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Tropico del cancro di Henry Miller
Feltrinelli

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di “Le donne in corriera”
coordinato da Maria Gabriella Caruso
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È un’autobiografia intensa, densa di sensualità e di riferimenti espliciti; Miller racconta la sua vita e ricorre all’oscenità ed alla volgarità. Per questa ragione, il romanzo fu bandito in diversi paesi. Scritto nel 1934, negli Stati Uniti fu pubblicato solo nel 1961. L’autore subì un processo per oscenità, conclusosi con piena assoluzione. Il romanzo fu, poi, rivalutato ed è considerato un importante capolavoro del ventesimo secolo. Miller si considera un uomo libero che non accetta il contesto borghese: «la gabbia è il mondo», scrive. Racconta di non aver nulla a che fare con le regole e con i principii. Il sesso e le prostitute sono costantemente presenti nel suo racconto, per esprimere la sua ribellione ad un mondo vuoto, ad una civiltà che considera in sfacelo e nella quale «ingegneri, architetti, farmacisti, maestri ecc. ecc. sono individui incolori» proprio perché incapsulati in quel contesto. È un mondo squallido, quello del suo racconto, fatto di infimi alberghi, di quartieri poveri, di sbornie, di avventure erotiche: la feccia della società occidentale, che considera puritana e cialtrona. Squarcia il velo dell’ipocrisia perbenista americana e mette in primo piano la parte più istintiva degli esseri umani, tanto che i suoi pensieri più frequenti sono il cibo e un «posto dove stendersi». L’ho letto con un po’ di difficoltà, forse proprio per il linguaggio crudo ma certamente colto, e ne ho apprezzato la profondità dei contenuti al di là delle parole.

Ketty Capotorto Costantino

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Stile fluido e accattivante. “Sesso che scorre per via come una fogna. Una generazione decadente che trascorre inutili giornate in una Parigi sordida lurida e inospitale. Una vita intristita e insudiciata dal soddisfacimento di bisogni primari, contornata da squallide amicizie genito-urinarie. Volgarità gratuite a cielo aperto col solo scopo di provocare una società di normali. Una visione finto/onirica che sconvolge ma a lungo andare diviene stomachevole.

Maria Lucia Caruso

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Il libro racconta la vita e le imprese di Henry Miller e dei suoi amici artisti, nei quartieri poveri della Parigi degli anni Trenta. Il personaggio vive in modo disordinato tra avventure sessuali, innamoramenti e difficoltà lavorative ma non manca di affrontare riflessioni filosofiche sulla vita con episodi anche divertenti. Lo definirei un buon libro ma non rientra nelle mie corde vocali.

Olimpia Sabato

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Uno “scrittore dannato”. Definizione pertinente che è stata data ad Henry Miller e ne è la conferma il suo Tropico del cancro.  Narra le vicende di uno scrittore americano che vive tra Roma -a Villa Borghese, ospite del suo amico Boris- e Parigi nei vari bordelli della città. Le descrizioni spesso si accavallano e si confondono tra un contesto e l’altro. La precarietà dell’esistenza è tutta espressa nell’inconsistenza dei rapporti umani che descrive, nella mancanza totale di valori. La sua ossessione con il sesso, patologica, se non animalesca, al punto da identificare le donne solo con il loro organo genitale rende questo romanzo spesso noioso e ripetitivo. Ogni tanto il lettore si rilassa leggendo qualcosa che non sia il suo rapporto con le “fiche”. Quando fu pubblicato per la prima volta nel 1934 fu considerato scandaloso. Scandaloso è un aggettivo superato, niente più è scandaloso. Rimane però il vuoto interiore, la povertà umana che descrive, la vita dissoluta, da parassita, camuffata da una vaga idea di libertà, il linguaggio spesso volgare. Se questo è un uomo…

Patrizia Ripa

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Avevo già letto questo libro molti anni fa. L'ho riletto perché non mi aveva lasciato traccia e, quindi, il testo, se non nelle linee essenziali, mi risultava nuovo. Il contenuto, in massima parte, è una sequenza di approcci con le puttane che pare brulicassero come vermi in quel periodo a Parigi. Tutto arricchito da puntigliose descrizioni di genitali, funzioni corporali, vomiti ed altro ancora. Il contesto è una esistenza da debosciati autodefinitisi artisti. L'utilizzo di questo linguaggio pare finalizzato a chiamare le cose con il loro nome senza far ricorso ad ipocriti giri di parole. In questo senso, il libro è un forte messaggio di rottura con il perbenismo dell'epoca. Letto oggi, però, il libro risulta volgare salva l'opinione che hanno gli uomini delle donne che erompe con forza e che non è mai cambiata. Ahimè! Premio il libro perché non ho faticato a leggerlo. Mi sono, però, ugualmente annoiata.

Annamaria Iodice

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Lettura complessa, impegnativa, assolutamente anticonformista e moderna che stupisce per il periodo storico nel quale si colloca. Al di là’ dei contenuti, il linguaggio è diretto, violento, crudele ma efficace e concreto.

Annamaria Barbone

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Un libro ambientato in una Parigi affascinante ma anche maledetta colma di artisti o presunti tali. La città raccontata da Miller non è quella sfavillante e ricca, ma  è quella dei quartieri periferici e poveri, abitata da uomini e donne che vivono di espedienti. Sicuramente è un libro autobiografico, un romanzo provocatorio e sconvolgente. Miller utilizza per narrare  questa realtà sociale  un linguaggio crudo e violento. La narrazione dell’autore è caratterizzata da situazioni paradossali, molto spesso di natura sessuale, con  personaggi che conducono una esistenza degradata dall’alcool. I protagonisti del romanzo sono gli stessi amici di Miller che trascorrono giornate contraddistinte dalla fame, da abbondanti bevute, da continue risse, dal sesso e, soprattutto, dalla scelta di una vita indipendente non sottoposta a nessun vincolo intellettuale, sociale ed economica. L’opera di Miller è insieme un inno alla libertà, non solo sessuale, all’anarchia ma è anche una denuncia della  civiltà alienata dal progresso.

Narda Limitone

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Il mondo dei “miserabili” di una Parigi del XX secolo è messo in scena col suo carico di degrado, fame, solitudine disperata, rassegnata e rabbiosa, falsamente concentrato su un sesso salvifico e annientante che diventa parodia della vita per distrarsi dalla morte. È costante il bisogno del protagonista di perdersi nel fiume di prostitute, artisti senza genio, mendicanti, esemplari di un’umanità distrutta dalla fame e dal bisogno, pur rimanendo capace di essere trafitto dalla bellezza di una natura incorrotta e lucente scoperta nella notte dei giardini parigini. Scendere fino all’abiezione più cupa, disfarsi nel fango morale e materiale può essere il passaggio necessario “per risalire a riveder le stelle”.

Pinuccia Perrini

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Affresco trasgressivo e spesso esagerato della Parigi anni ’30 vista con gli occhi di uno scrittore americano bohémien. Il romanzo si dipana attraverso gli incontri del protagonista con artisti e pseudo artisti, le loro vite non convenzionali, i loro vizi, le loro miserie, le debolezze, le relazioni con le donne: gaudenti, lussuriosi , quasi sempre privi di morale e vuoti di sentimento. La narrazione procede per salti, ma anche per ripetizioni che ne appesantiscono la lettura, apparentemente senza un progetto, senza lo sviluppo coerente di una storia. Ma le descrizioni della città e dei suoi quartieri sono accurate, il linguaggio ricco e scelto, le parole danno un’anima agli spazi inanimati. Un romanzo da leggere entrando nel flusso di pensiero dell’autore, cogliendo l’acutezza e la rapidità nel tratteggiare i personaggi, gli spunti ironici e un invincibile anelito verso la libertà.

Giovi Albenzio

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Una discesa senza freni negli abissi dell’istinto volgare e rozzo, cui si abbandonano i “poveri diavoli”, sbandati, diseredati, che incontriamo nel romanzo. Vite consumate al buio di tuguri, dove non filtra la luce della bellezza, del sentimento e da cui non sembra esserci via d’uscita. Quasi una presa d’atto della deplorevole miseria, cui certa umanità non può sottrarsi. Un ineludibile destino a cui è condannata. Non c’è mai giudizio nelle parole dell’autore. Attraversa i bassifondi, ne descrive i dettagli, raccapriccianti e repellenti, senza esserne scandalizzato. Non prende mai le distanze, si confonde con la melma, ma sa elevarsi. Sguazza nel putrido, trascinandovi di forza il lettore, con la consapevolezza di infastidirlo. Lo conduce quasi in un percorso obbligato, dal sapore disgustoso, verso l’appropriazione delle zone grigie che si agitano inesplorate sotto la coltre del perbenismo. La narrazione è frammentaria, i toni sono cupi, le atmosfere tetre. La lettura si trascina faticosa, a tratti si fa nauseante. Non c’è storia, o se storia c’è è quella di tante solitudini, che sanno incontrarsi soltanto attraverso i corpi,  attraverso la fredda carnalità, senza poesia. I sentimenti non hanno voce. Il sesso non è mai amore, ma un anestetico per lenire il dolore di vivere di uomini senza patria, senza radici, senza legami. Sorprendono i rari momenti lirici, in cui l’autore si interroga e riconquista il lettore sfinito dalla ripetitività ossessiva del sesso. Nel quadro dissacrante delle debolezze umane che Miller tratteggia, le pennellate di poesia sono sbiadite e leggere, tanto da sembrare involontarie disattenzioni. “Questo non è un libro. No, questo è un insulto prolungato”, per stessa ammissione del suo autore.

Katia Berlingerio

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Tropico del cancro è stato scritto da H.Miller negli anni trenta. Per molti anni è stato messo al bando come libro scandaloso e osceno. È un libro autobiografico in cui il protagonista si muove in una bohème molto poco romantica e desolata.Il protagonista racconta il suo vivere alla giornata, travolto dagli eventi, in una periferia degradata, abitata da personaggi diseredati. In questa desolazione l’autore realizza un percorso di conoscenza di se con totale disincanto. Pur riconoscendone l’indubbio e indiscusso valore artistico del testo l’esperienza che ne ho tratto è stata di angoscia e assoluta mancanza di speranza.

Mara Dentamaro

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Libro di non facile interpretazione, in quanto il rischio è quello di farsi prendere dal linguaggio crudo, irriverente e violento con cui lo scrittore descrive i sobborghi parigini e la vita sua e dei suo amici, e di abbandonare la lettura dopo poche pagine. Soltanto riprendendolo con più calma si riesce a capire che dietro tutto quel “girare a vuoto”, fatto di sesso, alcol e cimici c'è la voglia di opposizione al perbenismo americano, c'è tanta solitudine e dolore. e che quelli sono gli strumenti usati per analizzare la società del tempo. e per dire che tutto ciò che è piacere dovrebbe essere libero, non represso, non punito, destino da riservare soltanto alla violenza e quindi alla guerra.

Daniela Porcù 

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Henry Miller è un genio, un mago dell’espressione scritta che maneggia con una perizia indiscutibile e,  per l’appunto, geniale. Si sente fortemente quanto il suo rapporto con l’America sia difficile e quanto anche lui senta forte l’influenza della cultura e civiltà europea con un neanche troppo vago complesso d’inferiorità che lo porta ad una forte critica dell’America dell’epoca. “Quando penso a New York ho una sensazione diversa, molto diversa. New York fa sentire anche al ricco che egli non conta nulla. New York è fredda, scintillante, crudele. Gli edifici ti dominano. C’è una specie di frenesia atomistica nell’attività che va avanti; quanto più furioso il passo, tanto più sminuito lo spirito. Un fermento continuo, ma potrebbe benissimo avvenire in una provetta. Nessuno ne sa lo scopo. Nessuno indirizza l’energia. Stupenda. Bizzarra. Sconcertante. Una terribile spinta reattiva, ma assolutamente priva di coordinazione. Quando penso a questa città, dove sono nato e cresciuto, questa Manhattan di cui canta Whitman, una rabbia cieca, bianca, mi sfiora le budella. New York. Le prigioni bianche, i marciapiedi brulicanti di vermi, le file del pane, gli spacci d’oppio che si costruiscono come palazzi, gli ebrei che ci sono dentro, i lebbrosi, i sicari, e soprattutto, l’ennui, la monotonia dei volti, strade, gambe, case, grattacieli, pasti, manifesti, mestieri, delitti, amori... Una città intera eretta sopra una vuota fossa di nullità. Senza significato. Assolutamente senza significato. E la Quarantaduesima Strada! La vetta del mondo, la chiamano. E il fondo allora dov’è? Se vai con la mano tesa, ti mettono cenere nel berretto. Ricchi o poveri, camminano con la testa buttata all’indietro e quasi si rompono l’osso del collo per levare lo sguardo sulle loro bellissime prigioni bianche. Vanno avanti come oche cieche e i fari spandono sui loro volti vuoti chiazze di estasi”. Il suo romanzo, difficilissimo, intriso di riferimenti spesso erotici che sfiorano la pornografia, è però cupo, volutamente angoscioso, la cui lettura si fa fatica a portare avanti se non accompagnati da chiavi di lettura che si devono andare a ricercare anche nella biografia dell’autore, nella sua vita complicata e sopra le righe. Non è un romanzo da scegliere per addormentarsi sereni, ma piuttosto un’opera da studiare e approfondire se si desidera conoscere una personalità complessa e, ripeto, geniale del secolo scorso.

Rosanna Quagliariello 

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Libro violento e crudo con immagini ossessive e pervasive di un mondo e di una società violenta, dedita al sesso e alla droga, e allo stesso tempo immersa e sommersa dalla solitudine. Grande prova di lettura per me.

Mariella Baldassarre

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La lettura di questo libro è stata un atto di grande resistenza fisica e psichica che mi ha fatto riflettere molto sulla capacità dei grandi scrittori di trasmettere sulla pagina scritta la solitudine di un mondo pieno di falsità e perbenismo.

Roberto Grosso

 

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Circolo dei lettori del torneo letterario di Robinson
di Carmagnola “Gruppo di lettura Carmagnola”
coordinato da Maurizio Liberti
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Capolavoro assoluto senza se e senza ma. L’ho letto da adolescente e l’ho riletto ora per il concorso di “Repubblica” e le sensazioni che mi aveva provocato allora sono le stesse: lucido, cinico e con una prova da sbalordire.

Maurizio Liberti

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Sono contenta di aver resistito alla tentazione di mollare questo libro, forte dei commenti degli altri. Difficile, molto complesso in certi punti ma non lascia indifferenti. Ad un certo punto del libro, il narratore si descrive come una iena snella e affamata che è pronta per affondare i denti nella vita. Questa definizione mi è piaciuta moltissimo.

Luisella Surra

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 “Tropico del cancro” è uno dei libri più importanti e belli nella storia della letteratura inglese, non è un romanzo qualunque, è la vita di Miller filtrata dalla sua arte, il rapporto con i suoi amici fino alle grandi domande dell'essere umano. Una pietra miliare della letteratura.

Gianni Lamberti

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Volgare, innocente, depravato, virtuoso, pieno di gioia disperata e tristezza assoluta. Queste sono le parole che mi sono venute in mente (ri)leggendo Miller.

Spanò Giovanna

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Non sono una donna pudica, ma la reputazione di questo libro (300 pagine di sesso) mi suonava noiosa. Come spesso accade durante queste sfide di lettura, tuttavia, le mie supposizioni su questo libro erano sbagliate. E’ scritto da Dio e il sesso è funzionale al racconto.

Rabbia Graziella

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Miller ha un occhio per la bellezza nel mondo, anche nella sua sporcizia e sofferenza, che ispira e dà vita. La sua visione del mondo è opposta alla mia in quasi tutti i sensi, eppure la bellezza è bellezza e la sua capacità di trovarla mi ha commossa molto.

Cristina Tomaini

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Che libro! Amo i pensieri poetici e metaforici di Miller, penso che fosse un genio nel mettere insieme le parole come un giocoliere con le sue palline. La trama si intreccia con i pensieri e le idee del personaggio, lo stesso Miller, e questo forse ogni tanto è un po’ straniante. Il libro è divertente, disgustoso, scioccante, triste, calmo, frenetico. Tutto insieme.

Marco Musso

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Un artista americano sporco, sessista e disinvolto fa pipì per Parigi come se stesse cercando di liberare sessualmente tutte le puttane che la abitano. Questo libro è scritto magnificamente se riesci a superare le opinioni del protagonista e degli altri personaggi maschili.

Sarah Ricci

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Ero esattamente nello stato d'animo giusto per leggerlo dopo averne rimandato la lettura per anni. Penso che se l'avessi letto anche solo un anno fa, non avrei riso così di cuore dei comportamenti orribili descritti in modo così lussurioso e spudorato. Adorabilmente folle.

Marianna Martucci

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Non ho mai letto un libro in cui New York e Parigi sembrassero così sporche, brutte e orribili. Un'elegia per i perdenti con tanto, tantissimo sesso. Mi rendo però conto che la qualità di quest’opera sia eccelsa e che quindi l’apprezzarlo non troppo sia un mio problema.

Gabriella Medail

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Parigi, come Miller la descrive, è orribile. Gli esseri umani e tutti i loro piccoli problemi come li descrive Miller sembrano spregevoli. Ma in qualche modo questo libro è riuscito a commuovermi. Mi ha fatto riflettere su tutte quelle cose apparentemente irrilevanti che capitano ogni giorno della nostra vita. Come mai lui vede tutta questa magia e io no?

Anna Clara Barbera

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A meno di 50 pagine  dell’inizio ho alzato gli occhi al cielo così tante volte che stanno per cadermi! Amo così tanto Anais Nin e non vedevo l'ora di leggere il libro del suo amante e compagno ma dopo poche pagine sto pensando che lui non fosse degno dell’ammirazione che lei nutriva per lui. Delusione totale

Marisa Borri

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Questo libro mi ha aiutato a separare i miei valori personali da quelli che mi vengono imposti ogni giorno e ad affrontare le differenze senza paura o vergogna. Merita di essere un “classico".

Sara Osella

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Posso capire perché questo libro sia stato bandito: il linguaggio è molto crudo e le descrizioni sessuali sono piuttosto sfacciate. Non mi ha infastidito. Quello con cui ho avuto problemi è stato l'atteggiamento misogino del personaggio principale, che spesso tratta le donne come oggetti piuttosto che come esseri umani. Ma nonostante questo ne percepisco le notevoli qualità letterarie.

Flavio Zuccolin

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A metà tra  flusso di coscienza e il romanzo autobiografico (?). Non esiste una linea narrativa lineare e Miller fluttua attraverso il passato e il presente e le sue riflessioni filosofiche sulla vita. Anais Nin disse a Miller che "in “Tropico del cancro” eri solo sesso e stomaco", e questa è probabilmente la migliore valutazione di questo libro che qualcuno abbia mai fatto.

Davide Frizzarin

 

Il torneo letterario di Robinson è un'iniziativa curata da Giorgio Dell'Arti per conto di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.
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