Vite
da presepe di Andrea Kerbaker
Interlinea
Sicuramente originale e ben scritto
ma la lettura non prende tanto da diventare in alcuni tratti noioso.
Rosaria Memola
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Una famiglia: papà, mamma, e i loro
figli Valeria e Alessandro; un rituale che si ripete ogni anno nel mese di
dicembre: la costruzione del presepe; ogni anno statuine nuove, acquistate
anche nelle varie parti del mondo, si aggiungono o si sostituiscono ad altre; e
le statuine, ogni sera, raccontano loro vita, uscendo dalle pagine di Vite da
presepe (edito da Interlinea) di Andrea Kerbaker.
Statuine nuove, riciclate,
riattate, un patrimonio di storie e di ricordi, si presentano “volta per volta
felici, con il sapore ironico del buon umore, o arrabbiate, oppure pacate, o
anche tristi, malinconiche, perfino disperate. Varie, come è varia la vita” (Introduzione).
C’è il Re Mago, in esilio, deposto, sostituito
“con quella specie di presentatore televisivo, tutto lustrini e vernice
lucida”; e la pecorella sbagliata “senza pelo, tutta dura, ispida”, c’è il ladrino, forse il futuro ladrone buono che morirà insieme
con Cristo sulla croce, e la lavandaia, “tutti che si lamentano per qualcosa.
Il fabbro ha nostalgia del passato, quell’altro è malinconico per natura, il
Signor No che fa opposizione per principio… perfino l’Angelo ha qualcosa da
ridire: non gli piace che lo chiamino Giuda”, sostiene il panettiere, statuina
simpaticissima che “con il banchetto del pane fa soldi a palate” e vuole
fondare persino un partito, quello di” Forza Presepe” (forse allude!?).
Tutti attori per un breve periodo
dell’anno e, per il restante tempo, conservati nella scatola, vera
coprotagonista della storia; tutti ad eccezione del postino che vive sul
ripiano vicino al presepe “in mezzo alle cianfrusaglie mischiate nei modi più
casuali, vittima dell’indifferenza che si riserva agli oggetti amati per un
tempo troppo breve”
Quindici racconti dallo stile sobrio, dal
sapore di delicate antifiabe che incantano, di lievi
o intensi drammi esistenziali che commuovono, possibili metafore della vita di
chiunque, anzi della vita degli esclusi, come quella del pastore errante che ha
viaggiato “sotto il caldo di mille soli”, uomo senza patria, un oriundo che
“perfino per i suoi familiari è sempre rimasto uno straniero”, perché “quando
uno cambia regione del mondo si sente sempre un po’ solo, un po’ alieno. E ci
vuole tanta, tanta forza per sopportare la diversità”.
Nel romanzo di Kerbaker
ho trovato felice l’espediente delle statuine che prendono vita, anche se l’interesse,
la partecipazione, l’entusiasmo non sono sorti immediatamente, ma con il
procedere della lettura: pagina dopo pagina ho trovato, in quelle creature
inanimate, quell’anima profonda e delicata a un tempo, che le hanno rese
presenze vive e stimolanti interlocutrici.
Rita Ceglie
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Un libro indubbiamente particolare
in cui i soggetti narranti sono le statuine del presepe di una famiglia. Nei
racconti si intrecciano le storie dei personaggi del presepe: animali, donne e
uomini di varie professioni, re, grandi peccatori, ecc.., con le storie dei
componenti della famiglia, nei diversi momenti e periodi in cui sono state
acquistate le varie statuine.
Originale, e con qualche passaggio
di un certo rilievo lirico, ma nel complesso francamente alquanto noioso.
Pietro Curzio
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Bellissima favola di gusto natalizio. L’autore, con uno stile dolce ed avvincente, dà voce ai personaggi “minori” del presepe. E ci proietta in mondi lontani e diversi, che sono rappresentazione di un’umanità variegata e composita. Le storie di ciascuna “statuina” si incrociano con la storia della famiglia proprietaria del presepe, delineando i caratteri e le scelte di ciascuno dei componenti. Mi è molto piaciuto leggerlo, e anche questa volta non è stato facile scegliere il vincitore tra i due libri.
Maria Elisabetta Baldassarre
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Sebbene interessante l’idea di far vivere i personaggi
del presepe, portatori di storie ed esperienze autonome, le vicende non
sembrano appassionare, come mancassero di un vero pathos e spiritualità.
Restano slegate le storie che non trovano unità
nemmeno nel tentativo di fare della famiglia che possiede il presepe, il file rouge della costruzione di questo affresco.
Servendosi di una lingua corretta e raffinata manca
tuttavia di un ritmo avvolgente. Per cui i personaggi veri e immaginari restano
come sfocati su questo “palcoscenico dell’eternità” con una riflessione sul
Tempo che non sembra efficacemente riuscita.
Luigia La Tegola
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Il Presepe, nella iconografia
classica è la rappresentazione della vita quotidiana: i pastori, le botteghe,
gli animali sono lo scenario perfetto di un evento straordinario, la nascita di
Gesù
Ma, diversamente da quanto mi
aspettavo dalla narrazione, l’autore mi ha stupito nel sovvertire l’antico
ordine precostituito rivolgendo la sua attenzione alle vite dei pastori, degli
attori che compongono questa sceneggiatura.
È riuscito a intrecciare più archi
narrativi seguendo personaggi differenti con uno stile semplice e scorrevole,
essi vengono caratterizzati con grande maestria: non statuine immobili ma
persone reali, con pregi e difetti, desideri e frustrazioni, nel bene e nel
male, come tutti noi.
Questa diversa ottica che l’autore
propone al lettore restituisce la descrizione del presepe di un nuovo
significato: originale ed esclusivo.
È un mondo dove tutti ci possiamo
riconoscere, partecipando a quella antica storia della vita che è sempre
attuale.
Fiorella Coppola
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Bellissimo libro, di una tenerezza
e analisi introspettiva di spessore. Non è un testo teologico né un trattato
Cristiano sul Natale, ma un racconto familiare dove l’autore dà vita propria
alle statuine, portatrici di ricordi, gioie e amarezze. Il presepe prende vita,
si anima, i personaggi si raccontano, si osservano, si criticano...si fondono
con i vissuti dello scrittore, il ricordo del giorno dell’acquisto, di un
momento particolarmente triste o di una giornata bella. Metafore continue, che
scandagliano la parte “buona” del Natale ma anche le problematiche mai così
attuali
Daniela Porcù