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O Lost Storia della vita perduta di Thomas Wolfe
Elliot

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson di
Torino 1 “Circolo dei lettori di Torino”
coordinato da Francesca Alessandria
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Considero O lost un’interessante saga che mette a confronto tre generazioni di uomini inquieti. Il mio giudizio è contrastante. Come spesso accade per le saghe, la lunghezza del manoscritto rappresenta la sua forza e il suo limite. La lettura del romanzo a tratti è stata ficcata da una certa assenza di coerenza e, a tratti, travolta dalla potenza narrativa. Ammetto di non riuscire a definire quest’opera che ha avuto la forza di trascinarmi dopo avermi annoiato. La scrittura in alcuni passi è sublime, in altri, caotica.

Antonella Frontani

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Un capolavoro, opera forte e complessa, che racconta l’infanzia e l’adolescenza tormentata di Eugene, alter ego dell’autore, con una famiglia ingombrante, numerosa e stravagante, un padre che sente il peso del fallimento professionale e una madre patologicamente avida. Il romanzo narra tre generazioni ma Eugene è al centro del racconto con la sua solitudine infinita: la sua capacità fin dall’infanzia di comprendere con chiarezza il mondo circostante ci regalerà negli anni seguenti la sua visione grottesca e ironica del contesto in cui vive, dove è prioritario accumulare denaro e non cultura e conoscenza. Lo circonda un ambiente gretto, dove i sentimenti non sono espressi e la comunicazione tra i protagonisti è pratica, mai emotiva. Le descrizioni del quotidiano sono dettagliatissime e ogni precisazione aiuta il lettore a entrare nello squallore, nella violenza e nel desiderio di una via di fuga da parte di Eugene.

Emanuela Pallitto Martoglio

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Non conoscevo questo scrittore al quale, insieme alle traduttrici va il plauso di aver avuto un’idea faraonica del racconto. Storia narrata in terza persona. Testo con ridondanze, ripetizioni inutili, moltissime citazioni e note che distraggono dalla lettura fluida ma che quest’ultime per molti versi sono indispensabili alla comprensione del testo. È la storia di formazione autobiografica e insieme la saga famigliare di tre generazioni di uomini inquieti, il nonno e il padre del protagonista per poi svilupparsi sul vero eroe del romanzo, Eugene, ultimogenito di una famiglia numerosa, con due genitori fuori dagli schemi, molto premurosi e al tempo stesso assenti, una madre gretta e taccagna, un padre frustrato per la mancanza di successo artistico. Tutti i personaggi hanno una specifica caratterizzazione e l’autore descrive l’America dell’epoca con passione e fede. La scrittura è ricca di passaggi bellissimi e profondi, soprattutto verso la fine. Eugene non è soltanto ossessionato dalla vita come idea, bensì anche dalla vita come vittoria. Descrive con dovizia di particolari le mostruose sofferenze e tutte le sfaccettature della vita. L’io narcisistico domina su tutto e diventa la storia delle sue tribolazioni contro tutte le umiliazioni, le minacce, gli sconforti e le delusioni in questa famiglia americana che lotta per emergere dimenticandosi in buona parte di “vivere” con mancanza di senso pratico, forte attaccamento al denaro e fanatismo visionario. Lost, perduto! Solo e straniero gli uni con gli altri nel mondo. È un liberarsi dal padre, dalla famiglia per camminare con le proprie gambe. Testo che ha come tema la necessità del viaggio, il senso di solitudine, la fame in tutti i suoi aspetti e l’impossibilità di sentirsi a casa. Siamo sempre stranieri e sempre soli, quanto più ci illudiamo di abbracciare il mondo nel corpo e nella coscienza. Siamo tutti esuli, stranieri, soli, lost.

“ …Nessuna foglia pende per me nella foresta, non alzerò nessun sasso sulle montagne; non troverò nessuna porta in nessuna città …”

Gisella Marcellino

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È stato molto spossante leggere O Lost di Thomas Wolfe ma allo stesso ne ho colto tutta la maestosità e la tradizione letteraria americana insita. Il linguaggio utilizzato è molto crudo, realistico e allo stesso tempo molto ricercato, niente viene lasciato al caso. La storia presenta una grande varietà di situazioni che scandiscono la vita di tre generazioni di Gant, la famiglia protagonista del romanzo. Seppur venga considerato uno dei romanzi cardini della letteratura americana non posso affermare di esserne rimasta affascinata quanto avrebbe dovuto, è un libro con una trama importante che non può essere letto in maniera superficiale altrimenti si perderebbero i tanti messaggi presenti nel testo. Allo stesso tempo mi sento di dire che non lo considero “invecchiato” bene perché al giorno d’oggi non credo riuscirebbe a riscuotere lo stesso successo che avrebbe avuto un secolo fa, non è tanto la storia in sé ma soprattutto lo stile che lo rende tale.

Irene Cambriglia

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Sin da piccola ho sempre amato le saghe familiari, permettono di riconoscere, in un modo o nell’altro, qualcosa di proprio nel romanzo, e questo non fa eccezione. La solitudine dell’immigrato, la paura di essere frainteso, l’angoscia e insieme l’esaltazione per la libertà assoluta, per il poter ricominciare da zero, sono cose che sento vicine. Devo dire la verità, non l’ho ancora finito, perché torno indietro a leggere alcuni passi che mi piacciono. Ma mi piace.

Ilaria Maggi

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Il libro perdente di questa settimana per me è O lost storia della vita perduta di Thomas Wolfe. Il libro narra la storia di Eugene Gant, l’alter ego di Thomas Wolfe stesso, che ha in testa tanti sogni e desideri di evasione dalla cerchia famigliare alla quale non sente di appartenere: Eugene, infatti, è vittima di una madre avida di possedere sempre più cose materiali e che trascura i propri figli, e di un padre alcolista che corre dietro alle donne. Questo libro è molto lungo, si perde in troppe descrizioni di vita quotidiana e il linguaggio usato è un po’ desueto. Penso che un lettore di nuova generazione farà fatica ad abituarsi. Inoltre è un libro molto malinconico che a dir il vero mi ha messo un po’ a disagio per certi versi.

Cindy Prado

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Questo librone è un testamento sulla società americana e relativo modo di vivere prendendo ad esempio la famiglia Gant e i relativi parenti, i Pentland, tutti personaggi singolari e caratteristici a tutto tondo. Ingredienti per questa storia imponente: Eugene, personaggio principale, il più piccolo di 8 fratelli. Il padre Oliver, già alle spalle due matrimoni e un lavoro di scalpellino di lapidi e pietre tombali, che si ubriaca in modo folle e capace di declamare nei suoi deliri a memoria Shakespeare, spesso colpevolizzatore di altri della sua infelicità. La madre Julia, una donna instancabile ed avida ma con un fiuto eccezionale per gli investimenti, tant’è che compra poi il palazzo Dixieland che finisce per essere un crocevia di una umanità libera. E per concludere a contorno, si incrociano i vari e tanti personaggi che sono proprio fuori dall’ordinario (perdenti, sognatori, disillusi, accecati dall’avidità, profondamente umani). Un romanzo imponente che se ti prende, ti tiene incollato fino alla fine anche se i tempi di lettura sono lunghi e a rischio abbandono.

Nerd Traveller

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Non è sicuramente facile mettere in secondo piano il romanzo di Thomas Wolfe, non fosse altro per la lunghezza (incredibile scrivere così tanto e raccontare così tanto), e per le annotazioni sulla letteratura inglese (che determinano ottima conoscenza di autori come Wordsworth, Coleridge, Tennyson, Scott…), ma non mi ha emozionata come l’altro. E, nonostante alcune pagine molto belle (per esempio quelle sulla guerra, sulla malattia di Gant, sulla morte del fratello Ben, e, memorabile, l’ultima parte, quando incontra il fantasma del fratello e narra dei viaggi che lo scrittore ha effettivamente fatto nel corso della sua esistenza), il romanzo è forse un po’ troppo lungo e perciò anche a tratti caotico (come probabilmente è stata la sua vita e quella della sua famiglia). Una vita non facile, a quanto pare, proprio per i suoi grovigli interiori e legati ai legami parentali. Il che lo rende simpatico e indimenticabile.

Cinzia Sfolcini

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È davvero con grande entusiasmo e convinzione che ritengo il libro meritevole di vittoria. È il romanzo più coinvolgente che mi sia capitato di leggere negli ultimi anni; se si tiene presente l’anno in cui è stato scritto, ci si accorge che è un’opera moderna, in cui l’autore è stato capace di descrivere il mondo di certa parte d’America in modo assai efficace. T. Wolfe ha saputo esprimere (ed imprimere) le innumerevoli scene delle vite dei protagonisti; il libro è lungo e impegnativo ma permette di immergersi in questa saga familiare proprio come in un film. Una trama incalzante, sin dall’inizio, densa di un’umanità vera; le fatiche, le sofferenze, la ricerca spesso vana di una felicità lontana sono gli elementi portanti dell’opera. Non è un romanzo storico nel vero senso della parola ma contiene molti riferimenti a fatti accaduti nel periodo di contestualizzazione; è ricco di riferimenti geografici, artistici e culturali. Lo stile è vario: pagine con un linguaggio crudo, a volte maleducato, violento, aggressivo si alternano a pagine poetiche. È come se Wolfe si fosse sbizzarrito in una miriade di esercizi diversi, inventando tanti stili creativi. Flash back e salti temporali, uniti a momenti di riflessione profonda, sono altre caratteristiche degne di nota. La descrizione dettagliata dei personaggi, dall’aspetto fisico all’atteggiamento fino ai risvolti psicologici delle singole personalità sono elementi che permettono di comprendere tutto il dramma e le dinamiche interne di questa famiglia. Il messaggio che personalmente ho colto è questo: non si può trascendere dalle proprie origini. Per quanto ci si possa vergognare dei propri natali, e nonostante il costruttivo desiderio di riscatto attraverso nobili ed alti obiettivi, non si possono negare né strappare le proprie radici. Occorre accettarle, con consapevolezza, perchè altrimenti il viaggio, quello della vita, sarà in solitudine … e saremo persi.

Angela Palmieri

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Ci sono libri lunghissimi, che si leggono solo in giorni e giorni, ma di cui, quando finiscono, si sente la mancanza nel quotidiano. Succede con i grandi romanzi, e questo è uno di quei casi: una saga familiare, costruita però attorno a un solo vero protagonista, Eugene, di cui si narrano dettagliatamente i primi vent’anni di vita fino a dare luogo a un “bildungsroman”. La realtà di una famiglia scompaginata e l’idealità dei sogni e delle visioni di fuga concorrono a creare un’ambientazione e un personaggio indimenticabili. Lo stile è estremamente composito, spesso talmente raffinato da sfociare nella poesia, ma capace di adattarsi con estrema disinvoltura al linguaggio dei bassifondi, e poi ancora di tributare continue citazioni ai massimi autori, soprattutto classici inglesi. Un romanzo che non sfigura affatto a confronto con quelli dei grandi conterranei e contemporanei: più Francis Scott Fitzgerald che Hemingway, la cui scrittura minimale appare lontanissima dalla ricchezza di Wolfe.  

Grazia Bodo

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Nelle oltre settecento pagine che compongono la saga famigliare raccontata in O Lost - Storia della vita perduta, riscoperta versione originale del romanzo d’esordio (1929) di Thomas Wolfe Angelo guarda il passato, evidente è la rielaborazione autobiografica dell’autore, che dipinge sul suo vissuto il doloroso, stratificato e sofferto protagonista Eugene, ultimogenito di una famiglia della profonda provincia statunitense. Il passo da fondista con cui la saga avanza ci accompagna in situazioni drammatiche, ironiche, grottesche, in momenti di dolore e smarrimento e in attimi di felicità e liberazione, nella rappresentazione del contesto e della mentalità della provincia e nelle analisi interiori e psicologiche; tutte le tappe di questo profondo e stimolante viaggio vengono amalgamate alla perfezione da uno stile di scrittura lirico, capace di descrivere realtà e condizioni differenti e di variare di tono, sempre mantenendo una certa elegiaca malinconia di fondo

Edoardo Peretti

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Il torneo letterario di Robinson è un'iniziativa curata da Giorgio Dell'Arti per conto di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.
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