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L’appello di Alessandro D’Avenia
Mondadori

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Fiume Veneto “Prendiamoci il tempo”
 coordinato da Lucia Tomasi
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Questo racconto mi ha colpito molto. Mi ha raccontato di un modo nuovo di insegnare; di un professore che, rimasto cieco, vuole continuare ad insegnare e riesce a trovare un metodo per farlo mettendo in prima linea la conoscenza dei suoi alunni; riesce così ad ottenere la fiducia proprio di quei ragazzi che erano stati emarginati perché nessuno aveva capito le loro fragilità; solo lui, con il contatto diretto, è riuscito a restituire loro la fiducia in sé stessi.

Ho trovato una frase che rende bene l’idea “basta ascoltare dieci persone per comprendere l’intero universo … solo quando le loro vite si connettono alla vita, i ragazzi vanno bene a scuola, perché andare bene non è questione di voti ma di vita”

Alda Jop

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Attraverso l’appello quotidiano, il professore instaura un rapporto meraviglioso con i suoi allievi. Questi, che sono ragazzi con problemi, diventeranno maturi per merito del loro professore. Un libro bellissimo che consiglio a tutti di leggere, insegnanti, genitori e alunni.

Loretta Fabbro

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L’appello è un romanzo che descrive la scuola e la società che vorremmo ritrovare.

L’appello viene proposto da un insegnante ipovedente, è un esperimento per conoscere, che diventa un mantra per affermarsi ed affermare il proprio essere, la propria identità.

L’appello è un esercizio che trasforma giovani anime alla deriva in donne e uomini di valore.

L’appello è un metodo di approccio, che permette di “vedere” sentendo e immaginando.

L’appello è condivisione, di ideali, di esperienze, di sogni, di tragiche realtà del quotidiano.

L’appello avvicina le generazioni, demolisce la routine, sgretola convinzioni sorpassate.

Il giovane prende per mano l’uomo maturo per sostenere e trovare sostegno. perché tutti abbiamo bisogno di una mano, di un sostegno, di parole, dette e ascoltate … “perché ogni nome che salviamo è un pezzo di mondo che salviamo”.

Sonia Battistella

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Grandi lettori
di Robinson
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L’appello quotidiano ideato dal prof cieco diventa una sorta di terapia di gruppo che guida gli studenti nel complesso passaggio della maturità. Il romanzo, dalla fortissima carica introspettiva, è basato sui lunghi monologhi degli studenti, a tratti inverosimili per la ricchezza del linguaggio e la consapevolezza e complessità delle situazioni analizzate, e le riflessioni del docente che trasforma la propria disabilità in una forza taumaturgica. La scrittura è limpida e punteggiata da citazioni letterarie, a partire dal nome “parlante” del protagonista. In questo microcosmo scolastico, certamente idealizzato, prevalgono l’amore e la fede, in senso umano e in senso cristiano.

Silvia Vantaggiato

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A Romeo Omero, docente divenuto cieco a seguito di una malattia, viene affidato il compito di condurre “dieci avanzi di scuola dell’obbligo” alla maturità. Per prima cose introduce un appello fuori dal comune, in cui non solo viene richiesto di pronunciare il proprio nome e raccontare qualcosa di sé, ma anche di ricevere sul volto il tocco del professore, che così impara a conoscerli più profondamente. A partire da un gesto semplice ma dirompente, i ragazzi, restituiti all’esistenza, si fanno portavoce di una rivoluzione che strappi la scuola alla trappola dell’indifferenza.

Valeria Puntillo

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La storia prende vita dalla verve di Omero, supplente di Scienze reso cieco da un male che, a dir suo, “velò con un progressivo ed inesorabile crepuscolo i suoi occhi”, come si può intuire quest’uomo di scienza non rinuncia ad un po’ di poesia. Grazie a questa sua caratteristica l’opera alterna spunti e riflessioni riguardanti l’universo, che si mischiano a metafore e si tingono di colori ancora mai inventati. È proprio la capacità di Omero di generare meraviglia ad affascinare i suoi studenti, i quali potremmo definire superficialmente come un’accozzaglia di sfigati e reietti. Per fortuna il professore non si fermerà davanti all’etichetta affibbiatagli anzi, lui deciderà di ripartire proprio dall’appello, dai nomi dei ragazzi che compongono la classe, i quali avranno l’opportunità prima di ogni lezione di presentarsi senza pretese né veli. Difficilmente il tema della riappropriazione del sé viene trattato dal punto di vista dei giovani, forse gli autori dimenticano che sono proprio questi gli anni in cui ci si mette in discussione, si cresce, si regredisce, ci si ama e ci si odia. Forse, per arrivare alla costruzione del sé bisogna prima riappropriarci del proprio nome. Con l’avanzare delle pagine sarà sempre più evidente l’abisso tra l’istituzione scolastica e gli alunni, il quale però non è altro che frutto del senso di incomunicabilità tra giovane e adulto, che aleggerà per tutto il libro. Purtroppo, malgrado il romanzo si fondi su nobili principi, il ritratto mistificato e distorto di una gioventù dimenticata (dagli adulti) non fa altro che alzare il muro tra il mondo degli adolescenti (quelli veri) e il cosiddetto detto “mondo dei grandi”.

Gaia Silvestri

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Con l’espediente dell’appello del mattino un professore non vedente racconta sé stesso e le Storie di una classe di 10 ragazzi “difficili” che devono affrontare l’esame di maturità. Ogni giorno imparano qualcosa di loro stessi e delle scienze insegnate dal professor

Omero Romeo, che come il poeta cieco li accompagna in un viaggio attraverso il mondo che li circonda, senza pietismo né luoghi comuni. La

Scuola si può cambiare e così si può fare con la realtà, imparando a guardare oltre ciò che si vede con gli occhi. La Scrittura agile e l’umanità dei personaggi aiutano a immedesimarsi in ogni componente della classe; la bidella Patrizia (che legge i classici russi) è la consigliera che ogni adolescente vorrebbe. La Scienza si fa presupposto per raccontare come il rapporto alunno - discepolo si basi su una crescita reciproca e biunivoca. Non mancano le citazioni e gli aneliti rivoluzionari a coinvolgere il lettore fino all’ultima pagina.

Claudia Urbani

 

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Circolo dei lettori del torneo di Robinson
"I lettori della libreria Tuttilibri"
coordinato da Enza Campino ed Eleonora Ortolani
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Un libro interessantissimo se letto con la giusta chiave di lettura, che non è l’egocentrismo dello scrittore ma il ruolo che la scuola occupa nella vita sociale dei futuri cittadini italiani. Dallo scorso anno è stata reintrodotta la materia di educazione civica; D’Avenia cerca di spiegare, attraverso il personaggio di Omero, quanto la scuola deve dare spontaneità alla crescita sociale e soprattutto dimostrazione di essere lei stessa un luogo di civiltà, di comunicazione e di confronto. Gli alunni devono crescere in spazi sociali condivisi, oltre al dovere di acculturare lo studente la scuola deve sostenere e aiutare i ragazzi nel percorso che li porterà alla maturità. D’Avenia, con il suo prof. Omero Romeo, cieco in attesa di un intervento per recuperare la vista, scoprono le mancanze del sistema scolastico e i disagi che questi producono all’interno della società. La crescita di uno studente non va da nessuno data per scontata, né dai genitori, né dalla scuola, né dalla società. Lo studente merita rispetto e deve essere ascoltato liberamente nello spazio che è adibito proprio a questo: la scuola.

Valentina Fantozzi

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Basterebbero le sole epigrafi del libro per spiegare il fascino de “L’appello”. È un libro dolce, romantico e malinconico ma senza, almeno non eccessivamente, sbrodolamenti emotivi. Emoziona senza risultare (troppo) stucchevole. La sola nota dolente è la capacità dialettica, estremamente raffinata, con cui si esprimono gli adolescenti descritti nel romanzo: davvero improbabile. Forse più del nome del protagonista.

Enrico Greco

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Un romanzo che racconta la gioventù scolastica negli anni ’70. Sfortunatamente il libro dal titolo un po’ enigmatico, non è riuscito a catturarmi da subito a causa di uno stile di scrittura particolare e non sono riuscita a terminarlo nei tempi previsti. Sebbene avesse un bel tema, è stato interessante averlo messo in sfida con un libro che racconta i giovani di oggi con problematiche uguali ma affrontate dagli stessi in modi diversi però non è riuscito a rapirmi. Molto diverso e più realistico rispetto al libro di D’Avenia. Vediamo giovani diversi, due generazioni a confronto e soprattutto vediamo come gli alunni di un tempo siano diventati i professori alternativi degli alunni odierni. Lo consiglierei in un percorso letterario che affronti il tema scolastico.

Michela Colalelli

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Omero Romeo, un nome che è un destino. Quarantacinquenne, professore di scienze, cieco ma non dalla nascita, che ha saputo trasformare la sua impossibilità di “vedere” in capacità di ascolto. Costretto a rinunciare agli occhi come strumento di conoscenza, il professor Romeo riconosce i suoi alunni dal tono della voce, ricostruisce le loro fisionomie attraverso il tatto ma soprattutto raccoglie le loro storie e inventa un metodo assolutamente rivoluzionario per fare breccia nei loro cuori. Sono dieci ragazzi difficili quelli che compongono la sua classe: disillusi, abbandonati dalle famiglie, violenti, drogati o semplicemente fragili. Ognuno di loro ha però un nome diverso dall’altro, un’identità singola che deve essere riconosciuta e amata perché possa poi integrarsi nel gruppo e diventare un “noi”. Il professore ogni giorno, prima di iniziare la lezione, fa l’appello, snocciola i nomi a uno ad uno e chiede a ogni ragazzo di mettersi un po’a nudo, trasformando quello che solitamente nella scuola è un elenco alfabetico in una catena di vissuto e, passo dopo passo, di fiducia in sé stessi e negli altri. Un romanzo che è anche un manifesto per una scuola possibile che, rinunciando a uno sterile nozionismo, sappia trasformare gli insegnanti in maestri di vita e immaginare gli studenti come l’energia del nostro futuro.

Serena D’Onofrio

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Un romanzo sulla scuola e sul valore delle storie; intensità narrativa e interpretazione del reale perfettamente coniugati. Un modo innovativo per la letteratura italiana contemporanea di affrontare il tema della scuola e della sua funzione. Il sottotitolo potrebbe essere “il potere aggregativo e inclusivo delle storie”. Un inno all’empatia degli insegnanti.

Antonia Cincioni

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D’Avenia gioca a fare quello che sa fare meglio, il suo mestiere. Cioè il professore. Bella ma non originale la scelta del professore cieco che non vede ciò di cui gli altri non si accorgono ma lascia che siano i suoi studenti a rivelarsi giorno dopo giorno proprio con l’espediente dell’appello. In poche parole li fa parlare, raccontare di loro, dal significato del nome al sogno nel cassetto, dai disagi alle piccole tragedie familiari. Della serie: pensavo di andare a scuola e invece facevo terapia di gruppo! Ai miei tempi la scuola era diversa.

Susanna Garofalo

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Pur dando voce a un mondo giovanile, non voto il poliedrico d’Avenia, non ho apprezzato il suo stile prolisso, anche se condivido molti pensieri, tra questi quello di “non vedere pur guardando, la vista ci distrae dandoci immagini istantanee, allontanandoci dal soffermarsi all’ascolto dei pensieri.” Il metodo di insegnamento è valido ma a mio parere basato sul suo Ego Sum e l’invalidità del professore Omero.

Stefania Messa

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Una storia che ti addolcisce e ti sorprende quando meno te lo aspetti. Un libro che invita la scuola al cambiamento e a dare più attenzione ai giovani alunni. Lettura scorrevole e che fa riflettere.

Romina Esposito

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Una lettura scorrevole per la sensibilità e modalità di emozioni che trasmette e che aiutano il lettore a riflettere.

Daniela Cesarale

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Quello che mi è piaciuto del romanzo di D’Avenia è che ha cercato di dare voce ai ragazzi cui insegna anche nella vita reale, essendo lui un professore di lettere. L’inizio del romanzo mi è sembrato molto buono ed emozionante, poi ho trovato alcune divagazioni di troppo, citazioni colte, il professore mi piace ma forse, ahimé, non ho più l’età per farmi incantare da un romanzo che senz’altro consiglio ai giovani di leggere.

Barbara Biondi

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L'appello in classe lo fanno tutti, ma il professor Omero Romeo, spinto dall'impossibilità di leggere sul registro i nomi dei ragazzi a causa della sua cecità, escogita un nuovo metodo: tocca i volti dei suoi studenti e ascolta le parole con cui loro si descrivono, quello che ognuno di loro ha da dire. E se all'inizio sono tutti incredibilmente titubanti, in poco tempo imparano a fidarsi, perché non è vero che i giovani non hanno rispetto per gli adulti, quanto piuttosto, forse, il contrario.

“La vista è sopravvalutata: gli occhi finiscono per non vedere ciò che vedono sempre, più vedono e meno guardano.”

Pur trovando l’intento del libro ammirevole e in alcuni punti commovente, alcune parti le ho gradite meno per la loro inverosimiglianza, come ad esempio il linguaggio utilizzato dagli adolescenti e il fatto che in una classe sola si concentri un alto numero di casi disperati. Probabilmente ne consiglierei la lettura ad un pubblico più giovane e meno disincantato della sottoscritta.

Eleonora Ortolani

 

 

 

 

 

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