Favole da incubo di Roberta Bruzzone
e Emanuela Valente
De Agostini
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Circolo dei lettori del torneo di Robinson
di Farra di Soligo "Quelli di LLC "
coordinato da Annalisa Tomadini
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In questo libro le due autrici ci raccontano 10 femminicidi avvenuti in Italia negli ultimi anni. In ogni capitolo viene narrata la singola vicenda, poi viene illustrato l’esito giudiziario, e vengono infine evidenziati i punti salienti, la tragica successione di soprusi e violenze sempre più marcati che portano praticamente allo stesso epilogo, declinato in aberranti variazioni; l’ultima parte è intitolata “Cosa possiamo imparare dal caso di…”.
Alcune storie le conoscevo, altre non le ricordavo, ma leggerle in sequenza è stato difficile emotivamente. L’ultimo capitolo, l’undicesimo, è dedicato a un bambino: uno delle centinaia di orfani di madri ammazzate dai padri. Straziante.
lo stile del libro è molto semplice, fin troppo didascalico. Viene da dire: ma davvero c’è bisogno di dirlo? Davvero serve insegnare che al primo gesto di violenza bisogna andarsene? Davvero bisogna far presente che venire denigrate, controllate, isolate dagli affetti, umiliate, sono cose che non si dovrebbero accettare? Eppure. Serve, visto quello che succede ogni giorno. Un buon testo da leggere nelle scuole, chissà che non possa servire a salvare qualcuno.
Annalisa Tomadini
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Dieci casi di cronaca nera, dieci storie che sembrano seguire tutte lo stesso schema: la favola della principessa ottima per la buona notte che diventa un incubo della peggior specie. Alla base della necessità di puntare l’occhio, giornalistico e scientifico, su queste dieci storie c’è la necessità di fare chiarezza su quale sia l’humus culturale da cui tutto nasce, quegli stereotipi di genere che creano un condizionamento capillare e non esplicito. Tragedie annunciate insomma.
Non ho particolarmente apprezzato il taglio di scrittura, sembra una perfetta trascrizione di certe trasmissioni televisive, ma la forza di un libro come questo sta altrove, nel grande bisogno di raccontare storie del genere, storie quotidiane, nella speranza che nascano consapevolezze e che queste favole da incubo siano solo un ricordo.
Marta Masotti
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A fine lettura questo libro è arrivato secondo alla votazione per il classico fotofinish.
Non mi ha entusiasmato, dire “non mi ha colpito” sarebbe ingiusto, e colpire è in fondo quello che si propone, non in senso voyeuristico, per carità, non è questo il punto. Ma colpire per portare a una riflessione, per far riflettere chi, magari, questo libro lo ha comprato e letto proprio sperando di trovarci storie “forti”, come se leggesse un thriller, ma vero. Insomma quei lettori che dalla nostra bolla di lettori/lettrici progressisti (o almeno così ci reputiamo) tendiamo a guardare dall’alto (ma facendo finta di no, che fa poco fine).
Forse il principale difetto di un libro come questo è che, a chi è già abituato a ragionare sulle tematiche che affronta, non dice di fatto niente di nuovo. Ma è anche vero che proprio quello che per me è stato un difetto potrebbe diventare un pregio se venisse letto in contesti in cui ancora ci si deve formare un’opinione o in cui il pensiero è ancora acerbo, tanto per cambiare (sarà la mia forma mentis?) potrebbe essere una buona proposta per una lettura scolastica, magari collettiva e non data come compitino con riassunto.
In sintesi, io mi sono annoiata. Ma non è un libro da buttare.
Alessandra Fineschi
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La criminologa Bruzzone mette su carta lo script di uno dei programmi televisivi per i quali è nota e con una scrittura scorrevole, semplice e molto fluida, narra di dieci casi di emblematici di femminicidio: la discesa nell’incubo di donne uccise dai mariti/compagni/ex/amanti.
L’idea è lodevolissima e davvero apprezzabile, così come la struttura che, dopo il racconto di cronaca, si concentra sugli aspetti più legati agli stereotipi e ai pregiudizi verso l’universo femminile, andando a smontare pezzo per pezzo le idee sessiste, patriarcali, condizionanti che ad essi si accompagnano e che ne sono la causa profonda. Molto pregevole anche la chiusura dei capitoli con riepiloghi che riportano in sintesi le conclusioni (“cosa possiamo imparare da…”). Ho anche apprezzato la delicatezza ed il rispetto con il quale i casi sono stati trattati: vene lasciata fuori dal libro ogni morbosità, annichilito ogni voyeurismo per lasciare spazio solo alla povera protagonista della favola nera, con una sensibile attenzione alla persona ed agli aspetti psicologici che più probabilmente possono averla portata a compiere certe scelte. Infine plauso al fatto che mai, mai la vittima viene sottoposta a colpevolizzazione: anzi l’autrice, nel denunciare la vittimizzazione secondaria alla quale troppo spesso assistiamo nei fatti di cronaca, è estremamente attenta a individuare puntualmente il colpevole e le motivazioni di costui.
Il libro è assolutamente pregevole e meritevole, tuttavia non l’ho votato perchè mi è parso davvero troppo semplice, forse perché ben rivolto ad un target specifico. Nonostante le condivisibili intenzioni e i suoi indubbi pregi questa estrema semplificazione mi provocava il fastidio di ascoltare una maestrina che ti considera scema.
Arianna Bressan
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Un esperimento fallito, così definirei questo tentativo di raccontare dieci episodi di femminismo sotto la forma della favola. L’idea era buona, e prendeva sicuramente spunto dal fatto che, per sua stessa definizione, alla favola si accompagni una morale: un insegnamento di principio o etico svelato alla fine della narrazione, e che però è sottinteso e non centrale ai fini della narrazione. Invece le due autrici vogliono prendere in mano lo strumento favolistico con il procedimento inverso, mettendo la morale al centro e facendone discendere la storia, con risultati che possono magari coinvolgere il lettore che voglia indignarsi, essere profondamente partecipe. Mentre invece allontanano quello che voglia leggere una storia, senza pregiudizio, e ricavarne autonomamente una morale, senza che quest’ultima le venga messo a forza in bocca dalle autrici. Se il suo scopo era essere un saggio divulgativo, e non un manifesto chiaramente di posizione, per l’appunto ha fallito.
Matteo Polo
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Inizio parlando di quello che non mi è piaciuto di questo libro: il linguaggio è televisivo, troppo. Si ha l'impressione di leggere i testi delle puntate di una trasmissione per tutta la durata del libro.
Questo per me è un limite, però è un giudizio che appartiene al gusto personale.
Nonostante il mio pregiudizio nei confronti del personaggio della Bruzzone devo ammettere che il libro è ben strutturato, il tema trattato presta il fianco ad una certa pornografia del dolore che qui invece non trova spazio, le storie vengono analizzate, raccontate e alla fine di ognuna troviamo anche una sorta di vademecum “Cosa impariamo da questa vicenda”. L'idea di base è buona ed è sviluppata con consapevolezza e rispetto, quello di cui la nostra società è carente, le intenzioni sono ottime.
Ciò che ho apprezzato di più è stato il lavoro di analisi riguardante il linguaggio dei media, come si approcciano alla storia, come trattano la vittima: ne esce un quadro desolante ed umiliante, ma è giusto che venga portato alla luce affinché ci sia un'educazione anche in questo senso, le parole sono importanti, soprattutto quando si racconta una storia di violenza.
Un altro lato positivo, e qui cado in contraddizione, è quello del linguaggio, seppur televisivo, semplice e diretto che può raggiungere il vasto pubblico, mi è subito venuto in mente che potrebbe essere utilizzato nelle scuole per affrontare il tema, che letto da chiunque può arrivare e soprattutto può portare più donne a riconoscere la violenza.
Inoltre nel libro si tratta l'argomento bambini, i figli che rimangono orfani dopo i femminicidi, che hanno assistito alle violenze, in taluni casi all'assassinio della propria madre e quelli che sono stati utilizzati proprio per distruggere le donne e sono morti per questo, per mano dei propri padri.
È un buon libro, un saggio divulgativo che tratta un argomento delicato con grande rispetto e ci mostra come anche la narrazione tossica alimenta quella mentalità brutale che fa da sfondo a questi delitti, come la violenza possa colpire tutte, come l'indifferenza diventi complicità, soprattutto quella delle autorità.
Irene Asciutto
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Relativamente ai due libri tra cui dovevo operare la scelta, questo a mio avviso rientra con qualche ragione in più nella categoria “saggio divulgativo”, nonostante anche in questo caso si tratti di un’opera con un impianto abbastanza televisivo, trattandosi dell’analisi di dieci casi di femminicidio
abbondantemente trattati dai rotocalchi e in TV. Ho apprezzato però l’intento meritorio di diffusione della consapevolezza critica sulla natura della violenza nelle relazioni intime, e l’opera di decostruzione degli stereotipi di genere, in particolare quando si affronta anche la dannosità degli stessi non solo per le donne ma anche per gli uomini, spesso vittime silenziose di casi di violenza meno eclatanti perché declinati sul piano psicologico anziché fisico. Nonostante qualche didascalismo di troppo, trovo sia un libro che fa riflettere, scritto in maniera fluida e comprensibile, e che ci insegni che anche i più avvertiti di noi – in condizioni di particolare fragilità – possono rimanere intrappolati nelle maglie degli stereotipi, spesso con esiti drammatici.
Adele Boldrini
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Dieci femminicidi raccontati come fossero favole, cioè con una morale da cui imparare qualcosa e un intento educativo ben preciso: quello di iniziare a minare le fondamenta di una cultura del pregiudizio che alimenta i delitti passionali le cui vittime sono le donne e il cui movente è quello di genere: vieni uccisa perché sei donna e come tale dovevi uniformarti a un codice ben preciso di comportamenti, invece non lo hai fatto. Le dieci storie (più una) sono tutte balzate, a suo tempo, sotto i riflettori della cronaca nera ma oggi, a distanza di svariati anni, sembrano essere dimenticate, sepolte tra le pagine di vecchi giornali. Le autrici sembrano chiedersi in modo neanche troppo implicito perché da queste storie non abbiamo imparato nulla e provano a ricordarle rendendo esplicito tutto il corredo di pregiudizi sociali e morali che ispira tanta violenza. Non adatto se siete impressionabili.
Maria Antonietta Scanu
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“Favole da incubo “ è un libro scritto da Roberta Bruzzone e da Emanuela Valente, la tematica trattata è quella relativa al femminicidio , che purtroppo si sta diffondendo come se fosse un’epidemia. Vengono narrate dieci storie più una, dedicate non solo alle donne ma anche a tutti gli uomini , perché secondo le autrici è necessario e fondamentale comprendere quale sia stato il percorso che li ha portati ad assumere comportamenti al di fuori di ogni logica. Alla fine di ogni storia c’è una sorta di vademecum per capire quali siano i punti fondamentali di ogni vicenda e quale insegnamento se ne possa trarre. Mi è piaciuto molto, mi ha fatto riflettere e spero che possa aiutare le donne fragili che in certe situazioni difficilmente riescono a reagire nel modo giusto.
Giusy Luvarà
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Lavoro eccellente, che non può lascare indifferente, chiunque sia la persona che decida di leggere le storie che vengono raccontate
Il punto debole, a mio parere, è che le autrici insistono sull'educazione alla parità di genere come il principale, se non l'unico rimedio per arginare queste violenze assurde trascurando da un lato che l'autore dei delitti è sempre una persona gravemente disturbata e dall'altro che le vittime sono per la quasi totalità donne con bassissima autostima a prescindere dal confronto con l'altro genere.
Ne risulta quindi una visione parziale degli insegnamenti da trarre dalle singole storie che sembra essere, in definitiva lo scopo del volume, scopo per tale motivo non del tutto raggiunto.
Marta Palumbo
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Buono l’intento ma davvero troppo didascalico: non mi è piaciuto.
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Giuseppe Bruno
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Circolo dei lettori del torneo di Robinson
di Matera 3
coordinato da Domenico Faniello
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Un libro interessante che apre alla riflessione in quanto non si tratta di una semplice narrazione di fatti di cronaca legate al femminicidio ma cerca di mettere in evidenza i meccanismi che possono generare il vile atto dell’omicidio da parte di un uomo.
E’ un viaggio attraverso gli occhi di due esperte che rianalizzano dieci fatti di cronaca nera che hanno sconvolto la vita di tante famiglie segnando definitivamente il destino dei parenti collegati alle vittime ed al carnefice. Ho trovato una ricchezza lessicale e la lettura e’ stata molto scorrevole. Non sono riuscito a leggere il libro tutto di un fiato e molte volte ho dovuto interrompere la lettura per delle pause di riflessione. Credo che questo libro dovrebbe essere letto ai ragazzi della scuola superiore e ci dovrebbero essere molti dibattiti al fine di costruire una societa’ migliore.
Domenico Faniello
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Circolo dei lettori del torneo di Robinson
di Matera 2 "Svoltiamo pagina"
coordinato da Vanessa Vizziello
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In questo libro le autrici raccontano storie di 10 tragici femminicidi e di come siano stati raccontati dai media. Il libro si focalizza su come l’educazione dei bambini e delle bambine sia intrisa di stereotipi e pregiudizi di genere e come la considerazione. da parte dell’uomo della donna come sua proprietà possa sfociare in efferata violenza quanto fidanzate, mogli e compagne decidono di non accettare più situazioni di sottomissione fisica e psicologica.
Un aspetto che a me ha colpito è come queste tragiche storie vengano raccontate dai media, quali sono le parole, la terminologia utilizzate e come queste mantengano vivi questi stereotipi, non fanno sconti a nessuno.
Giuliana Menna
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Recensione due
Un saggio che raccoglie 10 racconti di femminicidio più uno in cui la violenza è trasversale, avendo come vittime i figli, in un folle e perverso disegno di estrema vendetta a carico della donna. Linguaggio asciutto, senza retorica. Ogni episodio narrato mutua il titolo di una favola, da Cappuccetto rosso a Barbablù, passando dalla Sirenetta,etc. Un mezzo per introdurre in maniera immediata agli stereotipi di genere spesso rappresentati dalle favole. Ogni racconto corredato da uno schema che analizzando puntualmente i personaggi, il contesto e i risvolti psicologici di personaggi e dell'ambiente di appartenenza, enuclea i punti chiave della vicenda per fornire un'analisi attenta sulle motivazioni sociali, educative e sugli stereotipi che sono alla radice di comportamenti distruttivi e facendo luce sugli stessi invita alla riflessione con l'intento di sradicare attraverso l'acquisizione di nuova consapevolezza per non cadere vittime. Lo consiglierei come testo divulgativo anche nelle scuole a contrasto della lotta alla violenza di genere e all'educazione civile della convivenza.
Maria Grazia Rutigliano