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Piano nobile di Simonetta Agnello Hornby
Feltrinelli

 

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Circolo dei lettori del torneo
di Robinson di Lecce 2
“Orti di guerra” coordinato da Simona Cleopazzo
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“Piano Nobile” copre più o meno un secolo di storia partendo dai ricordi sul letto di morte, avvenuta nel 1942, del Barone Enrico Sorci, capostipite di una importante famiglia siciliana che lo vedono bambino ai tempi dell’unità d’Italia.

Attraverso i suoi ricordi ci viene presentata una società chiusa e immobile nelle sue usanze, dove comportamenti non proprio retti vengono accettati, tollerati in nome di questa fissità, dove tutto è coperto da una facciata di apparente e falsa concordia dove tutti recitano la loro parte come attori, ottenendo ciascuno il proprio personale tornaconto.

Insieme alle vicende di questa famiglia seguiamo anche l’evolversi di questa società che, suo malgrado, vediamo trasformarsi e sfaldarsi proprio come la stessa famiglia Sorci che senza la guida forte di Enrico  andrà via via disgregandosi.

L’autrice dà un taglio quasi giornalistico al romanzo raccontando gli stessi spazi temporali da diversi punti di vista facendo parlare a turno, come in una sorta di intervista, i suoi protagonisti, scavando nel loro passato per farci comprendere il loro presente.

Il ritmo lento del racconto può essere interpretato come l’allegoria della difficoltà di cedere il passo al cambiamento dei tempi.

Tuttavia proprio in questo ritmo lento ho trovato il punto debole del romanzo.

Marcella De Giorgi

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La Hornby scrive benissimo, ti porta dentro questo palazzo a Palermo e nella storia della famiglia Sorci negli anni a cavallo tra la seconda guerra mondiale e il primo dopoguerra.

Emerge un quadro nitido della Sicilia dei tempi, degli usi e dei rapporti formali ed emotivi tra i personaggi attraverso i loro stessi racconti in prima persona, di sicuro una scelta stilistica non facile che però la Hornby regge benissimo senza nessuna sbavatura.

La scrittura è elegante, semplice e sempre efficace, il quadro storico approfondito e sincero con la triade mafia, chiesa e medicina che governa l’isola a fine guerra e che si estenderà in tutta l’Italia continentale.

La possibilità di riscatto per la tradizione siciliana così ricca, antica e radicata nella storia è paradossalmente affidata solo alla critica sull’ Ostia come segno di evoluzione culturale ed al coraggio di una semplice coppia Gay. Un segno che lo sguardo d’oltre manica  ha perso di visione e di capacità. Si rimpiange un po’ il “Gattopardo”, dato il parallelismo inevitabile.

Stefania Stamerra)

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Il romanzo prende avvio con i pensieri del morente barone Enrico Sorci; attraverso i suoi ricordi viene raccontata, con dovizia di particolari, la storia della sua famiglia e allo stesso tempo , parte della storia  Siciliana.  Vengono descritti i vizi più nefandi e le virtù con una particolare attenzione alle usanze e agli aspetti psicologici di tutti i componenti della famiglia e affiliati.  In buona sostanza un romanzo ancora intriso di morbosità che mette a nudo un passato e un modo di agire tipico dei territori chiusi su se stessi. 

Rosanna Lerede

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Un romanzo ambientato nella Palermo dei primi anni ’40.

Lo scritto è scorrevole, ma la lettura mi è risultata di difficile digestione.

Non ho trovato uno snodo, un particolare colpo di scena, qualcosa che mi consentisse di proseguire senza fatica e con la curiosità di arrivare alla fine.

Il capitolo più interessante è quello legato a Carlino, figlio illegittimo di Nicola Sorci e sua cognata Laura. Forse poco centrata la scelta di mettere come sfondo, in questo capitolo, il quartiere “little italy”.

Il libro è ben scritto anche se mi sarebbe piaciuto notare delle differenze nel linguaggio usato dai vari personaggi.

Una piccola nota a parte è necessaria per i personaggi: sono tanti, oserei dire troppi. Ho dovuto scrivere nomi e grado di parentela su un foglio per poter leggere senza tornare indietro.

Ultima nota: il finale. Dopo Andrea Sorci mi aspettavo un epilogo, di qualunque genere, ma un epilogo, ho girato pagina e ho trovato i ringraziamenti.

Molto probabilmente non avrei comprato il libro.

Marilena Mingolla

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Il romanzo mi ha deluso, sotto molti punti di vista. In primo luogo, trovo che in una narrazione altera e “aristocratica” come quella dell’autrice, il frequentissimo uso delle parole o espressioni dialettali metta in particolare risalto il distacco tra narratore ed argomento, allontanandoli ancora di più. Mi è parso, infatti, che al di là delle vicende che racconta, la scrittrice si sia tenuta ben al di sotto del piano dell’empatia, narrando, per così dire, dal “piano nobile” con il risultato di non appassionarmi alla vicenda. La storia narrata da più personaggi, alla fine, diventa un puzzle scollegato e non sempre facile da seguire. Pregevoli le descrizioni, nelle quali la Agnello Hornby è particolarmente a suo agio ed esprime il meglio della sua narrativa. I personaggi rimangono (forse volutamente) un po’ in chiaroscuro: avrei preferito una caratterizzazione maggiore.

Patrizia Palumbo

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