dipendente della RAI ma “ultima ruota del carro” che si muove maldestramente tra Milano, Roma e Cagliari, dove vivono compagna e figlia. 

Racconta in prima persona la propria vita in un continuo flashback tra passato e presente, tra la sua adolescenza provinciale e la sua vita da precario; parla della sua vita e non sembra essere felice, Aurelio, quando racconta della sua infanzia segnata dalla talassemia, malattia che lo accomuna a suo cugino Alessandro, quest’ultimo più giovane di lui, più sicuro con le donne e più arguto. 

Aurelio racconta e ci appassiona, parla del suo passato da bambino timido e ingenuo, della vita di espedienti di suo zio nonché padrino e di come viene coinvolto, a sua insaputa, in qualche suo malaffare con la connivenza di suo cugino.

Ci catapulta poi nel presente, in quel suo stato di perenne precarietà lavorativa ed esistenziale; si è ritrovato adulto quasi per miracolo, grazie alle trasfusioni e alla generosità degli altri ma per lui l’anemia mediterranea non è un peso; anzi, quasi sempre se ne dimentica e inevitabilmente lo dimentichiamo anche noi.

Il lettore, anche il più pigro, si imbatte in un racconto scorrevole e accattivante; avanzerà leggiadro tra i capitoli, curioso di conoscere l’evoluzione delle vicende, di come il Cossu bambino  e poi adolescente sfocerà in quello adulto. 

Maria Grazia Zuottolo 

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Cagliari, Milano, Roma. “Nelle mie vene” attraversa l’Italia con la storia di Aurelio Cossu, quarantaquattro anni, una bambina e una conduzione in Rai che dall’oggi al domani viene sospesa per ragioni di budget aziendale. Sullo sfondo, la talassemia che segna dalla nascita la vita del sardo, conferendogli un’aura da miracolato perché sopravvissuto nonostante tutti i pronostici medici. Fatto perdere di vista al lettore il confine tra verità e immaginazione, “Nelle mie vene” intreccia i ricordi d’infanzia al perenne bisogno di reinventarsi per riscoprirsi poi nella propria vera identità.

Annamaria Bartolini

Il torneo letterario di Robinson è un'iniziativa curata da Giorgio Dell'Arti per conto di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.
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