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Sette opere di misericordia di Piera Ventre
Neri Pozza

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Formia “I lettori della libreria TuttiLibri”
 coordinato da Enza Campino e Eleonora Ortolani
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L’autrice si presenta con il solito vigore, coniugando storie quotidiane e Storia. Bambini e famiglie raccontate e comprese, nella loro complessità e difficoltà. Una Napoli che palpita, scenario dell’evoluzione, non omogenea del nostro Paese. I bambini qui come in Palazzo Kimbo sono mondi in cui gli adulti si specchiano, senza saperlo.

Antonella Cincioni

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Siamo a Napoli, è estate, è il 1981, l’anno dopo il terremoto che ha ferito profondamente la città rendendola ancora più precaria di quanto non sia mai stata. Protagonista del romanzo è la famiglia Imparato costituita dal padre Cristoforo, orbo da un occhio a causa di una scheggia che lo ha colpito durante un bombardamento nel ’43, la madre Luisa, sposa tardiva e infelice e da due figli: Rita e Nicola, bambino nato con la camicia (segno di destino fortunato) ma strabico da un occhio, dunque costretto a portare una benda. Cristoforo, ottimista nonostante la vita non gli abbia fatto sconti, è custode di un cimitero sul quale si affaccia l’abitazione datagli in uso, dove vive con la famiglia. La morte è dunque vicina di casa, presagio luttuoso di ogni sua giornata. E la morte è anche quella che tutti gli italiani hanno vissuto in diretta quell’estate dell’81 assistendo in televisione al prolungato e fallito tentativo di salvataggio di Alfredino Rampi, il bambino precipitato in un pozzo a Vermicino. Una tragedia che riguarda una sola creatura che però ha un nome e un cognome che resteranno impressi nella memoria di tutti per quella foto in bianco e nero con la maglietta a righe e che fatalmente diventa anche il “pozzo” nel quale la famiglia Imparato e gli altri personaggi della storia riverseranno le proprie lacrime. Scritto con un linguaggio sapiente che mescola lingua letteraria e dialetto napoletano, il romanzo di Piera Ventre è scandito in capitoli dedicati alle Sette Opere di Misericordia, quelle magistralmente rappresentate da Caravaggio per il Pio Monte a Napoli con il loro impianto teatrale di luci e ombre.

Serena D’Onofrio

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Finalmente un bel romanzo! Articolata la trama, articolata la scrittura, curata la storia: un romanzo che nell’etimo misericordia dispiega un’opera-mondo. Personaggi descritti e delineati che rapiscono il lettore: la misericordia, quell’ago d’argento conficcato nel cuore che poneva fine alla sofferenza è la scrittura che penetra nell’animo e nella pancia del lettore.

Carmina Trillino

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Bella la storia di una “famiglia napoletana allargata” che all’indomani del terremoto si trova a dover ricominciare tutto. Nicola è un bambino sensibile e desideroso di vita. Ma la cronaca sbattuta in tv (Vermicino) ci fa piombare tutti, lettori e protagonisti in una voragine infinita di dolore. Non sempre a Napoli si ride.

Susanna Garofalo

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Un romanzo resiliente, una scrittura poetica delicata ma portentosa. Il racconto di un intrico di salvati e di salvanti, di vittime e di carnefici, un vortice di vite che insegna all’umanità che c’è un solo modo di ricevere misericordia, donarla.

Valentina Fantozzi

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Un libro intenso che ruota intorno a tre figure femminili. I temi trattati mi sono risuonati molto interiormente. Toccando quelle emozioni che non tutti i libri lasciano…

Daniela Cesarale

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Uno stile di scrittura maestoso, coinvolgente. La scelta delle parole è accurata. Sicuramente un buon libro, si percepisce la qualità della narrativa. Il guardiano del cimitero è il vogue hero della narrativa contemporanea ma forse proprio per questo si racconta la realtà con delicatezza. Sono narrati episodi di vita reale, cruenta e drammaticamente vera con chiari richiami di cronaca nera. Consiglierei il libro perché è un piacere leggerlo e lo consiglierei a chi ha amato i romanzi di Viola Ardone.

Michela Colalella

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Un libro appassionante, al cui centro c’è la famiglia Imparato in una Napoli del post terremoto. Una famiglia infelice come tante altre, ognuno alla ricerca di uno sprazzo di serenità, ognuno a nascondere la verità del proprio malessere e, sullo sfondo, la cronaca di un’Italia che prova ad andare avanti nonostante i drammi. Il tutto raccontato in una lingua che sapientemente mescola l’italiano al dialetto napoletano.

Romina Esposito

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Opera corale e complessa in cui la famiglia Imparato e una Napoli post-terremoto, è il 1981, viaggiano parallele sui binari della narrazione. Archetipi, la famiglia derelitta e la città puntellata, di un disagio sociale che però riesce a trovare in qualche modo, anche nella lingua ornata di dialettismi, la misericordia del titolo.

Enrico Greco

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L’opera è complessa e ben dettagliata, trovo difficile scriverne in modo semplice e lineare: d’altra parte, la lettura è stata coinvolgente e sconvolgente tanto da dover interrompere tutte le altre letture in corso. Ambientato a Napoli, città di cui mi nutro abbondantemente attraverso immagini e parole ma che ancora non ho visitato personalmente, il romanzo ci fa conoscere la famiglia Imparato: i caratteri di ciascun componente, le loro sensazioni, le emozioni e i loro lati più oscuri. I bambini sono gli unici innocenti, come Nicola, indifeso, intelligente, attorno al quale ruota l’amore di questa famiglia. Fa da sfondo alle vicende famigliari degli Imparato la terribile storia di Alfredino Rampi, che li accompagna e muove in loro nuove riflessioni.

Amo le opere corali e questa in particolare mi ha emozionata grazie anche alla sua scrittura minuziosa, precisa, scorrevole, condita dal dialetto napoletano che mi ha dato la sensazione di trovarmi proprio lì, al fianco dei personaggi. Il continuo cambio di prospettiva, inoltre, mi ha dato una visione completa della vicenda narrata.

Come quando si osserva un quadro (“Sette opere di misericordia” del Caravaggio è spesso menzionato tra le pagine), si scoprono, tra le pagine, i dettagli e il significato delle azioni dei protagonisti.

Eleonora Ortolani

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Portogruaro “Mamaluco”
 coordinato da Luisa Perosa
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Scrittura lineare, scorrevole, facile: ed è un merito. Impianto narrativo appena “ingarbugliato” e compresso all’inizio, poi, quando si svela l’intreccio (o, più semplicemente, il ripresentarsi delle vicende umane, sempre diverse e sempre uguali), si resta come insoddisfatti per qualcosa che- prometteva bene, ma che parecchio prima della fine si rivela come cosa prevedibile. Si lascia leggere, ma è un libro fragile.

Marina Caruso

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La prima parte scoppiettante e avvincente, con un ritmo incalzante e travolgente, quasi musicale, in cui vengono presentate le tre donne protagoniste, (nonna, madre, figlia), mi aveva creato grandi aspettative, facendomi presagire e sperare in una continuazione altrettanto frizzante e interessante. Tutto cambia, invece, (forse era necessario?) nella seconda parte, che si stempera in una dilagante ovvietà, con uno sviluppo della storia a volte poco credibile e con un finale prevedibile. (Che delusione!). Libro scorrevole, che si legge facilmente, che mette in luce lo "scontro-incontro" generazionale e che parla dell'importanza della famiglia e della solidarietà femminile. Non mi ha coinvolto e neanche emozionato.

Concetta Trifiletti

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L’autrice è morta lo scorso settembre all’età di sessantacinque anni. Nel 2007 ebbe un grande successo con “Ho dodici anni, faccio la cubista, mi chiamano Principessa. Storie di bulli, lolite e altri bimbi” che ebbe ben venti edizioni Bompiani. Era il frutto dell’esperienza dell’inviata speciale del “Messaggero” che passava tra le pieghe di un mondo risaputo a tanti se non ai più, ma mai raccontato con la dovuta umiltà. Si tratta di adolescenza con sesso, droga, bullismo e altro, nella progressiva deriva della famiglia italiana. Questo oggetto è poi stato più o meno lo stesso di altri due testi. Con quest’ultimo si racconta invece il legame di tre donne, nonna, figlia e nipote, forse con lo stesso atteggiamento descrittivo e maggior fantasia narrativa. Si perde però l’originale oggetto mantenendo solo il medesimo eccesso di leggerezza rispetto ai fenomeni strutturali della nostra attuale società. Pare infatti che la felicità individuale sia comunque possibile. Non dipende dalla forma di vita, basta non pensarci tanto.

Luciana Stefanutto e Adriano Zanon

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Non so, mi sembra un libro che rincorre…la fine: sembra tutto troppo svelatamente “congegnato” ad arte perché i pezzi – anche quelli forse dimenticati lungo la storia - si incastrino nelle ultime pagine, dove torna tutto fin troppo bene. Ma sembra tornare bene soprattutto dopo, oltre l’ultima pagina: nella vita dei personaggi fuori dal libro. Non mi ha convinto.

Giulio Negretto

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Tre donne, madre figlia nipote, accomunate dallo stesso bisogno di uscire da relazioni deludenti, alla ricerca di cambiamento per tornare a “respirare”. Ma la sorte sembra costringerle a muoversi in uno scenario che si ripete ineluttabile. Il libro è scritto bene, la prima parte è interessante, poi gli eventi si evolvono come in un romanzetto rosa e si banalizza il tutto.

Luisa Perosa

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson

di Milano 4 “Club delle Argonne”

coordinato da Fabio Mantegazza

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Romanzo corale di rara bellezza, sostenuto da una prosa fluente arricchita dall’inserzione di termini dialettali che rendono ancora più viva la narrazione. È il ritratto dei vinti, degli ultimi, ognuno con il proprio carico di sofferenza e delusioni, ognuno con il proprio dolore solitario che non trova consolazione. Eppure saranno tutti incollati davanti al televisore, dimentichi quasi della propria condizione, per seguire i tentativi di recupero del piccolo Alfredino Rampi la cui salvezza è invano attesa «come la nascita di un Cristo Redentore».

Paola Fornaciari

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Di questo libro ho apprezzato lo stile: pulito, vero, mai prosaico.

L’autrice non ammicca al lettore per conquistarne le grazie, ma scrive la sua storia lasciando che l’incedere della trama e i suoi personaggi siano essi stessi a calarci in un mondo fatto di antieroi, capaci solo di suscitare pietà e desiderio che possano essere redenti per accedere a una vita migliore.

Anche il parallelo con la vicenda disgraziata di Alfredino Rampi viene trattata senza furbizia: come lui è intrappolato nel pozzo, così i personaggi del romanzo sono vittime di una vita fatta di indigenza e miseria.

Cristiana Vianelli

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson

di Vicchio “Ghost readers”

coordinato da Serena Materassi

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Ambientato nella Napoli del dopo terremoto, negli anni 80 tragici in una società povera e travagliata. Personaggi con storie infelici trascinano la loro vita in assoluta solitudine. Pur riconoscendo nell’autrice una grande proprietà di linguaggio e capacità di accostare dialetto a forme pure, per riconoscendo la capacità descrittiva, a tratti cinematografica, il suo libro non mi ha catturato. A momenti molto lento, ma soprattutto troppo triste per i miei gusti.

Forse condizionata anche del momento che necessità di leggerezza che allontani pensieri.

Patrizia Zuri

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Romanzo bello, scritto bene senza dubbio, ma ho fatto fatica ad andare avanti con la lettura per la malinconia che inevitabilmente mi ha trasmesso. Ogni personaggio ha contribuito a nutrire la storia con l’angoscia, il dolore, la tristezza. Per me molto faticoso; non sono riuscita ad apprezzarlo.

Silvana Cionfoli

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Tutti i personaggi sembrano inevitabilmente legati a un destino già scritto. Una giovane donna invecchiata troppo presto e che ha perso tutti i suoi sogni; una ragazza rimasta incinta a sedici anni, che a sua volta vede i suoi sogni svanire; un bambino troppo sensibile, per il quale sembra che crescere sia una fregatura bella e buona; u giovane insegnante in fuga dalla famiglia ricca e asfissiante. Ognuno pieno del proprio turbamento. Fa da sfondo alle loro vicende la triste fine di Alfredino Rampi, morto in un pozzo artesiano dopo ore di agonia in diretta televisiva. L’impotenza e la disperazione sono il filo conduttore comune a tutte le storie. Indubbiamente un bel libro, che si fa leggere col fiato sospeso, nella speranza di un lieto fine che purtroppo, inevitabilmente, non arriva.

Serena Materassi

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Grandi lettori
di Robinson
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Sono libri come questi che erodono un poco la paura, e quel poco è tutto. La mia generazione ha conosciuto la paura del terremoto, la sofferenza delle urla di quel pozzo, siamo diventati grandi all’inizio di un’estate qualsiasi. La Ventre si immerge nella melma del quotidiano in una maniera così intensa che ci fa riascoltare quelle urla disperate con la dignità esemplare di un ragazzino, e quel ragazzino eravamo noi.

Alessandro Musco

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Una Napoli post-terremoto dell’Irpinia che provoca un sisma anche nella famiglia Imparato. La giovane Rosaria è introdotta nella famiglia come ospite e ne sconvolge le dinamiche e gli equilibri, così come succederà con l’incidente di Vermicino che origina un grande cambiamento in tutti i personaggi e che li porterà a vedere le cose con occhi diversi. Un romanzo angoscioso, pieno di vicende che si susseguono, segreti che vengono svelati e pensieri portati alla luce, tutto accompagnato da intermezzi sulla visione della situazione da parte del piccolo della famiglia Nicola che per primo in casa prende a cuore la vicenda di Alfredino.

Federica Papa

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Protagonista di “Sette Opere di Misericordia” è la famiglia Imparato composta da Cristoforo, Luisa, Rita e Nicola.

In casa Imparato aleggia un forte sentimento di rassegnazione: quella di Luisa che sognava una vita diversa e, invece, si ritrova a vivere in una casa posta all’interno di un camposanto, quella di Nicola che dopo aver perso il suo lavoro di tipografo sa che può offrire una casa alla sua famiglia (seppur in un cimitero) solo perché gli manca un occhio, quella di Rita in balia della sua adolescenza e quella del piccolo Nicola che, bullizzato dai compagni per la sua sensibilità e per il suo occhio “pazzerello”, affida al suo “quadernuccio” i suoi pensieri.

In casa Imparato vive anche Rosaria, un’amica di Rita, che è rimasta incinta. Rosaria ha 16 anni. È stata cacciata da casa per “lo scuorno” (la vergogna) e Rita che ha l’animo di chi vuol salvare il mondo intero, ha chiesto alla sua famiglia di accoglierla in casa. Fanno da contorno Nino, un ragazzo ospitato per circa un mese prima della sua partenza per la Germania, Lorenzo, un giovane insegnante e Catello, collega di Cristoforo.

La storia è ambientata a Napoli, nel 1981, l’anno dopo il terremoto, l’anno in cui tutta l’Italia, per giorni interi, restò con il fiato sospeso per le sorti del piccolo Alfredino precipitato in un pozzo artesiano. Due eventi, quello del terremoto in Campania e quello della tragedia di Vermicino che segnarono una linea di confine, “un prima” e “un dopo”.

La scrittura della Ventre è potente. Il suo narrare fluido riesce a tenere incollato il lettore per oltre 400 pagine nonostante il romanzo non abbia una trama.

Con l’utilizzo di vocaboli nuovi (termini dialettali rielaborati come “all’intrasatto”, “la canella”, “il padre abate dell’acqua”) la Ventre offre al lettore lo specchio dell’arrendevole quotidianità che vivono gli Imparato, un microcosmo in cui ognuno di essi vive un proprio disagio interiore e stenta a risalire dall’abisso dell’infelicità.

Una storia fatta di tante storie semplici, intime e dolorose. Dannazione e speranza sono i sentimenti che caratterizzano tutti i personaggi, quelli principali, ma anche quelli secondari; sentimenti che, da sempre, aiutano la città di Napoli a resistere e a rinascere, ogni volta, dalle ceneri.

“La città del sole dove cadeva un mucchio d’acqua, dove i mattoni si ammollavano eppure resistevano. Era un animale pieno di piaghe, quella città, e il dolore incattivisce, Luisa lo sapeva.”

Poetiche le pagine in cui vengono riportati gli scritti del piccolo Nicola che ama guardare le stelle e raccoglie sul suo quadernuccio segreto i suoi pensieri. Nicola ha un animo sensibile; continua a pensare a Laika, la cagnetta (“la canella”) inviata nello spazio che ha trovato la morte lassù, tutta sola, senza un perché.

E mentre Nicola, con il suo occhio “pazzerello” punta lo sguardo verso l’alto, l’Italia intera si ferma e punta lo sguardo verso il basso, verso la profondità che ha risucchiato il piccolo Alfredino, il bimbo che nessuno, purtroppo, riuscirà a salvare. La speranza di tutti quelli che c’erano allora morirà insieme al piccolo Alfredino; la speranza e i sogni di tutti, anche quelli degli Imparato.

Maria Pia Nocerino

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Napoli 1981, post-terremoto. La famiglia Imparato vive ai bordi del cimitero, dove Cristoforo ne è il custode. Insieme a lui ci sono la moglie Luisa, la figlia Rita e il piccolo Nicola. Il romanzo come il vetro nell’occhio di Cristoforo riflette le loro vite “sconcicate” che si sviluppano tra le voci dialettali dei vicoli e quella dell’ininterrotta diretta TV che trasmette la tragedia del Vermicino. in cui misericordia e castigo, speranze e delusioni si mescolano in quel buco nero dove c’è Alfredino insieme alla speranza di una redenzione della famiglia Imparato e di tutta Napoli.

Carla Conte

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Napoli, primi mesi del 1981. La famiglia Imparato si trova scossa da piccoli eventi che ne compromettono ritmi e abitudini. Il terremoto che li colpisce non è improvviso e violento, come quello da cui si sta ricomponendo la loro città, ma si manifesta attraverso lievi crepe e inclinazioni che sconvolgono gli equilibri familiari.

Così Don Cristoforo, padre di famiglia e invalido di guerra, la moglie Luisa e i figli Rita e Nicola affrontano le loro giornate con fatica, dolore, mossi da dubbi e risentimenti.

Sarà solo con l’arrivo di giugno che le tensioni verranno alla luce, accentuando tutte le loro debolezze e sprigionando una forza vitale necessaria ad affrontare la realtà.

Sullo sfondo la vicenda di Alfredino Rampi, con le dirette televisive a testimonianza dei tentativi di recupero dal pozzo artesiano in cui è caduto, li accompagna e muove riflessioni.

Leggere questa storia è stato come osservare il dipinto “Sette opere di misericordia” di Caravaggio, che viene più volte menzionato tra le pagine. Le stesse parti del libro, suddivise proprio per opere di misericordia, sottolineano quanto la grande umanità di ogni componente di questa famiglia sia celata dalle incombenze quotidiane e da precedenti esperienze, che sembrano solo rimpicciolirli. L’alternanza dei punti di vista, il continuo cambio di prospettiva, portano ad ampliare lo sguardo, a studiare la vicenda nella sua totalità e a individuare i dettagli più nascosti.

Il piccolo Nicola, con i suoi difetti fisici compensati da intelligenza e bontà d’animo fuori dal comune, rappresenta il perno sul quale ruota l’amore di questa famiglia.

La scrittura è minuziosa, scorrevole, volta a collocare il lettore esattamente a fianco dei protagonisti.

Gloria Barbierato

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Questo libro dedica un numero molto importante di pagine a diversi personaggi prima che vi sia la parte in cui sembra un po’ più chiaro dove tutto inizia, per poi ritornare a intrecciare le storie dei protagonisti e generare un po’ di confusione. Non ho apprezzato la scelta di inserire una serie innumerevole di aneddoti e particolari che non mi hanno consentito di inquadrare subito la storia che si voleva raccontare. La scrittura è ricca di riferimenti culturali e ha uno stile di livello pregevole, purtroppo però il racconto non mi ha coinvolto e non mi ha tenuto incollato alla storia e ai personaggi. La bellezza di Napoli non ha retto l’impalcatura. Peccato.

Marco Lo Bianco

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Le sette opere di misericordia del titolo e descritte attraverso il quadro di Caravaggio vengono via via declinate secondo le azioni dei protagonisti: una famiglia di Napoli, una ragazza loro ospite e un professore di storia dell’arte, nei giorni della triste vicenda di Alfredino Rampi. Come spiega il professore, la misericordia è “una compassione che viene dal profondo, ma che non si limita a un sentire. Ci fa agire.”, e infatti i personaggi non sono inerti ma agiscono con slancio, mossi dai loro ideali o dai loro istinti più fisici. Impossibile per me non affezionarmi alla loro umana imperfezione. La scrittura mi ha fatto immergere nella vita dei protagonisti, come se li osservassi di nascosto da una fessura della porta o dalle palpebre socchiuse, proprio come accade a due di loro.

Cristina Casaro

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L’autrice riesce a documentare il post terremoto a Napoli ed a ridare voce ad alcuni temi come la colpa ed il destino, la misericordia e il castigo, i sogni e l’innocenza perduta, attraverso la narrazione dei fatti nel suo romanzo. Tutto viene evidenziato nell’evoluzione delle storie dei componenti della famiglia Imparato, una narrazione basata sul fingere che vada tutto bene nonostante le mille avversità della vita.

Domenico Faniello

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Circolo dei lettori del torneo di Robinson d
i Grottaferrata "Un libro al mese della biblioteca comunale"
coordinato da Lucia Zenobi e Cinzia Silvagni
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Non mi è piaciuto: le vicende sono slegate, non c’è movimento corale dei personaggi.

Maria Daniela Costanzi

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Ho affrontato il libro con zelo e attenzione ma, mano mano che mi inoltravo nei vicoli bui e fetidi di questa Napoli e facevo conoscenza di personaggi tristi, rancorosi e senza un futuro, l’entusiasmo si è sempre più affievolito sino a spegnersi.

 La presenza ingombrante, per tutta la seconda parte del libro, della tragedia di Vermicino, non ha fatto altro che mettere una pietra tombale sulla mia voglia di continuare a leggerlo. Ma il dovere è dovere. Al termine di tutto questo nel cuore mi resta Cristoforo, il guercio, che si adatta a vivere in un cimitero per permettere un attimo di miglioramento economico alla famiglia e Nicola, il padroncino di Laika, un pupazzo a cui Nicola racconta tutte le sue angosce, ben conscio, però, dell’assurdità del suo comportamento.

Non sono in grado di dare un giudizio.

Vincenzo Parma

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Non ho avuto dubbi sulla scelta di questo libro.

Aspetti positivi: piacevole storia di una Napoli proletaria, bella caratterizzazione dei personaggi che sono molteplici, ma inseriti piano piano e ben riconoscibili.

Aspetti negativi: troppo lungo. Con alcune parti non servibili alla Storia. La tragedia di Vermicino è troppo dettagliata. La fine mi ha lasciato l'amaro in bocca... forse perché ci sarà un seguito?

Donatella Mambrini

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 Con una sapiente scrittura, Piera Ventre, racconta una Napoli sgarrupata, post Terremoto del 1980. Nelle pagine ci sono i quartieri popolari con le loro anime e perfino un Camposanto dove vivono i protagonisti della storia, la famiglia del custode Cristoforo Imparato. Ogni componente, sua moglie Luisa, la figlia Rita e il piccolo Nicola hanno i loro dubbi, le loro sconfitte, le speranze. Proprio dal piccolo Nicola che guardando il mondo con un occhio pigro, trascrivendo su di un quadernetto emozioni e pensieri ognuno dedicato a un'opera di misericordia, come nel dipinto del Caravaggio, dove sono rappresentate le Sette Opere Di Misericordia Corporale.

Giuliana Lombardi

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Il libro mi è piaciuto.

I personaggi sono ben congegnati, 

ognuno di loro ha le sue ragioni nel bene e nel male.

L'ambiente in cui si muovono trasuda compassione e questo suscita nel lettore partecipazione amichevole alle loro vicende.

Bella la scelta di mettere al centro della storia il punto di vista del bambino con la sua innocenza e il suo acume.

Anche il linguaggio, con la sua coloritura partenopea mi ha ben predisposto alla lettura.

Non banale la soluzione finale del racconto.

Enrica Mecozzi

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Splendido romanzo che sembra essere stato scritto dalla stessa città di Napoli che guarda i suoi abitanti con occhio benevolo e disincantato. 

In un' alternanza di termini aulici ed espressioni dialettali si è trasportati nei vicoli stretti della Napoli di chi è rimasto indietro, degli ultimi, degli emarginati, tra voci, odori, colori che non danno tregua. E una volta lì i personaggi prendono vita, s’impara a conoscerli, ad amarli, ad odiarli. 

Romanzo di rara bellezza

Francesca Del Giudice

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Il romanzo è ambientato nella Napoli sfregiata dal terremoto del novembre 1980, la storia si svolge nei quartieri popolari come Materdei, Poggioreale ed il Carmine. La famiglia protagonista della vicenda principale è quella di Cristoforo e Luisa con i due figli Rita e Nicola. Cristoforo, cieco da un occhio in seguito ad uno dei bombardamenti che hanno martoriato la città nel corso della seconda guerra mondiale, ha perso il lavoro negli anni della maturità e, già con la famiglia a carico, si è dovuto adattare, pur essendo un bravo tipografo, ad un lavoro come custode del cimitero con il benefit costituito dall’avere la casa assegnata all’interno del cimitero stesso. Tutta la famiglia si è dunque trovata a passare da un’abitazione decorosa nel quartiere popolare e vivace di Materdei ad una dimora più piccola e soprattutto molto particolare per lo sfondo delle tombe, delle cappelle e dei tristi visitatori.

Contemporaneamente allo svolgersi dei fatti narrati dal romanzo, situati per lo più nel mese di giugno, quando la scuola sta terminando, Nicola è impegnato dal primo esame importante della sua vita, il caldo è ormai quasi opprimente e l’Italia è presa dallo svolgersi di un’altra tragica vicenda che pure segnerà l’epoca. Inviati della televisione e di tutti i giornali si erano affollati da giorni a Vermicino, un luogo fino ad allora sconosciuto, inaugurando, inconsapevolmente, quella che pochi anni dopo sarebbe diventata la "TV del dolore".

Il romanzo prende il titolo dal noto capolavoro di Caravaggio, conservato a Napoli al Pio Monte della Misericordia, che rappresenta le sette opere di misericordia corporale a cui sono pure intestati i capitoli in cui il libro è suddiviso.

Piera Ventre con questo romanzo conferma di avere un grande talento nel disegnare le caratterizzazioni dei vari personaggi, proprio come il grande pittore che con le sue pennellate ed i giochi di luce riusciva a rendere nei minimi particolari le atmosfere delle scene da lui rappresentate.

Il libro mi è piaciuto molto anche perché l’autrice nel descrivere Napoli, ha saputo cogliere gli aspetti meno conosciuti e raccontarli con grande realismo e sensibilità.

Fulvio Cicchetti

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Romanzo scritto con abilità narrativa, i personaggi sono vivi, credibili, ognuno di loro suscita emozioni, ti rimangono nell' anima. In particolar modo Nicola, bambino estremamente sensibile.

Le ricorrenti espressioni dialettali danno al romanzo una risonanza " vera" sembra di vivere realmente nei vicoli stretti di Napoli, di vedere e sentire i colori, gli odori. Veramente un bel romanzo!!!

Roberta Baronciani

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L’ opera “LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA” di Caravaggio, si trova a Napoli, città dove l’autrice Piera Ventre, ambienta la narrazione della famiglia Imparato.

Ci fa entrare nella loro casa, ci fa sentire gli umori di tutti i componenti.

Ritorna all’estate del 1980 del post terremoto a Napoli, al bambino caduto nel pozzo a Vermicino, con una forte narrativa

che coinvolge il lettore. Mi ricorda un po’ L’ amica geniale della Ferrante.

Bel racconto.

Giuseppina Santoro

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In questa storia, ambientata a Napoli, a cavallo del 1980, 81, emergono le forti emozioni dei protagonisti di una famiglia che vive all’ingresso di un cimitero; questo non luogo, di confine tra la morte e la vita, e il forte contrasto tra le vite miserabili di tanti disperati e la bellezza dei luoghi e dell’arte, vengono risucchiate dagli eventi tragici di quegli anni: il terremoto dell’Irpinia e, soprattutto il dramma che l’intera Nazione vissuto in diretta TV seguendo le vicende di Alfredino, un bambino di sei anni, precipitato in un pozzo Artesiano.

Salvatore Spanò

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Un viaggio affascinante in una Napoli che ti cattura con la forza della disperazione di chi lotta ogni giorno per la propria esistenza e che ti colpisce con la bellezza delle sue opere d’arte, come il dipinto del Caravaggio che dà il titolo al romanzo di Piera Ventre. I personaggi del racconto sembrano a tratti soccombere sotto il peso della propria dolorosa umanità ma poi ci regalano anche inaspettati sprizzi di gioiosa speranza. Perché ciascuno di noi è in cerca della propria salvezza, una salvezza purtroppo non sempre raggiungibile come nel caso di Alfredino Rampi, il bimbo caduto in un pozzo artesiano nel giugno del 1981, ma che deve sempre essere ricercata. Un romanzo viscerale, intenso e bellissimo. Consigliato.

Cinzia Silvagni

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Una città vissuta in una casa che si affaccia su un cimitero è già un’immagine eloquente.

Tutti i personaggi vivono in questa consapevolezza, languida, ripetitiva, che li porta inesorabilmente verso quel mondo del poi.

Vite che vengono illustrate in tutte le loro sfaccettature, lati oscuri ma anche veri splendori.

Poi, inesorabile, la figura di un bambino in un pozzo mal custodito, uno scivolare giorno dopo giorno. Quelle immagini viste, come in tutta Italia in quel giugno 1981 in cui tutti noi assistemmo per la prima volta a un dramma in diretta TV.

Tutto questo poi descritto con un vocabolario ampio, che non si accontenta di poche parole e ricerca sempre quelle giuste, rende questo libro interessante, fa scorrere le pagine con voglia di godere di quanto si legge.

Mauro Testa

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Sette opere di misericordia: una Napoli disperata, con figure umane che vivono ai margini di un camposanto, a un passo dallo scivolare e poi invece volare, con battiti imbizzarriti di ali. Una vita e il suo contrario, condensate da quel pozzo in cui un bambino, nel lontano Vermicino, scivola. un libro che mi ha emozionato per la sua capacità di far conoscere persone vere.

Elisa Ticconi

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Molto bello questo romanzo che restituisce il sapore di un'epoca. Tutti noi ricordiamo l'episodio che fa da sfondo alla vicenda famigliare. L'autrice, senza mai indulgere nel voyerismo, lo tratteggia con delicatezza. I personaggi sono ben costruiti e il lettore si cala nel loro punto di vista.

Delia D’Onofrio

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Napoli fa da cornice a questa storia dove la famiglia Imparato si muove tra cimiteri e vita di quartiere, si respira la povertà, ognuno dei personaggi porta dentro di sé la fatica di vivere, mentre alla televisione si parla di Alfredino Rampi, un racconto denso e vivo. Il titolo è molto evocativo, richiama il dipinto “Sette opere di Misericordia corporali, che non conoscevo.

Lucia Zenobi

 

Il torneo letterario di Robinson è un'iniziativa curata da Giorgio Dell'Arti per conto di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.
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