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La madre assassina di Ermanno Cavazzoni
La Nave di Teseo

 

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Circolo dei lettori del torneo
di Robinson di Bologna "103"
coordinato da Stefania Bassi
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La scrittura è fluente ed essendo tale la storia scorre senza stancare fino all’epilogo; prevedibile, l’epilogo. La storia, una "Metamorfosi" Kafkiana 2.0, non l’ho trovata particolarmente innovativa, anche se lo sforzo di renderla Pulp con dettagli truculenti e complessi d’Edipo importanti ne fa un racconto divertente e magari particolarmente godibile per gli amanti del genere. La sensazione che mentre scriveva l’autore stesse già pensando ad una sceneggiatura può essere un’occasione di riflessione sulla letteratura in generale degli ultimi decenni, ma lascia un retrogusto amaro perché personalmente vorrei leggere ottimi romanzi e non accattivanti sceneggiature.

Stefania Bassi

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Un po’ “giallo”, un po’ fantascientifico, un po’ folle questo romanzo breve ti risucchia in una spirale di tensione.

Si resta incollati alla prosa fluente e scorrevole che porta ad un epilogo non scontato.

L’autore domina bene le scene grottesche, si rimane sospesi in un’atmosfera irreale, ma credibile che offre comunque diverse interpretazioni.

Lettura piacevole.

Anna Merli

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È difficile individuare un genere in cui collocare il libro, presentato come una storia vera.

Il giovane protagonista è convinto di essere stato ucciso dalla propria madre e sostituito con un “androide”.

Sono narrati i sospetti, la ricerca metodica delle prove che confermino il delitto, le complicità dei condomini, attraverso continue elucubrazioni. La scrittura è efficace, moderna, dinamica. Tuttavia ci si chiede se siamo davanti ai deliri di una persona malata, se si tratti di sogni o delle fantasie di una mente sfrenata. La storia finisce per arrotolarsi su sé stessa e l’ossessione del narratore raggiunge il parossismo.

Riesce difficile comprendere quali siano lo scopo e il significato del libro.

Gianfranca Romagnoli

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Il libro si legge molto bene, lo stile è perfetto, l’architettura complessiva molto ben costruita, coerente, la suspense ben equilibrata, seppure in un impianto per certi versi scontato, ci si immagina già dove si andrà a parare.

La vicenda non è originalissima, ma è riscattata dalla trovata per così dire, di dare una specie di risvolto giallo alla vicenda, che certo non rientra nel genere giallo e di cui trovo quindi arbitrario l’accostamento.

Neppure la conclusione è originalissima, ma ha una certa funzione catartica che non dispiace, e che è appunto ben costruita.

Non necessaria la presentazione della vicenda come vera, e non troppo comprensibile la figura della fidanzata, se non come dispositivo per spezzare la claustrofobia altrimenti troppo spinta del romanzo.

Anna Maria Cappelli

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L'incipit del romanzo ricorda quello della "Metamorfosi" di Kafka, in cui il protagonista si sveglia una mattina e si rende conto di non essere più lui, e da qui in poi il protagonista Andrea Pacini ci coinvolge nella sua paranoia che sfocerà nel matricidio. Tutta la storia si svolge all'interno dell'appartamento in cui vive con la madre, il che ne accentua la sensazione claustrofobica e il disagio. Il percorso è tortuoso e angosciante sia per Andrea sia per il lettore che viene trasportato passo passo nel delirio. Lo scrittore è molto bravo nel descrivere la sofferenza del ragazzo e a farci entrare nella contorsione dei suoi ragionamenti, al punto che, a tratti, si ha la sensazione che il complotto di cui si sente vittima, non sia frutto della sua nevrosi, ma attinente al reale. 

Giuditta Zucchelli

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Un frigorifero che rilascia una brodaglia ripugnante, un ragioniere con tentacoli avvinghiato ai tentacoli della madre, un gatto rantolante, una cantina infestata da presenze minacciose in un crescendo di orrori, mi sembra davvero troppo per scavare nel rapporto irrisolto tra una madre inaffidabile e un figlio disturbato. Cavazzoni sa fare di meglio.

Anna Mantovani

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Ho iniziato il libro senza sapere nulla sul genere a cui appartiene, ma da subito si legge che è un giallo, addirittura una storia vera.

All’inizio sono stata attratta, avevo letto “Macchine come me” di Ian McEwan e mi era piaciuto, quindi pensavo che il tutto fosse legato alla sostituzione dell’uomo con la macchina, niente di più lontano.

Andando avanti diventa evidente che si tratta di una mente disturbata, paranoide, in preda a tremende allucinazioni, fino all’epilogo.

Anche se di poche pagine, mi è sembrato lungo e spesso sopra le righe.

Scritto bene, ma non posso dire che mi sia piaciuto.

Ed è per questo che lo boccio

Mara Boschi

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Andrea, 22 anni, si sveglia una mattina e si sente cambiato, teme di essere stato sostituito con un replicante dopo essere stato ucciso dalla madre. In un deliro paranoide crescente cerca conferme e immagina di trovarle in piccoli e significativi particolari. La madre gli serve un ragù che contiene ossicini che Andrea riconosce come falangi. La madre gli serve un fegato alla veneziana che Andrea pensa essere il suo fegato o per meglio dire il fegato del suo sé ucciso. Il romanzo procede in un crescendo di paranoia e particolari orribili e macabri. Lo scrittore è bravo a districarsi in questa ossessione. Utilizza una scrittura chiara e lineare. Prevale però in me lettore l’orrore per il macabro. La curiosità, invece di essere sollecitata, si spegne. Non sono riuscita a finirlo.

Teresa Masina

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Circolo dei lettori del torneo
di Robinson di Roma 26 “Gruppo di lettura del Mise"
coordinato da Patrizia Ruscio
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Questo è uno di quei libri che non lascia indifferenti: o lo ami o al contrario ne provi un senso di spaesamento e repulsione.

Le motivazioni dell’amore o del suo contrario possono risiedere nello stile, nell’ambientazione, nel modus narrandi, nella logica o nella sua assenza, nella distopia spazio temporale, nel presupposto narrante.

Stile, asciutto, nervoso scarno, quasi povero, può catturare per la sua semplicità o risultare stancante, stucchevole e poco efficace, almeno fin quando non ricorre alle immagini.

Queste, un misto di scene splatter e noir molto impietoso, sono forti e accattivanti per gli amanti del genere, ma anche ripugnanti e nauseabonde al limite del tollerabile, per chi non ama indulgervi con la fantasia.

Stile che non lascia nulla all’immaginazione, delinea i personaggi piattamente, senza spessore né introspettiva, ma prospettando delle maschere ben delineate dall’inizio per farne discendere il proprio presupposto narrativo con antefatto ed ambientazione distopica.

La trama narra in prima persona la vicenda del protagonista convinto di essere stato” trapiantato” in un alter ego tecnologico in cui non è rimasto nulla della propria umanità, che va alla spasmodica ricerca del proprio cadavere, per paura di essere costretto a mangiarne i resti abilmente cucinati dalla madre, complice l’amministratore di condominio suo amante e tutti gli altri condomini della palazzina.

 Assassinato dunque si ritiene il protagonista, e per questo presenta in modo ossessivo e sempre più delirante la propria tesi, volto alla ricerca del suo vero sé senza posa, né riposo ritenendosi “rinato al proprio reale corpo” solo alla fine, ma ad un prezzo altissimo.

La strizzatina d’occhio alla Metamorfosi kafkiana è assolutamente velleitaria e non convincente

Profondamente ansiogeno questo testo non lo consiglierei né sotto l’ombrellone né prima di dormire, niente catarsi, ma solo banalità del male.

Da dimenticare insomma questo testo, proprio come quel fatto di cronaca del 2010 a cui si è ispirato, a cui non fu data rilevanza per evitare l’emulazione in possibili menti malate, ma che tuttavia, per ironia della sorte, si è trasformato in un'involontaria cassa di risonanza.

Autentica contraddizione in termini del suo reale presupposto su cui meditare prima dello acquisto sconsigliatissimo a chi non ha uno stomaco robusto e un cuore pieno d’indifferente cinica noncuranza.

Marialuisa Albertone

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Ho letto con molta difficoltà “La madre assassina” mentre sono stata subito attratta dalle pagine de “La prigione di carta” e dai numerosi spunti creativi ed artistici presenti nel testo che ci conducono ad esaminare ed a riflettere sull’evoluzione della nostra società sempre più tecnologica e digitale, ma a tratti discriminante ed alienante.

La madre assassina mi è apparsa troppo piena di ricorsi a situazioni già descritte in altre opere, che strizzano l’occhio a deliri di menti ossessionate - più famose -, quali quella del diario di un pazzo di Gogol - ma con descrizioni di dettagli e di visioni che appaiono poco convincenti ed a tratti disturbanti.

Anna Maria Fontana

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Descrivere la prima forma di relazione, quella di un Figlio con la propria Madre, è impresa ardua, che richiede una consapevolezza e una lucidità talvolta sovrumana, perché è da quella relazione che si forma poi gran parte del vissuto emozionale di ogni adulto.

La madre assassina si avventura in questo sforzo titanico, in un dialogo che sa di onirico, o forse di seduta psicoanalitica, dove il protagonista nel suo lungo flusso di coscienza cerca affannosamente di mettere ordine tra memorie, fantasmi, ossessioni, desideri e tormenti di quel lungo cammino che dall'infanzia arriva all'adolescenza, per sfociare poi, all'età adulta. Pezzo dopo pezzo, come un puzzle di cui fin dal primo tassello si fatica a trovare un senso, la storia prende corpo e si materializza attraverso i fantasmi, brandelli di ricordi, sogni e incontri che affollano la coscienza di Andrea, il protagonista. L'autore ne rende testimonianza, cucendo e ricucendo quei pezzi di vita vissuta o sognata in una tessitura asfittica, claustrofobica, vagamente labirintica. Chi era sua madre? Da quale abisso dell'evoluzione biologica proveniva? È la domanda che Andrea ad un certo punto del viaggio si pone nell'indagare le infinite pieghe sintomatiche che ogni maternità assume. Così le memorie d’infanzia gli fanno visita, stralci di vita onirica si confondono all’esperienza di realtà. Il rapporto col Cibo, il vero banco di prova dove si misura l'equilibrio di ogni diade madre-bambino, “il solito piatto mai assaggiato", quello che "provoca il vomito" (e quale figlio non ha mai vissuto questo incubo ), "la carne sputata  nel fazzoletto di carta" e che ogni mamma puntualmente esamina, i Ricostituenti attraverso le punture, le congiure orchestrate " è vero che muore se non mangia ?" chiesto dalla madre ai vicini di casa arruolati anche loro nel set, quindi "mamma sarò più ubbidiente, mangio e non dico più sciocchezze, ti chiedo scusa, mi perdoni ?", fino a toccare le inquietudini tipiche di  un'età più matura:  le Fidanzate, quelle che ogni suocera vede carnivore, troppo furbe, troppo belle, troppo donne, "micino lasciala perdere che sennò ti ammali", dice ad un certo punto la mamma di Andrea, riferendosi ad Alessia, la morosa del figlio.

È in quella generazione - quel mettere al mondo che non esclude fantasmi di morte e di appropriazione, di cannibalismo e narcisismo - che si dispiega l'essenza del libro. Se l'amore materno non è mai senza ambivalenza è altrettanto vero che nessun "micino" sopravvive al senso di vuoto senza una mamma accanto.

Di questo miraggio di appartenenza reciproca sono testimoni oculari anche le mura di casa, che delle vite altrui assorbono dolori, pianti, risa; e come l'autore con sofferenza (che non è solamente la sua) ci mostra, ne sono testimoni i Condòmini, assistenti forse spesso inconsapevoli di tante tragedie. Un "esercito ligio di termiti a lavoro" indifferenti al rimbombo della vita altrui - chi passa lo straccio, chi il cloro, chi pulisce piastrelle con una spugnetta abrasiva, il vigile urbano, il ragioniere, un gatto, l'amministratore del condominio, persino il vecchio pediatra. Colui che Andrea ritrova negli abissi di quel suo ultimo viaggio - "il Pediatra"- il primo testimone di tutte le più inconfessabili ossessioni materne, forse l'unico che avrebbe potuto salvarlo, e salvarci, perché ogni mamma ama e sbaglia solo per amore, ma per troppo amore si può anche uccidere.

La madre assassina è un libro dolorosissimo. Nel suo ultimo, estremo, gesto di liberazione, Andrea appare ricongiungersi all'acqua, figura uterina, dimensione vischiosa della profondità inconscia e della regressione, del ritorno alla vita prima della vita, quella nel grembo materno. Poi, d'improvviso si risveglia rinato, con la serenità di chi è scampato ad un cataclisma e fuori c'è un bel solicello invernale. Andrea ha reciso per sempre il cordone. È lui che in quel gesto probabilmente postumo ha reso un servizio all'umanità. Ha ragione Cavazzoni. Ogni figlio è destinato ad essere perduto. Ma questo dovrebbe essere il dono più grande della maternità.

Fiorella Corrado

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